Codice Civile art. 2343 - Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti (1).

Fernando Platania

Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti (1).

[I]. Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, l'attestazione che il loro valore è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale soprapprezzo e i criteri di valutazione seguiti. La relazione deve essere allegata all'atto costitutivo.

[II]. L'esperto risponde dei danni causati alla società, ai soci e ai terzi. Si applicano le disposizioni dell'articolo 64 del codice di procedura civile.

[III]. Gli amministratori devono, nel termine di centottanta giorni dalla iscrizione della società, controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistano fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società.

[IV]. Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte. Tuttavia il socio conferente può versare la differenza in danaro o recedere dalla società; il socio recedente ha diritto alla restituzione del conferimento, qualora sia possibile in tutto o in parte in natura. L'atto costitutivo può prevedere, salvo in ogni caso quanto disposto dal quinto comma dell'articolo 2346, che per effetto dell'annullamento delle azioni disposto nel presente comma si determini una loro diversa ripartizione tra i soci.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo era il seguente: «[I]. Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal presidente del tribunale, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti nonché l'attestazione che il valore attribuito non è inferiore al valore nominale, aumentato dell'eventuale sopraprezzo, delle azioni emesse a fronte del conferimento. La relazione deve essere allegata all'atto costitutivo. [II]. All'esperto nominato dal presidente del tribunale si applicano le disposizioni dell'articolo 64 del codice di procedura civile. [III]. Gli amministratori e i sindaci devono, nel termine di sei mesi dalla costituzione della società, controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistano fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società. [IV]. Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte. Tuttavia il socio conferente può versare la differenza in danaro o recedere dalla società».

Inquadramento

Tutta la disciplina dei conferimenti in natura è sostanzialmente diretta a garantire una ragionevole certezza al valore dei beni o dei crediti trasferiti alla società in modo da evitare, il più possibile, rischi di annacquamento del capitale.

Ancora una volta, per comprendere esattamente la ratio della disposizione, appare opportuno fare cenno alle modalità di iscrizione contabile del capitale. Per la già indicata necessaria corrispondenza tra i valori iscritti nell'attivo dello stato patrimoniale e quelli del capitale (iscritto nel passivo), l'ammontare del capitale liberato dal conferimento deve corrispondere al valore al quale il bene conferito è iscritto nell'attivo. Le regole contabili normalmente prevedono che l'iscrizione dei beni nell'attivo avvenga al prezzo di costo ritenendosi che esso rappresenti un criterio obiettivo ed accertabile. Nell'ipotesi di conferimento di beni all'atto della costituzione, non essendovi un prezzo frutto di libera contrattazione, i rapporti esistenti tra soci rendono possibili pericolosi conflitti di interesse, risultando alto il rischio di una sopravvalutazione del valore dei beni allo scopo di attribuire al conferente un maggior numero di azioni e conseguentemente una quota di capitale ben superiore a quella che il valore dei beni potrebbe giustificare. La norma in sostanza cerca un equilibrio tra gli interessi contrapposti del conferente e quello degli altri soci e della società (Pisani Massamormile, 104).

Lo strumento utilizzato dal legislatore con il sistema di valutazione disciplinato dall'art. 2343 c.c., ma anche dall'art. 2343-ter c.c., è quello di affidare a soggetti indipendenti dai soci, od a indici obiettivi, il compito di determinare il vero valore dei beni o dei crediti conferiti. La perizia è oggetto di giuramento in base alle disposizioni del r.d. 9 ottobre 1922 art. 5.

L'art. 2343 individua tale soggetto nell'esperto nominato dal tribunale nel cui circondario sarà collocata la sede sociale; l'art. 2343-ter in un esperto indipendente che per altre ragioni abbia già effettuato di recente la stima; in alternativa, come si vedrà nel commento all'art. 2343-ter, in determinate ipotesi, può essere fatto ricorso ai listini dei mercati regolamentati oppure a valutazioni effettuate secondo il criterio del fair value contenute in bilanci sottoposti a revisione contabile.

La tutela dei terzi è, poi, completata, non solo dal porre a carico dell'esperto una responsabilità anche penale per le valutazioni, ma anche dal prevedere diversi strumenti di revisione della stima ad opera degli amministratori.

I conferimenti in natura possono avvenire anche per un valore nominale delle azioni con essi liberate, comprensivo del sovrapprezzo, inferiore a quello reale dei beni conferiti. (Massima H.A.7 - del Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie).

A margine della disciplina dei conferimenti in natura espressamente oggetto di disciplina nell'art. 2343, v'è la questione delle forme e strumenti attraverso i quali è possibile procedere al trasferimento a favore della società di beni in natura da parte dei soci a titolo di apporto.

Premesso che per apporto si devono intendere i trasferimenti di ricchezza a titolo spontaneo (ma non gratuito perché pur sempre aventi causa sociale), non infrequenti nell'ambito dei gruppi societari, che si differenziano dai conferimenti perché non comportano né aumento del capitale nominale né attribuzioni di azioni, nonché dai  finanziamenti, perché non comportano obblighi di restituzione né produzione di interessi, ma che comportano in ogni caso variazioni positive del patrimonio netto, in dottrina  (Sodi) si è posto il problema se anche tali apporti debbano sottostare alla preventiva valutazione di un esperto a somiglianza di quanto previsto per i conferimenti a capitale. La questione è rilevante poiché l'esclusione della redazione della perizia di stima fondata sul mero dato della pur incontestabile differenza tra conferimento ed apporto aprirebbe la strada ad una facile elusione della disciplina dei conferimenti in natura ( pur quelli semplificati disciplinati dall'art. 2343 ter cc) attraverso l'escamotage di un apporto destinato a riserva successivamente passato a capitale posto che le regole dettate dall'art. 2442 cc non discriminano la loro utilizzazione per aumento del capitale in base alla provenienza essendo sufficiente solo la iscrizione in un bilancio approvato.

