Codice Civile art. 2367 - Convocazione su richiesta di soci (1).Convocazione su richiesta di soci (1). [I]. Gli amministratori o il consiglio di gestione devono convocare senza ritardo l'assemblea, quando ne è fatta domanda da tanti soci che rappresentino almeno il ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il decimo del capitale sociale nelle altre o la minore percentuale prevista nello statuto, e nella domanda sono indicati gli argomenti da trattare (2). [II]. Se gli amministratori o il consiglio di gestione, oppure in loro vece i sindaci o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non provvedono, il tribunale, sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell'assemblea, designando la persona che deve presiederla. [III]. La convocazione su richiesta di soci non è ammessa per argomenti sui quali l'assemblea delibera, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. (2) Le parole: «almeno il decimo del capitale sociale» sono state sostituite dalle parole: «almeno il ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il decimo del capitale sociale nelle altre» dall'art. 1, comma 2, del d.lg. 27 gennaio 2010 n. 27. InquadramentoLa convocazione dell'assemblea costituisce per gli amministratori un potere-dovere. In alcuni casi è la legge stessa a farne obbligo, almeno una volta l'anno, per l'approvazione del bilancio di esercizio (artt. 2364, 2364-bis); oppure, al verificarsi di particolari circostanze: per diminuzione del capitale sociale oltre un terzo in conseguenza di perdite (art. 2446, primo comma), per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (art. 2447); per cessazione della maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea (art. 2386, secondo comma), per cessazione di alcuni sindaci, qualora non se ne possa colmare il vuoto ricorrendo ai supplenti (art. 2401, terzo comma). Oltre alle ipotesi di convocazione doverosa, ve ne sono altre in cui il relativo potere, pur facoltativo, deve essere esercitato nell'interesse della società e dei soci e nel rispetto dei canoni di correttezza che devono informare la funzione gestoria. Contro eventuali rifiuti illegittimi, o inerzia, palesati dagli amministratori, la norma attribuisce ad una minoranza qualificata di soci il diritto di chiedere la convocazione dell'assemblea. Al riguardo, la riforma del 2003 ha uniformato la disciplina delle società quotate e di quelle cd. chiuse, mediante abrogazione dell'art. 125 T.U.F., dal testo parzialmente diverso, ad opera dell'art. 9, primo comma, lettera a) del cd. decreto di coordinamento e modifica 6 febbraio 2004 n. 37. Sotto il profilo sostanziale, il nuovo art. 2367 ha emendato la disciplina, mediante riduzione, da un quinto a un decimo del capitale sociale, del quorum necessario per la richiesta di convocazione, ed altresì modificato il procedimento giudiziale e limitato le materie oggetto della sollecitazione dei soci. La prima delle predette innovazioni, agevolativa dell'iniziativa dei soci, è stata vista come un contrappeso al rafforzamento dei poteri degli amministratori operato dalla stessa riforma del 2003 (Dagnino, La convocazione dell'assemblea su iniziativa dei soci nelle s.r.l., in Giur. comm., 2007, 2, 472, 477). Sotto il profilo procedimentale, la novità consiste nell'attribuire la cognizione non più al presidente del tribunale, bensì al tribunale, in composizione collegiale; e nell'obbligo di audizione dei componenti degli organi amministrativi e di controllo, perché motivino il loro rifiuto di convocazione. Anche l'esclusione di taluni argomenti previsti dal terzo comma è in linea con il monopolio della gestione imprenditoriale riservato agli amministratori (art. 2380-bis): cosicché non ne sembra ammissibile una deroga statutaria. Presupposti della richiesta di convocazioneLa richiesta di convocazione dell'assemblea può provenire da una minoranza che rappresenti un decimo del capitale sociale (un quinto, nel testo originario, anteriforma), o un ventesimo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio; o la minor soglia prevista dallo statuto: percentuali, nelle quali non rientrano le azioni di godimento (che non formano il capitale), né le azioni di risparmio (art. 145, sesto comma, T.U.F.), né tanto meno gli strumenti finanziari, anche partecipativi. Il capitale di riferimento è quello degli aventi diritto al voto sugli argomenti da trattare in assemblea. Le parole: «almeno il decimo del capitale sociale» sono state sostituite dalle parole: «almeno il ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il decimo del capitale sociale nelle altre» dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 27/2010 (Attuazione della direttiva 2007/36/CE, relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate). Anche il creditore pignoratizio e l'usufruttuario sono legittimati, ai sensi dell'art. 2352, sesto comma (Trib. Milano 14 gennaio 1997, in Soc., 1997, 1050, con nota di Guffanti). Sulla base del dato testuale sembra che la percentuale richiesta ai fini della legittimazione debba sussistere all'atto della domanda; senza che debba anche