Codice Civile art. 2342 - Conferimenti (1).Conferimenti (1). [I]. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro. [II]. Alla sottoscrizione dell'atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venticinque per cento dei conferimenti in danaro o, nel caso di costituzione con atto unilaterale, il loro intero ammontare. [III]. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. [IV]. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati entro novanta giorni. [V]. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo, come sostituito dall'art. 5 d.P.R. 10 febbraio 1986, n. 30, era il seguente: «[I]. Se nell'atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. [II]. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi». InquadramentoLa disposizione disciplina i conferimenti effettuati dai soci per sottoscrizione del capitale delle società per azioni, ponendo innanzitutto delle regole sulle modalità esecutive del conferimento in denaro, che costituisce la via ordinaria della liberazione delle azioni, se non diversamente previsto dall'atto costitutivo. In particolare viene prescritto l'obbligo che, fin dal momento della costituzione, i conferenti debbano versare nelle casse di una banca almeno il venticinque per cento dell'importo sottoscritto, fermo ovviamente l'obbligo di integrale sottoscrizione del capitale indicato nell'atto costitutivo e mai, comunque, inferiore a quello minimo di euro 50.000 previsto per le s.p.a. dall'art. 2327 c.c. Viene, quindi, delineata, ancorché non espressamente definita (Nigro, 211), la nozione di capitale e fatta la distinzione tra quello nominale (che è quello di cui la società programmaticamente si dota e che non può essere mai inferiore a quello minimo prescritto), sottoscritto (ovvero quello che i soci nel complesso si sono già impegnati a versare) e versato (che è quello che i soci hanno effettivamente già versato nelle casse sociali o, prima della costituzione, in una banca, non potendo la società ovviamente ancora contare su un apparato amministrativo idoneo a custodire le somme ricevute). Il versamento, presso un istituto di credito, a garanzia della serietà dell'iniziativa dev'essere, invece, integrale se la società è costituita per atto unilaterale. La disposizione detta anche alcune regole per i conferimenti in natura, con richiamo alle analoghe norme previste per le società di persone, lasciando, però, agli articoli seguenti il compito di regolare nello specifico le modalità di determinazione del valore del conferimento e, quindi, dell'effettivo apporto al capitale della società. Viene, anche, esclusa la possibilità di frammentare il trasferimento delle utilità in natura essendo, infatti, previsto che le azioni assegnate al socio, che abbia conferito beni, siano di valore non superiore al valore dei beni oggetto dell'immediato e contestuale conferimento. In conformità alla seconda Direttiva CE, viene sancito il divieto di conferire nelle società per azioni prestazioni d'opera e di servizi. Ciò trova spiegazione nel fatto che le prestazioni d'opera non potrebbero essere iscritte a capitale e quindi non consentirebbero la partecipazione pleno jure dei conferenti (Trib. Roma, 21 maggio 2019, Jus 27 Giugno 2019, e ciò anche in società di persone nelle quali invece il conferimento di prestazione è possibile senza, peraltro, determinare un incremento del capitale). La disposizione, tuttavia, non provvede a dare indicazioni sulla funzione del capitale sociale (Nigro, 213) ma va tenuta in debita considerazione ai fini dell'identificazione delle entità suscettibili di conferimento (Platania, 3). È stato opportunamente sottolineato (Pisani Massamormile, 7-10) che malgrado l'apparente immutabilità della norma, la disposizione risente nel complesso del diverso approccio seguito dal legislatore della riforma nei riguardi dei conferimenti e della disciplina del capitale sociale. I conferimenti in denaroÈ ovviamente l'ipotesi più frequente, dovendo il conferimento essere eseguito in denaro se non diversamente previsto dall'atto costitutivo, e sostanzialmente la meno problematica. A seguito della riforma è stato previsto che prima della stipula dell'atto costitutivo debba essere versato nelle casse di una banca il 25% del conferimento se vi sia una pluralità di soci; non è escluso che ciascun socio versi la propria quota presso istituti bancari diversi purchè su un conto a nome della costituenda società (Folladori); deve essere, invece, versato interamente se la società è costituita per atto unilaterale, così equiparando l'ipotesi del conferimento dell'unico socio al conferimento di beni in natura in ragione della diffidenza legislativa per le società unipersonali (Pisani Massamormile, 26). Mette conto osservare che proprio per garantire la possibilità di restituzione delle somme, il versamento deve essere imputato a ciascun socio personalmente; inoltre per effetto della previsione normativa secondo cui i soci possono essere tenuti a versamenti non proporzionali alla propria quota sottoscritta, può accadere che taluni versino meno del 25% del capitale sottoscritto a condizione, però, che altro socio provveda a versare una somma sufficiente a coprire il 25% della propria sottoscrizione ed anche della parte sottoscritta da altri, di modo che in ogni caso il versamento sia complessivamente pari al 25% del capitale e la quota di ciascuno dei soci sia stata versata nella misura del 25% (massima 76 del Consiglio Notarile di Milano). La somma diviene di proprietà della società al momento della costituzione e va consegnata dalla banca ai suoi amministratori dopo l'iscrizione della società nel registro delle imprese; se, invece, l'iscrizione nel registro delle imprese non avviene entro il termine di novanta giorni dalla stipula dell'atto costitutivo o dal rilascio delle eventuale autorizzazioni che fossero necessarie, le somme versate da ciascun socio devono essere loro restituite. La disposizione dell'art. 2331 comma 4 c.c. non disciplina, quindi, direttamente il caso, diverso da quello espressamente considerato dal legislatore, in cui al versamento non faccia seguito neppure la stipulazione dell'atto costitutivo. Secondo un autore (Bertuzzi, 88) le cause della mancata iscrizione, e quindi l'operatività della disposizione, sono indifferenti potendo dipendere sia dal rigetto dell'iscrizione sia dall'inerzia dei soci. La norma non pone espressamente un limite di tempo per la stipula dell'atto costitutivo tanto che correttamente si sostenuto che l'iscrizione tardiva non può considerarsi causa di nullità della società (Bertuzzi, 89). La disposizione sanziona con la perdita di efficacia dell'atto costitutivo solo la mancata iscrizione della società nel termine di novanta giorni da tale momento. Da ciò deriva innanzitutto che nessuna disposizione vieta la stipula dell'atto costitutivo anche dopo il termine di novanta giorni dal versamento. In secondo luogo va osservato che la scelta legislativa di consentire la restituzione della somma solo se sia trascorso, senza che si sia proceduto all'iscrizione, il termine di novanta giorni dalla costituzione della società o dal rilascio delle autorizzazioni, trova probabilmente fondamento nel fatto che la banca, presso la quale sia stato eseguito il versamento, può effettivamente controllare il vano trascorrere del termine facendosi consegnare l'atto costitutivo e controllando la mancata iscrizione nelle registro delle imprese, ma non può controllare (trattandosi di un fatto negativo) la mancata stipula dell'atto costitutivo. Tuttavia appare evidente che anche la mancata stipula dell'atto costitutivo possa costituire ragione di restituzione della somma. Bisogna, però, evitare facili aggiramenti della disposizione, non potendosi escludere che tutti i soci o taluno dei soci possano eludere la disposizione ritirando il proprio versamento in un momento in cui la società sia stata già costituita, pur dopo il termine di novanta giorni, ma non ancora iscritta. In linea generale si può ritenere che la banca non possa restituire ai versanti le somme nei primi novanta giorni dal deposito, essendo fino a quel momento ancora possibile la costituzione regolare della società. Ma come sottolineato, neppure successivamente al trascorrere di novanta giorni la banca può procedere sic et simpliciter alla restituzione delle somme proprio perché non v'è un termine massimo entro il quale deve essere stipulato l'atto costitutivo dopo il versamento. Ne consegue che, per procedere alla restituzione delle somme ai sottoscrittori, nel caso in cui non sia mai avvenuta la stipula dell'atto costitutivo, appare necessario che tutti i soggetti che hanno effettuato il versamento in banca sottoscrivano un negozio notarile di accertamento della volontà di non più costituire la società, ovvero sentenza di accertamento emessa a seguito di un giudizio contenzioso tra tutti i soci che accerti il definitivo venir meno della volontà della costituzione. Conferimento in valuta estera I conferimenti in denaro possono certamente essere effettuati mediante conferimenti in valuta estera. È del tutto prevalente l'opinione secondo cui non sia affatto necessaria una perizia di stima, obbligatoria per i conferimenti di beni diversi dal denaro, essendo sufficiente l'allegazione all'atto costitutivo delle quotazioni di borsa comprovanti il tasso di cambio ufficiale