Malgrado i possibili inconvenienti che l'apporto senza stima può comportare, la conclusione è nel senso che il complessivo sistema in molte circostanze, affida già agli amministratori il compito di determinare i corretti valori di iscrizione delle varie poste di bilancio in conformità ai principi contabili, dovendosi riservare la redazione della perizia di stima ai soli casi di “destinazione” di beni in natura a capitale nominale e non in tutti gli altri casi di mero apporto.

Il discrimine quindi tra conferimento con stima e apporto senza stima va ricercato nel  programma negoziale; se le parti  intendono realizzare una destinazione dei beni a capitale (anche non immediata), dovrà essere predisposta una perizia di stima; se invece, il programma negoziale esclude l'imputabilità a capitale della riserva costituita con l'apporto non vi sarà alcuna necessità di stima.

Competenza

La disposizione indica, innanzitutto, quale tribunale competente a nominare l'esperto stimatore, quello nel cui circondario verrà collocata la sede sociale, anche al fine di concentrare su un unico tribunale il compito di procedere alla nomina di esperti, nel caso in cui i conferenti fossero più di uno. L'applicazione della norma, tuttavia, risulta ostacolata dalla circostanza che, prima della stipula dell'atto costitutivo, può essere difficile l'individuazione definitiva della sede sociale, essendo tale scelta affidata in modo esclusivo ai soci all'atto della costituzione.

L'eventuale discrasia tra l'individuazione operata dal socio all'atto della presentazione del ricorso e quella definitiva dei soci, però, non produce di per sé effetti sulla validità della perizia (Platania, 27); sebbene le norme sulla competenza territoriale in materia di volontaria giurisdizione, ai sensi dell'art. 28 c.p.c., non siano derogabili per volontà delle parti, se il ricorso viene presentato al tribunale nel cui circondario è indicato verrà collocata la futura sede della società (ed è questo il momento determinante per la individuazione del giudice competente, ai sensi dell'art. 5 c.p.c.), ed il notaio rogante provvede ugualmente ad iscrivere l'atto nel registro delle imprese malgrado i soci abbiano, nell'atto costitutivo, fissato la sede in una località diversa da quella ipotizzata dal conferente (o dai conferenti), non v'è alcuna conseguenza dipendente dal cambiamento operato dai soci, i quali neppure possono, successivamente alla costituzione, impugnare l'atto, non costituendo la violazione sulle norme di individuazione del tribunale competente a nominare l'esperto, causa di nullità dell'atto costitutivo (Pisani Massamormile, 113, in nota).

Su posizione identica si è attestata la giurisprudenza, sia pure in relazione a provvedimenti emessi su minori (Cass.  n. 13180/2006).

Per effetto dell'abrogazione delle disposizioni societarie processuali, la competenza a nominare l'esperto, ai sensi dell'art. 50-bis c.p.c., è del tribunale in composizione collegiale trattandosi di procedimento in camera di consiglio. Comunque, anche a prescindere dalla possibilità di considerare la perizia dell'esperto irregolarmente nominato come valida ai sensi dell'art. 2343-ter c.c., nessuna nullità dell'atto costitutivo conseguirebbe alla designazione da parte di un giudice singolo dell'esperto, non rientrando tra le cause di nullità previste dall'art. 2332 c.c. La legittimazione a richiedere la nomina è attribuita anche al notaio rogante l'atto costitutivo, in base alle disposizioni della legge notarile, oltre che al privato conferente (Platania, 28).

La stima, ancorché richiesta da un soggetto, conserva la sua validità se, nel frattempo, la proprietà del bene oggetto del conferimento passi ad altri; in altre parole, la perizia di stima ha un suo carattere di oggettività che la rende utilizzabile anche se la qualità di socio conferente passi ad altro soggetto divenuto proprietario del bene e sempreché non si siano verificati mutamenti significativi in ragione di eventi sopraggiunti (anche in conseguenza del passaggio di proprietà).

Le spese della perizia comunque gravano sul richiedente e non sulla società, perché la nuova persona giuridica non è parte del rapporto di lavoro autonomo intellettuale, intercorrente tra il socio richiedente la nomina ed il professionista, che, essendo terzo a tutti gli effetti nei confronti della società stessa, non può avere azione diretta per le obbligazioni contratte da persone fisiche nell'interesse della futura persona giuridica prima della sua costituzione (Cass. n. 19139/2007).

Pluralità di esperti

Può accadere che più soci, separatamente, richiedano anche al medesimo tribunale la nomina di esperti per la valutazione dei loro rispettivi beni. La disposizione non prevede necessariamente la nomina di un medesimo esperto e, quindi, nulla osta a che l'atto costitutivo si basi su valutazioni effettuate, per i diversi beni conferiti dai soci, su diverse perizie di stima; anzi, non è neppure da escludere che il tribunale nomini più esperti nel caso in cui il medesimo socio o più soci intendano conferire beni di diversa natura. Ovviamente la nomina di più esperti, soprattutto quando questi siano chiamati a valutare beni similari appartenenti a soggetti diversi, può determinare problemi di omogeneità dei criteri applicati, con il rischio che l'attribuzione di diversi valori sia determinata solo dai diversi criteri di stima applicati.

I rimedi, però, possono essere vari; in primo luogo gli stessi esperti nominati, se hanno contezza della pluralità di nomine, possono operare congiuntamente al fine di applicare comuni criteri valutativi; in secondo luogo, gli stessi soci possono non concordare con le valutazioni fatte dagli esperti, se disomogenee, e non stipulare l'atto, ovvero attribuire ai beni un valore diverso ed inferiore a quello stimato (non certamente superiore); infine, l'accertamento dell'applicazione di criteri valutativi non omogenei rappresenta un chiaro motivo per sottoporre i conferimenti a nuova valutazione da parte degli amministratori.

Nulla comunque esclude che l’unico esperto nominato dal Tribunale si faccia coadiuvare nel suo compito da altri soggetti di cui ritiene di avvalersi; anche queste relazioni possono essere allegate alla perizia ma le relative conclusioni devono essere espressamente fatte proprie dall’esperto che quindi assume la responsabilità anche per le valutazioni dei suoi coadiutori (Lapponi, 3).

