Codice Civile art. 2347 - Indivisibilità delle azioni (1).

Gianluca Scarchillo

Indivisibilità delle azioni (1).

[I]. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106.

[II]. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti.

[III]. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo recitava: «[I]. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune. [II]. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. [III]. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti».

Inquadramento

L'articolo ora in commento delimita in via diretta l'aspetto ontologico dell'azione, quale unità minima di partecipazione al capitale sociale. Viene quindi reso inderogabile il principio di diritto per cui, stante l'autonomia di ogni titolo azionario, è fatto espresso divieto di frazionare o attribuire diritti diversi alle azioni, salvo i casi disciplinati in tema di categorie di azioni previste dall'art. 2348 c.c.

Inoltre, in virtù del fascio di diritti che il titolo azionario attribuisce al socio, la norma di cui in parola sancisce l'ulteriore divieto di scindere le situazioni giuridiche che competono al socio in virtù del titolo dallo stesso detenuto, e, pertanto, non sono ammesse le attribuzioni delle suddette situazioni a soggetti diversi dal titolare, come ad esempio il diritto di voto, che non può essere riconosciuto se non in capo al titolare della partecipazione.

Detto assunto non è esente da alcune importanti eccezioni, previste dallo stesso legislatore. Infatti, è data possibilità al titolare della partecipazione di trasferire autonomamente alcuni diritti patrimoniali (diritto all'opzione, diritto agli utili). Ulteriore eccezione è data dal caso in cui l'azione venga concessa in pegno o nel caso in cui sulla stessa sia costituito un diritto di usufrutto. Di contro, non rappresenta una eccezione al principio sopra esposto la possibilità che il titolare partecipi alla vita sociale a mezzo di un rappresentante.

L'art. 2347 c.c. regolamenta, altresì, la fattispecie di contitolarità di un'azione o anche di un c.d. pacchetto azionario, casi in cui l'espressione della volontà deve essere unitaria, ragion per cui viene richiamata la disciplina della nomina del rappresentante comune, che deve seguire la disciplina degli artt. 1105 e 1106 c.c., incardinata sulla maggioranza dei contitolari e sul numero di partecipazioni da ciascuno detenute. In caso contrario, è previsto che il contitolare possa ricorrere all'autorità giudiziaria, la quale adotterà la decisione in merito a tale provvedimento con le forme del procedimento camerale.

A diverse conclusioni, invece, deve giungersi in ipotesi di revoca del rappresentante comune degli azionisti. Secondo la giurisprudenza di merito (Trib.  Brescia, decr.l 15/07/2020), difatti, qualora non sia raggiunta una maggioranza, non potrebbe trovare applicazione la disciplina codicistica sulla comunione. L’art. 1105 c.c., invero, sarebbe deputato a disciplinare il solo caso in cui l’amministrazione della cosa comune non sia possibile e non anche quello, diverso, in cui l’amministratore già nominato non abbia più la fiducia dei comunisti. Si evidenzia, altresì, come l’art. 2347 c.c. richiami il disposto di cui agli artt. 1105 e 1106 c.c. solo con riguardo alla nomina, e non anche alla revoca, del rappresentante comune, da ciò deducendosi che, in assenza di una specifica norma che autorizzi l’adozione della revoca mediante procedimento camerale – come previsto per il condominio di edifici –, la decisione circa tale provvedimento deve avvenire con le forme del procedimento contenzioso ordinario, con l’applicazione delle norme sul mandato.

In ipotesi di contitolarità di un’azione o di un  pacchetto azionario, , competono esclusivamente al rappresentante comune il diritto di voto e di impugnativa delle delibere.

 L'applicazione della norma sulla nomina di un rappresentante comune in caso di comproprietà di uno o più titoli azionari è una novità introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003, dettata al fine di dirimere i contrasti sorti nella prassi, nonostante la dottrina prevalente (Angelici, 19 ss.) si fosse già in precedenza espressa in maniera conforme alla posizione poi chiarita con il d.lgs. n. 6/2003.

