Codice Civile art. 2385 - Cessazione degli amministratori (1).Cessazione degli amministratori (1). [I]. L'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori. [II]. La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito. [III]. La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale. (1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. InquadramentoIl testo dell'art. 2385 è tornato ad essere pressoché identico a quello originario del 1942, con l'unica modifica, al terzo comma, del termine entro il quale deve essere iscritta la cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale: termine, ampliato da 15 a 30 giorni, dopo che era stata già soppressa la pubblicità nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata dall'art. 33 della l. n. 340/2000 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi). La norma prevede due cause tipiche di cessazione della carica: rispettivamente, la rinunzia dell'amministratore, al primo comma, e la scadenza del termine di durata (che non può essere superiore a tre esercizi: art. 2383, secondo comma) al secondo. Il terzo comma, nel porre sul collegio sindacale il ricordato obbligo di pubblicità, si riferisce, genericamente, a qualsiasi causa di cessazione: che può essere dovuta a causa naturale, come la morte; o giuridica, come in ipotesi di revoca ad opera dei soci (art. 2383, comma 3, art. 2390, comma 2, art. 2393, comma 5 ), o del tribunale (art. 2409, comma 4), o a decadenza per il sopravvenire di cause di incapacità (art. 2382), o all'eliminazione della stessa carica per effetto di una delibera di scioglimento anticipato della società, implicante una revoca implicita (Trib. Cagliari 31 marzo 2004, in Giur. comm., 2005, 2, 841); o, infine, ad eventuali altre cause atipiche previste nello statuto. La rinunzia degli amministratori è atto potestativo recettizio; pertanto, l'amministratore cessa dalla carica, all'atto in cui il consiglio di amministrazione e il presidente del collegio sindacale ricevono comunicazione scritta delle dimissioni, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione; o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita, in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori La disciplina in materia è idonea a scongiurare, pressoché completamente, il rischio di un vuoto gestionale, e di riflesso rende improbabile, anche se non impossibile, che le dimissioni dell'amministratore siano produttive di un danno risarcibile Proprio in ragione della sua legittimità naturale, la rinunzia dell'amministratore non abbisogna di motivazione, pur esigendo la forma scritta e la comunicazione al consiglio di amministrazione ed al presidente del collegio sindacale. La mancata comunicazione ad uno dei destinatari ne impedisce il perfezionamento: salva l'ipotesi che il soggetto pretermesso ne sia comunque venuto a conoscenza, in applicazione del principio di effettività, collegato al raggiungimento dello scopo dell'atto (Trib. Milano 23 febbraio 2021, in Giur. it., 2021, 2156, con nota di Bertolotti; Trib. Milano 26 giugno 2020). Sulla natura ad substantiam o ad probationem della forma scritta non v'è concordia in dottrina. A sostegno della prima qualificazione si adduce, sotto il profilo argomentativo, la riconducibilità della rinunzia alle ipotesi residuali di formalismo sostanziale elencate in chiusura dell'art. 1350, al n. 13: tesi, cui si obietta che la forma ad substantiam dev'essere espressamente prescritta dalla legge, vigendo, per contro, il principio generale della libertà delle forme. A questa stregua, sarebbe quindi efficace anche una dichiarazione di rinuncia espressa verbalmente nel corso di un consiglio di amministrazione. Non v'è concordia neppure nell'individuazione dei destinatari della dichiarazione di rinunzia: se, singolarmente, ciascuno degli altri consiglieri in carica; o se il consiglio nella sua interezza riunito in seduta, con contestuale verbalizzazione: o se, invece, il solo presidente, onerato poi della successiva comunicazione agli altri consiglieri ex art. 2381. Per effetto di un valido atto di rinuncia i poteri di rappresentanza dell'amministratore cessano, senza che si renda a tal fine necessaria, salvo specifico patto, la sussistenza di una giusta causa o l'accettazione da parte dei soci. L'art. 2385 c.c., infatti, a differenza dell'art. 2383, dettato per l'ipotesi di revoca dell'amministratore, non contempla fra i presupposti della rinuncia l'esistenza di una giusta causa; e tale esclusione non prospetta alcuna violazione di principi generali, né alcuna ingiustificata carenza di tutela per la società – il cui interesse alla continuità dell'attività gestoria può facilmente essere soddisfatto con l'immediata sostituzione dell'amministratore – cosicché deve escludersi la necessità di far ricorso all'applicazione analogica delle norme sul mandato (Cass. I, n. 21563/2008). Si ritiene infatti che, pur trattandosi di un rapporto a termine, la legge non richieda espressamente una giusta causa per esercitare il diritto alle dimissioni. Del resto, la continuità della gestione è assicurata dall'art. 2385, primo comma, mediante l'istituto della prorogatio, che evita la paralisi gestionale. Non mancano però