Indipendenza e professionalità

L'esperto deve essere ovviamente indipendente dal soggetto che avanza l'istanza. In realtà, la disposizione in esame non indica criteri per la valutazione dell'indipendenza dell'esperto, essendo la scelta affidata ad un organo pubblico.

Non manca chi ritiene, per il principio di non contraddizione, che l'esperto debba avere gli stessi requisiti di autonomia e competenza tecnica richiesti dall'art. 2343-ter (Pisani Massamormile, 114)

Va osservato che il codice della crisi ha, però, introdotto alcuni criteri sull'indipendenza degli esperti, che appaiono avere una valenza di carattere generale e non limitata alle ipotesi previste dalla normativa concorsuale. Così, in base alle disposizioni dell'art. 16 c.c.i.i. l'esperto deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile e non deve essere legato all'impresa da rapporti di natura personale o professionale; il professionista ed i soggetti con i quali è eventualmente unito in associazione professionale non devono aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del socio conferente e nemmeno degli altri soci.

L'indipendenza deve essere poi garantita anche dopo la costituzione della società; sia il richiamato art 16 c.c.i.i., vietando che l'esperto intrattenga rapporti professionali con l'imprenditore se non sono decorsi almeno due anni, sia l'art. 2399 c.c., vietando, comunque, la nomina a sindaco di soggetti legati alla società anche in base ad altri rapporti di natura patrimoniale che ne possano compromettere l'indipendenza, escludono che alla carica di sindaco possa essere nominato l'esperto estimatore (che per avventura avesse i requisiti generali previsti dall'art. 2397 c.c.) poiché la valutazione dell'esperto è necessariamente sottoposta al controllo degli amministratori della società. Se è vero che la nomina è effettuata dal tribunale su richiesta di un socio, è anche vero che la responsabilità che l'esperto assume verso la società rende incompatibile ogni suo incarico professionale nell'ambito della costituenda società e ciò anche se oggi il collegio sindacale non sia più chiamato a controllare i risultati della perizia.

Oggetto

Nella relazione l’esperto dovrà prestare la massima cura nella individuazione del bene oggetto del conferimento, onde permettere ai soci, ai terzi ed al notaio di valutare assoluta precisionela piena corrispondenza dell’oggetto della stima con l’oggetto del conferimento. Nella valutazione degli immobili, ed in genere di ogni altra attività, vanno considerati i pesi che sugli stessi gravano a qualsiasi titolo, nonché le specifiche condizioni di fatto in cui essi versino Devono poi essere rispettate le norme urbanistiche che presiedono il trasferimento dei beni immobili.

 La giurisprudenza ha altresì precisato che il contenuto della relazione di stima per i conferimenti in natura nelle s.p.a. è predeterminato dalla legge e non è pertanto influenzato dal provvedimento di nomina che eventualmente ampliasse o riducesse l’incarico (Cass. n. 39178/2021)

Criteri valutativi

La disposizione in esame non specifica, opportunamente, quali criteri debba seguire l'esperto nella sua valutazione, essendo tale scelta evidentemente affidata alle sue capacità professionali ed alla sua discrezionalità. Sebbene, come già segnalato, alcuni autori ritengono che la conferibilità di un bene non sia influenzata dalla sua iscrivibilità (Pisani Massamormile, 122), è del tutto preferibile ritenere che non possa essere stimata, perché inutile ai fine della formazione del capitale sociale, una qualsiasi entità economica che non possa essere iscritta per ragioni contabili nell'attivo dello stato patrimoniale.

Va, però, considerato che l'introduzione dell'art. 2343-ter c.c., che ha facoltizzato, in taluni casi, il conferimento senza preventiva perizia di stima, qualora il valore stimato dei valori mobiliari e degli strumenti del mercato monetario non sia superiore a quello medio ponderato al quale tali strumenti sono stati negoziati negli ultimi sei mesi in uno o più mercati regolamentati, finisce per porre un criterio guida, applicabile anche nelle ipotesi di conferimento di titoli, ai sensi dell'art. 2343 c.c. Sebbene il criterio dell'art. 2343-ter c.c. abbia un carattere prudenziale e, quindi, non direttamente vincolante per l'esperto, sembra abbastanza chiaro che la scelta dell'esperto di dare ai titoli conferiti valori significativamente diversi da quelli emergenti dalla quotazione di borsa negli ultimi sei mesi debba essere adeguatamente giustificata. Ed è certo che l'allontanamento dai criteri dell'art. 2343-ter c.c. possa fondare la richiesta degli amministratori di revisione della stima, qualora i beni risultino sovrastimati rispetto alla media.

Anche con riferimento alla diversa ipotesi di conferimento di beni in natura o di crediti, la circostanza che non sia necessaria la stima, se tali beni o crediti risultino conferiti al fair value al quale essi sono stati iscritti in un bilancio dell'esercizio precedente al conferimento, se sottoposto a revisione legale senza osservazioni sulla valutazione stessa, costituisce un criterio che va necessariamente considerato dall'esperto, pur senza rappresentare un vincolo assoluto. Per espresso disposto della norma in esame, tuttavia, i criteri seguiti, qualunque essi siano, devono essere adeguatamente e compiutamente esposti proprio per permettere l'opportunità della revisione da parte dell'organo amministrativo.

Particolare attenzione è stata da sempre prestata alla stima dell'azienda in ragione della natura complessa della sua struttura e dell'esistenza di diversi parametri di valutazione: quello patrimoniale, che valorizza i singoli componenti, e quello reddituale, che valorizza, invece, l'idoneità della azienda a produrre utili, ancorché renda poi particolarmente complesso per gli amministratori procedere all'iscrizione in bilancio dei singoli cespiti (Pisani Massamormile, 135-148).