tenuto eventualmente conto dei costi di negoziazione della valuta; ovviamente il capitale verrà espresso in euro al cambio corrispondente; occorre, però, che il versamento in banca di almeno il 25 per cento dell'importo sottoscritto dai soci sia effettuato (previo eventuale cambio) in euro. I conferimenti in criptovalute Recentemente si è posto il problema della conferibilità delle criptovalute già in sede di costituzione di società come modalità di sottoscrizione del capitale. Le criptovalute sono state definite dall'EBA (Autorità Bancaria Europea; EBA Opinion on Virtual Currencies del 4 luglio 2014, consultabile all'indirizzo http: //www.eba.europa.eu/documents/10180/657547/ EBA-Op-2014) come rappresentazioni digitali di valore che non sono emesse da una banca centrale o autorità pubblica né sono necessariamente collegate a una valuta avente corso legale, ma che vengono utilizzate da una persona fisica o giuridica come mezzo di scambio e che possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente per poi essere detenute su un «portafoglio elettronico», utilizzando il quale i titolari possono effettuare acquisti presso esercizi commerciali o persone fisiche che accettano le valute virtuali, effettuare rimesse in favore di altri soggetti titolari di portafogli di valute virtuali, nonché riconvertirle in moneta legale, se ciò sia previsto per la specifica valuta virtuale. Tale definizione è stata nella sostanza ripresa dall'art. 1, lett. qq, d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90, che ha definito valuta digitale: «la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». Queste valute virtuali non hanno corso legale e, pertanto, non devono per legge essere obbligatoriamente accettate per l'estinzione delle obbligazioni pecuniarie, ma possono essere utilizzate per acquistare beni o servizi solo se il venditore è disponibile ad accettarle. Ve ne sono vari tipi: valute virtuali spendibili solo entro la comunità virtuale che le accetta (c.d. valute virtuali non convertibili); valute virtuali che si possono acquistare con moneta tradizionale (anche utilizzando carte di credito o di debito), ma che non è possibile riconvertire in moneta tradizionale (c.d. valute virtuali a convertibilità limitata); valute virtuali che si possono acquistare e rivendere in cambio di moneta tradizionale (c.d. valute virtuali pienamente convertibili). I titolari dei portafogli elettronici e i soggetti coinvolti nelle transazioni rimangono anonimi. Le transazioni tramite le quali vengono trasferite sono tecnicamente irreversibili poiché una volta fatta la transazione non è possibile chiederne l'annullamento. Secondo la Banca d'Italia, l'acquisto, l'utilizzo e l'accettazione in pagamento delle valute virtuali costituiscono attività lecite essendo le parti libere di obbligarsi a corrispondere somme anche non espresse in valute aventi corso legale. La Banca d'Italia ricorda che le criptovalute non sono assistite da forme di tutela o garanzia delle somme «depositate». In caso di condotta fraudolenta, di fallimento o cessazione di attività delle piattaforme di scambio non esistono tutele normative specifiche atte a coprire le perdite subite. Va anche segnalata una recente sentenza del Trib. Verona 26 gennaio 2017 (cfr. Criptovalute: diritto e finanza delle monete virtuali senza stato sovrano e prima sentenza sull'uso di Bitcoin, in www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/ mercatiImpresa /2017-07-14), che ha riconosciuto la responsabilità dell'intermediario finanziario per l'acquisto non andato a buon fine di criptovaluta in applicazione delle regole del codice del consumo. Naturalmente non avendo corso legale (salvo che in El Salvador e Repubblica Centroafricana nei quali è stata recentemente attribuito corso legale al bitcoin), l'accettazione di valute virtuali da parte dei fornitori di beni e servizi è su base strettamente volontaria non sussistendo, conseguentemente alcuna garanzia di poterle utilizzare. Il valore delle valute virtuali è caratterizzato da grande volatilità, anche a causa dei meccanismi di formazione dei prezzi (talora opachi) e dall'assenza di un'autorità centrale in grado di intervenire per stabilizzarne il valore. La conferibilità delle criptovalute va esaminata conseguentemente in relazione alle loro caratteristiche sopradescritte. Un primo elemento da valutare è rappresentato dalla loro stessa incerta natura giuridica; infatti, in taluni ordinamenti le criptovalute sono trattate alla stregua di merce (soggetta all'applicazione dell'Iva), come in quello olandese, canadese, sloveno, estone, statunitense, mentre in altri alla stregua di valuta, come in Regno Unito e Belgio (Rubini). In dottrina si discute se la valuta virtuale sia da includere nel novero dei c.d. strumenti finanziari data la natura di investimento speculativo. Tuttavia, si osserva ( VICECONTE ) che l'art. 1, comma 2 del D.Lgs. 58/1998 (c.d. T.U.F.) non inserisce tra gli strumenti finanziari le valute virtuali. Semmai potrebbero considerarsi prodotti finanziari ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. u) del T.U.F., che comprende - oltre agli strumenti finanziari – anche l'ampia nozione di “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”, anche in base a talune comunicazioni Consob. Sulla importantissima questione si è recentemente pronunciata la Corte di giustizia dell'Unione europea (22 ottobre 2015, causa C-264/14) che ha concluso per l'esclusione delle monete virtuali dal campo di applicazione dell'Iva: ne conseguirebbe la assimilazione alle valute e non alle merci. Recentemente il T.A.R. Lazio, 27 gennaio 2020 n. 1077 ha qualificato espressamente come merce la valuta virtuale anche se poi ha finito per equiparare le valute virtuali alle valute estere da dichiarare nel quadro RW della dichiarazione dei redditi ( Viceconte ). Però, ciò non rende necessariamente possibile il conferimento secondo le regole proprie del conferimento in denaro, poiché la criptovaluta non può essere assimilata in alcun caso alla valuta straniera per il conferimento della quale, come già osservato, è sufficiente tenere in considerazione il valore emergente da bollettini ufficiali di cambio, poiché tali bollettini per le criptovalute non vi sono (anche se esiste un mercato di tali monete). E sebbene El Salvador e la Repubblica Centroafricana, che peraltro non avevano una propria moneta, hanno attribuito valore legale al bitcoin, la natura giuridica di tutte le criptovalute ed anche del bitcoin non può ritenersi cambiata, mancando sempre l'indispensabile requisito, per essere considerata valuta straniera, dell'emanazione da una Autorità statuale, rimanendo sempre emessi da soggetti privati (i cd miners). In dottrina è pertanto del tutto prevalente (PICCIONE) l'opinione che le criptovalute debbano essere semmai considerate merci e comunque beni diversi dal contante ai fini della conferibilità a capitale risultando, quindi, indispensabile procedere all'allegazione di una perizia di stima per certificare che il valore del conferimento non sia inferiore all'importo del capitale espresso in euro ( in tal senso, anche Felis che ipotizza anche, per le società a responsabilità limitata, l'utilizzo della polizza fidejussoria ai sensi dell'art. 2364 c.c.). Infatti, non risulterebbe possibile il versamento del 25% del conferimento stesso presso una banca in quanto ciò richiederebbe la conversione in valuta legale (euro). Non va poi dimenticato che trascorso il termine di tre mesi dal versamento senza che segua la costituzione della società, il depositante può ottenere la restituzione della somma, cosa possibile solo se essa è stata depositata in euro in quanto l'operazione in criptovaluta è anonima ed irreversibile. Recentemente la giurisprudenza di legittimità ( Cass. 44378/2022) ha affermato il rilevante principio secondo cui la valuta virtuale debba essere considerata strumento di investimento perché rappresenta un prodotto finanziario, in toto disciplinato dalle norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.) confermando, pertanto, implicitamente la conferibilità delle criptovalute al pari di ogni altro strumento di investimento. Nello stesso senso vedasi anche la Proposta della Commissione Europea 24.9.2020 COM(2020) 594 final 2020/0267 (COD) di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, relativa ad un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia di registro distribuito ( blockchain). Per il conferimento in criptovaluta vanno pertanto seguite le modalità previste per il conferimento in natura; si tratta, infatti, di una entità economica certamente conferibile nella misura in cui incorpora un valore di scambio (in modo non dissimile dal conferimento di metalli più o meno preziosi o beni in natura oppure strumenti finanziari) suscettibile di valutazione economica. Ovviamente la perizia di stima dovrà tenere conto delle variabili connesse alla natura della valuta ma ciò non costituisce ostacolo alla conferibilità, imponendo soltanto una speciale cautela da parte dello stimatore. E' un errore, infatti, desumere dall'alta volatilità delle quotazioni delle criptovalute argomenti contrari al loro conferimento perché, o la stessa volatilità impedisce una stima corretta ( ed allora la criptovaluta non è conferibile perché manca una perizia di stima attendibile), oppure