Codice Civile art. 2326 - Denominazione sociale (1).Denominazione sociale (1). [I]. La denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l'indicazione di società per azioni. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. InquadramentoL'articolo in commento – che non è stato oggetto di modificazioni in sede di riforma – stabilisce, in primo luogo, il principio di libera formazione della denominazione sociale con l'unico limite della necessaria indicazione di «società per azioni». La denominazione sociale assolve ad una funzione duplice: di nome civile dell'ente e, di regola, di ditta dell'impresa sociale (Stella Richter, 97; Fabbio, 150). Peraltro, la denominazione completa, cioè quella inclusiva dell'indicazione del tipo, assume anche funzioni ulteriori: «normativa», di individuare la disciplina societaria applicabile (Stella Richter, 99), e «pubblicitaria», di far conoscere ai terzi il tipo di appartenenza (Fabbio, 151). Il limite contenuto nella norma assume una funzione di riconduzione della società al tipo sociale prescelto e si spiega in relazione al divieto di costituire società atipiche (Stella Richter, 99; Corvese, 637): esso ha la funzione di rendere immediatamente percepibile ai terzi che entrano in contatto con la società il tipo di società e, dunque, di consentire l'individuazione del regime di responsabilità di essa e dei suoi soci. La denominazione sociale ha natura di bene immateriale (Ascarelli, 421; Bencini, 482). Il principio di libera formazione della denominazione sociale.L'ampia libertà concessa dal legislatore all'autonomia privata consente l'inserimento, nella denominazione sociale, di un nome di fantasia, di un luogo geografico, di una sigla ovvero del nome di un socio ancorché defunto (Abriani, 27). Il nome potrà essere espresso anche in lingua straniera, ma in tal caso l'indicazione del tipo sociale dovrà essere necessariamente espresso in lingua italiana (Costi, 289). Si ammette, generalmente, l'inserimento del nome di un terzo, anche senza il suo espresso consenso (Costi, 286; Abriani, 28; contraAscarelli secondo il quale è necessario non solo il consenso del terzo, ma anche una qualche relazione tra il terzo e la società): in tale caso, tuttavia, è fatta salva l'applicazione analogica dell'art. 7 c.c., che attribuisce al titolare del nome la facoltà di richiedere la cessazione di fatti di usurpazione ovvero di fatti che implichino, comunque, un uso abusivo del nome come segno distintivo (Corvese, 636). Parte della giurisprudenza è, però, di contrario avviso. Secondo Cass. n. 11129/2003 è illegittimo l'inserimento, nella denominazione sociale di una società di capitali, del cognome di un soggetto terzo non imprenditore il quale non l'abbia preventivamente autorizzato, costituendo detto inserimento una violazione delle norme sul diritto al nome, norme che sono le uniche applicabili a tale fattispecie a differenza di quelle previste in tema di segni distintivi dell'impresa, a loro volta applicabili solamente alle ipotesi di indebito utilizzo operato fra imprenditori. La denominazione può anche comprendere «segni»: tuttavia, il segno prescelto deve essere idoneo a fungere da denominazione sociale con la conseguenza che il segno può essere soltanto denominativo (Fabbio, 153). Non sono ammessi segni figurativi, misti o addirittura sonori od olfattivi (Stella Richter, 103). La denominazione può poi comporsi anche di segni dell'alfabeto latino e di numeri arabi o romani (Fabbio, 153). Come già evidenziato, il nome potrà essere espresso anche in lingua straniera. Pacifico è che la denominazione debba sottostare ai principî generali di ordine pubblico e di buon costume (Costi, 285; Fabbio, 152; Nazzicone, 612). Se tali limiti fossero violati, il notaio stipulante non dovrebbe ricevere l'atto (Fabbio, 154 il quale fa comunque presente che per la legge notarile la contrarietà all'ordine pubblico ed al buon costume deve essere manifesta). Deve, poi, escludersi che il controllo sulla denominazione possa spettare all'ufficio del registro. Una parte della dottrina – sulla base della considerazione che la denominazione debba rispondere anche ai principî di buona fede e correttezza e, dunque, al principio di verità (su cui v. Nazzicone, 612) – ritiene che sia illegittimo il riferimento nella denominazione di una attività diversa da quella indicata nell'oggetto sociale e ciò al fine di non apparire ingannevole per il pubblico (Frè, 6; Di Sabato, 145), pur non essendo necessario procedere ad un cambiamento della denominazione in occasione di modifiche statutarie che interessino le indicazioni contenute nell'oggetto sociale. Tale impostazione è seguita anche dalla giurisprudenza di merito la quale ha affermato che il cosiddetto principio di verità della denominazione sociale, in base al quale l'autorità giudiziaria potrebbe rifiutare l'omologazione degli atti sociali che ne comportino la violazione, impone che la denominazione non possa