Sebbene sia sostanzialmente corretta la tesi secondo cui l'esperto debba valutare nel complesso i beni aziendali, sembra assolutamente indispensabile, per consentire un effettivo controllo, una specifica indicazione dei valori attribuiti alle singole componenti dell'attivo ed anche all'eventuale avviamento (che è possibile sempre valutare - Massima del 10 aprile 2001 elaborata dal Consiglio Notarile di Milano) rappresentando una qualità dell'azienda idonea ad incrementarne il valore (Cass. n. 2013/5845). Conseguentemente, potrebbe apparire un'operazione non corretta sotto il profilo giuridico una successiva appostazione contabile dei cespiti aziendali da parte degli amministratori che, pur nell'ambito dei valori massimi espressi dall'esperto, si allontanasse significativamente dai valori indicati, per ciascun componente, dall'esperto (per una disamina integrale del complesso tema, specie con riguardo all'avviamento, MiolaI conferimenti in natura, in Tr. Colombo-Portale, Torino, 2004, 190 ss.). In proposito anche Cass 2008/9950 che, sia pure a fini fiscali, non ha escluso che la ripartizione a fini contabili del costo dell'acquisizione , tra le singole componenti, del corrispettivo unitario versato possa essere sindacata dall'amministrazione finanziaria secondo il criterio della correttezza e veridicità del bilancio.

Anche l'avviamento commerciale, valutato dall'esperto, può essere iscritto in bilancio (secondo varie metodologie in dipendenza del fatto che esso derivi o meno da sottovalutazioni dei beni che costituiscono l'azienda), poiché, per la conferitaria, è acquisito a titolo oneroso ( in corrispettivo dell'emissione di azioni) e soggiace all'ammortamento nel termine ordinario di cinque esercizi.

Non è necessaria la relazione di stima nel caso di aumento di capitale mediante imputazione allo stesso di somme derivanti da prestiti effettuati dai soci o da terzi alla società, sempre che detti prestiti siano avvenuti in denaro e che risultino da bilancio o da apposita situazione patrimoniale approvata dall'assemblea. (Massima H.A.4 -1° Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie).

L'attestazione dell'esperto.

L'opera dell'esperto culmina con l'inderogabile attestazione che il valore dei beni stimati sia almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo. Anche da questa disposizione si trae conferma dell'indissolubile legame esistente tra conferimento ed appostazione contabile, considerato, appunto, che il valore del bene iscritto all'attivo non può essere inferiore alle poste di patrimonio netto (capitale ed eventualmente sovrapprezzo azioni) iscritte in forza del conferimento.

Nella sostanza l'attestazione esplica una funzione di garanzia sulla congruità del valore assegnato (Pisani Massamormile, 131).

L'onere a carico dell'esperto ben può essere soddisfatto, quindi, con l'indicazione puntuale del valore massimo del conferimento. Infatti, il perito opera ben prima della costituzione della società e la determinazione del capitale sociale è frutto delle pattuizioni assunte dai soci all'atto della costituzione evidentemente ignote all'esperto; è, pertanto, necessario ritenere che l'attestazione possa limitarsi ad indicare il valore massimo del conferimento, rimanendo ai soci il compito di determinare sia l'entità del capitale sociale nel limite massimo del valore stimato dall'esperto, sia l'eventuale distribuzione del valore del conferimento tra capitale e sovrapprezzo azioni. I soci, infatti, non sono vincolati alle determinazioni dell’esperto se non nei limiti indicati del valore massimo, e possono, quindi, pattuire che la quota di capitale assegnata al socio sia anche largamente inferiore al valore stimato dall'esperto.

In ragione della necessità che i valori della stima siano effettivamente attuali, si reputa in linea generale che la perizia non debba risalire ad epoca antecedente i quattro mesi dalla stipula dell'atto costitutivo (Massima n. V — Aggiornamento temporale della perizia di stima dei conferimenti in natura, Consiglio Notarile di Milano).

Conferimento negativo.

Ci si è chiesti se il conferimento possa essere di valore negativo.

La questione risulta di fatto rilevante in relazione quasi esclusivamente all'ipotesi di conferimento di azienda, in cui i valori dell'attivo ben possono essere inferiori ai valori del passivo. Eppure il conferimento dell'azienda può avere un valore strategico in ragione delle potenzialità ancora inespresse che i soci ritengono di potere attribuire all'azienda, come dimostrano i non isolati casi di società che, pur non producendo utili, ed anzi operando in forte perdita, riescono tuttavia ad essere apprezzate dal mercato dei capitali per le loro intrinseche potenzialità (imprese particolarmente innovative, imprese che operano ancora nella fase precedente al raggiungimento del pareggio, peraltro concretamente ipotizzabile   ecc.).

Può essere rilevante anche in relazione a conferimento di immobili il cui valore stimato dall'esperto sia inferiore all'importo del mutuo ipotecario che gravi ancora sullo stesso e che pure possa rappresentare per la società uno speciale interesse .

Ebbene qualora si aderisse alla tesi della conferibilità , risulta, però, indubbio che l'accertato valore negativo debba comunque essere compensato dal conferimento di beni, crediti o denaro idonei non solo a compensare la perdita, ma anche a complessivamente garantire il livello minimo di capitale sociale. Semmai, la questione è se la compensazione debba essere opera del medesimo socio conferente, ovvero se possa essere messa a carico degli altri soci.

La tesi dottrinaria prevalente è nel senso che non sia possibile un conferimento negativo, non potendo trovare applicazione nella specie la disposizione dell'art. 2346, comma 4, c.c., che consente una distribuzione delle azioni in misura non proporzionale al conferimento. Si osserva, altresì, che permettere il conferimento negativo verrebbe a violare il divieto di patto leonino sancito dall'art. 2265 c.c.

Tali argomenti, tuttavia, non risultano del tutto decisivi (per il conferimento dell'azienda ed anche per il conferimento di immobili ), sia perché l'apporto del socio, ancorché di valore contabile negativo, non lo esime dal rischio di perdere l'utilità conferita in ipotesi di negativo andamento economico, risultando definitivamente trasferita alla società la sua azienda (o dell'immobile) , sia perché la previsione dell'art. 2346, comma 4, c.c. è propriamente destinata a distribuire l'onere del conferimento iniziale tra i vari soci in modo non proporzionale qualunque sia l'apporto dei soci, garantendo, però, le condizioni minime previste dalla legge in tema di capitale iniziale.