l'oscillazione rappresenta solo una difficoltà nella stima ( che però non impedisce la valutazione) superabile attraverso la scelta di criteri estimativi ( quali l'esame dei valori di scambio di un ampio arco temporale) che possano neutralizzare le frequenti e significative oscillazioni. Ovviamente non potrebbe mai essere conferita una criptovaluta considerata dalle autorità, come nel caso di Crypto asset one coin, fondata su uno truffaldino schema piramidale ( Piccione ). Il solo problema tecnico che rimane aperto è rappresentato, quindi, dalla necessaria esecuzione del trasferimento della somma espressa in criptovaluta a favore della società costituenda già al momento della costituzione, in un momento in cui il soggetto beneficiario formalmente non esiste ancora per non essere stato ancora iscritto nel registro delle imprese. Ma si tratta a ben guardare di un problema non molto dissimile da quello che si verifica quando il conferimento è effettuato con beni immobili soggetti a trascrizione nei registri immobiliari. L'effettiva annotazione presso i registri avviene solo dopo il perfezionamento della procedura di iscrizione presso il registro delle imprese (come accade anche nel sistema tavolare in cui il trasferimento consegue solo alla iscrizione nei registri immobiliari). Sul tema si è recentemente espressa anche la Corte d'appello di Brescia ( decr.30 ottobre 2018 in Le Società,2019,1, 26). Il provvedimento assume la non conferibilità a capitale di criptovaluta, in quanto non sarebbe possibile utilizzare né lo strumento della perizia di stima ( dovendo la criptovaluta essere considerata alla stregua di una valuta mentre il sistema previsto dall'art. 2343 c.c. o dagli artt. 2464 e 2465 c.c. è applicabile solo alle merci ed ai beni diversi dal denaro) né il conferimento diretto per l'impossibilità di dare alla criptovaluta un valore di scambio con l'euro. Il provvedimento, pur confermando il decreto del Tribunale di Brescia (25 luglio 2018 in Le Società 2019, 1, 28) se ne discosta perché per il Tribunale non vi erano ragioni per negare in generale la conferibilità delle criptovalute alla condizione però che la perizia di stima fosse caratterizzata da sufficiente affidabilità e profondità di elementi valutativi ( nella specie negati perché la perizia aveva per oggetto una criptovaluta che non risultava in alcuna piattaforma di scambio ed il cui valore era di fatto affidato ad autoreferenziali determinazioni dei soggetti ai quali l'emissione della stessa criptovaluta faceva riferimento). Va, comunque, osservato che nel solo caso noto di costituzione di società con conferimento eseguito in criptovaluta, l'apertura di un conto a nome della società è avvenuto anche prima della costituzione (con atto del 24 marzo 2015 è stata costituita la Oraclize s.r.l. con sede in provincia di Verona). Per il conferimento in criptovaluta è, pertanto, necessario effettuare il trasferimento nel corso della costituzione dell'atto e sotto il controllo del notaio che dovrà certificare i passaggi occorrenti per il versamento delle somme, aprendo un conto in criptovaluta a nome della società. Il Consiglio Nazionale del Notariato, ( risposta al quesito 3-2018/B) sia pure con riferimento ad una vendita immobiliare il cui prezzo era espresso in bitcoins ha espresso l'opinione che tali tipo di operazioni debbano essere segnalate all'Unità di Informazione della Banca d'Italia potendo essere considerate come poste in violazione delle norme sul riciclagggio. Le entità suscettibili di essere conferite a capitale.L'identificazione dei beni suscettibili di essere conferiti a capitale rappresenta ancora oggi uno degli aspetti più importanti nello studio dell'art. 2342 c.c. perché idoneo a fornire indicazioni in ordine alla stessa funzione attribuita dalla legge al capitale sociale. La norma, di derivazione europea, ma solidamente inserita nel sistema tradizionale delle società di capitali, come sempre delineato dalla normativa nazionale, infatti, esclude in modo specifico la conferibilità di prestazioni d'opera e di servizi senza, però, fornire altre indicazioni. La portata della disposizione può essere meglio individuata se confrontata con la diversa norma dettata, per le sole società a responsabilità limitata (e, quindi, non rientranti nell'ambito di applicazione della seconda Direttiva CE), dell'art. 2464 c.c., per la quale possono essere, invece, conferiti a capitale tutti gli elementi suscettibili di valutazione economica. Le risalenti dottrine che attribuivano al capitale sociale la funzione di garanzia dei creditori (E. Simonetto,Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova, 1959), e che, conseguentemente, ritenevano che potessero essere suscettibili di conferimento solo entità sottoponibili ad espropriazione forzata, appaiono evidentemente del tutto incoerenti con il sistema, confondendo la garanzia generica dei creditori, che è rappresentata dal solo patrimonio sociale, con il capitale, che altro non è che il valore dei conferimenti iniziali e che costituisce l'importo minimo (che deve sempre permanere durante la vita della società, pena l'applicazione delle disposizioni previste dagli artt. 2446 e 2447 c.c.) della differenza tra l'ammontare complessivo dell'attivo iscritto nello stato patrimoniale ed il complesso dei mezzi di terzi iscritti nel passivo dello stato patrimoniale. Per comprendere più agevolmente tale aspetto è necessario ricordare che lo stato patrimoniale è composto da due sezioni; nella sezione di sinistra sono iscritti i valori dell'attivo secondo le regole contabili applicabili alle singole poste; nella parte destra, sono contenute due grandi ripartizioni, nella prima delle quali sono indicati i mezzi propri della società (ovvero i mezzi acquisiti direttamente dalla società per effetto dei conferimenti dei soci e tutti gli altri divenuti di proprietà della società a seguito della accumulazione di riserve od in altro modo) utilizzati per l'acquisizione degli elementi dell'attivo, il cui insieme rappresenta il patrimonio netto e nella seconda sono, invece, indicati i mezzi acquisiti da terzi ed utilizzati anch'essi per la formazione dell'attivo. Le regole dell'ordinamento europeo – diverse da quelle dell'ordinamento nord-americano – impongono che il patrimonio netto (che comprende, come già specificato, non solo il capitale ma anche tutte le riserve, legale, volontarie, statutarie, e gli utili non distribuiti) non possa mai scendere sotto il valore minimo del conferimento a capitale. Quindi, in ogni caso, la componente di mezzi propri non può mai contabilmente scendere al di sotto l'importo del capitale sottoscritto. Conseguentemente, e ricordato che la somma dei valori dell'attivo dello stato patrimoniale deve essere sempre pari alla somma dei valori del passivo, emerge in modo sicuro che l'iscrizione del capitale quale componente del patrimonio netto è strettamente connessa alla possibilità di iscrivere, al medesimo valore, un bene all'attivo. Se così non fosse, si avrebbe il paradosso contabile di avere un'iscrizione nel passivo (a capitale sociale) senza una corrispondente iscrizione nell'attivo, cosa ovviamente impossibile. L'individuazione delle entità conferibili a capitale rappresenta, in primo luogo, un problema contabile e che va risolto secondo le regole contabili. Quindi, sono certamente conferibili a capitale tutte quelle poste attive che in base ai principî contabili nazionali od internazionali possono essere oggetto di iscrizione poiché rappresentano elementi dell'attivo acquisiti per effetto dell'utilizzo degli apporti dei soci iscritti nel passivo dello stato patrimoniale alla voce capitale sociale. Non manca, però, chi ritiene che l'iscrivibilità in bilancio costituisce solo una condizione necessaria ma non unica per la conferibilità (Miola, I conferimenti in natura, 55). La giurisprudenza ha aderito a tale prospettiva negando la conferibilità del diritto a costituire e gestire una farmacia proprio in ragione della impossibilità di iscrivere in bilancio tale conferimento (Cass. n. 21641/2005; App. Trento 16 marzo 1999, in Soc. 1999, 1077). Divieto di conferimento in natura La massime elaborata dal Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie (Massima H.A.4 -1° pubbl. 