Codice Civile art. 2278 - Poteri dei liquidatori.InquadramentoLa Cassazione ha stabilito che vi è una sostanziale affinità tra l'opera del liquidatore e quella dell'amministratore(artt. 2452,2275,2392 c.c.) e che, appunto per questo, anche il primo deve agire con la diligenza del mandatario (art. 1710) avendo di mira l'interesse della società, ed ha aggiunto che risponde indubbiamente all'interesse della società pagarne i debiti onde evitare così che essa incorra nelle procedure concorsuali (Cass. I, n. 3652/1977). Nella stessa sentenza si afferma, inoltre, che egli ha «di regola, gli stessi poteri degli amministratori, sol che la sua attività è circoscritta a tutto ciò che è necessario per attuare lo scioglimento della società medesima, con il limite costituito dal divieto di nuove operazioni». Ha affermato il Tribunale di Milano che il comportamento del liquidatore di una società che abbia dimostrato di operare ingiustificatamente un distinguo tra le pretese dei vari creditori della società, omettendo di pagare il debito della società nei confronti di una s.r.l., non appare privo di censure. Difatti è pacifico che egli, a fine mandato, aveva pagato tutti i debiti della società, ad eccezione di quello riferito alla s.r.l., che rimaneva l'unica pendenza. Il Tribunale ritiene che il suddetto comportamento, che ha di fatto privilegiato alcuni creditori a scapito di uno, si ponga in violazione delle norme di comportamento ricavabili dagli art. 2278 c.c. e 2452 c.c. L'esito della controversia pendente con la s.r.l. e quella in liquidazione, invero, ha acclarato definitivamente che la società debitrice non aveva alcuna valida giustificazione per opporsi al credito della s.r.l. A sua volta il liquidatore, nella pendenza di un giudizio di opposizione che rendeva incerta la pretesa del creditore, comunque azionata per via giudiziale, ha omesso di verificare la possibilità di un componimento bonario della vicenda, che certamente sarebbe stata a vantaggio della società rappresentata, e ha proceduto al pagamento degli altri creditori, nonostante l'incapienza dei fondi per pagare tutti i debiti della società, determinando inevitabilmente un pregiudizio alle ragioni di un creditore che, altrimenti, avrebbe dovuto essere equamente distribuito tra tutti i creditori, nel rispetto della par condicio creditorum. La responsabilità del liquidatore verso la società, così come quella dell'amministratore per inadempienza dei doveri inerenti alla carica, ha indubbiamente carattere contrattuale, e mantiene tale aspetto anche qualora essa sia fatta valere dai creditori sociali, trattandosi di oneri inerenti alla carica rivestita: resta, dunque, a carico del liquidatore, una volta provata dal creditore la riconducibilità dell'attività generatrice di pregiudizio dell'attività gestoria, provare la non imputabilità al medesimo del fatto dannoso per assenza di colpa, secondo gli standards previsti nell'art. 1176, comma 2, c.c. (vale a dire, tenendo conto della difficoltà dell'attività prestata e del profilo professionale mediamente richiesto sulla base dell'uomo eiusdem condicionis et professionis). Ragionando sulla base delle norme exartt. 2452 e 2278 c.c. già citate, il liquidatore ha le stesse responsabilità previste per gli amministratori. Nell'art. 2280 c.c., inoltre, si ravvisa il divieto per il liquidatore, fintantoché non siano stati interamente soddisfatti i creditori sociali, di effettuare qualsivoglia ripartizione del patrimonio sociale. Non discostandosi la responsabilità dei liquidatori da quella prevista per gli amministratori, pertanto, la tutela dei creditori della società, pur non enucleandosi espressamente nel principio dellapar condicio creditorum (previsto solo nelle procedure concorsuali che si aprono in caso di insolvenza della società), si attua indirettamente e necessariamente con la salvaguardia dell'integrità del capitale sociale (art. 2394 c.c.), costituente la garanzia tipica predisposta a favore dei creditori. Entro tale logica, dunque, si deve ricondurre l'art. 2280 c.c., laddove pone il divieto di anticipare riparti tra i soci che si pongano in contrasto con le ragioni dei creditori sociali. La valutazione dell'operato dei liquidatori, pertanto, non può prescindere dalla finalità stessa della liquidazione che consiste nell'accertamento definitivo e nella divisione tra i soci dell'eventuale utile finale dell'attività economica esercitata in comune, che viene per ciò stesso a riflettersi positivamente