Codice Civile art. 2373 - Conflitto d'interessi (1).Conflitto d'interessi (1). [I]. La deliberazione approvata con il voto determinante di coloro (2) che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società è impugnabile a norma dell'articolo 2377 qualora possa recarle danno. [II]. Gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. I componenti del consiglio di gestione non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. (2) L'art. 1, comma 7, del d.lg. 27 gennaio 2010 n. 27, ha sostituito le parole «di soci» con le parole: «di coloro». InquadramentoIn astratto, sono configurabili tre reazioni alternative al conflitto di interessi: il divieto assoluto di agire; il passaggio di mano (majority of minority rule), anche ad organi diversi (assemblea, consiglio di sorveglianza); il sindacato di equità (fairness test). Il testo originario dell'art. 2373, che riproduceva la prima opzione, ha subito due modifiche nel tempo. L'una, con la riforma del 2003, attinente alla disciplina sostanziale, ha eliminato il divieto di voto che era previsto nel primo comma – nella cui vigenza parte della dottrina era favorevole ad attribuire al presidente dell'assemblea il potere di escludere dalla votazione il socio in conflitto di interessi – ed ha pure abrogato il quarto comma, che prevedeva la computabilità, ai fini del quorum costitutivo, delle azioni per le quali non poteva essere esercitato il diritto di voto, tra cui le azioni del socio in conflitto di interesse (la nuova disciplina è confluita nell'art. 2368, terzo comma, che ora espressamente esclude dal quorum deliberativo la quota del socio astenutosi dal voto per conflitto di interessi). La seconda, di carattere solo formale, apportata dall'art. 1 d.lgs. n. 27/2010 (Attuazione della direttiva n. 2007/36/CE, relativa all'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate), ha adottato, in luogo del vocabolo “soci”, la perifrasi “coloro che abbiano un interesse in conflitto con quello della società”. Come si legge nella Relazione allo schema di delega al Governo, la ratio dell'eliminazione del divieto di voto è consistita nel non lasciare alla sola minoranza la decisione su delibere importanti,: come, ad esempio, quella di fusione, in cui spesso un socio può detenere una partecipazione maggioritaria in entrambe le società e se escluso dal voto, determinerebbe un'inversione dei ruoli tra maggioranza e minoranza (Gambino, 1627). Per altro verso, l'art. 2368, terzo comma, prefigura come solo eventuale e volontaria l'astensione del soggetto in conflitto di interessi: implicitamente confermando, in tal modo, la sua legittimazione al voto. Il fenomeno del conflitto d'interessi si avverte in modo accentuato all'interno dei gruppi di società, dando luogo al concorso apparente di norme dell'art. 2373 e dell'art. 2497 c.c. La dichiarazione di voto è un atto negoziale : onde, restano irrilevanti i motivi del voto espresso, salvo che la deliberazione sia preordinata, in violazione del principio di buona fede oggettiva, al solo fine di perseguire esclusivamente interessi contrari a quelli societari (conflitto di interessi), ovvero di ledere gli interessi degli altri soci (abuso di maggioranza: Cass. n. 20625/2020, in Giur. it., 2021, 1391, con nota di Vernero). Annullamento della delibera per conflitto d'interessiLe delibere assunte col voto determinante di soci in regime di conflitto di interessi sono impugnabili, per violazione di legge, ma solo qualora possano arrecare danno alla società, a norma dell'art. 2377 (la locuzione originaria recitava “se, senza il voto dei soci che avrebbero dovuto astenersi dalla votazione, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza”). Nella giurisprudenza più recente, si è ribadito il principio che il conflitto di interessi non priva il socio del potere di intervenire all'assemblea e di esercitare il diritto di voto, demandando solo al successivo sindacato giudiziale la disamina del corretto esercizio di tale potere (Trib. Roma 22 aprile 2018). Particolare rilievo acquista il conflitto di interessi nelle società a partecipazione pubblica. Si è al riguardo statuito che non è la considerazione anche di interessi pubblici e finalità sociali, ai fini della determinazione delle scelte gestionali della partecipata, attraverso il diritto