Codice Civile art. 2408 - Denunzia al collegio sindacale (1).

Enrico Quaranta

Denunzia al collegio sindacale (1).

[I]. Ogni socio può denunziare i fatti che ritiene censurabili al collegio sindacale, il quale deve tener conto della denunzia nella relazione all'assemblea.

[II]. Se la denunzia è fatta da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale o un cinquantesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il collegio sindacale deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all'assemblea; deve altresì, nelle ipotesi previste dal secondo comma dell'articolo 2406, convocare l'assemblea. Lo statuto può prevedere per la denunzia percentuali minori di partecipazione.

(1) V. nota al Capo V.

Inquadramento

Con la riforma del 2003 è stata introdotta una differenza nella soglia di legittimazione prevista per l'attivazione del procedimento di denunzia qualificata al collegio sindacale dei fatti censurabili.

Infatti, mentre è rimasta inalterata la previsione del ventesimo del capitale sociale come quorum necessario all'attivazione dei poteri ex art. 2408 c.c., è stato di contro ridotto il quorum al cinquantesimo del capitale sociale per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in perfetta sintonia con quanto già previsto ex art. 128, comma 1, TUF.

La disposizione in commento non ha ricevuto grande riscontro nella prassi in ragione della sfiducia di operatori e giuristi circa la denuncia inoltrata al collegio sindacale, mentre in genere si ricorre direttamente ad un intervento dell'autorità giudiziaria ex art. 2409 c.c., strumento più incisivo nelle mani del potere giudiziario. Invero la marginalità del contenzioso a riguardo illumina sull'incapacità della minoranza di mettere a fuoco la potenzialità dell'istituto, che comunque rientra negli strumenti di attuazione del controllo interno nelle s.p.a.

Denuncia dei soci

Il primo comma dell'articolo in commento prevede il potere dei singoli soci di denunziare al collegio sindacale fatti che si ritengono censurabili.

Sulla nozione di fatti censurabili si rimanda al commento di cui all'art. 2406 c.c.

Non vi è dubbio che tale denuncia all'organo sindacale si atteggia a diritto della minoranza, dal momento che ogni socio a prescindere dalla sua quota di partecipazione al capitale sociale può ricorrere a tale strumento, finalisticamente diretto ad attivare la funzione di controllo e vigilanza del collegio sindacale.

È stato precisato dalla più attenta dottrina che, a seguito della denuncia, il collegio sindacale non acquista maggiori poteri di indagine o maggiori poteri repressivi sulla condotta degli amministratori rispetto a quelli già riconosciutigli funzionalmente (Tedeschi, 426).

Il collegio sindacale deve tener conto della denunzia dei soci nella relazione annuale che accompagna il bilancio di esercizio.

Il collegio sindacale non ha alcun margine per poter valutare l'attendibilità della denuncia, dovendo porre in essere approfondite e tempestive indagini sui fatti denunciati e presentare all'assemblea le conclusioni della sommaria istruttoria avviata, presentando eventualmente proprie proposte all'assemblea (Trib. Roma 10 febbraio 1987).

In tali casi, non è richiesta la presentazione di una relazione scritta che illustri all'organo assembleare gli esiti della istruttoria, ma è sufficiente che sui fatti censurati i sindaci riferiscano all'organo assembleare oralmente, non essendo prevista dalla norma in commento l'allegazione della relazione al verbale di assemblea (Trib. Vicenza 23 marzo 1999).

La giurisprudenza di legittimità nel riconoscere la rilevanza dei diritti del socio ha chiarito la portata degli stessi, evidenziandone lo strumento d'impulso per consentire all'organo sindacale di svolgere quel ruolo di vigilanza attiva che lo caratterizza, pertanto, i poteri di controllo sulla gestione sociale costituiscono mezzo di attuazione di un diritto attribuito ai soci, ma ciò non toglie che il controllo sulla «gestione sociale» è affidato al collegio sindacale (Cass. n. 22925/2013).

Forma e legittimazione

La norma non prevede alcuna forma particolare per inoltrare la denuncia ai sindaci.

Generalmente i soci scelgono di indirizzare al collegio sindacale una lettera, inviata al suo presidente o ai singoli componenti del collegio.

La mancanza della previsione di una forma peculiare evidenzia quanto al legislatore stia a cuore il contenuto della denuncia piuttosto che la veste formale della stessa, purché non si tratti di mera enunciazione di fatti. Ai sindaci compete accertare il presupposto soggettivo che legittima al ricorso della denuncia.

La denuncia in forma orale o scritta potrebbe essere formulata anche nel corso di un'assemblea, ed allora in tal caso i sindaci sono tenuti a trascriverla sul libro delle proprie adunanze (Cavalli, 121; Franzoni, 580).

La legittimazione è riconosciuta a ciascun socio e la qualità di socio deve sussistere al momento della proposizione della denuncia (Ghezzi, 281; Cavalli, 860; Tedeschi, 423).