 Si può osservare che nella prassi notarile (Massima n. L.E.1 - 1° Comitato Interregionale Dei Consigli Notarili Delle Tre Venezie), in relazione ad un tema che presenta evidenti aspetti di similitudine, si è sostenuto che  debba considerarsi  ammissibile la scissione, anche non proporzionale, mediante assegnazione ad una o più beneficiarie di un insieme di elementi patrimoniali attivi il cui valore contabile sia inferiore a quello dell'insieme degli elementi passivi (cosiddetta “scissione negativa”), sempreché il valore economico/reale di quanto complessivamente assegnato sia positivo. In tal caso si ritiene che la beneficiaria della “scissione negativa” debba essere preesistente e l'operazione debba alternativamente attuarsi: a) mediante riduzione delle riserve della beneficiaria (ovvero, in carenza di riserve capienti, del capitale) in misura tale da assorbire il netto contabile trasferito; b) mediante rilevazione della minusvalenza. Il principio esposto deve ritenersi applicabile, per l'identica ratio, anche all'ipotesi della fusione, laddove l'incorporata abbia un patrimonio contabile negativo ma reale positivo. Viene precisato però che il valore reale debba essere effettivamente positivo quanto meno computando l'avviamento Al contrario, non si ritiene ammissibile una scissione o fusione “negativa” nell'ipotesi in cui anche il valore reale del patrimonio assegnato (comprensivo dell'eventuale avviamento) sia negativo, poiché in tal caso non potrebbe sussistere alcun rapporto di cambio. Tuttavia in sede di conferimento, la sola circostanza che i soci diversi dal conferente attribuiscano un reale valore positivo all'azienda ( ancorchè contabilmente negativo) tanto da assegnare al conferente azioni che sarebbero loro spettate in base ad una distribuzione proporzionale rispetto ai singoli conferimenti, rappresenta sufficiente prova della conferibilità di una azienda di valore solo contabilmente negativo ma che presenta effettiva idoneità a contribuire alla redditività della nuova società.  

Analoghe conclusioni possono essere fatte in relazione al conferimento di immobili nelle ipotesi in cui i valori di stima (depurati dagli oneri gravanti sul bene stesso) non rappresentino l'effettiva potenziale utilità economica per la conferitaria. Nell'ultimo decennio si è assistito ad un fenomeno, piuttosto raro nel passato, di significative svalutazioni dei beni immobili che possono avere ridotto il valore dei beni anche al di sotto della stima (spesso generosa) effettuata in anni precedenti per l'erogazione di prestiti garantiti da ipoteca. Non si può però escludere che valori nell'attualità insufficienti a coprire i costi da sostenere per il servizio del prestito, nascondano in realtà significative utilità per la (sola) conferitaria per determinare comunque risparmi di spesa o per consentire lo sviluppo di iniziative economiche  altrimenti non perseguibili con uguale successo. In tal caso la necessaria tutela delle ragioni dei creditori e quelle della conferitaria possono trovare sintesi nella compensazione a carico delle riserve societarie o nel contributo degli altri soci del minus valore contabile conseguente al conferimento.

La responsabilità dell'esperto.

Per espressa previsione normativa, l'esperto risponde dei danni cagionati ai terzi, ai soci ed alla società.

La responsabilità, che deriva dalla natura di pubblico ufficio, personale e non delegabile (Cass. n. 1227/2003), secondo la giurisprudenza ha natura contrattuale solo nei confronti del socio che ha chiesto la nomina, ma extracontrattuale nei confronti della società, degli altri soci e dei creditori, mancando un onere di protezione preesistente a carico dell'esperto, come desumibile dall'orientamento giurisprudenziale per il quale la responsabilità d'una società di consulenza, per erronea fissazione del prezzo di emissione delle nuove azioni in occasione di un aumento del capitale sociale, da liberare mediante conferimento in natura di azioni di altra società da acquisire, ha natura contrattuale nei confronti di chi le ha conferito l'incarico, ma natura extracontrattuale nei confronti dei terzi, non essendo configurabile rispetto a questi ultimi una «responsabilità da contatto sociale» della prima (Cass.  n. 11642/2012).

Per la dottrina, invece, tale responsabilità deve farsi rientrare tra quelle derivanti da contatto sociale che trovano il loro fondamento in quelle ipotesi in cui a carico di un determinato soggetto, professionalmente qualificato, sono posti oneri di tutela di specifici interessi di coloro che entrano in contatto con la sua attività (Miola, I conferimenti in natura, 515).

Risulta invero difficilmente contestabile che la finalità della previsione di affidare ad un esperto il compito di valutare il conferimento sia proprio di natura protettiva dell'interesse dei soci, e di tutti i terzi che con la società hanno rapporti, di confidare sulla consistenza dichiarata del patrimonio sociale.

Alla responsabilità civile si aggiunge quella penale prevista dal richiamato art. 64 c.p.c.

La mancanza o la irregolarità della stima

La costituzione di società con conferimenti in natura senza redazione preventiva della prescritta perizia non costituisce causa di nullità dell'atto costitutivo ancorché, per l'art. 138-bis l. 16 febbraio 1913, n. 89, il deposito, da parte del notaio rogante, dell'atto costituivo, che non presenti manifestamente le condizioni per l'iscrizione, costituisca fonte di illecito disciplinare. Per tale ragione, si deve ritenere che il notaio rogante debba non solo rifiutarsi di redigere l'atto costitutivo senza la necessaria perizia di stima, ma anche chiedere l'integrazione della perizia che presentasse una qualunque forma di irregolarità afferente all'indicazione dei criteri di stima, e persino richiedere nuova perizia, se accertasse la mancanza di indipendenza

dell'esperto.

