Codice Civile art. 2359 bis - Acquisto di azioni o quote da parte di società controllate (1).

Gianluca Scarchillo

Acquisto di azioni o quote da parte di società controllate (1).

[I]. La società controllata non può acquistare azioni o quote della società controllante se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate.

[II]. L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea a norma del secondo comma dell'articolo 2357.

[III]. In nessun caso il valore nominale delle azioni acquistate a norma dei commi primo e secondo può eccedere la quinta parte del capitale della società controllante qualora questa sia una società che faccia ricorso al mercato del capitale di rischio, tenendosi conto a tal fine delle azioni possedute dalla medesima società controllante o dalle società da essa controllate (2).

[IV]. Una riserva indisponibile, pari all'importo delle azioni o quote della società controllante iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni o quote non siano trasferite.

[V]. La società controllata da altra società non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee di questa.

[VI]. Le disposizioni di questo articolo si applicano anche agli acquisti fatti per il tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6.

(2) Comma sostituito dall'art. 1, d.lg. 29 novembre 2010, n. 224. Il testo precedente recitava: «In nessun caso il valore nominale delle azioni o quote acquistate a norma dei commi precedenti può eccedere la decima parte del capitale della società controllante, tenendosi conto a tal fine delle azioni o quote possedute dalla medesima società controllante e dalle società da essa controllate.»

Inquadramento

L'esigenza di garantire l'integrità del capitale sociale ed, al tempo stesso, di evitare gli effetti distorsivi di ordine funzionale e l'alterazione della dialettica interna tra gli organi della società, conseguenti agli incroci di partecipazioni azionarie, è assicurata dagli artt. 2359-bis e 2359-quinquies c.c., nonché dall'art. 2357, comma 3, c.c. Tali norme, vietando la sottoscrizione ed imponendo limiti all'acquisto di azioni o quote della società controllante da parte della società controllata, mostrano l'intenzione del legislatore di considerare le operazioni della controllata sulle azioni della controllante come operazioni di quest'ultima sulle proprie azioni, quale conseguenza dell'influenza dominante che la seconda è in grado di esercitare sulla prima. Ne deriva che, analogamente a quanto accade nell'ipotesi di acquisto di azioni proprie, nei casi in cui l'acquisto di partecipazioni della controllante è consentito alla controllata, viene impedito che gli amministratori della prima, attraverso l'influenza esercitata sulla seconda, possano disporre dei voti alla stessa spettanti, condizionando, così, per il suo tramite, la formazione della volontà dell'assemblea della controllante. Siffatto obiettivo risulta perseguito dagli artt. 2359-bis e 2372 c.c., che escludendo l'esercizio del diritto di voto e del potere di rappresentanza da parte della controllata nell'assemblea della controllante, mirano a tutelare in via esclusiva il corretto funzionamento del modello istituzionale ed a garantire il rispetto della ripartizione di ruoli e competenze tra gli organi.

Ambito di applicazione.

La ratio del legislatore sottesa alla norma di cui all'art. 2359-bis risponde alla funzione di equiparare alla disciplina dell'acquisto di azioni proprie quello effettuato tramite società controllata. Si vuole sostanzialmente evitare che attraverso le partecipazioni incrociate vengano annacquati i capitali nominali delle società dall'altro imprdire agli amministratori della controllante di acquisire un potere perosnale, tramite società controllate

La scelta del legislatore è stata di mantenere formalmente separata la disciplina delle partecipazioni reciproche tra controllata e controllante da quella generale delle azioni proprie. Si vuole da un lato evitare che attraverso le partecipazioni incrociate vengano annacquati i capitali nominali delle società, dall'altro impedire agli amministratori della controllante di acquisire posizioni di potere personale, tramite società controllate, assumendo in definitiva il controllo di se stessi. Con le partecipazioni reciproche, e dunque nei casi di controllo interno, il patrimonio di ciascuna partecipante è investito in se stesso, e dunque rappresentato da «carta», in misura pari al prodotto delle percentuali di patrimonio netto dell'una investite nell'altra, mentre l'annacquamento del patrimonio di ciascuna è pari ad una frazione avente al numeratore il prodotto dei valori di bilancio delle due partecipazioni e al denominatore il prodotto dei due patrimoni netti di bilancio

L'autorizzazione assembleare.