Ai fini della norma devono essere conteggiate tutte le azioni, fatta eccezione per quelle di godimento cui non corrisponde una quota di capitale (Ghezzi, 279, Tedeschi, 424 s.).

Nel caso in cui le azioni siano concesse in pegno o usufrutto, salvo che dal titolo risulti diversamente, la legittimazione spetta tanto al socio quanto al creditore pignoratizio o usufruttuario (Franzoni, 579).

Nel caso di sequestro delle azioni, l'unico legittimato non può che essere il custode (Ghezzi, 280).

In caso di azioni in comunione indivisa, la legittimazione compete, ai sensi dell'art. 2347 c.c., al rappresentante comune degli azionisti comproprietari.

Denuncia individuale e denuncia qualificata

La norma prevede conseguenze differenti a seconda che la denuncia sia presentata da un solo socio o da tanti soci che raggiungono una determinata aliquota del capitale sociale.

Nel caso in cui la denuncia provenga da un solo socio o da tanti soci che non raggiungono l'aliquota di cui al comma 2 della norma in esame, il collegio sindacale può attivare le indagini del caso, avendo come unico obbligo quello di tenerne conto nella relazione annuale che accompagna il bilancio.

Diversamente, se la denuncia proviene da tanti soci che raggiungono il ventesimo del capitale sociale o un cinquantesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, l'organo sindacale è tenuto ad indagare senza ritardo, attivandosi prontamente sui fatti censurati e presentare le proprie proposte e conclusioni all'assemblea. Inoltre, nei casi in cui i fatti censurabili sono di rilevante gravità e vi è urgenza di provvedere, i sindaci devono convocare l'assemblea.

Più in particolare, allorché la denunzia provenga da una minoranza qualificata la condotta che il collegio sindacale deve adottare viene indicata in forma più dettagliata dal legislatore, che impone all'organo di controllo di «indagare senza ritardo sui fatti denunciati» e poi di «presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all'assemblea».

Quindi, a fronte di una denuncia proveniente dalla minoranza qualificata (a differenza di quanto accade nel caso disciplinato dall'art. 2408, comma 1, c.c.):

— il collegio sindacale non può omettere di dar luogo ad un'indagine specifica sui fatti denunciati;

— tale indagine deve essere effettuata senza differimenti;

— all'esito dell'indagine, l'organo di controllo deve formulare le proprie conclusioni su detti fatti e, evidentemente ove li ritengano sussistenti, anche proposte sui rimedi e/o sulle reazioni da adottare.

Si tratta, evidentemente, di presidi minimi a tutela dei diritti della minoranza qualificata, la quale è legittimata ad esigere che il collegio sindacale ponga in essere le condotte descritte con le modalità indicate dalla norma.

Ad ogni modo, l'art. 2408, comma 2, c.c., contempla l'eventualità che il collegio sindacale accerti la fondatezza della denuncia e che l'indagine faccia emergere fatti che integrino i presupposti di cui all'art. 2406, comma 2, c.c., cioè il compimento, da parte dell'organo gestorio, di «fatti censurabili di rilevante gravità», in una situazione in cui «vi sia urgente necessità di provvedere».

Tale formulazione costituisce effetto della riforma del 2003, che ha modificato il comma, eliminando dall'interno di essa una fattispecie autonoma di accertamento di “irregolarità” gestoria ed inserendo un richiamo alla previsione dell'art. 2406, comma 2, c.c.

Nel sistema previgente, invece, era lo stesso art. 2408, comma 2, c.c. a fissare i presupposti per la convocazione immediata dell'assemblea, ancorandoli all'avvenuto accertamento della «fondatezza» della denunzia, in una situazione in cui vi fosse «urgente necessità di provvedere».

Nell'attuale stesura, fermo il presupposto dell'urgente necessità di provvedere, l'iniziativa di convocazione dell'assemblea si riconnette alla «rilevante gravità» dei fatti censurabili.

Ciò che vale a dire che, ai fini di ritenere legittimato il collegio alla convocazione dell'assemblea, non sia più sufficiente accertare la fondatezza della denuncia, ma sia necessario altresì che i fatti censurabili siano risultati accertati e che essi abbiano i requisiti appunto della rilevante gravità.

Il contenuto della denuncia può essere il più svariato, potendo ricomprendere anche la semplice opportunità economica di certi atti o la stessa inosservanza delle regole della tecnica, e ciò in ragione della nozione di «fatti censurabili», che fa riferimento ad una fattispecie più ampia ed articolata rispetto alle «gravi irregolarità» nell'adempimento dei doveri di amministratori e sindaci che giustificano il ricorso allo strumento di cui all'art. 2409 c.c. (Cavalli, 122).

Convocazione dell'assemblea

Una lettura sistematica della norma in commento con l'art. 2406 c.c. evidenzia che non ogni volta che viene presentata una denuncia l'organo sindacale deve convocare l'organo assembleare. Invero, la convocazione dell'assemblea diviene un passaggio obbligato, soltanto laddove i fatti censurabili siano di rilevante gravità e vi sia l'urgenza di provvedere, che in qualche modo qualifica la necessità dell'intervento assembleare.