di voto in assemblea esercitato dal socio pubblico di maggioranza, a trasformare in abusiva l'attività deliberativa di quest'ultimo; quanto, piuttosto, il superamento del limite oggettivo oltre il quale la prevalenza attribuita a determinati interessi estranei, pubblici, o a fini sociali, risulti incompatibile con l'adozione di scelte imprenditoriali rispondenti ai criteri di corretta gestione aziendale e societaria, e dunque in contrasto con l'interesse sociale della partecipata eterodiretta (Cass. III, n. 15276/2021, in Giur. it., 2022, 1, 887, con nota di Petritaj). Nella casistica giurisprudenziale degli ultimi anni si rinviene il principio che la situazione di conflitto rilevante ai fini dell'art. 2373 c.c. in una delibera di scioglimento anticipato della società deve essere valutata con riferimento, non già a confliggenti interessi dei soci, bensì ad un eventuale contrasto tra l'interesse sociale e quello del singolo socio. Nel primo, non è ricompreso, peraltro, l'interesse della società alla prosecuzione della propria attività, giacché la stessa disciplina legale del fenomeno societario consente che la maggioranza dei soci ponga fine all'impresa comune, senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione (Cass. I, n. 20625/2020). In tema di procedure concorsuali, si è rilevato come manchi una norma generale, come l'art. 2733 c.c., sul conflitto di interessi: in particolare, nel concordato fallimentare, l'art. 127, commi 5 e 6, legge fallimentare prevede solo alcune ipotesi di esclusione del voto, dettate dall'esigenza di neutralizzare un conflitto in atto tra l'interesse comune della massa e quello del singolo. Sulla proposta di concordato fallimentare, si è peraltro ritenuta estensibile, per identità di ratio, l'esclusione dal voto, di società che controllano la società proponente, o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo (Cass. S.U., n. 17186/2018, in Giur. comm., 2019, 2, 312, con nota di D'Attorre; in Banca borsa tit. cred., 2019, 2, 109, con nota di Nuzzo; in Giur. it., 2018, con nota di Spiotta). Il richiamo espresso all'art. 2377 importa l'applicazione dei requisiti soggettivi della tutela reale ivi previsti al terzo comma, e cioè una soglia di legittimazione, pari all'uno per mille del capitale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ed al 5% nelle cd. società chiuse; salvo previsione statutaria di una sua riduzione o esclusione. Ai sensi dell'art. 2377, quarto comma, i soci sotto soglia hanno diritto a chiedere il ristoro del danno, e la legittimazione passiva spetta alla società: con la conseguenza che anche essi subirebbero, pro quota, gli effetti depauperativi del patrimonio sociale dipendenti dall'eventuale risarcimento; salvo ammettere la rivalsa della società verso il socio in conflitto di interessi, autore del danno. Si riproporrebbe, in questa sede, il problema se il socio titolare di una quota del capitale idonea a consentirgli la tutela reale possa cumulare le due domande di annullamento e risarcimento, oppure optare per il solo risarcimento. Se invece si ritenesse risarcibile, in tesi generale, solo il danno diretto al socio (all'infuori della fattispecie di cui all'art. 2497), sembrerebbe da escludere che la società, vittima del danno da delibera illegittima, debba pure risarcirne i riflessi pregiudizievoli sulla partecipazione del socio. Anche sulla scorta di riferimenti comparativi all'ordinamento tedesco, l'art. 2373 si è prestato ad interpretazioni estensive, tradottesi nella ritenuta invalidità del voto finalizzato a perseguire interessi estranei alla causa del contratto di società: in particolare, se espressione di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione di diritti, corporativi o patrimoniali, dei soci di minoranza. Terreno elettivo di tale interpretazione è stata la delibera di aumento del capitale, allorché si risolva in una tecnica per diluire la misura della partecipazione dei soci di minoranza, fino ad escluderli del tutto, ove questi ultimi non siano in grado di sottoscrivere un aumento di capitale, non giustificato, in realtà, da alcun concreto interesse della società, o a fortiori, deliberato per coprire perdite fittizie risultanti da un bilancio falso. In questo modo, l'abuso di maggioranza, non disciplinato espressamente quale