voci in dottrina che, applicando per analogia le norme sul mandato (art. 1727, primo comma), ritengono l'indennizzabilità del pregiudizio subito dalla società in conseguenza di dimissioni prive di giusta causa. Fortemente controversa è pure la legittimità della pratica delle dimissioni in bianco, volta, con tutta evidenza, ad evitare un eventuale risarcimento del danno, data l'assimilabilità di tali dimissioni, in sostanza, ad una revoca (art. 2383, terzo comma). L'opinione negativa pone in risalto la carenza, nelle dimissioni in bianco, di una volontà attuale: l'amministratore non vuole affatto dimettersi, anzi si accinge ad assumere la carica nel momento stesso in cui le rilascia. La rinunzia ha efficacia immediata se resta in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione: ed in questo caso si verificherà la cooptazione, da parte della maggioranza degli amministratori rimasti in carica, dell'amministratore nuovo, in sostituzione di quello dimissionario (art. 2386, primo comma); altrimenti, si verifica la cd. prorogatio degli amministratori dimissionari, i quali continuano peraltro ad operare nella pienezza dei poteri. Non si applica la prorogatio nell'ipotesi in cui vengano a mancare tutti i consiglieri di amministrazione o l'amministratore unico: ipotesi, prevista dall'art. 2386, ultimo comma, che prescrive la convocazione d'urgenza dell'assemblea per la sostituzione e la competenza vicariale, limitata all'ordinaria amministrazione, del collegio sindacale. L'amministratore unico dimissionario deve attendere che l'ufficio sia stato accettato dal suo sostituto, nominato dall'assemblea che egli stesso, ancora nella pienezza dei poteri, è tenuto a convocare: non potendosi, in questo caso, applicare l'ultimo comma dell'art. 2386 c.c. che affida la convocazione al collegio sindacale quando la cessazione dall'incarico sia già avvenuta. Tale principio si ricava dal disposto dell'art. 2385, comma 2, c.c., in base al quale la cessazione degli amministratori ha efficacia solo dal momento in cui il consiglio di amministrazione sia stato ricostituito. (Trib. Milano 24 novembre 2020). La tesi suddetta implica che la competenza vicariale del collegio sindacale a convocare d'urgenza l'assemblea, ai sensi dell'art. 2386, ultimo comma, c.c. sussiste solo se la cessazione degli amministratori dipenda da causa diversa dalla rinunzia: e quindi, da morte, interdizione, inabilitazione, liquidazione giudiziale, condanna ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi (art. 2382), giacché nell'ipotesi di dimissioni volontarie l'amministratore unico continua, invece, ad esercitare i suoi poteri fino alla sostituzione. È dubbio se la prorogatio sia un principio generale, ispirato alla ratio di evitare soluzioni di continuità nell'organo di gestione, e dunque vigente anche nei casi di revoca o di annullamento, per illegittimità, della delibera di nomina, fino all'avvenuta sostituzione (Per l'operatività, Cass. I, n. 28/2013; adde Cons. St. V, n. 1972/2014, per un'ipotesi di intervenuta scadenza dalla carica dell'amministratore di una società, che abbia partecipato ad una gara per l'aggiudicazione di un appalto di lavori pubblici: evenienza, che non legittima, di per sé, l'esclusione del raggruppamento di cui la stessa fa parte, in ragione del generale principio della prorogatio imperii degli organi societari sancito dall'art. 2385, comma 2, c.c. in funzione di garanzia della fondamentale esigenza di continuità della vita amministrativa della società). Il regime di prorogatio previsto all'art. 2385 c.c. per gli amministratori è applicabile anche ai sindaci, nel caso in cui non vi siano supplenti o quando i sindaci dimissionari siano superiori ai supplenti. (Cass. III, n. 29719/2019). La cessazione dell'amministrazione per scadenza del termineLa fattispecie prevista dal secondo comma, di cessazione degli amministratori per scadenza del termine, è fisiologica nel corso della normale gestione sociale e non può quindi essere assimilata a quella anomala del venir meno dell'intero consiglio di amministrazione, che giustifica, interinalmente, l'attribuzione in via eccezionale della competenza gestoria ordinaria al collegio sindacale. Il secondo comma dell'art. 2385 c.c. non è, peraltro, disposizione limitativa delle attribuzioni gestorie nel periodo di proroga: durante il quale deve quindi escludersi che i compiti di gestione siano circoscritti agli atti di ordinaria amministrazione (Cass. I, n. 8912/2003). L'istituto della prorogatio impedisce, di fatto, che gli amministratori scaduti dall'incarico possono definirsi mancanti: onde, non è necessario il compimento degli atti urgenti contemplati dal successivo art. 2386, ultimo comma. Occorre però rilevare come le situazioni disciplinate dagli artt. 2385 e 2386, ultimo comma, siano eterogenee, giacché la fattispecie contemplata dalla prima norma concerne la cessazione degli amministratori per rinunzia o scadenza del termine; la seconda, invece, l'ipotesi dell'assenza imprevista degli amministratori in corso di esercizio. Evenienza fisiologica, nell'ambito della normale gestione sociale nel primo caso; straordinaria invece, per il venir meno dell'intero consiglio di amministrazione