permanere fino all'assemblea. L'art. 2631 c.c. irroga una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di omessa convocazione dell'assemblea, se doverosa; anche ai sensi dello statuto. Sulla base di detta norma, si può ritenere che il termine per convocare l'assemblea (“senza ritardo”, come recita, genericamente, il primo comma) possa essere determinato in trenta giorni dalla conoscenza del presupposto che obbliga alla convocazione: analogamente a quanto disponeva l'art. 159 del codice di commercio del 1882, che imponeva agli amministratori l'obbligo di convocare l'assemblea, su sollecitazione della minoranza, nel termine di un mese dalla richiesta. Nella normalità dei casi, i soci faranno ricorso alla richiesta ex art. 2367 ai fini della revoca degli amministratori, o della liquidazione della società. Alla richiesta proveniente dalla quota di capitale legittimata corrisponde un vero e proprio obbligo di provvedere degli amministratori; benché il secondo comma, utilizzando, appunto, il verbo “provvedere” lasci pensare che sia doveroso il solo riscontro formale della richiesta, eventualmente di contenuto negativo; salvo il sindacato del tribunale sul carattere giustificato, o no, del rifiuto di convocazione: come nel caso di richieste ripetitive e pretestuose, strumentalmente proposte per finalità contrastanti con l'interesse della società (Trib. Milano 21 novembre 1994, in Giur. comm., 1995, 2, 586, con nota di Perotto). L'omessa convocazione dell'assemblea – in origine configurata come delitto (art. 2630, secondo comma, n. 2, testo previgente) – è stata depenalizzata dal d.lgs. n. 61/2002 ed è ora punita con una sanzione amministrativa, decorso il termine di giorni trenta dalla richiesta dei soci (art. 2631 c.c.). Sul carattere doveroso o discrezionale della convocazione dell'assemblea da parte degli amministratori (o del consiglio di gestione) ove ne sia fatta domanda da tanti soci che rappresentino almeno 1/10 del capitale sociale (o la minore percentuale prevista nello statuto) si ravvisano opinioni discordi nella giurisprudenza di merito: il Trib. Torino, sez. impr., 2 luglio 2021, nega la natura di atto dovuto, con la conseguenza che gli amministratori possono opporre un rifiuto quando si tratti di una richiesta reiterata, fondata su argomenti già discussi in precedente assemblea. In sede di reclamo, però, la App. Torino, sez. impr., 19 novembre 2021, ha ammesso la convocazione, benché la richiesta sia ripropositiva di ragioni già poste a fondamento di analoga domanda in precedenza, purché vi siano sopravvenienze significative (Soc., 2022, 845, con nota di Bettoni). La pubblicazione sul sito Internet della domanda del socio di convocazione dell'assemblea, per deliberare l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori, in quanto atto legittimo, non è causa di risarcimento del danno per il clamore mediatico della notizia (Trib. Torino 12 giugno 2017, in Foro it., 2017, 1, 3197): statuizione, priva di precedenti specifici, fondata sulle speciali esigenze di trasparenza dell'attività della società per azioni (nel caso in esame, quotata) e di informazione dei mercati finanziari: prevalenti, secondo questa tesi, sulla disciplina in tema di privacy (oltre che sul cd. diritto all'oblio, così da giustificare la permanenza delle notizie iscritte nel registro delle imprese, anche successivamente all'estinzione della società stessa). La convocazione giudizialeIn caso di inerzia da parte degli amministratori, o del consiglio di gestione nel sistema dualistico – o, in via vicariale, dei sindaci (o del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico; o del comitato per il controllo della gestione nel sistema monistico) – il secondo comma della norma consente il ricorso al tribunale: che provvede, sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, al fine di verificare le ragioni, giustificate o no, del rifiuto e, ricorrendone i presupposti, ordina con decreto la convocazione dell'assemblea, designandone il presidente. La riforma ha emendato la rubrica – da convocazione “su richiesta della minoranza” a convocazione “su richiesta dei soci”: in tal modo, avallando implicitamente la tesi che ammette la legittimazione attiva, ai sensi del secondo comma, anche del socio di maggioranza: plausibile, peraltro, nel solo caso di passaggio di mano del pacchetto di controllo, non seguito ancora da un corrispondente rinnovo dell'organo amministrativo. Mentre, non sembra ammissibile la medesima richiesta da parte del singolo amministratore o del singolo sindaco. Quantunque infrequente nella prassi, il vizio di convocazione, disposta in difetto dei requisiti di legge, rende annullabile la successiva delibera assembleare. È il caso, ad es., in cui il collegio sindacale o il tribunale diano seguito ad una richiesta ritualmente avanzata dai soci, ma in realtà già accolta, in precedenza, dagli amministratori (App. Bologna 4 marzo 1995, in Soc., 1995, 806, con nota di Ambrosini). Egualmente, si deve ritenere che l'omessa audizione preventiva degli amministratori e dei sindaci renda annullabile – e non nulla – la