Non contrasta con il principio di indivisibilità delle partecipazioni il c.d. frazionamento delle azioni, che consiste in una modifica dell'atto costitutivo, a mezzo della quale alle azioni preesistenti viene diminuito il valore nominale, così creando più azioni di minor valore, in luogo delle azioni originarie; detta operazione è specularmente opposta al c.d. raggruppamento di azioni.

Regime giuridico. La disciplina del rappresentante comune

È tutt'ora discusso, in relazione alla figura del rappresentante comune, se tra i diritti che devono essere esercitati dallo stesso si possano ricomprendere anche i negozi dispositivi, come ad esempio l'esercizio del diritto di opzione, oppure se a tal fine sia necessario il conferimento di una procura.

La dottrina prevalente (Genghini), poggiando il proprio ragionamento sul dato letterale, ritiene che il rappresentante comune possa liberamente esercitare tutti i diritti inerenti alle azioni, di natura sia amministrativa, sia patrimoniale, sino a quelli a c.d. contenuto complesso, e quindi allo stesso tempo amministrativi e patrimoniali.

Sul punto, altra dottrina minoritaria, in via restrittiva, esclude la sopra citata possibilità, affermando che per l'esercizio dell'opzione il rappresentante comune dovrebbe munirsi di specifica autorizzazione del socio.

La dottrina prevalente (Campobasso) ha sancito il principio di inscindibilità, per il quale i singoli diritti ed obblighi pertinenti all'azione non possono essere attribuiti a soggetti diversi. Il titolare della azione, quindi, deve essere, altresì, titolare di tutti i diritti e gli obblighi relativi (es. non può attribuirsi il diritto di voto a un soggetto e il diritto agli utili ad un altro soggetto); ciò sul presupposto che tale principio di fonderebbe sull'esigenza dogmatica di evitare una turbativa circa l'equilibrio sorgente tra rischio imprenditoriale e controllo sociale. In tal maniera, è agevole evitare che la titolarità della partecipazione si attribuisca a un soggetto diverso da quello sottoposto al rischio patrimoniale connaturato nell'attività di impresa.

La formulazione contenuta nell'art. 2347 c.c. lascia irrisolta l'annosa questione circa la sua derogabilità con l'accordo di tutti i comproprietari: ci si è chiesto se i diritti sociali possano essere esercitati anche congiuntamente dai comproprietari in concorrenza con il rappresentante comune o in caso di mancata nomina dello stesso.

La giurisprudenza sul punto aveva affermato che i comproprietari di un'azione o di una quota di società a responsabilità limitata non sono tenuti a designare il rappresentante comune per agire in giudizio contro la società, ma sono legittimati ad agire direttamente contro la medesima.

Come nel caso di azioni di s.p.a. in comunione, possono essere esercitati direttamente dai soci, e non necessariamente dal rappresentante comune, tutti i diritti derivanti dalla partecipazione sociale la realizzazione dei quali non presuppone una determinazione di volontà unitaria (Cass. n. 2825/1976).

In questa direzione si segnala la giurisprudenza più recente (Trib. Milano Sez. spec. Impresa, 28 maggio 2021, n. 4637) che in un caso di comproprietà della partecipazione sociale, ha riconosciuto la legittimazione a proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione non a ciascun comproprietario, ma al rappresentante comune.

Detto principio, però, è poi stato ridimensionato dagli stessi Giudici di Piazza Cavour, i quali hanno sancito che in caso di comproprietà di partecipazioni azionarie, l'impugnazione di una deliberazione assembleare può essere proposta esclusivamente dal rappresentante comune e non dal singolo comproprietario, carente del potere d'impugnare così come quello di esercitare il diritto d'inventario e di voto in assemblea (Cass. n. 15962/2007).