vizio invalidante la delibera, ha trovato applicazione pratica, nella meno recente dottrina, proprio sulla base dell'istituto del conflitto di interessi; anche se la giurisprudenza ha ravvisato i limiti di questa impostazione ed è pervenuta all'annullamento valorizzando, piuttosto, il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (art. 1375), ritenuto applicabile anche ai rapporti associativi (Cass. I, n. 11152/1995). La ravvisabilità dell'interesse sociale all'adozione della delibera di aumento del capitale esclude in radice la configurabilità dell'abuso di potere dei soci di maggioranza: fermo restando il solo sindacato di legittimità sull'esercizio del potere discrezionale della maggioranza, sulla base di indizi sintomatici della violazione della buona fede, senza riguardo al profilo dell'opportunità delle scelte di gestione (Trib. Milano 31 gennaio 2022, in Giur.it., 2022, 1898, con nota di Spolidoro). Benché ormai il principio possa dirsi consolidato, il richiamo all'art. 1375, quale fondamento di un'azione di annullamento, appare alquanto dubbio, trattandosi di una regola di comportamento e non di validità. Inoltre, se il diritto di voto fosse da ritenere davvero collegato all'interesse sociale, diventerebbe un diritto-funzione. Dopo la scomparsa del principio generale della sospensione del diritto di voto del socio in conflitto di interessi, ciò che conta è il pregiudizio arrecato alla società; in mancanza del quale si deve escludere l'annullabilità di una delibera assunta con il voto, pur determinante, del soggetto portatore di un interesse extrasociale. Su questa base è stata ritenuta invalida una clausola statutaria riproduttiva, in sostanza, del testo normativo previgente, mediante previsione della sospensione del diritto di voto per il socio che esercitasse attività concorrente con quella sociale (App. Perugia 31 gennaio 2013, in Riv. not., 2, 1213). Il necessario concorso del danno è stato ribadito da Cass. I, n. 28748/2008, secondo cui la deliberazione dell'assemblea di società di capitali, avente per oggetto la determinazione del compenso a favore degli amministratori, non è annullabile per conflitto di interessi per il mero fatto che sia stata adottata con il voto determinante espresso dallo stesso amministratore, ove non risulti altresì pregiudicato l'interesse sociale, mediante previsione di un compenso eccessivo. Dubbio è se il dovere di buona fede possa essere il fondamento anche di un'azione di risarcimento diretta verso i soci di maggioranza che abbiano assunto la delibera per un interesse extrasociale (per l'opinione negativa, Gambino, 1630, sotto il profilo che non sarebbe comunque risarcibile il danno indiretto subito dai soci di minoranza). Altro problema dibattuto è se sia possibile l'approvazione giudiziale di una delibera bocciata con il voto decisivo di un socio in conflitto di interessi (cd. delibera negativa). In senso negativo, Cass. I, n. 16999/2004, che trae argomento però dal valore costitutivo della proclamazione del risultato da parte del presidente: affermazione, meno agevolmente sostenibile nel vigore del nuovo art. 2371 c.c. (“il presidente accerta i risultati delle votazioni...”); nonché, Trib. Milano 2 giugno 2000, in Foro it., 2000, 1, 3643. In senso positivo, App. Roma 29 maggio 2001, in Foro it., 2001, 1, 3396; Trib. Milano 28 novembre 2014, in Giur. comm., 2016, II, 200, con nota di Toniolo). Secondo Trib. Roma 14 febbraio 2020, il giudice investito dell'impugnazione non ha alcun obbligo di passare dall'eventuale fase rescindente dell'eliminazione della delibera – in ipotesi, viziata – a quella rescissoria (sostituzione della delibera viziata con altra emessa dal tribunale): non potendo sostituirsi alla volontà della maggioranza dei soci, cui spetta l'eventuale pronuncia su una nuova delibera in materia. Si ribadisce, al riguardo, che si tratterebbe di una pronuncia costitutiva non prevista dalla legge (art. 2908 c.c.). In contrario, si potrebbe replicare che la pronunzia costitutiva emessa è solo quella di annullamento della delibera negativa viziata; e che, una volta espunto il voto in conflitto di interessi, quella successiva consisterebbe solo in un accertamento dichiarativo della volontà correttamente formatasi: accertamento, non diverso, strutturalmente, dalla