Tuttavia, l'art. 2332 c.c. non contempla, tra le ipotesi di nullità, la costituzione di società senza la perizia di stima, ma solo l'eventuale mancanza di ogni indicazione sui conferimenti e sul capitale sociale. Se, però, mancasse la perizia, diverrebbe per gli amministratori ineludibile procedere ad una nuova stima del conferimento (piuttosto che una revisione della stessa, ovviamente impossibile per la sua mancanza). L'omissione dell'esecuzione di una nuova stima sarebbe fonte di responsabilità per gli amministratori che non vi procedessero.

La stessa procedura deve essere seguita in caso di invalidità della perizia, essendo esclusa la possibilità di dichiarare la nullità dell'atto costitutivo. L'eventuale irregolarità, quindi, imporrà la revisione della stima.

La revisione della stima

È fatto inderogabile obbligo agli amministratori di procedere al controllo della stima entro il termine di centottanta giorni decorrenti dall'iscrizione nel registro delle imprese. La legge non indica in cosa debba consistere il controllo (Pisani Massamormile, 201), ma si può ipotizzare che si debba procedere, quanto meno, alla verifica della corrispondenza dei beni stimati con quelli conferiti, alla corretta attribuzione della destinazione urbanistica per i terreni, all'accertamento del mantenimento della qualificazione urbanistica attribuita in perizia e delle altre caratteristiche giuridiche ed amministrative che sono state considerate rilevanti dall'esperto per l'attribuzione del valore.

Alla necessaria fase del controllo può seguire, ove siano sorti negli amministratori dubbi sulla fondatezza dei risultati (e, quindi, dubbi sul merito della valutazione), una facoltativa fase di revisione della stima. Fino a quando non si sia concluso con una valutazione positiva, le azioni emesse in corrispondenza del conferimento non possono essere alienate a garanzia della posizione degli eventuali acquirenti.

La legge non specifica quali siano, però, le procedure per la revisione della stima e se, in particolare, debba fondarsi sulla valutazione di un altro esperto, nominato dal Tribunale ovvero da parte dell'organo amministrativo, ovvero ancora se la revisione possa essere direttamente effettuata dagli stessi amministratori, avvalendosi di conoscenze personali o di terzi.

Va osservato che la responsabilità per una corretta valutazione ricade comunque sugli amministratori, che, però, non avendo necessariamente le conoscenze per procedere ad una revisione di stima, per ragioni di prudenza e diligenza dovrebbero farsi assistere nella revisione da soggetti particolarmente esperti.

Molto delicato e controverso è stabilire se la revisione debba tenere in considerazione fatti e circostanze sopravvenuti rispetto al conferimento, ovvero procedere alla valutazione solo con riferimento al valore del bene al momento della stipula dell'atto costitutivo. Si contrappongono, infatti, due distinti principî giuridici: quello per cui il rischio passa a carico della società al momento dell'atto costitutivo (in applicazione delle norme sulle vendite richiamate dall'art. 2342 c.c.) e quello della certezza del valore del capitale sociale a cui è diretta l'intera disciplina dei conferimenti in natura.

La questione è assai delicata, soprattutto per quei conferimenti, quale quello dell'azienda, che risulta non potersi inquadrare esattamente negli schemi sopraindicati in ragione del suo intrinseco dinamismo; ad esempio, nella stima di ogni azienda un ruolo decisivo è rappresentato dalla valutazione di poste, come i crediti, che necessariamente risentono dell'effettiva solvibilità dei debitori. Al momento della redazione della stima (che può risalire anche a quattro mesi prima rispetto al conferimento, come in precedenza ricordato), le valutazioni dell'esperto sulla capacità di incasso dei crediti sono necessariamente fondate su stime che possono rivelarsi completamente errate a seguito degli sviluppi degli eventi. Ciò può accadere anche indipendentemente da errori di valutazione o da inesatta applicazione di corretti criteri di stima, potendo essere mera conseguenza di eventi imprevedibili.

L'accertamento che i crediti, che si presumeva essere incassabili senza difficoltà, risultino invece, a seguito dello sviluppo degli eventi, di difficilissima esazione, ovvero non esigibili, non costituisce, a ben guardare, conseguenza di un fatto avvenuto successivamente al trasferimento del rischio, ma di una circostanza, nota successivamente, dalla quale desumere l'errore (certamente scusabile) nel quale era caduto lo stimatore per avere ipotizzato eventi che in realtà non si sono verificati. Se ciò è vero, bisogna ritenere che l'organo amministrativo ben possa procedere alla revisione della stima sia in relazione ad eventi avvenuti successivamente alla redazione della stima ma prima della stipula dell'atto di conferimento (e ciò è ovvio), sia con riferimento ad eventi che, accertati successivamente al conferimento, erano stati valutati dall'esperto secondo un grado di probabilità risultato errato. La revisione stima, quindi, dovrà tenere in considerazione l'influenza che l'avveramento di fatti solo ipotizzati dall'esperto possa avere sulla stima del bene.

Ancorchè  ai sindaci la legge non conferisce più un ruolo attivo nella revisione della stima, non si può ritenere che il collegio sindacale non abbia più alcuna funzione nella valutazione del conferimento. Nell'ambito del generale dovere di controllo diretto all'osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione spetta sempre al collegio sindacale valutare se l'attività di controllo della stima operata dagli amministratori sia avvenuta regolarmente e abbia determinato un effettivo controllo dell'attività dello stimatore. Se vengono ravvisate deficienze nell'attività degli amministratori, anche a seguito di attività ispettiva appositamente effettuata, il collegio sindacale può, ma sarebbe meglio dire, deve denunciare i fatti al Tribunale ai sensi dell'art. 2409 c.c. essendo indubbio che l'omesso adeguato controllo da parte degli amministratori rappresenta una grave irregolarità.

Le conseguenze della revisione.

A seguito della revisione della stima si possono verificare tre diversi eventi: il valore dei beni conferiti è stimato pari o superiore a quello al quale è stato fatto il conferimento; il valore dei beni conferiti è inferiore a quello al quale è stato fatto il conferimento per un importo superiore al quinto; il valore dei beni conferiti è inferiore a quello al quale è stato fatto il conferimento ma per importo inferiore al quinto.