È da segnalare, inoltre, come, in tema di imposta sulle donazioni, la giurisprudenza di legittimità si sia di recente pronunciata circa l'operatività dell'esenzione prevista dall'art. 3, comma 4- ter , d.lgs. n. 346 del 1990 per i patti di famiglia aventi ad oggetto il trasferimento di partecipazioni sociali a favore dei discendentiDifatti, la Suprema Corte di Cassazione (Cass.  n. 7429/2021; Cass. n. 6591/2021) ha chiarito che, nel caso di trasferimento a più discendenti in comproprietà, il beneficio debba essere riconosciuto, a condizione che i diritti dei comproprietari vengano esercitati da un rappresentante comune che disponga della maggioranza dei voti esercitabile nell'assemblea ordinaria, essendo così realizzato l'effettivo passaggio generazionale dell'impresa mediante il totale trasferimento del controllo di diritto dai disponenti ai discendenti (Vanacore, 9).

Disciplina del raggruppamento delle azioni

Il raggruppamento delle azioni è il procedimento attraverso il quale si creano azioni di valore nominale maggiore, e quindi a mezzo del quale si crea una partecipazione a fronte di più partecipazioni originarie. L'operazione in parola può portare alla formazione di resti e ciò, infatti, accade nel caso in cui un socio non sia in grado di convertire in nuove azioni quelle precedentemente possedute; nonostante questo, l'operazione è ritenuta valida dalla dottrina unanime, a meno che non sia il frutto di un abuso della maggioranza, posto in essere al solo fine di ledere la posizione dei soci di minoranza.

Quest'ultima fattispecie renderebbe di fatto la delibera annullabile, come acutamente osservato da parte della dottrina (Campobasso).

È d'uopo rilevare che detta operazione di raggruppamento, secondo una parte minoritaria e più restrittiva della dottrina, sarebbe ammissibile solo in conseguenza e dipendenza di un'altra operazione societaria, come ad esempio una fusione, e quindi solo nel caso in cui il raggruppamento possa rappresentare l'ausilio tecnico utilizzabile per raggiungere il risultato perseguito dalla società.

Altra decisione (Trib. Milano 8/11/2012, in Notariato, 2014, 422, n. MANZO) afferma che le operazioni, e relative deliberazioni assembleari, di raggruppamento di azioni, risolvendosi nella soggezione di un socio all'altrui potere di determinare la stessa cessazione del rapporto sociale (così come nel caso di riscattabilità dell'azione), non sono introducibili senza il consenso del socio «forzabile» o «riscattabile», non apparendo tale materia disponibile a maggioranza: infatti, si ritiene (Trib. Milano 13 novembre 2012, in Giur. it., 2013, 2278, in tema di omologazione) che non è legittima la deliberazione assembleare, assunta a maggioranza, che dispone il raggruppamento delle azioni con modalità tali da assoggettare il socio che non vi abbia acconsentito e che non sia in grado di procurarsi un quantitativo frazionario di ulteriori titoli sufficienti a raggiungere il minimo o un multiplo del minimo, al rischio di essere escluso dalla società.

Il principio secondo cui l'assemblea è tenuta a deliberare la riduzione del capitale per perdite in proporzione delle perdite accertate, è suscettibile di una limitata deroga nel caso in cui, occorrendo anche procedere al raggruppamento e al frazionamento di azioni, l'applicazione rigorosa della regola di riduzione del capitale in proporzione alle perdite farebbe emergere resti non suscettibili di attribuzione (Cass. n.  23269/2005).

Bibliografia

Aa. Vv., Commentario breve al codice civile, a cura di Cian, Trabucchi, Padova, 2011; Aa.Vv. Le società di capitali e le cooperative, a cura di Genghini, Milano-Padova, 2015; Angelici, Le azioni, in Commentario del codice civile, diretto da Schlesinger, Milano, 1992; Campobasso, Diritto Commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2009; Consiglio Notarile di Milano, Massime Notarili in materia societaria, Milano, 2015; Vanacore, Patto di famiglia, in IlSocietario.it, 2021.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario