Codice Civile art. 2283 - Ripartizione di beni in natura.

Lorenzo Delli Priscoli
Francesca Rinaldi

Ripartizione di beni in natura.

[I]. Se è convenuto che la ripartizione dei beni sia fatta in natura, si applicano le disposizioni sulla divisione delle cose comuni [719 ss., 1114].

Inquadramento

Con riguardo ai presupposti di applicazione della norma, si ritiene che i liquidatori abbiano il potere e l'obbligo di disporre la divisione in natura solo se essa è prevista nel contratto sociale o se è stata deliberata dai soci (Ferri, 564; Campobasso, 291; Cass. I, n. 2392/1942).

Il consenso può essere manifestato preventivamente, con il contratto sociale, o al momento della ripartizione, ma è dubbio se esso debba essere espresso da tutti i soci (così Cass. I, n. 3292/1942) o possa essere invece manifestato anche solo dalla maggioranza dei soci (Ferri, 564, con riferimento all'ipotesi in cui sul contratto sociale sia prevista l'applicazione del principio maggioritario per le sue modificazioni).

Il principio della natura dichiarativa della divisione, secondo il quale ciascuno dei condividenti consegue solo ciò che è già suo, senza che intervenga alcuna alienazione, realizzandosi solo una trasformazione dell'oggetto del diritto, si applica, ai sensi degli artt. 1116 e 2283 c.c., anche alla divisione di beni conseguenti alla liquidazione dell'attivo patrimoniale residuo di una società di persone. Pertanto, se un coniuge ha fatto parte di una società in nome collettivo che si è trasformata in società semplice e poi ha cessato di esistere, con conseguente divisione tra i soci dei beni sociali, la natura retroattiva della divisione fa sì che, al fine di stabilire se tali beni facciano parte o meno della comunione legale tra coniugi, occorre fare riferimento al momento di acquisto del bene da parte della società e non a quello della divisione: fattispecie in cui l'acquisto da parte della società risaliva ad epoca antecedente l'entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia di cui alla l. 19 maggio 1975, n. 151, momento in cui il socio coniuge era in regime di separazione dei beni (Cass. II, n. 17061/2011; analogamente Castellano, 641).

L'art. 2283 c.c., presupponendo il carattere pluripersonale della società, prevede che i beni sociali passino dal regime vincolistico di destinazione sociale al regime della comunione di diritto dei beni, onde il richiamo alle norme sulla divisione delle cose comuni. Nulla vieta però che la ripartizione in natura possa convenirsi anche da parte dell'unico socio superstite (società di persone unipersonale), nel qual caso, tuttavia, non vi sarà spazio alcuno per la divisione dei beni sociali, atteso che questi confluiranno inevitabilmente in capo al socio unico. Tra le vicende fattuali conseguenti a tale attribuzione non può escludersi, nel caso in cui il complesso aziendale sia assegnato al socio senza alcuna disgregazione dell'organizzazione e dei fattori produttivi, che il socio stesso proceda alla continuazione dell'attività in forma di impresa individuale. Questa fattispecie è nettamente distinta da quella che è stata portata all'attenzione di Cass. I, n. 496/2015: l'assegnazione dei beni sociali ai sensi dell'art.  2283 c.c., infatti, quale fase finale del procedimento di liquidazione, presuppone sempre la previa definizione dei rapporti obbligatori pendenti e, quindi, solo in via astratta essa è paragonabile alla fattispecie concreta sottoposta al vaglio della Cassazione, nella quale, come più volte sottolineato, è mancata una formale procedura di liquidazione del patrimonio (M. Russo, 555).

Cessione delle quote

È stata esclusa l'applicabilità dell'art. 2283 c.c. nel caso di cessione di quote sociali per un determinato prezzo a un solo socio, che concentri nelle sue mani l'azienda senza divisione e assegnazione di quantità determinate di beni in natura ai singoli soci (Cass. I, n. 705/1948). Sempre in argomento, si è altresì statuito che il contratto, con il quale uno dei soci attribuisce ad un altro socio la sua quota sociale, non è mai qualificabile contratto di divisione, neppure se con esso venga attuato anche il trasferimento di quote di beni conferiti alla società od acquistati da questa nel corso del rapporto; in tali ipotesi pertanto non è applicabile l'art. 2283 c.c., che non riguarda l'atto di scioglimento della società, ma l'atto con il quale, verificatosi per qualsiasi causa lo scioglimento del rapporto sociale e compiuta la liquidazione del patrimonio della società con un residuo attivo, i soci, che si siano così venuti a trovare in uno stato di comunione sui beni residui, provvedano alla ripartizione di tali beni fra loro; né, conseguentemente, può farsi ricorso al rimedio della rescissione per lesione oltre il quarto, proprio della sola divisione (Cass. I, n. 424/1975).

Garanzia per molestie ed evizione

La garanzia di cui all'art. 758 c.c., applicabile, in forza degli artt. 2283 e 1116 c.c. anche allo scioglimento delle società, è stabilita non soltanto per il caso di evizione, ma anche per il caso di molestia: per molestia si intendono le pretese di diritti che vengano da altri accampate anche fuori del giudizio, e per evizione, non la semplice minaccia, ma la perdita totale o parziale dei beni assegnati, per riconoscimento del magistrato. Se il condividente minacciato di evizione, in via transattiva e mediante il pagamento di una somma di denaro, ha evitato l'evizione, gli altri condividenti vanno esenti dall'obbligo della garanzia ove dimostrino che il primo era in colpa per aver ritenuto che non esistevano ragioni sufficienti per impedire l'evizione, e cioè che vi erano buoni motivi per far respingere la domanda (Cass. I, n. 983/1954).

Riflessi fiscali

L'assegnazione in natura di beni plusvalenti, sia quando venga effettuata durante la vita normale della società in dipendenza di recesso, morte od esclusione del socio, sia quando sia effettuata in relazione a vicende estintive o modificative della società, costituisce un'operazione di «realizzo» perché, sottraendo i beni alla loro destinazione imprenditoriale con la definitiva acquisizione al patrimonio dei beneficiari, consente di evidenziare il « plusvalore » che il bene ha acquistato in capo alla società durante il periodo di tempo in cui è stato destinato all'attività economica, e rende perciò certa e definitiva la «plusvalenza». A tal fine risulta perciò irrilevante la natura giuridica, sotto il profilo civilistico, dell'atto con il quale, estintosi il rapporto sociale per la mancata ricostituzione della pluralità dei soci, il socio superstite e l'erede del socio deceduto provvedano alla ripartizione dei beni già posseduti in società di fatto (Cass. I, n. 4808/1980).

Bibliografia

Castellano, Acquisto di bene in sede di rimborso dei conferimenti e regime patrimoniale dei coniugi, in Vita not. 2012, 641; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto della società, a cura di M. Campobasso, II, Torino, 2017; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, a cura di Angelici e G.B. Ferri, Torino, 2016; M. Russo, La «trasformazione» di società di persone in impresa individuale come alternativa alla liquidazione ed estinzione della società per venire meno della pluralità dei soci, in Giur. comm. 2016, II, 555.

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