9/04) ipotizza che, così come possa consentirsi il divieto assoluto di conferimenti in natura, siano ammissibili clausole statutarie che ammettano tali conferimenti con limitazioni tra cui quelle che ammettono i conferimenti in natura alla condizione: - che gli stessi siano sottoscritti esclusivamente da determinati soggetti (soci e/o obbligazionisti convertibili, o altri terzi individuati anche per appartenenza a categorie omogenee), ovvero che siano limitati ad una determinata percentuale del capitale sociale; - che gli stessi siano sottoscritti esclusivamente da soci e/o obbligazionisti convertibili e che ai restanti soci e/o obbligazionisti convertibili sia contestualmente offerto un aumento in denaro al fine di mantenere potenzialmente inalterate le loro percentuali di partecipazione attuali o derivanti da futura conversione. Le singole entità conferibiliKnow how Trova risposta positiva pertanto la possibilità di conferire a capitale oltre che il marchio (Pisani Massamormile, 78) anche il know how (se ovviamente stimato da un esperto), in quanto pienamente iscrivibile nell'attivo tra le immobilizzazioni immateriali, come i brevetti, avendo una chiara idoneità a contribuire al processo produttivo della società (vedasi anche la definizione di contratto di affiliazione commerciale, contenuta nella l. 6 maggio 2004, n. 129, nel quale il know how costituisce una dei beni messi a disposizione dell'affiliato). Infatti, affinché il know how possa essere oggetto di conferimento è necessario che abbia una sua oggettiva consistenza e non sia indissolubilmente legato a mere conoscenze non trasferite effettivamente alla società; se così non fosse, in realtà si tratterebbe di un conferimento di prestazione d'opera e di servizi, come tale escluso dall'area della conferibilità. Altri, invece, non ritengono conferibile il know how, poiché assumono che l'ineludibile immedesimazione del conferente con il processo innovativo impedisce l'integrale liberazione, che rappresenta ovviamente il presupposto per il conferimento in natura (Pisani Massamormile, 82-83). Per un caso di ipotizzato conferimento di know how, in sede di proposta di concordato preventivo, si veda quello riferito in Cass., n. 4915/2017. Conferimento di beni detenuti in forza di contratto di leasing Più complessa appare la questione relativa alla possibilità di conferire a capitale beni acquisiti in forza di contratto di leasing, sussistendo problemi di carattere giuridico, ma anche contabile. Da un punto di vista giuridico, la natura bilaterale del contratto di leasing (tra concedente e locatore) come recentemente precisato dall'art. unico, comma 136 della l. 4 agosto 2017, n. 124, evidentemente esclude che possa essere conferito il bene unilateralmente con decisione del solo locatore; in ogni caso occorre, pertanto, l'espresso consenso del concedente. Ma la questione più rilevante, e fonte di incertezze, è di carattere contabile; secondo i principî contabili nazionali, il contratto di leasing va iscritto in bilancio con il metodo patrimoniale per effetto del quale il bene viene appostato nel bilancio della concedente (sia pure con indicazione separata rispetto agli altri beni della società concedente) e non in quello della utilizzatrice, contrariamente a quanto previsto dai principî contabili internazionali (IFRS 16 che, peraltro, entrerà in vigore solo dal 1° gennaio 2019) che prescrivono l'utilizzo del metodo finanziario. Pertanto, ancorché il concedente assentisse al trasferimento del contratto dall'originario utilizzatore alla nuova società, quest'ultima, esattamente come il primo concedente, non potrebbe iscrivere in contabilità il bene nell'attivo dello stato patrimoniale, rendendo, quindi, inconferibile il bene e l'utilità economica connessa con il diritto di utilizzo del bene (Platania, sub art. 2342, in Società per azioni-Commentario Lo Cascio, 171). Si è, però, osservato che la questione potrebbe essere oggetto di revisione, alla luce delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 139/2015, secondo cui nelle iscrizioni contabili va data prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica. Se, infatti, dovesse trovare applicazione tale principio anche con riferimento al contratto di leasing, si potrebbe sostenere che con esso si dia vita nella sostanza ad un acquisto di un bene con finanziamento. Ciò potrebbe aprire la strada all'iscrizione del bene ad un valore pari a quello di mercato del bene al momento del conferimento, dedotto l'importo residuo attualizzato del finanziamento, a somiglianza di quanto potrebbe accadere per il conferimento (certamente possibile) di un bene immobile su cui gravi un mutuo ipotecario. Tuttavia, la differenza sostanziale tra l'operazione di conferimento del bene utilizzato in forza di contratto di leasing e conferimento di bene su cui grava un mutuo è pur sempre rappresentata dalla titolarità giuridica del bene, che compete al concedente e non già al locatore, il quale potrà diventare proprietario del bene solo a seguito del pagamento di tutte le rate dovute e del prezzo di riscatto e sempreché lo ritenga opportuno (trattandosi pur sempre di mera facoltà e non di obbligo). Si tratta di una differenza che non consente di assimilare l'acquisizione di un bene in forza di contratto di leasing a quella di un acquisto a rate, soprattutto in ragione del fatto che il canone di leasing non incorpora solo il costo frazionato del bene e quello del finanziamento, ma anche quello vero e proprio della locazione per l'utilizzo del bene. I canoni, quindi, non rappresentano soltanto la rata frazionata del prezzo, ma incorporano anche un vero e proprio canone di locazione e ciò rende non pienamente assimilabile il contratto di leasing (traslativo) con il contratto di acquisto di beni a rate. Rent to buy Osservazioni parzialmente simili possono essere effettuate in relazione ad altre figure contrattuali di recente disciplina giuridica. Tra queste va segnalata la disciplina del rent to buy (regolata dall'art. 23 l. 11 novembre 2014, n. 164, di conversione del d.l. 11 settembre 2014, n. 133), attraverso il quale un soggetto prende in locazione un bene per un determinato periodo di tempo corrispondendo al locatore un canone che incorpora, però, non solo il corrispettivo per il godimento del bene, ma anche una parte del prezzo del bene, da computarsi nel corrispettivo definitivo qualora il conduttore si avvalga della facoltà di acquisire il bene. Anche in questo caso, ed a maggior ragione, si deve escludere che il locatore possa conferire il bene a capitale, non essendo in alcun modo assimilabile il contratto di rent to buy neppure ad un contratto di leasing in ragione soprattutto della significativa entità del prezzo che, alla fine della durata del contratto, deve essere versata al locatore per potere procedere all'acquisto. Pegno non possessorio Non vi sono ostacoli concettuali a prevedere, invece, la conferibilità di beni concessi in pegno non possessorio. Il pegno non possessorio è stato istituito con recente provvedimento (l. 30 giugno 2016, n. 119, di conversione del d.l. 3 maggio 2016, n. 59) e prevede la facoltà, per i soli imprenditori commerciali iscritti nel registro delle imprese, di concedere pegno a garanzia di crediti presenti e futuri, su beni mobili, anche immateriali, purché non iscritti in pubblici registri. Ma la caratteristica che più rileva al fine di accertarne la conferibilità è che, a meno di patto contrario espresso, i beni sottoposti a pegno non possessorio possono essere alienati. Ovviamente non tutti i beni sui quale è possibile concedere pegno possono, però, essere conferiti. Infatti, ancorché il pegno possa essere concesso su beni non ancora in proprietà del concedente, ai fini della conferibilità è, invece, necessaria l'attuale e piena disponibilità giuridica. Di particolare rilievo societario è la disposizione della legge che prevede che in caso di alienazione o trasformazione «il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti costituzione di una nuova garanzia». Ne consegue che, in caso di conferimento, il diritto di pegno si trasferisce di diritto sulle azioni che fossero liberate mediante il conferimento. A seguito dell'approvazione del decreto ministeriale 25 maggio 2021 n. 114 si è dato vita al regolamento attuativo della legge sul pegno non possessorio rendendola effettivamente operativa. Il regolamento prevede che il pegno 1. La parte che richiede l'iscrizione nel Registro pegni debba indicare tra le altre, la data del titolo costitutivo del pegno non possessorio; l'importo massimo garantito; l'indicazione dei beni o crediti gravati con la descrizione degli elementi che ne permettono l'identificazione, e quindi la natura e se trattasi di bene o credito presente o futuro; il luogo di ubicazione dei beni, se indicato nel titolo; il marchio e il numero identificativo, se indicati nel titolo; la qualità e la quantità, in caso di insieme di beni. Le specifiche tecniche del registro per la redazione delle domande e dei correlati titoli, nonché per la relativa trasmissione al conservatore, sono state disciplinate dal Provvedimento 12 gennaio 2023 del Direttore delle Agenzia delle Entrate. Con Provvedimento del 5 aprile 2023 n. 120760/23 sono state indicate le modalità di versamento dei tributi e dei diritti dovuti per la registrazione del titolo e per l'esecuzione delle formalità relative al registro informatico dei pegni mobiliari non possessori. Si attende la pubblicazione sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate di apposito comunicato che indichi la data di attivazione del Registro dei Pegni; a partire dal giorno successivo a tale pubblicazione potranno essere presentate le formalità di iscrizione di un pegno (Dotti, Seri). Particolare importanza riveste nella ipotesi di conferimento di beni a capitale la previsione che impone l'indicazione della natura, la quantità e gli estremi identificativi delle azioni, ovvero delle partecipazioni gravate; Si pone, dunque, il difficile problema di coordinare la disciplina del pegno non possessorio con quella del pegno di azioni disciplinata in via generale dall'art. 2352 c.c. che, tra le altre cose, prevede: che il voto in assemblea spetti, salvo patto contrario, al creditore; che il pegno si estenda alle nuove azioni qualora l'aumento del capitale avvenga a titolo gratuito; che gli altri diritti amministrativi (diversi da quelli di voto) spettino congiuntamente al creditore ed al