apparire ingannevole per il pubblico, ma non è violato allorché altri vantino diritti sulla denominazione adottata (App. L'Aquila 14 dicembre 1983, in Giur. it. 1984, I, 296). Più di recente, è stato affermato che la denominazione sociale è tutelata anche nell'ipotesi di un eventuale mutamento dell'oggetto sociale, in quanto essa ha la funzione di individuare la società come soggetto di diritto e quindi prescinde dall'attività in concreto svolta e dall'oggetto sociale, che può mutare nel corso della sua attività senza che ciò comporti un mutamento della sua soggettività e, quindi, senza che ciò renda necessaria una modifica della sua denominazione o consenta ad altri l'uso della stessa (Cass. n. 5931/2014). Alcuni limiti alla formazione della denominazione si rinvengono in altre disposizioni di legge. Infatti, l'art. 133 d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 vieta agli enti non creditizi l'utilizzo nella denominazione sociale di parole «banca», «banco», «credito», «risparmio» ovvero di altre parole o locuzioni, anche in lingua straniera, idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell'attività bancaria: il termine «banca» è, infatti, riservato all'impresa autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria (art. 1). Ulteriori limitazioni sono previste dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) quanto alle Sim, alle Sicav, alle Sgr ed alle Sgm. L'art. 7 comma 3 del d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 vieta l'utilizzo della locuzione «impresa sociale» ovvero di altre locuzioni idonee a trarre in inganno a soggetti diversi dalle organizzazioni che esercitano un'impresa sociale. L'art. 2515 c.c. riserva, infine, l'utilizzo del termine «cooperativa» alle società con scopo mutualistico. Per ulteriori riferimenti a norme di divieto o di obbligo di inserimento di talune espressioni, v. Nazzicone, 612. La denominazione sociale deve necessariamente contenere l'indicazione del tipo di società per azioni. Sono certamente ammesse abbreviazioni di uso corrente («s.p.a.»). Non sono consentite l'adozione dell'espressione antica di «anonima» (Stella Richter, 101; Fabbio, 154); l'indicazione, in aggiunta, di altri tipi sociali ovvero di espressioni evocativa di altri tipi sociali (Fabbio, ivi). In assenza della indicazione del tipo, il notaio non può ricevere l'atto. L'atto costitutivo, poi, non sarebbe comunque iscrivibile nel registro delle imprese. In caso di una indicazione del tipo non corrispondente alla disciplina contenuta nell'atto costitutivo, si pone il problema della possibile riqualificazione del tipo e, precisamente, se debba prevalere il dato formale o il contenuto sostanziale dell'atto costitutivo. Una questione di riqualificazione di società per azioni in società consortile è stato affrontato da Trib. Roma 15 dicembre 2017 (in Foro it. 2018, I, 1762) che ha concluso che la qualificazione di una società come società per azioni non preclude del tutto connotati peculiari rispetto al tipo legale risultanti dallo statuto ed è anzi possibile che, sotto vari aspetti, nonostante una determinata qualifica, la concreta disciplina della società in questione si caratterizzi per regole diverse, purché non si tratti di regole del tutto incompatibili con il tipo sociale che viene in considerazione, come nei casi in cui si assuma un regione di responsabilità dei soci diverso da quello legalmente previsto (nel caso di specie, si trattava di una società per azioni il cui statuto conteneva, però, una clausola tipicamente consortile). Peraltro, in senso contrario ad ogni possibile riqualificazione del tipo societario, potrebbe evidenziarsi che una operazione ermeneutica non può sottrarsi al confronto con il sistema della pubblicità commerciale connotato dall'inscindibile binomio dell'efficacia costitutiva dell'iscrizione di una società nel registro delle imprese e dell'efficacia sanante dell'iscrizione medesima rispetto ad ogni fattispecie di invalidità della società. In senso contrario, però, si può affermare che una società per azioni potrebbe anche operare, almeno per determinati ambiti, con modalità tipicamente consortili e che alla riqualificazione in termini consortili della società non sarebbe di ostacolo la pubblicità legale in quanto tale riqualificazione sarebbe fondata su una clausola regolarmente iscritta e che, infine, la riqualificazione in argomento non sarebbe idonea a recare pregiudizio ai terzi. Denominazione e ditta.La denominazione sociale è il nome necessario di una società di capitali e può essere, pertanto, distinta dalla ditta che, invece, individua l'impresa (Bencini, 483). Ne consegue che una società di capitali può utilizzare diverse ditte per identificare le sue diverse attività imprenditoriali purché, nel rispetto del principio di verità imposto dall'art. 2563 c.c., vi sia una connessione con la denominazione sociale (Cass. n. 16163/2015). Sul punto, la dottrina è concorde (Ascarelli, 