deliberazione assunta dall'assemblea giudizialmente convocata, trattandosi di vizio procedimentale. È dubbio se il decreto del tribunale di convocazione – o, specularmente, di rigetto della domanda – avente natura di volontaria giurisdizione, sia reclamabile ex art. 742-bis c.p.c., dinanzi la corte d'appello. Lo disponeva espressamente l'abrogato rito societario, sulla base del combinato disposto degli artt. 27 e 33 d.lgs. n. 5/2003. Prima della riforma, in senso affermativo, App. Palermo 15 ottobre 1998 (in Soc., 1999, 1, 80, con nota contraria di Salafia: che aveva già espresso tale opinione in La volontaria giurisdizione e l'attività giudiziaria sostitutiva nelle società, in Soc., 1997, 749, distinguendo gli interventi dell'autorità giudiziaria nella vita delle società – formalmente accomunati tutti nella cosiddetta volontaria giurisdizione – tra atti di controllo sulla legittimità degli atti societari ed atti in sostituzione di attività che avrebbe dovuto essere svolte dai competenti organi societari); in senso negativo, la prevalente giurisprudenza onoraria: cfr. App. Roma 10 dicembre 2002 (in Soc., 2003, 713, con nota di Casoni); App. Genova 13 dicembre 1999 (in Soc., 2000, 581, con nota di Marvulli), anche sulla base, però, di un argomento venuto meno con la riforma, secondo cui l'ambito di applicazione degli artt. 739 e 742-bis c.p.c. è circoscritto ai provvedimenti emessi dall'organo collegiale, senza possibilità di estensione a quelli adottati dal presidente del tribunale, quale giudice singolo, nell'esercizio della sua esclusiva competenza funzionale. La tesi affermativa è adombrata anche in una remota pronuncia di legittimità; peraltro, recisa nell'escludere il sindacato in sede di legittimità, in quanto il decreto di convocazione dell'assemblea dei soci (all'epoca, emesso dal Presidente del tribunale a norma dell'art. 2367 c.c., testo previgente) e quello emesso in sede di reclamo (dal Presidente della Corte d'appello), non hanno natura decisoria: e pertanto non sono impugnabili con ricorso per Cassazione, né ai sensi dell'art. 111 Cost., né ai sensi dell'art. 360 c.p.c. (Cass. S.U. , n. 91/1971). Casi di esclusione della convocazione giudizialeLa riforma del 2003 ha fortemente limitato la convocazione da parte del tribunale, mediante l'introduzione innovativa del terzo comma, che, di fatto, ha confinato tale possibilità alle ipotesi di nomina e revoca delle cariche sociali e del revisore e alla proposta di scioglimento anticipato della società. Secondo l'interpretazione più restrittiva, è esclusa, invece, la richiesta di convocazione per modifiche statutarie e autorizzazioni di atti di gestione ex art. 2364, primo comma, n. 5.; e, soprattutto, per l'approvazione del bilancio (Trib. Napoli 10 febbraio 2005, in Giur. comm., 2007, 2, 459, con nota di Pozzi). È l'unico esempio di assemblea su ordine del giorno non predisposto dagli amministratori; i quali possono sì integrarlo, ma non snaturarlo. In tesi generale, i soci non possono, infatti, neppure integrare l'ordine del giorno: fatta eccezione per le società quotate, ai sensi dell'art. 126-bis del T.U.F., su richiesta di un quarantesimo del capitale. Può però essere liberamente modificato l'ordine di trattazione degli argomenti, a prescindere dalle modalità di convocazione (Trib. Palermo 18 maggio 2001, in Giur. comm., 2001, 2, 835, con nota di Corradi). Ad ulteriore modifica rispetto al testo normativo originario, è il Tribunale, e non più il suo presidente, a convocare l'assemblea, designando la persona che deve presiederla. La convocazione giudiziale è però revocabile in virtù di circostanze sopravvenute (Trib. Napoli 24 marzo 2001, in Vita not., 2002, 412). La richiesta di convocazione dell'assemblea è atto di per sé legittimo, onde, non è causa di danni all'immagine la sua pubblicazione sul sito Internet di s.p.a. quotata, così come della conseguente delibera, seppure l'ordine del giorno contempli la proposta di azione di responsabilità verso ex amministratori nominativamente indicati (Trib. Torino 12 giugno 2017, in Foro it., 1, 3197). BibliografiaBettoni, Il complesso rapporto tra convocazione dell’assemblea su richiesta dei soci ed interesse sociale nella recente giurisprudenza, in Soc., 2022, 845; Cian, Sub art. 2367, in Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; De Giorgi, Sub art. 2367, in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004; Grippo, L’assemblea nelle società per azioni, in Trattato di diritto privato, Torino, 1985, XVI, 359; Marchetti, Sub art. 2367, in Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008; Monteverde, Del potere di (non) convocare l’assemblea di s.p.a., in Giur. it., 2016, 2187; Pasquariello, Sub art. 2367, in Commentario breve al diritto delle società, Milano, 2017; Perotto, Convocazione di assemblea su richiesta della maggioranza, poteri degli amministratori e abuso del diritto, in Giur. comm., 1995, 2, 589; Serra, Il procedimento assembleare, in Liber amico rum Gian Franco Campobasso, II, Torino, 2007, 37; Tucci, Sub art. 2367, in Commentario del Codice Civile, Torino, 2015. |