socio. La disciplina delineata dalla legge speciale del pegno non possessorio non sembra consentire l'applicazione integrale degli indicati principî: la circostanza che, per la legge speciale, il concedente conservi pur sempre l'amministrazione del bene, costituisce una chiara deroga al principio generale secondo cui l'esercizio di voto spetta al creditore pignoratizio; sarebbe, infatti, del tutto contraddittorio consentire l'alienazione delle azioni ma non l'esercizio del diritto di voto, rimanendo, però, pur sempre nella facoltà del creditore procedere alla richiesta di misure interdittive se il debitore facesse uso distorto dei suoi poteri mettendo a repentaglio la garanzia. È, quindi, da escludere che esista una sorta di mezzadria sui diritti amministrativi che, conseguentemente si deve ritenere possano essere esercitati dal solo debitore. Applicabile, invece, appare il principio per cui la garanzia si estende alle azioni emesse a titolo gratuito a favore delle azioni acquisite a seguito di conferimento di beni sottoposti a pegno non possessorio; si tratta, infatti, di semplice estensione della garanzia a beni che costituiscono pertinenze di quello originariamente sottoposto a garanzia; anche la disposizione speciale, estendendo la garanzia ai beni che costituiscono il corrispettivo dell'alienazione o l'effetto della trasformazione della cosa data in pegno, conferma la conclusione alla quale si è giunti. Ne discende anche il principio per cui il pegno non possessorio si estende alle azioni eventualmente emesse o attribuite in relazione ad operazioni di fusione e scissione. Anche gli utili spettanti per il possesso di azioni devono ritenersi essere sottoposti a pegno e, quindi, apprendibili da parte del creditore in conformità all'art. 2791 c.c. Va anche esaminato il complesso rapporto tra formalità costitutive previste per il pegno di azioni e la disciplina speciale. Il pegno su azioni, ai sensi dell'art. 2787, comma 3, c.c., così come in genere il pegno non possessorio, va costituito per iscritto; è necessaria l'individuazione sufficientemente precisa delle azioni, del creditore e del credito che garantisce, il debitore, descrizione del bene oggetto della garanzia e l'indicazione dell'importo massimo garantito. Per le disposizioni speciali sul pegno su azioni, però, il titolo deve essere annotato sul libro soci e non è sufficiente la mera stipula dell'atto scritto per l'opponibilità alla società (Cass. n. 4766/2007). Le disposizioni sul pegno non possessorio, invece, subordinano l'efficacia, anche verso i terzi, al solo fatto di essere iscritto nello speciale registro istituito dalla medesima disposizione normativa. Attesa la natura speciale delle norme sul pegno non possessorio, si deve ritenere che esse prevalgono su quelle previste dal codice civile, a sua volta derogatorie rispetto a quelle generali sul pegno; pertanto, anche la società deve tenere in considerazione l'esistenza del pegno iscritto nel registro speciale dei pegni non possessori di cui peraltro è certamente a conoscenza, indipendentemente dalla annotazione sul libro soci, in quanto il conferimento del bene (già sottoposto a pegno non possessorio) risulta quanto meno dallo stesso atto costitutivo (in base alla perizia di stima da redigersi in sede di conferimento). Anche l'eventuale assolvimento delle disposizioni sul pegno ordinario non consentirà l'esercizio del diritto di voto ed il godimento degli altri diritti amministrativi così come regolati dall'art. 2352 c.c., dovendosi applicare la sola disciplina speciale come sopra illustrata. Se non disciplinata altrimenti, la società dovrà pagare, però, gli utili solo al creditore pignoratizio e non al socio, se ciò è espressamente richiesto dal creditore (in conformità dell'art. 2791 c.c. che attribuisce questa facoltà al creditore). Beni immobili su cui gravi ipoteca per prestito vitalizio. Non crea nessun particolare problema il conferimento di beni immobili su cui gravi la speciale ipoteca prevista dall'art. 11-quaterdecies, comma 12, l. 2 dicembre 2005, n. 248, di conversione del d.l. 30 settembre 2005, n. 203: occorre solo tenere in considerazione che il conferimento rappresenta, ai sensi della disposizione normativa, evento da cui sorge il diritto per il finanziatore di ottenere l'integrale rimborso del credito; ma ciò dovrà essere tenuto presente dall'esperto in sede di stima del conferimento. I diritti reali parziali Non vi sono particolari ostacoli a ritenere conferibili diritti reali parziali, con esclusione dell'uso e dell'abitazione, essendo tali diritti strettamente connessi all'utilizzo personale del titolare, tanto da essere vietato il loro trasferimento ai sensi dell'art. 1024 c.c. Non è di ostacolo, invece, come già specificato, l'eventuale limitata durata nel tempo di tali diritti reali, incidendo, tale circostanza, solo sulla valutazione, ma non sulla conferibilità, né sull'iscrivibilità in contabilità. Quote di società Naturalmente nessun ostacolo sussiste alla conferibilità di quote o azioni di società di capitali, trattandosi di beni certamente iscrivibili nell'attivo dello stato patrimoniale della società. A seguito della riforma delle società, in conformità al disposto dell'art. 2361, secondo comma, c.c. possono essere conferite, fin dall'atto della costituzione della società, anche le partecipazione in società di persone essendo stato rimosso il precedente divieto di partecipazioni di società di capitali in società di persone. Merita di essere osservato, però, che il conferimento delle quote di società di persone in sede di costituzione non è soggetto alla speciale procedura autorizzativa prevista dal richiamato art. 2361, secondo comma, c.c. essendo evidentemente inapplicabile; risulta sufficiente, infatti la comune volontà dei soci costituenti di accettare il conferimento (oggetto naturalmente di preventiva stima). Semmai, si pone un problema di contemporaneità sostanziale tra l'atto con il quale viene conferita la partecipazione in una società di persone e quello di modifica dei patti sociali della società di persone, necessario per consentire la partecipazione della società di capitali. La questione non si presenta del tutto agevole, poiché la liberazione del capitale deve avvenire contestualmente al conferimento che, per essere efficace, deve essere preventivamente oggetto di accettazione da parte degli altri soci della società di persone (se non è statutariamente prevista la libera circolazione delle quote); tuttavia, prima della costituzione, non vi è neppure una società di capitali che possa comparire in sede di modifica dei patti della società di persona. L'ostacolo, però, non è insormontabile, poiché i soci possono effettuare, ai sensi dell'art. 2331 c.c., atti in nome e per conto della costituenda società, assumendosene la personale ed illimitata responsabilità; provvederanno poi gli organi della società a ratificare l'operato dei soci, assumendo a carico della neocostituita società le obbligazioni conseguenti all'operazione eseguita dai soci. Crediti L'art. 2342 c.c. prevede espressamente la possibilità di conferire crediti; è da ritenere preferibile che possano essere conferiti anche quelli ancora non scaduti. Ciò appare perfettamente coerente con il sistema, ben potendo i crediti non scaduti essere iscritti nell'attivo della stato patrimoniale. La non esigibilità ha influenza solo sulla valutazione, dovendo scontare il tempo dell'incasso ed il rischio di non solvibilità del soggetto debitore; ma si tratta di questione che va affrontata dallo stimatore secondo parametri usuali tipici della valutazione dei crediti Un tempo era piuttosto diffuso il conferimento di titoli di Stato, per i quali si riteneva giustamente non necessaria neppure la redazione di perizia di stima. Il credito costituisce chiaramente un'attività iscrivibile in contabilità e va stimato in funzione della possibile solvibilità del debitore e del tempo di pagamento. Non appare rilevante ai fini della immediata liberazione il fatto che l'adempimento sia protratto nel tempo, poiché il trasferimento del credito è immediato; ai sensi della disciplina della cessione del credito, applicabile in base all'art. 2255 c.c., comunque il socio risponde della solvibilità del debitore ceduto nei limiti della quota di capitale ricevuta ed è anche eventualmente tenuto a pagare gli interessi e le spese sostenute dalla società per l'escussione. Per il combinato disposto degli artt. 2342,2255 e 1267 c.c., il regime di responsabilità per il socio non può né essere aggravato, né essere alleggerito. Conferimenti di aziende. Responsabilità per i debiti aziendali. La Clausola earn-out Il conferimento di un'azienda individuale in società di persone o di capitali determina, ai sensi degli artt. 2558 e ss. c.c., un fenomeno traslativo in virtù del quale l'alienante acquista la posizione di socio della società, ma, salvo che non risulti il consenso dei creditori, egli non è liberato dai debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, essendo, quindi, legittimato a contestarne l'esistenza; la corresponsabilità del cessionario nei confronti dei creditori aziendali, viceversa, postula l'annotazione dei debiti nei libri contabili obbligatori, ai sensi dell'art. 2560, comma 2, c.c. Cass n. 24101/2019. L’inquadramento del conferimento di azienda nell’ambito dei fenomeni traslativi