anche sui creditori sociali, dovendosi indefettibilmente passare attraverso il loro soddisfacimento. La valutazione dell'operato del liquidatore, dunque, deve operarsi tenendo conto della ricostruzione giuridica sopra proposta. In quest'ottica, la responsabilità del liquidatore convenuto verso il creditore sociale non discende tanto da un mandatoex lege conferito a protezione degli interessi dei creditori, difficilmente configurabile solo sulla base delle norme sopra citate, bensì nel mandato più generale posto a tutela del patrimonio sociale nella delicata fase della liquidazione, in cui esso si deve dimostrare capiente ai fini del pagamento dei debiti sociali e, solo eventualmente, ai fini della divisione dei cespiti tra i soci. Alla luce di quanto sopra, pertanto, appare evidente che il comportamento emissivo del liquidatore, che non ha considerato un credito verso la società posta in liquidazione, e ha esaurito la liquidità della società pagando solo gli altri creditori, si profila come un atto di «mala gestione» censurabile e ingiustificato, atteso che anche le situazioni che possono apparire incerte debbono essere tenute in conto ai fini dell'attività di pagamento e della redazione del bilancio di liquidazione, non potendo certamente essere obliterate (Trib. Milano, 19 novembre 2004). Poiché la cessione dell'azienda integra un caso di vendita in blocco dei beni sociali deve affermarsi, stante il disposto dell'art. 2278 c.c., che essa non è consentita al liquidatore laddove i soci gli abbiano espresso il loro dissenso all'operazione (Trib. Taranto, 11 marzo 2002). In dottrina si evidenziava come il combinato disposto di cui agli artt. 2278,2452 c.c. conducesse, da un lato, all'investitura piena dell'organo di liquidazione del ruolo di dominus dell'intera procedura, dilatandone le facoltà operative e dall'altro, al sacrificio dei poteri di intervento e di controllo dell'assemblea sull'operato dei liquidatori stessi. L'attività di liquidazione può così suddividersi in atti che realizzano l'attivo e, più in generale, terminano i rapporti obbligatori, con particolare attenzione alla possibilità di assicurare una liquidità minima alla società a mezzo di finanziamenti o attraverso il richiamo dei decimi non ancora versati, e in atti che concretano un pagamento dei debiti (la c.d. liquidazione del passivo) (in tal senso, Alessi, 129). Si sottolineava, infatti, che «la norma dell'art. 2452 c.c., che consente all'assemblea straordinaria di «disporre diversamente», non sembra interpretabile nel senso di una illimitata competenza deliberativa, dovendosi coordinare con quella dell'art. 2278 c.c., dove la «diversa» determinazione dei soci è chiaramente riferita alla vendita in blocco dei beni sociali, nel senso della possibile esclusione di essa. La disposizione «diversa» adottabile dall'assemblea, in relazione all'azienda sociale, sembra principalmente quella preclusiva della vendita in blocco»: in tal senso, Di Brina, 139. La novella ha tentato una mediazione tra le istanze «dirigiste» del codice di commercio e le conseguenze eccessivamente «liberiste» cui ha condotto l'interpretazione ed applicazione del codice del '42 sul punto: uno dei leit motiv della Riforma, in materia di liquidazione, è il riconoscimento all'assemblea dei soci di un ruolo «da protagonista» nell'intera vicenda liquidativa. Vero è che, come in passato, anche il codice, come novellato, conferisce ai liquidatori il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione, salvo diversa disposizione statutaria ovvero adottata in sede di nomina (art. 2489, comma 1, c.c.), ma questa volta, l'incisività dell'intervento assembleare non sarà più ridotto alla sola «vendita in blocco» ma potrà spaziare dalla determinazione dei criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione alla definizione dei poteri dei liquidatori con particolare riguardo alla cessione dell'azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi. Dunque, pur restando sostanzialmente invariate, rispetto al passato e sotto un profilo squisitamente oggettivo, le operazioni teoricamente «delegabili» all'iniziativa dei liquidatori, risulta, invece, profondamente mutato l'aspetto soggettivo della fattispecie, essendo stato conferito all'assemblea un ruolo di particolare rilievo nella definizione, prima, e gestione, poi, delle operazioni deferite normativamente ai liquidatori. In pratica la gestione della fase liquidatoria si sostanzia nell'obbligo imposto ai