fisiologica proclamazione del risultato, da parte del presidente dell'assemblea. Il conflitto di interesse è configurabile anche per il creditore pignoratizio e l'usufruttuario che abbiano votato; così come per i titolari di strumenti di partecipazione: interpretazione, resa possibile dal ricordato emendamento introdotto dall'art. 1 d.lgs. n. 27/2010 mediante la sostituzione, al primo comma, della parola “soci”, con la perifrasi generica “coloro che abbiano, per conto proprio di terzi, un interesse in conflitto con quello della società”. Sulla base di questa interpretazione estensiva si è ritenuto l'art. 2373, espressione di un principio generale che vale a regolare le ipotesi di conflitto di interessi nelle decisioni di tutti gli organi assembleari o collegiali: come tale, applicabile anche al conflitto di interessi all'interno dell'assemblea degli obbligazionisti, nonostante la carenza di specifica regolamentazione (Trib. Milano12 febbraio 2014, in Giur. comm., 2015, II, 826, con nota di Domenichini; App. Milano 17 novembre 1998, a titolo di obiter dictum, in Soc., 1999, 196). Specifici divieti di voto per conflitto d'interesseAl secondo comma della norma vigente resta tipizzato il divieto di voto a carico dell’amministratore, in ordine alla proposta di delibera autorizzativa dell’azione di responsabilità nei suoi confronti: divieto, risalente al codice di commercio del 1882 (art. 161), quale espressione del principio nemo judex in causa sua. Trattandosi di divieto assoluto, applicabile de plano, senza necessità di accertamenti di merito, sembra legittima l’esclusione dal voto decisa dal presidente dell’assemblea; con la possibile conseguenza di una delibera di promozione del giudizio di responsabilità assunta “dalla maggioranza della minoranza”. Un secondo divieto assoluto di voto è stato introdotto dalla riforma del 2003, nell’ambito del sistema dualistico, a carico dei componenti del consiglio di gestione in ordine alle deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza. BibliografiaAa.Vv., Cassazione e contrattualismo societario: un incontro? Tavola rotonda di Jaeger, Angelici, Gambino, Costi, Corsi, in Giur. comm., 1996, 2, 334; Arcidiacono, Le deliberazioni di scioglimento anticipato e di aumento di capitale lesive degli interessi dei soci di minoranza, in Giur. comm., 2010, 2, 1156; Bonotto, Sub art. 2373, in Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008; Brighenti, Deliberazioni negative: problematiche ed ipotesi di disciplina, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1454; Brogi, Il conflitto di interessi nel codice della crisi, in Fall., 2023, 599; Cian, Sub art. 2373, in Commentario breve al codice civile a cura di G. Cian, Milano-Padova, 2011; D’Alessandro, Il conflitto di interessi nei rapporti tra socio e società, in Giur. comm., 2007, 1, 5; D’Attorre, La maior pars non sempre è la sanior pars: i creditori in conflitto d’interessi non possono votare sulla proposta di concordato, in Giur. comm., 2019, 2, 312; Frisoli, La clausola generale di buona fede in ambito societario, in Giur. comm., 2007, 2, 95; Gallo, Sub art. 2373, in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004; Gambino, Sub art. 2373, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015; Grippo, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, XVI, 389, Torino, 1985; Libertini, Scelte fondamentali di politica legislativa indicazione di principio nella riforma del diritto societario del 2003. Appunti per un corso diritto commerciale, in Riv. dir. soc., 2008, 198; Pasquariello, Sub art. 2373, in Commentario breve al diritto delle società, Milano-Padova, 2017; Petritaj, Direzione e coordinamento – La responsabilità della capogruppo e l’abuso del diritto del socio di maggioranza, in Giur. it., 2022, 887; Spiotta, Concordato fallimentare – Chi formula la proposta di concordato non può votarla: il dictum delle Sezioni unite, in Giur. it., 2018, 2407; Spolidoro, Aumento di capitale diluitivo – Aumento di capitale e abuso di potere, in Giur. it., 2022, 1898; Vernero, Società – Scioglimento anticipato – buona fede oggettiva, diritto di voto e scioglimento anticipato di società, in Giur. it., 2021, 1391; Zammitti, Il principio di correttezza e buona fede come limite all’abuso di maggioranza, in Soc., 2016, 835. |