disciplinati dall’art. 2558 cc ( e non in quelli disciplinati dall’art. 2498 c.c.) sulla trasformazione ha anche ricadute di tipo fiscale poiché ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, la conferitaria d'azienda, al pari del cessionario, è responsabile in solido con la conferente per il pagamento delle sanzioni per gli omessi versamenti dell'imposta riferibili all'anno della cessione e dei due precedenti, salvo il "beneficium excussionis". Cass.n. 28057/2019. Nel conferimento di azienda è stato ritenuto possibile inserire e regolare clausole di rettifica del valore ( comunemente indicate con l’espressione earn-out) per mezzo delle quali la valutazione iniziale è soggetta ad incrementi o decrementi fondati a predeterminati parametri. Secondo la Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano (massima n. 170 del 7 novembre 2017) una siffatta previsione può essere introdotta anche in sede di costituzione od aumento del capitale se si ipotizza l’emissione di ulteriori azioni a favore del conferente al verificarsi delle condizioni previste nell’atto di conferimento. Si possono tuttavia esprimere delle perplessità in quanto non si è chiaro come possa essere attestato dall’esperto il verificarsi della condizione cui viene subordinata l’emissione di ulteriori azioni; del tutto impossibile poi appare la riduzione del valore o del numero delle azioni oggetto del conferimento al di fuori delle modalità previste per la revisione della stima. Conferimenti in sede di costituzione di nuova società nell’ambito del concordato preventivo L'art. 87 del Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, come il precedente art. 160 della legge fallimentare, consente il soddisfacimento dei creditori attraverso l'attribuzione di azioni quote ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito. La generica formulazione e l'espressa previsione dell'art. 84, comma 2, secondo cui il soddisfacimento dei creditori può avvenire in ogni modo, rende possibile che le azioni o quote attribuite ai creditori appartengano a società già esistenti ovvero a società di nuova costituzione sia per mezzo di operazioni di scissione sia per mezzo di costituzione di nuove società il cui capitale sia costituito con conferimenti di denaro o di beni in natura appartenenti al debitore. Le questioni più significative riguardano: 1) le modalità attraverso le possono essere costituite le nuove società destinate a costituire lo strumento di soddisfazione dei creditori; 2) il trasferimento o meno dei debiti, anche tributari, della società in crisi a quella di nuova costituzione; 3) l'eventuale sottoposizione del conferimento di azienda alle speciali procedure competitive previste dall'art. 163-bis legge fallimentare; 4) la possibilità per il giudice delegato di procedere alla cancellazione delle eventuali trascrizioni pregiudizievoli su beni oggetto del conferimento. Quanto alle modalità di valutazione delle attività (singoli beni ma soprattutto aziende o rami di azienda della società in crisi) non vi dovrebbero essere ostacoli all'utilizzo degli strumenti semplificativi previsti dall'art. 2343-ter, secondo comma, c.c. (illustrati nel relativo articolo) considerato che la valutazione cui si riferisce la norma ben può costituita anche dalla relazione del professionista attestatore previsto dall'art. 161 legge fallimentare alla condizione che quest'ultimo proceda alla valutazione specifica dei beni o dell'azienda oggetto del conferimento. Le risultanze della attestazione possono essere anche integrate dalle conclusioni del commissario giudiziale chiamato ai sensi dell'art. 172 legge fallimentare a redigere l'inventario del patrimonio del debitore. Ovviamente molto importante risulta la questione se alla società di nuova costituzione alla quale sia conferita l'azienda od un ramo dell'azienda in crisi debba rispondere ai sensi dell'art. 2560 c.c, di tutti i debiti dell'imprenditore conferente o di quelli afferenti al ramo di impresa oggetto del conferimento. Tale tema va trattato congiuntamente a quello dell'applicazione, nell'ipotesi in cui l'assegnazione delle azioni o quote della conferitaria costituisse strumento di soddisfazione dei creditori, della speciale procedura competitiva prevista dall'art. 91 e dall'art. 114 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. L'art. 91 c.c.i.i. prevede, infatti, che se il piano concordatario comprenda l'offerta da parte di un soggetto già individuato dell'acquisto a titolo oneroso dell'azienda o di un ramo di azienda dell'impresa in crisi, si debba aprire una procedura competitiva per l'individuazione di un diverso soggetto disponibile ad acquisire la stessa azienda o lo stesso ramo di azienda ad un corrispettivo superiore. All'esito della procedura verrà individuato il soggetto cui trasferire l'azienda o il ramo di azienda. Per l'art. 114 c.c.i.i., in linea generale, alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili. La cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, sono effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nella sentenza di omologazione per gli atti a questa successivi. La disciplina concorsuale quindi ipotizza, sostanzialmente per qualunque forma di trasferimento di attività concordatarie, l'obbligo di una procedura competitiva che garantisca il miglior soddisfacimento dei creditori per mezzo della piena valorizzazione degli assets aziendali. La norma non sembra facilmente applicabile però nell'ipotesi di conferimento di beni in nuova società poiché nella sostanza manca in radice la possibilità di individuare un altro soggetto concorrente. Infatti l'ipotesi legislativa presuppone la costituzione o per atto unilaterale della debitrice, oppure con l'intervento di altri soggetti, di una nuova società cui conferire singoli beni o l'azienda o rami di azienda le cui azioni o quote dovrebbero essere destinate, anche senza il consenso del debitore, ma solo se la proposta concordataria nel suo complesso venga omologata, a determinati creditori della società (o a una o più classi di essi ) od anche proporzionalmente a tutti i creditori. Sia nella ipotesi di costituzione per atto unilaterale sia nell'ipotesi in cui terzi concorrano con la società debitrice alla costituzione di una nuova società appare impossibile ipotizzare la possibilità di procedere ad una effettiva comparazione con altre eventuali proposte concorrenti. In ogni caso il trasferimento o meno alla neocostituita società dei debiti aziendali maturati fino alla omologazione non sarà disciplinato secondo le regole generali di cui all'art. 2560 c.c. ma dalle previsioni del piano e dalla proposta concordataria. L'art. 214, comma 3, c.c.i.i. (relativo, però, alle procedure di liquidazione giudiziale ma il cui contenuto è richiamato dall'art. 114 c.c.i.i.) esclude, salvo diversa convenzione contraria, la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'esercizio dell'azienda ceduta. Anche la normativa fiscale (d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 art. 14) esclude la responsabilità della cessionaria (salvo il caso di frode in danno dei creditori) per le obbligazioni fiscali se il trasferimento avviene nell'ambito di procedura concorsuale. Va rimarcato che quest'ultima normativa non è stata ancora modificata in dipendenza dell'introduzione del codice della crisi ma non vi sono dubbi che trovi ancora piena applicazione. Per effetto, quindi, di tali norme, il trasferimento dell'azienda o di un ramo di azienda, sia che avvenga a favore dell'originario soggetto individuato nel piano, sia a favore del soggetto risultante dalla gara competitiva disposta in corso di procedura (se ritenuta compatibile), non determinerà la responsabilità della conferitaria rispetto ai debiti dell'imprenditore in crisi. A completamento del sistema di trasferimento dell'azienda a favore di società di nuova costituzione con liberazione dalle obbligazioni gravanti sulla società in crisi, l'art. 114, comma 4, c.c.i.i. prevede che il giudice delegato debba procedere alla cancellazione dei vincoli che gravassero sui beni trasferiti con l'azienda. Conferimenti in sede di costituzione di nuova società a seguito di scissione con scorporo Il nuovo articolo 2506.1, inserito dal d.lgs. 2 marzo 2023, n. 19 a decorrere dal 22 marzo 2023, ha previsto una nuova forma di scissione mediante scorporo che permette ad una società ( anche in liquidazione se non abbia iniziato alla distribuzione dell'attivo) di assegnare parte del suo patrimonio a una o più società di nuova costituzione e a se stessa le relative azioni o quote, continuando la propria attività. Contrariamente a quanto accade nelle altre ipotesi di scissione, quindi, le azioni (o quote) della, o, delle beneficiarie non vengono assegnate ai soci della società scissa ma rimangono alla scissa; attraverso lo scorporo, in sostanza, vengono costituite una o più nuove società le cui azioni o quote possono essere destinate alla vendita oppure conservate tra le immobilizzazioni finanziarie. Com'è evidente, la questione più complessa, non affrontata dalla norma, è rappresentata dalle modalità di formazione del capitale della nuova beneficiaria ricordando che il conferimento può riguardare un'azienda, un ramo di azienda o singoli beni ed anche componenti del passivo (Busani). L'art 2506-bis quarto comma prevede che non siano applicabili tutte le regole