Secondo la giurisprudenza l'urgente necessità di provvedere giustifica la tempestiva convocazione dell'assemblea da parte dei sindaci, che in quella sede possono valutare anche di avanzare la proposta di revoca degli amministratori (Trib. Roma, 17 marzo 2003), decisione che in caso di estrema gravità dei fatti non può essere ritardata se non a danno dell'integrità del patrimonio sociale.

In tali casi, la mancata convocazione dell'assemblea certifica il venir meno dell'organo sindacale al suo ruolo sostitutivo, per cui i componenti del collegio sindacale incorrono oltre che in responsabilità civile (App. Milano, 27 febbraio 1992; App. Milano 10 giugno 1991), anche in sanzioni penali.

Comunque l'omissione dei sindaci rispetto agli obblighi su di loro incombenti non inficia la validità delle delibere assembleari eventualmente adottate (Trib. Milano 29 ottobre 1984).

Invero, anche la mancata menzione nella relazione di accompagnamento al bilancio può essere fonte di responsabilità per i sindaci ai sensi dell'art. 2407 (App. Milano, 27 febbraio 1992; App. Milano 10 giugno 1991).

In ordine alle proposte che possono essere avanzate dall'organo sindacale, comunque tale potere non può esondare e sconfinare nella competenza gestionale esclusiva che spetta all'organo amministrativo.

La dottrina ha enucleato alcune possibili proposte che possono formulare i sindaci in sede assembleare, tra cui quella di nominare una commissione per lo svolgimento di un'inchiesta più articolata ed approfondita, quella di revocare gli amministratori dalla carica o di proporre nei loro confronti l'azione di responsabilità oppure quella di porre in liquidazione la società (Tedeschi, 429).

Nel caso in cui la denuncia dovesse risultare infondata, non sorge evidentemente alcun obbligo di convocare l'assemblea (Alessi, 132).

Laddove invece la denuncia dovesse risultare fondata, occorre distinguere se trattasi di fatti censurabili sanabili o meno. Invero, nel primo caso, i sindaci sono tenuti a responsabilizzare gli amministratori affinché provvedano per rimediare in qualche modo, poi riferendo all'assemblea le iniziative assunte. In caso di fatti non sanabili, nei casi di inerzia o deresponsabilizzazione degli amministratori, si procederà alla convocazione dell'assemblea, sempreché ricorrano i presupposti di cui all'art. 2406 c.c.; in mancanza di tali presupposti, ai sindaci spetterà riferire sugli stessi in occasione della prossima assemblea.

L'omessa convocazione dell'assemblea, quando la stessa sia obbligatoria per l'esercizio dei poteri di vigilanza tipici dell'organo sindacale, può assumere rilievo anche ai fini dell'applicazione della sanzione amministrativa di cui all'art. 2631 c.c.

Qualora l'assemblea convocata dai sindaci non adotti alcun tipo di provvedimento si legittima l'organo sindacale ad attivarsi in chiave sostitutiva e nei limiti dei poteri di vigilanza attiva che gli sono consoni. A quel punto si potrà ricorrere alla denuncia ex art. 2409 c.c. oppure a deliberare l'azione di responsabilità contro gli amministratori ai sensi dell'art. 2393, comma 3, c.c.

Società quotate

Prima della riforma del 2004, per le società quotate la legittimazione a presentare denuncia era condizionata al fatto che i soci rappresentassero almeno il due per cento del capitale sociale, pur consentendosi agli statuti di abbassare la soglia.

Tale previsione escludeva quindi il diritto di denuncia per ciascun socio, ritenendo che tale strumento potesse diventare oggetto di abuso da parte di singoli soggetti intenzionati soltanto a disturbare con la presentazione di denunce infondate e pretestuose (Fierro, 1060).

In dottrina si è sostenuto che tale scelta si spiegava alla luce della volontà del legislatore di venire incontro agli interessi degli investitori istituzionali piuttosto che a quelli dei piccoli azionisti (Gambino, 142).

Dopo la riforma del 2004 (d.lgs. 6 febbraio 2004 n. 37), il singolo socio è legittimato a denunciare i fatti censurabili non solo al collegio sindacale, ma può farlo anche alla Consob (cfr. art. 152, comma 2, TUF) ed al P.M.

Peraltro, nelle società quotate la denuncia di fatti censurabili proposta al collegio sindacale può provenire anche dalla società di revisione, che ne deve dare comunicazione a loro volta alla Consob (Franzoni, 578), come dispone l'art. 155, comma 2, TUF.

Tra le questioni dibattute, si discute ancora sulla incongruenza che connota la posizione degli azionisti di risparmio. Infatti sia prima della riforma che attualmente gli azionisti di risparmio sono stati espressamente esclusi dal novero dei soggetti legittimati a proporre la denuncia di cui all'art. 2408, comma 2, c.c., sebbene l'art. 145 TUF preveda il potere di promuovere la denuncia al collegio sindacale ex art. 2408, comma, 1 c.c.

Bibliografia

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