Nelle s.p.a. l'autorizzazione è di competenza dell'assemblea ordinaria; l'acquisto è tuttavia un atto dell'organo amministrativo, al quale spetta ogni valutazione di legittimità e di opportunità economica, e sul quale grava ogni responsabilità.

La competenza a deliberare l'autorizzazione all'acquisto è dell'assemblea della controllata, nonostante in questa vi sia l'influenza dominante dell'organo amministrativo della controllante. Poiché la scelta è frutto di un formale ossequio al principio della distinta soggettività giuridica delle società, si è proposto di richiedere la duplice autorizzazione assembleare, della controllata e della controllante ma si tratta di un'interpretazione che, pur essendo adeguata alla ratio della normativa comunitaria di riferimento, sconta la mancanza di un supporto testuale.

Per chi ritiene ammissibile il controllo congiunto, il limite del venti per cento pertiene il capitale di ciascuna controllante autonomamente dalle altre, non dovendosi conteggiare le azioni di altra controllante congiunta possedute dalla stessa controllata, dal momento che nessun annacquamento del capitale della singola controllante congiunta può derivare dal contemporaneo possesso di proprie azioni e di azioni di altra controllante da parte della medesima controllata congiunta. La sospensione del voto prevista per l'organo amministrativo della società controllata ha identica ratio dell'art. 2357-ter; le azioni o quote possedute dalla controllata devono essere computate per la formazione dei quorum assembleari della controllante.

Il voto esercitato malgrado la sospensione è invalido, e produce invalidità della delibera assembleare se determinante.

Utili e riserve.

Per utile distribuibile deve intendersi l'utile netto non soggetto ad alcun vincolo di destinazione, e dunque liberamente ripartibile.

Sono riserve disponibili quelle facoltative costituite senza alcuna destinazione specifica e gli utili non distribuiti riportati a nuovo; non è tale la riserva da sopraprezzo sino a quando la riserva legale non abbia raggiunto il limite dell'art. 2430, né quella dei saldi attivi da rivalutazione, tranne che non sia stata ridotta e trasformata in riserva facoltativa.

Per l'utilizzo di riserve statutarie non distribuibili è necessaria la preventiva modifica della loro destinazione, con deliberazione dell'assemblea straordinaria.

Occorrono poi i requisiti della regolare approvazione del bilancio, e che le riserve o gli utili siano realmente esistenti. L'obbligo di iscrivere a bilancio una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni o quote acquistate iscritto all'attivo, e di mantenere tale iscrizione fino al trasferimento delle partecipazioni, ha identica ratio dell'art. 2357-ter ma si tratta di previsione normativa da un lato insufficiente, perché imposta alla sola controllata, dall'altro eccessiva, perché l'importo quasi mai corrisponde all'effettivo annacquamento del capitale, che normalmente è minore.

Alla violazione della disposizione in commento, cui si accompagni una lesione all'integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, l'art. 2628 ricollega la sanzione penale della reclusione fino ad un anno; trattandosi di reato proprio, punisce gli amministratori della società controllata, mentre gli amministratori della controllante potranno rispondere solo a titolo di concorso.

Per le società quotate, l'art. 132 TUF impone il rispetto del principio di parità di trattamento negli acquisti di azioni quotate effettuati ai sensi dell'art. 2359-bis da parte di una società controllata, in coerenza alla regola generale sancita nell'art. 92 TUF.

Il limite della quinta parte del capitale.

In questi ultimi anni si è peraltro assistito in molti Stati membri a un'evoluzione normativa caratterizzata dall'allentamento dei più rigorosi vincoli all'acquisto di azioni proprie originariamente previsti in alcuni ordinamenti nazionali (come ad esempio quello francese e tedesco) e da uno speculare ampliamento dei poteri degli amministratori di disporre delle azioni in portafoglio: esemplari, in quest'ultima direzione, appaiono le nuove regole sulle treasury stocks introdotte nel 2003 in Inghilterra (secc. 162A-162G del Companies Act del 1985) e l'espressa legittimazione del c.d. trading di azioni proprie operata dalla coeva riforma italiana (e v. infatti l'art. 2357-ter, comma 1, secondo periodo, c.c.).