liquidatori di compiere tutte quelle attività materiali, negoziali ed anche processuali richieste dalla natura dell'incarico ed utili per la liquidazione della società. I liquidatori, inoltre, nel caso in cui siano stati autorizzati dall'assemblea, potranno eventualmente concedere in affitto l'azienda in attesa di una favorevole occasione per la sua cessione in blocco oppure procedere eventualmente alla suddivisione dell'azienda in più rami per consentirne una più semplice oltre che remunerativa commerciabilità. In quest'ottica va letto, quindi, l'inciso in virtù del quale l'assemblea può altresì autorizzare i liquidatori al compimento degli atti necessari per la conservazione del valore dell'impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del miglior realizzo (Fimmanò, Traversa, 315). Pluralità di liquidatoriLa legge non precisa se, nel caso in cui siano nominati più liquidatori, l'esercizio dei loro poteri debba, o meno, essere congiuntivo. In proposito la Cassazione ha deciso che, se la deliberazione di nomina congiunta di più liquidatori di una società non abbia preso in considerazione il potere di rappresentanza della società stessa, si deve ritenere che ciascun liquidatore abbia capacità attiva e passiva a stare in giudizio nell'interesse della detta società, dovendo, in tal caso la nomina plurima e congiuntiva riferirsi soltanto all'attività negoziale disposta dell'ente (Cass. I, n. 747/1954). Sempre in argomento ha poi statuito che, quando la liquidazione sia stata affidata ad una pluralità di liquidatori, non vi è impedimento a che gli stessi addivengano ad una ripartizione di compiti tra loro, ferma la loro responsabilità solidale. È pertanto pienamente consentito il conferimento da parte dei liquidatori al presidente del collegio del potere di agire o di resistere in giudizio a tutela dei diritti della società (Cass. I, n. 3859/1979). In proposito si è deciso: - che l'interrogatorio formale, deferito a società semplice o in accomandita semplice in liquidazione, può essere validamente reso soltanto dal liquidatore, cui spetta la rappresentanza della società stessa in giudizio (Cass. I, n. 734/1974); - che i soci, a norma dell'art. 2278 c.c., possono fissare limiti al potere dei liquidatori solo per quanto attiene alla vendita in blocco dei beni sociali, alle transazioni ed ai compromessi e pertanto, traendo il potere di rappresentanza del liquidatore la propria origine dalla legge, essi non possono preventivamente vincolare e limitare tale potere ad uno piuttosto che ad un altro grado del processo (Cass. I, n. 3851/1956); - che nelle società semplici, prive di personalità giuridica, ma dotate di autonomia patrimoniale con riferimento alla destinazione dei beni conferiti all'esercizio collettivo di un'attività economica, l'autonomia patrimoniale permane anche durante la fase di liquidazione e che pertanto, nel corso di tale fase, per il vincolo di destinazione che grava i beni, il singolo socio non può esercitare in proprio nome l'azione di rivendica in proprietà esclusiva dei beni che egli assume essere stati illegittimamente distratti dal patrimonio sociale e che la rappresentanza in giudizio degl'interessi sociali spetta esclusivamente ai liquidatori (Cass. I, n. 931/1962); - che, tuttavia, il liquidatore non ha il potere di accollare all'acquirente l'onere relativo all'eliminazione della passività, posto che ciò equivale ad abdicazione dei poteri-doveri conferiti dalla legge al liquidatore, che porta a snaturare l'istituto della liquidazione (Cass. I, n. 1893/1965). Chiusura della liquidazioneI liquidatori conservano la veste a rappresentare in giudizio la società per tutti i rapporti di credito e di debito che ad essa si riferiscono, anche dopo la chiusura formale delle operazioni di liquidazione, di guisa che, se al momento della chiusura di tali operazioni siano ancora pendenti contestazioni giudiziali in ordine ai rapporti di dare e di avere, la società non deve essere considerata estinta e il processo in corso, di cui sia parte la società stessa, prosegue nei confronti di quei soggetti (liquidatori) che già la rappresentavano in giudizio (Cass. I, n. 10555/2001). BibliografiaAlessi, I liquidatori di società per azioni, Milano, 1994; Di Brina, La responsabilità per le nuove operazioni successive allo scioglimento della s.p.a., Milano, 1996; Fimmanò, Traversa, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società di capitalialla luce della riforma, in Riv. not. 2004, 315. |