La legge affronta espressamente i primi due casi, non disciplinando, invece, il terzo.

Se dunque il valore del conferimento è confermato, nulla deve essere fatto dalla società se non mettere a disposizione del socio le azioni che devono conseguentemente considerarsi definitivamente liberate.

Nella seconda ipotesi la legge obbliga la società a procedere, invece, ad una serie assai importante di adempimenti.

Anche se non espressamente specificato è evidente che gli amministratori devono dare immediata comunicazione al socio dei risultati della revisione della stima; ciò è implicito nel fatto che è data facoltà al socio di integrare in denaro la differenza (od anche versare una somma inferiore, ma idonea a che il rapporto scenda al di sotto del 20%) accertata dalla revisione.

A seguito della revisione che accerti un'insufficienza grave del valore del conferimento, gli amministratori devono procedere alla convocazione dell'assemblea della società per la riduzione conseguente del capitale sociale e per disporre la restituzione del conferimento nei limiti in cui ciò sia ancora possibile. Anzi è da sottolineare che l'assemblea dovrebbe essere chiamata anche ad assumere ulteriori provvedimenti se, per effetto della riduzione, il capitale scendesse ad importo inferiore a quello minimo di legge; in questo caso la società dovrebbe, infatti, anche deliberare lo scioglimento ovvero la ricapitalizzazione.

Non sono specificati i rimedi concessi al socio in caso di dissenso sulla valutazione del compendio. Tuttavia la sola possibilità per il socio di contestare la valutazione è rappresentata dalla proposizione di impugnazione della delibera e non di impugnazione della revisione (ai sensi dell'art. 2388, comma 4, c.c.) non essendo, di per sé, lesivo dei diritti del conferente il solo esito della revisione (nel senso, invece, che potrebbe impugnare la delibera dell'organo amministrativo, Pisani Massamormile, 208).

Rimane peraltro dubbia l'area dell'intervento del giudice; tuttavia non ci si trova di fronte a scelte discrezionali dell'organo amministrativo, ma a valutazioni che ben potrebbero trovare smentita nelle valutazioni eseguibili nel corso di un giudizio contenzioso.

Poiché la legge affida al solo organo amministrativo la possibilità di procedere alla revisione, si deve anche escludere che l'assemblea possa rifiutarsi di prendere atto della revisione e non disporre la riduzione del capitale ovvero incaricare altri soggetti di procedere ad una nuova stima dei beni. Se, dunque, l'assemblea della società non disponesse, per una qualunque ragione, in conformità alle risultanze della revisione, gli amministratori ed i sindaci dovrebbero richiedere al tribunale, ai sensi dell'art. 2446, secondo comma, c.c., l'emanazione di un decreto che tenesse luogo dell'insufficienza patrimoniale, da iscrivere nel registro delle imprese.

Come già esposto, nulla è specificato circa la terza ipotesi, che si verifica quando la revisione accerti effettivamente una deficienza di valore del conferimento ma per importo inferiore al quinto.

Anche in questo caso, però, l'esigenza che il capitale sociale rappresenti effettivamente i valori dichiarati impone di procedere, eventualmente anche a mezzo del provvedimento del tribunale ai sensi dell'art. 2446 c.c., alla riduzione corrispondente del capitale, ma senza che sussista per il socio la possibilità di recedere dalla società e, specularmente, l'obbligo per la società di restituire al conferente il bene in natura.

Più controverso è se la revisione della stima debba portare ad una riduzione della sola quota appartenente al socio conferente ovvero ad una ripartizione della minusvalenza tra tutti i soci.

È preferibile la prima soluzione, a somiglianza di quanto può accadere per l'ipotesi di riduzione del capitale dipendente dall'accertamento di una minusvalenza superiore al venti per cento; in questo caso, il socio può evitare l'esclusione non solo versando l'intera differenza, ma anche un importo minore, ferma la riduzione per la parte non coperta dal versamento in denaro.

Altrettanto deve ritenersi per la ipotesi di accertamento di differenza per importo inferiore al 20%; il capitale deve essere ridotto con incidenza della riduzione sul solo importo del socio, senza, però, altra conseguenza, con facoltà per il socio di versare anche una somma inferiore del 20% per garantire alla società comunque l'esistenza di un capitale minimo: rimane anche ferma la possibilità per l'assemblea della società di deliberare un aumento di capitale da riservarsi, in modo proporzionale tra tutti i soci. Inoltre, non vi sono ragioni per consentire al socio di evitare la riduzione approfittando degli eventuali utili conseguiti nel frattempo dalla società, qualora in grado di compensare, in tutto od in parte, l'insufficienza patrimoniale accertata a seguito della revisione della stima.

Può essere interessante a tal proposito un richiamo di diritto comparato. La Corte d’Appello di Naumburg (Oberlandesgericht Naumburg) del 17 gennaio 2018, relativamente a un caso in cui era stato accertato dal Registro delle imprese ( organo a ciò preposto) che il valore del terreno oggetto del conferimento in natura non corrispondeva all’importo del capitale sociale pattuito dai soci, ha accertato l’obbligo personale dei soci a corrispondere differenza tra il valore indicato e il valore di mercato del bene ai sensi del § 9 GmbHG imponendo anche all’amministratore della società, in conformità al § 8 comma 2 GmbHG, di garantire nei confronti del Registro delle imprese che l’importo fosse nella libera disposizione della società.

Con disposizione introdotta per la prima volta dalla riforma, è possibile prevedere che, in caso di recesso del conferente, vi possa essere una diversa distribuzione delle azioni degli altri soci. L'effetto, a ben guardare, è quello di una espropriazione parziale preventivamente autorizzata.