Se tale linea di tendenza è peraltro rimasta (doverosamente) costretta entro i margini angusti derivanti dalla Seconda Direttiva, le strette maglie della legislazione comunitaria sono state oggetto di un ripensamento a livello europeo. Le varie proposte avanzate al riguardo dal Rapporto SLIM, dal Gruppo di alto livello di esperti di diritto societario e dal ricordato Piano di azione della Commissione del maggio 2003 convergevano infatti nel raccomandare il superamento del limite del decimo del capitale sociale e l'estensione della durata della autorizzazione assembleare da diciotto mesi a cinque anni (in conformità a quanto previsto per la delega all'aumento di capitale). Entrambe le indicazioni sono state recepite dalla Direttiva 2006/68, che ha proceduto ad una completa riscrittura del primo paragrafo dell'art. 19 della Seconda Direttiva.

Con riferimento all'istituto delle azioni proprie il legislatore italiano si è peraltro rivelato più cauto nel recepimento delle opportunità offerte dalla nuova norma comunitaria. Tale impostazione restrittiva emergeva già dalla legge delega, che circoscriveva entrambe le innovazioni alle sole società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (così l'art. 23 della l. 25 febbraio 2008, n. 34). In parziale attuazione di tale criterio direttivo, il d.lgs. n. 142/2008 ha riformulato il terzo comma dell'art. 2357 c.c., che oggi così recita: «Il valore nominale delle azioni acquistate a norma dei commi precedenti dalle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenendosi conto a tal fine anche delle azioni possedute da società controllate». Il legislatore delegato ha invece conservato per tutte le società l'originario limite temporale di validità della autorizzazione assembleare, che dunque non potrà superare i diciotto mesi neppure nelle società «chiuse» (per le quali la legge delega avrebbe invece consentito l'ampliamento sino a cinque anni).

In questo tendenziale self-restraint si iscrive anche il mancato adeguamento delle disposizioni di cui al secondo comma dell'art. 2357-bis c.c. e soprattutto all'art. 2359-bis c.c., che continua a prevedere che «in nessun caso il valore nominale delle azioni o quote di una società controllante acquistate da parte di società controllate può eccedere la decima parte del capitale della società controllante, tenendosi conto a tal fine delle azioni o quote possedute dalla medesima società controllante e dalle società da essa controllate»; con il singolare corollario che le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio potranno acquistare direttamente azioni proprie in misura superiore alla decima parte del capitale sociale, mentre tale limite permane per gli acquisti operati da società controllate. Conclusione, quest'ultima, che risulta alquanto paradossale, e tuttavia obbligata alla luce del tenore letterale delle norme ora richiamate.

A queste immediate perplessità esegetiche si affiancano più delicati dubbi di ordine sistematico, ove si consideri che le società per azioni «chiuse» vengono ora a collocarsi in posizione intermedia all'interno di un singolarissimo «rombo» normativo (ovvero, se riferito ai limiti di legge, una non meno singolare «clessidra normativa») al cui vertice superiore si collocano i perduranti limiti posti per le società per azioni «aperte», mentre al vertice inferiore permane il divieto di acquisto delle proprie quote che la disciplina della società a responsabilità limitata continua a postulare in termini assoluti (a differenza di altri ordinamenti europei, come quello tedesco).

Bibliografia

Abriani, Il capitale sociale dopo la nuova Seconda Direttiva e il d.lgs. 4 agosto 2008 n. 142 sulla esemplificazione della disciplina dei conferimenti in natura dell'acquisto di azioni proprie e del divieto di assistenza finanziaria, in Riv. dir. impr. 2009; Campobasso, Controllo societario e poteri della capogruppo nei gruppi e nei gruppi bancari, in Atti del convegno internazionale di studi sui gruppi di società,Venezia, 1995, 789; Ferri, Profili attuali di diritto societario europeo, in Quaderni romani di diritto commerciale, a cura di G. Ferri jr., M. Stella Richter jr, Milano, 122; Frè, Sbisà, Società per azioni, in Comm. S.B., Bologna - Roma, 1997, 459; Pavone La Rosa, Tipologia dei vincoli di «controllo» e dei «gruppi» societari, in Tr. Colombo-Portale, Torino, 1991, 617; Simonetto, Acquisto di azioni o quote di società controllante e loro regime, in Giur. comm. 1974, 694.

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