dettate per la scissione e segnatamente dispone che il progetto sia semplificato non dovendo contenere i dati di cui ai numeri 3), 4), 5) e 7) dell'articolo 2501-ter, primo comma, od altro contenuto incompatibile con l'assegnazione delle azioni o quote delle società beneficiarie alla società stessa, anziché ai suoi soci. Quindi il progetto di scissione per scorporo deve contenere i seguenti elementi: 1) il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle nuove società beneficiarie risultanti dalla scissione; 2) l'atto costitutivo della nuova società risultante dalla scissione; 3) la data a decorrere dalla quale le operazioni delle società partecipanti alla scissione sono imputate al bilancio della società che risulta dalla scissione; 4) i vantaggi particolari eventualmente proposti a favore dei soggetti cui compete l'amministrazione delle società partecipanti alla scissione. Inoltre, nella relazione degli amministratori deve essere indicata l'esatta descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare alla società o alle società beneficiarie ed indicare il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle società beneficiarie e di quello che rimane nella società scissa. Il capitale della nuova o delle nuove società non potrà quindi essere superiore all'effettivo patrimonio netto trasferito, fermo restando che i componenti attivi e passivi trasferiti alla beneficiaria devono essere valorizzati nella stessa identica misura in cui erano iscritti nel bilancio della scissa. Ciò comporta, pertanto, che la somma dei valori dell'attivo e del passivo delle varie società risultanti dalla operazione di scissione con scorporo non potrà essere differente (superiore od inferiore) ma sempre uguale a quello della scissa prima dell'operazione e che l'importo complessivo delle quote e delle azioni attribuito alla scissa in cambio della partecipazione nella beneficiaria dovrà essere di importo pari al capitale delle società beneficiarie. Ovviamente l'importo del capitale sociale dovrà rispettare il minimo di legge previsto per il tipo di società. Ne consegue che nel trasferimento ad una beneficiaria di una azienda o di un ramo di azienda non potrà essere valorizzato l'avviamento ( che non è iscritto in bilancio della scissa se non è frutto di un acquisto a titolo oneroso). Una questione controversa è rappresentata dal significato della previsione di cui all'art. 2506-ter secondo la quale, se la scissione si realizza mediante aumento di capitale con conferimento di beni in natura e crediti, qualora prevista, la relazione degli amministratori debba menzionare la relazione di stima di cui all'art. 2343 ed il registro delle imprese presso la quale è depositata. Contrariamente a quanto sostenuto dal Consiglio Notarile di Milano con la massima societaria n. 182, l'ipotesi di obbligatoria redazione di perizia di stima riguarda tutte le ipotesi in cui, per effetto dell'operazione di scissione, la somma dei capitali sociali delle società coinvolte nell'operazione risulti superiore a quella del patrimonio netto della società scissa e non soltanto quella della costituzione di una società di capitali per effetto di scissione di società di persone. In altre parole, nessuna perizia di stima occorre quando il capitale della società non è superiore al patrimonio netto della scissa poiché in questo caso il capitale delle varie società trova fondamento nel bilancio della scissa, determinando l'operazione solo una diversa articolazione dei vari componenti del patrimonio netto. Ma in tutti i casi in cui la somma dei capitali delle società coinvolte nell'operazione risulti complessivamente superiore al patrimonio netto originario della scissa per effetto di una nuova e diversa valutazione degli elementi patrimoniali da assegnare alla società o alle società beneficiarie, la perizia di stima è indispensabile. Pertanto se il conferimento del ramo di azienda o dell'azienda incorpori il valore di avviamento (che non è desumibile dal bilancio della scissa) è necessaria la redazione di una perizia di stima ai sensi dell'art. 2343 che attesti l'effettività del valore di avviamento capitalizzato. Non si condivide neppure la posizione del Consiglio notarile che esclude l'applicazione dell'art. 2465 allorquando venga costituita per effetto dello scorporo una società a responsabilità limitata; anche in questa ipotesi, se il capitale delle società risultanti dall'operazione è superiore all'originario patrimonio netto della scissa, è necessario seguire le previsioni dell'art. 2465 per la determinazione del capitale. Condizioni sospensive e terminePer ragioni connesse alla disciplina positiva, va esclusa la possibilità di sottoporre a condizioni sospensive il conferimento. Infatti al conferimento deve necessariamente corrispondere la liberazione del capitale, circostanza che non potrebbe verificarsi, invece, nell'ipotesi di conferimento sottoposto a condizione sospensiva (Comitato interregionale dei Consigli Notarili delle tre Venezie massima H.G.12). Più articolata appare la possibilità di conferire un bene con l'apposizione di un termine finale o sotto condizione risolutiva. In linea generale, non vi possono essere dubbi circa la conferibilità di un bene il cui diritto di utilizzo è sottoposto a termine: ciò, di fatto, avviene in relazione al conferimento di diritti di usufrutto, che, per definizione, sono sottoposti ad un termine predeterminato ovvero protratto per tutta la vita del beneficiario. Né si deve ritenere che tale tipo di conferimento comporti la necessità dell'uscita del conferente dalla compagine sociale allo spirare del termine. La cessazione, ad un momento predeterminato della possibilità di utilizzo del bene conferito, infatti, costituisce null'altro che elemento da considerare nella valutazione da parte dell'esperto, che attribuirà un valore al conferimento in stretta dipendenza alla prevista durata del conferimento. La conferibilità di un bene sottoposta a condizione risolutiva appare, invece, di assai più dubbia conformità alle regole societarie. Infatti, l'incertezza circa il tempo di utilizzabilità del bene appare di difficile valutazione da parte dello stimatore che, dunque, non potendo determinare in concreto il valore del bene, finirebbe per non potere attestare, come prescritto dall'art. 2343 c.c., che il valore del conferimento sia almeno pari al valore del capitale liberato. I conferimenti soggetti a prelazione di terziSono diverse le ipotesi, previste da norme pattizie o di legge, che attribuiscono a taluni soggetti la possibilità di acquisire la proprietà di beni a preferenza di ogni altro. Ovviamente la possibilità dell'esercizio della prelazione potrebbe avere delle specifiche conseguenze sui conferimenti. Va, però, osservato che in relazione a talune specifiche ipotesi, la giurisprudenza ha significativamente escluso l'equiparazione tra conferimento e vendita (fattispecie normalmente contemplata nelle disposizioni di legge ed anche pattizie al verificarsi della quale viene concessa la facoltà di esercitare la prelazione). Così, il conferimento di fondo rustico non rappresenta evento da cui possa sorgere il diritto di prelazione, conferito a taluni soggetti dalle disposizioni sui contratti agrari, in quanto la prelazione è concessa solo in caso di cessione con corrispettivo in denaro (Cass. n. 7030/1992). Analogamente accade per il conferimento di un immobile concesso in locazione e per il quale sia in astratto previsto il diritto di prelazione, poiché il conferimento non rappresenta trasferimento a titolo oneroso (Cass. n. 12230/2012). Uguale decisione è stata assunta dalla giurisprudenza (Cass. n. 5507/2016) in relazione all'ipotesi di conferimento di quote di società a responsabilità limitata soggette a prelazione, sulla fondamentale considerazione che il soggetto cui è concessa la prelazione deve potere garantire al cedente esattamente la stessa prestazione garantita dal cessionario del bene. Il titolare del diritto di prelazione non potrebbe, infatti, in alcun modo garantire al venditore la medesima utilità ricavabile con il conferimento in società. Diversa appare la conclusione con riferimento alle ipotesi di conferimento di beni artistici sottoposti al regime della prelazione. L'art. 60 del codice dei beni culturali e del paesaggio, infatti, espressamente prevede la possibilità dell'esercizio del diritto di prelazione non solo nel caso di vendita ma anche nell'ipotesi di conferimento in società; in quest'ultimo caso, la prelazione viene esercitata al medesimo valore attribuito nell'atto di conferimento (Venditti). Stante la previsione legislativa, dunque, in caso di esercizio del diritto di prelazione spettante allo Stato, il conferimento di bene artistico o culturale è ope legis sostituito con il controvalore monetario. Va, anche, escluso che la società, eventualmente interessata all'acquisizione di quel singolo bene, possa recedere dal conferimento per inadempimento del conferente, essendo la prelazione prevista per legge. RevocatoriaAnche i conferimenti effettuati dai soci in occasione del conferimento possono essere oggetto di azione revocatoria (ordinaria ed a seguito di dichiarazione di liquidazione giudiziale). Le plurime decisioni della giurisprudenza in tal senso appaiono del tutto condivisibili, in quanto la conoscenza del pregiudizio (Cass. n. 23891/2013) deve essere accertata con riguardo ai soci quando, nella fase costitutiva della società, la stessa ancora non abbia acquisito la soggettività giuridica, né sia dotata di un rappresentante legale, mentre, qualora l'organo gestorio sia contestualmente nominato, è, invece, sufficiente la conoscenza del pregiudizio in capo all'organo amministrativo. Con recente decisione, la Cass. n. 10498/2019 ha specificato che l’azione revocatoria ordinaria può essere esperita non solo nei confronti dell’atto con cui si trasferisce al trustee la proprietà dei beni oggetto del conferimento nel trust, ma anche, nei confronti dello stesso atto costitutivo del trust poiché l’accertamento della natura di atto in frode ai creditori di quest’ultimo determina necessariamente anche la inopponibilità dell’atto di trasferimento dei beni. Vanno semmai indagate le conseguenze della revocatoria sull'atto costitutivo della società. È, invero, da escludere che l'esperimento dell'azione revocatoria ed anche l'esercizio della azione esecutiva in danno della società possano produrre effetti sull'atto costitutivo. In realtà anche l'esercizio dell'azione esecutiva (possibile se viene accertata l'inefficacia dell'atto costitutivo nei confronti di taluno dei creditori, o del curatore fallimentare del socio conferente) non produce alcun effetto sull'atto costitutivo poiché non viene privato di efficacia il trasferimento alla società della proprietà del bene oggetto del conferimento. L'esercizio dell'azione esecutiva sul conferimento produce certamente una minusvalenza da iscrivere in contabilità, venendo meno un componente dell'attivo senza un corrispettivo monetario o di altro genere. Ma ciò può determinare effetti sul capitale secondo le regole ordinarie se l'iscrizione della minusvalenza produce perdite di entità pari o superiore a quelle rilevanti per le operazioni sul capitale ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c. L'esercizio in concreto dell'azione esecutiva non produce neppure la nullità del negozio di attribuzione, per effetto del conferimento, della qualifica di socio al debitore. La perdita, conseguente all'iscrizione in contabilità della minusvalenza, infatti, non grava sulla sola quota del conferente ma sulla società nella sua interezza. Ciò non significa, però, che la società non abbia strumenti per reagire all'evento; l'art. 2342 c.c. infatti, rende applicabile espressamente gli artt. 2254 e 2255 c.c. e quindi le norme sulla garanzia per evizione dettate per la vendita dall'art. 1483 c.c. La società che vedesse esercitata un'azione esecutiva sui beni ricevuti dal socio in sede di conferimento avrebbe la possibilità di agire per ottenere il risarcimento del danno, che potrebbe risultare anche ben superiore al valore del bene (come potrebbe accadere se l'acquisizione in proprietà di un bene, equivalente a quello sottoposto ad esecuzione forzata, fosse di difficile reperimento sul mercato). Tuttavia, il solo esercizio positivo dell'azione esecutiva non priverebbe il socio del suo status. Il conferimento in godimentoMalgrado autorevoli voci dottrinarie favorevoli (che si basano anche sul dato normativo ed, in particolare, sul richiamo all'art. 2255 c.c.) risulta tendenzialmente da escludere che si possa procedere a conferire il diritto personale di godimento di un bene. Infatti, in ragione dell'indissolubile collegamento tra conferimento ed iscrizione a capitale, al conferimento non potrebbe seguire alcuna iscrizione nell'attivo. Non è, però, inutile ricordare che talune società, come quelle sportive, in base agli speciali principî di redazione dei loro bilanci, in effetti iscrivono all'attivo, in ragione della peculiarità della loro attività, i diritti alle prestazioni dei loro giocatori. Le tutele a favore della societàLa disposizione in esame, come si è accennato, fa propria la disciplina degli artt. 2254 e 2255 c.c., che a sua volta richiama le disposizioni della vendita per la garanzia e per il passaggio dei rischi e, nel caso di conferimento di crediti, le disposizioni dettate per l'assunzione dei rischi. Il passaggio del rischio di perimento si ha già con la stipula dell'atto costitutivo, ancorché la società non acquisisca la personalità giuridica se non con l'iscrizione nel registro delle imprese. Le garanzie sono quelle tipiche della vendita e, quindi, sulla società gravano gli obblighi di denuncia nei termini previsti per l'acquirente. Va, però, escluso che, in caso di evizione o di accertamento di vizi o di inidoneità della cosa trasferita, consegua la risoluzione del rapporto societario, essendo la disciplina della risoluzione contrattuale non applicabile al contratto di società. Conferimenti in sede di costituzione di nuova società nell’ambito del concordato preventivoL'art. 160 della legge fallimentare consente che il piano dell'imprenditore in crisi, che chieda l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, possa prevedere, quale modalità di soddisfazione dei creditori, l'attribuzione ai creditori ( direttamente od indirettamente) di azioni, quote, obbligazioni anche convertibili di società di nuova costituzione o già costituite. Ne consegue che tra gli strumenti che l'imprenditore in crisi può scegliere per superare la crisi, v'è anche quello dell'attribuzione ai creditori di quote od azioni di società che vengano ad essere appositamente costituite a seguito di conferimento nella stessa di aziende o rami di aziende della società in crisi. Le questioni più significative riguardano: 1) le modalità attraverso le possono essere costituite le nuove società destinate a costituire lo strumento di soddisfazione dei creditori; 2) il trasferimento o meno dei debiti, anche tributari, della società in crisi a quella di nuova costituzione; 3) l'eventuale sottoposizione del conferimento di azienda alle speciali procedure competitive previste dall'art. 163 bis legge fallimentare; 4) la possibilità per il giudice delegato di procedere alla cancellazione delle eventuali trascrizioni pregiudizievoli su beni oggetto del conferimento. Quanto alle modalità di valutazione delle attività ( singoli beni ma soprattutto aziende o rami di azienda della società in crisi) non vi dovrebbero essere ostacoli all'utilizzo degli strumenti semplificativi previsti dall'art. 2343 ter, secondo comma, cc ( illustrati nel relativo articolo) considerato che la valutazione cui si riferisce la norma ben può costituita anche dalla relazione del professionista attestatore previsto dall'art. 161 legge fallimentare alla condizione che quest'ultimo proceda alla valutazione specifica dei beni o dell'azienda oggetto del conferimento. Le risultanze della attestazione possono essere anche integrate dalle conclusioni del commissario giudiziale chiamato ai sensi dell'art. 172 legge fallimentare a redigere l'inventario del patrimonio del debitore. Ovviamente molto importante risulta la questione se alla società di nuova costituzione alla quale sia conferita l'azienda od un ramo dell'azienda in crisi debba rispondere ai sensi dell'art. 2560 c.c, di tutti i debiti dell'imprenditore conferente o di quelli afferenti al ramo di impresa oggetto del conferimento. Tale tema va trattato congiuntamente a quello dell'applicazione, nell'ipotesi in cui l'assegnazione delle azioni o quote della conferitaria costituisse strumento di soddisfazione dei creditori, della speciale procedura competitiva prevista dall'art. 163 bis legge fallimentare. Quest'ultimo articolo prevede, infatti, che se il piano concordatario comprenda l'offerta da parte di un soggetto già individuato dell'acquisto a titolo oneroso dell'azienda o di un ramo di azienda dell'impresa in crisi, si debba aprire una procedura competitiva per l'individuazione di un diverso soggetto disponibile ad acquisire la stessa azienda o lo stesso ramo di azienda ad un corrispettivo superiore. All'esito della procedura verrà individuato il soggetto cui trasferire l'azienda o il ramo di azienda. Tale procedura deve essere sottoposta alla regola generale dell'art. 1825 co legge fallimentare per la quale le vendite, le cessioni ed i trasferimenti posti in essere dopo il deposito della domanda sono disciplinati dagli artt. da 105 a 108 ter della legge fallimentare in quanto compatibili. L'art. 105 co quarto, esclude, salvo diversa convenzione contraria, la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'esercizio dell'azienda ceduta. Anche la normativa fiscale ( d.lgs 18 dicembre 1997 n. 472 art. 14) esclude la responsabilità della cessionaria (salvo il caso di frode in danno dei creditori) per le obbligazioni fiscali se il trasferimento avviene nell'ambito di procedura concorsuale. Per effetto, quindi, di tali norme, il trasferimento dell'azienda o di un ramo di azienda, sia che avvenga a favore dell'originario soggetto individuato nel piano, sia a favore del soggetto risultante dalla gara competitiva disposta in corso di procedura, non determinerà la responsabilità della conferitaria rispetto ai debiti dell'imprenditore in crisi. A completamento del sistema di trasferimento dell'azienda a favore di società di nuova costituzione con liberazione dalle obbligazioni gravanti sulla società in crisi, l'art. 182 comma 5 prevede che il giudice delegato debba procedere alla cancellazione dei vincoli che gravassero sui beni trasferiti con l'azienda. 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