Non esplorato adeguatamente è il rapporto esistente tra gli ordinari rimedi previsti dal codice in caso di inadempimento o di inesatto adempimento ed il rimedio attribuito alla società conferitaria dall'art. 2343 cc. In altre parole, alla possibilità di sciogliere il rapporto societario nel caso in cui il valore del conferimento sia inferiore di oltre un quinto rispetto al valore del conferimento, si possono affiancare i rimedi della risoluzione, della riduzione del prezzo e della evizione e della rescissione, previsti dalla disciplina della vendita, espressamente richiamata dall'art. 2254 cc ? La risposta deve essere positiva ma con alcune necessarie precisazioni. La prima riguarda il fatto che il legislatore ha escluso in ogni caso che la società possa disporre o chiedere la risoluzione del rapporto con il socio anche se il valore dei beni conferiti sia inferiore di oltre un quinto rispetto al conferimento. La legge, infatti, attribuisce una speciale forma di autotutela alla società, consistente nell'annullamento delle azioni liberate con il conferimento di beni di valore inferiore al previsto, ma non permette la radicale esclusione del socio, in ragione della opportunità di garantire al meglio i creditori che legittimamente contavano sull'apparente consistenza originaria del patrimonio sociale; il rimedio del recesso dal rapporto sociale è, invece, riservato unicamente al socio che, se ritiene di non integrare il conferimento, può scegliere di uscire dalla società ottenendo la restituzione del conferimento effettuato ( nei limiti in cui ciò sia ancora possibile).  Solo in linea meramente ipotetica, si può ipotizzare l'esperibilità dell'azione per lesione ultra dimidium, ai sensi dell'art. 1448 cc., apparendo molto improbabile che possano essere provati i presupposti di legge, quale lo stato di bisogno della società e la lesione (che deve necessariamente presupporre la falsità della perizia di stima). In caso di evizione, la società può agire nei confronti del socio, anche dopo il termine di sei mesi previsto per la revisione della stima, ai sensi dell'art. 1483 e 1484 cc secondo le regole ivi previste; trovano anche integrale applicazione le norme sulla garanzia per vizi che consentono alla società di agire per la riduzione del prezzo ( e quindi per la riduzione del valore delle azioni emesse in dipendenza del vizio) o, nei casi in cui i vizi rendano la cosa inidonea all'uso al quale era destinata, anche per la risoluzione, anche dopo il termine di sei mesi previsto per la revisione della stima. Va poi precisato (Cass. n. 2013/5845) che l'avviamento non è un bene compreso nell'azienda - del quale, quindi, si possa ipotizzare un vizio ai sensi dell'art. 1490 c.c., essendo, invece, una qualità immateriale dell'azienda stessa, che può essere promessa e il cui difetto dà luogo alla fattispecie di inadempimento di cui all'art. 1497 c.c.; se l'avviamento manca radicalmente  od ha un valore inferiore a quello pattuito, la società non può domandare la riduzione del prezzo ai sensi dell'art. 1492, ma solo, eventualmente, la risoluzioneex art. 1453 c. c.

 

Inapplicabilità della speciale disciplina dettata dalla legge 30 dicembre 2020 n. 178 art. 1 comma 266

Tra i vari provvedimenti emessi nel corso del 2020 per proteggere le imprese dai gravi ed imprevisti effetti della pandemia da Covid -19 va segnalata, per la sua importanza strategica, la previsione dell'art. 1 comma 266 della legge di bilancio 2021 per effetto del quale “le perdite emerse nell'esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.  E' altresì previsto che il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno di un terzo stabilito dagli articoli 2446, secondo comma, e 2482-bis, quarto comma, del codice civile, sia posticipato al quinto esercizio successivo rimanendo a carico dell'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio il compito di ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. Sostanzialmente analoga previsione è dettata per la diversa ipotesi di perdite che riducano il capitale al di sotto del minimo di legge;  verificandosi per effetto di perdite contabilizzate nell'esercizio 2020 la riduzione del capitale al di sotto del minimo di legge l'assemblea deve essere comunque convocata senza indugio dagli amministratori, che può però, in alternativa all'immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura del quinto esercizio successivo. Solo l'assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve procedere alle deliberazioni di cui agli articoli 2447 o 2482-ter del codice civile fermo restando che fino alla data di tale ultima assemblea non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile. A garanzia della riferibilità delle perdite per le quali è prevista la speciale disciplina al solo esercizio 2020 è specificato che esse devono essere distintamente indicate nella nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell'esercizio.

Tale disciplina non può ritenersi applicabile alla riduzione del capitale che eventualmente dovesse essere disposta a seguito della revisione della stima, considerato che essa è dettata solo per la riduzione delle perdite disciplinata dagli artt. 2446 e 2447 cc. La riduzione del capitale per accertata insufficienza di oltre un quinto del conferimento è disciplinata in via esclusiva dal solo art. 2443 cc che pone anche delle soglie diverse per l'intervento ( un quinto del conferimento e non un terzo del capitale). Conseguentemente, ancorchè la revisione della stima sia stata effettuata nel corso dell'esercizio pendente alla data del 31 dicembre 2020, la riduzione del capitale deve essere effettuata prontamente.

A questa soluzione può giungersi anche quando la riduzione del capitale dovesse conseguire all'accertamento della ipotesi non direttamente contemplata di riduzione del valore del conferimento inferiore ad un quinto. Anche in questo caso però, la completa estraneità della disciplina della riduzione del capitale alla fattispecie disciplinata dall'art. 2446 e 2447 cc alla quale fa invece esclusivo riferimento l'art. 1 comma 266 della legge di bilancio 2021, impone di non estenderne la portata al di fuori della riduzione del capitale per perdite.

Bibliografia

Lapponi, Perizia giurata di stima, IlSocietario, 22 marzo 2019; Magers, Aumento di capitale con successivo conferimento di un’impresa commerciale nelle società di capitali tedesche, IlSocietario, 2 luglio 2019; Nigro, La nozione di capitale e i conferimenti. La nuova spa, a cura di Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010, 211; Platania, I conferimenti nelle spa, Milano, 2011; Pisani Massamormile, I conferimenti nelle società per azioni, Milano, 2015; Sodi, Apporti in natura nelle società di capitali e relazione giurata di stima, Il Societario, Focus 18 maggio 2016

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