421; Costi, 128; Abriani, 29). È, invece, dibattuta la questione se la denominazione sia assoggettata alla regola della intrasferibilità propria del nome civile (Abriani, 30). Parte della dottrina è orientata in senso affermativo valorizzando la funzione precipua della denominazione di individuazione del soggetto giuridico (Santini, 149), mentre chi considera prevalente la funzione di identificazione dell'impresa opta per la soluzione contraria (Ferri, 363). Recente giurisprudenza ha affermato che la denominazione sociale, investendo la sua funzione distintiva la stessa soggettività della società di capitali, non può essere oggetto di autonoma circolazione, neppure insieme all'azienda, sia perché la cessione di quest'ultima non estingue la persona giuridica, la cui continuità ed identità è preservata proprio dal mantenimento della denominazione, sia perché l'art. 2567 c.c., in tema di denominazione sociale, non richiama l'art. 2565 c.c., dettato in tema di impresa individuale, secondo cui la ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda (Cass. n. 5931/2014). L'art. 2567 c.c. rende, però, applicabile alla denominazione sociale l'art. 2564 c.c. sul principio di novità della ditta: quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, colui che ha iscritto la ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore deve procedere ad integrarla o a modificarla con indicazioni idonee a differenziarla. Anche per esse vale dunque il principio secondo cui la possibilità di confusione va desunta dall'obbiettiva composizione dei segni distintivi usati, avendosi riguardo al risultato percettivo che l'insieme dei loro elementi grafici e fonetici può, con riferimento alla persona di media diligenza, determinare nella clientela (Cass. n. 719/1973): ai fini della rilevanza della confondibilità delle denominazioni sociali, ai sensi dell'art. 2564 c.c., non debbono considerarsi tanto le attività in concreto svolte dalle società che abbiano denominazioni simili, quanto la potenziale concorrenzialità fra di esse (Cass. n. 10728/1994; Cass. n. 2881/1989) desumibile dall'oggetto sociale, quale espressione dell'ambito complessivo di attività che le società, anche in futuro, potrebbero svolgere nel mercato di riferimento. In questa prospettiva, non essendo ravvisabili elementi ostativi, parole di uso comune e denominazioni geografiche, ovvero aggettivazioni delle stesse, che di per sé non hanno capacità distintiva, possono acquistarla, se combinate fra loro o con parole fantastiche o non di uso comune (Cass. n. 8691/2001; Cass. n. 7651/2007), così come possono acquistarla per il semplice fatto che siano divenute notorie come denominazione di una determinata società operante in un determinato territorio ed avente un certo oggetto sociale. Infine, il richiamo all'art. 2564 c.c. importa l'inapplicabilità alla denominazione sociale dei principî riguardanti il carattere «debole» o «forte» del marchio. Ciò comporta che, una volta che sia stato ritenuto insufficiente l'elemento di integrazione introdotto dalla società nella denominazione, che era risultata identica a quella in precedenza usata da altra società iscritta nel registro delle società, il giudice, per dare attuazione al disposto dell'art. 2564 c.c., non incontra alcun limite, non prevedendolo la norma, nell'imporre la modifica necessaria a differenziarla eliminandone una parte, restando salva la facoltà della società di adottare una denominazione diversa, purché non faccia uso del termine, o dei termini, il cui uso è stato inibito dal giudice (Cass. n. 7651/2007). BibliografiaAbriani, La costituzione della S.p.A., in Tr. Res. 16, IV, Torino, 2012; Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960; Bencini, Sub art. 2326, in Codice delle società, a cura di Abriani, Torino, 2016; Corvese, Sub art. 2326, Delle società - Dell'azienda. Della concorrenza, artt. 2247-2378, a cura di D. Santosuosso, in Commentario del codice civile, a cura di E. Gabrielli, Milano, 2015; Costi, Il nome della società, Padova, 1964; Fabbio, Sub art. 2326, in Abbadessa, Portale, Società per azioni, Codice civile e norme complementari, Milano, 2016; Ferri, Le società, in Tr. Vas., X, Torino, 1987; Ferrara, Corsi, Gli imprenditori e la società, Milano, 2011; Frè, Sub art. 2326, in Società per azioni, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 1997; Frè, Sbisà, Sub artt. 2325-2409, Della società per azioni, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 1997; Grosso, Costituzione della S.p.A., in Società per azioni. Costituzione e finanziamento, a cura di Cottino, Sarale, Torino, 2013; Nazzicone, Denominazione sociale della srl unipersonale, in Soc. 1999, 612; Santini, I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959; Stella Richter jr, Sub artt. 2326-2328, in Costituzione – Conferimenti. Artt. 2325-2345, a cura di Notari, in Commentario alla riforma della società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008. |