nel caso disciplinato dall'articolo 2386, ultimo comma, che, per il fatto di attribuire una competenza gestoria limitata ad un organo come il collegio sindacale normalmente estraneo all'attività gestoria, si caratterizza per una maggiore precarietà e limitatezza di poteri (Cass. I, n. 8912/2003). La regola generale comporta la scadenza contemporanea di tutti gli amministratori: si tratta però di norma derogabile da parte dell'autonomia privata che può prevedere nello statuto un sistema di nomina rotativa nel rinnovo del consiglio. La pubblicità della cessazione della caricaIn caso di cessazione della carica di amministratore, il collegio sindacale deve curarne l'iscrizione nel registro delle imprese entro 30 giorni (in precedenza, il termine era di 15 giorni) dalla data in cui essa è divenuta efficace. È opinione incontrastata che il termine decorre dall'effetto estintivo e non dalla causa di cessazione, visto che il verificarsi di quest'ultima non pone fine automaticamente al contratto di amministrazione; e se la cessazione dipende da revoca, l'iscrizione è dovuta anche in caso di sospetta invalidità della relativa delibera, a condizione che questa possegga i requisiti minimi di forma e contenuto previsti dalla legge (Trib. Genova, 24 aprile 2015, in Giur. it., 2016, 1157). Al riguardo, non sembra, infatti, che competa all'organo di controllo la delibazione dell'efficacia della causa di cessazione: come nel caso di sospensione cautelare della deliberazione di revoca dell'amministratore, ex art. 2378, quarto comma. Non è configurabile la responsabilità dell'amministratore dimissionario per comportamenti compiuti da altri amministratori in epoca successiva alle sue dimissioni ritualmente presentate, pur se la cessazione dalla carica non sia stata iscritta nel registro delle imprese per inadempienza addebitabile a carico del collegio sindacale, su cui grava la richiesta di iscrizione, ex art. 2385, comma 3, c.c. (Cass. I, n. 13221/2021). Poiché gli amministratori non godono di tutela reale ai fini del mantenimento della carica, è dubbio se la sospensione della delibera di sostituzione importi la prorogatio, oppure l'amministrazione vicariale dei sindaci (art. 2386, ultimo comma). L'iscrizione è un obbligo di portata generale, sussistente per ogni caso di cessazione dalla carica; e quindi, non limitato alle sole fattispecie di rinunzia e scadenza del termine menzionate nell'art. 2385. Degna di nota è la discrasia tra l'obbligo di iscrivere la nomina degli amministratori entrati in funzione, incombente su essi stessi (art. 2383, quarto comma), e l'ipotesi in esame, di cessazione dalla carica, in cui invece l'obbligo grava sui sindaci. La ratio della diversità di disciplina sembra risiedere, alternativamente, nell'impossibilità degli amministratori di adempiere, se venuti meno per decesso o decadenza; o in ragioni di opportunità, negli altri casi, che suggeriscono la devoluzione dell'incarico ad un organo terzo come il collegio sindacale, piuttosto che non ad amministratori in regime di prorogatio. L'iscrizione – la cui omissione è sanzionata dall'art. 2630 – ha comunque efficacia solo dichiarativa, e quindi produttiva degli effetti di cui all'art. 2193: con la conseguente inopponibilità ai terzi della perdita del potere rappresentativo in caso di omissione della pubblicità, salva la prova dell'altrui conoscenza (pubblicità di fatto: Cass. III, n. 1886/1994). Con la conseguenza che ai fini della notifica nelle mani del legale rappresentante della società al di fuori della sua sede legale (art. 145, ultimo comma, c.p.c.), il mutamento soggettivo intervenuto in seno alla società, non reso pubblico nelle forme predette, non è opponibile al terzo notificante, salva la prova – a carico della società – che quegli, prima di eseguire la notifica nelle mani del rappresentante così come risultante dal detto sistema di pubblicità, abbia avuto conoscenza del mutamento dell'organo rappresentativo (Cass. III, n. 16692/2002). La società di capitali che abbia omesso di rendere pubblica, nelle forme prescritte dagli artt. 2383,2385 c.c., la sostituzione dell'amministratore che ha agito in giudizio nella qualità di rappresentante della stessa, non può opporre ai terzi la carenza dei poteri dell'amministratore sostituito per far valere la nullità del giudizio da questo promosso (benché privo della legittimazione processuale): a meno che non provi che i terzi erano a conoscenza della cessazione dalla carica dello stesso (Cass. III, n. 1886/1994). Il termine di 30 giorni per l'incombente decorre dalla maturazione del fatto estintivo: e quindi dalla delibera di revoca o dall'effettiva sostituzione dell'amministratore rimasto interinalmente in carica in regime di prorogatio. Nel concorso tra dimissioni e revoca si dovrebbe ritenere prevalente quest'ultima perché dotata di efficacia immediata. Nel caso di mutamento del modello di amministrazione non vi è una conversione automatica degli amministratori in consiglieri di gestione e dei sindaci in consiglieri di sorveglianza. Alle società a partecipazione pubblica si applica in linea di principio la disciplina societaria comune, salvi, per quanto riguarda nomine e revoca degli amministratori, gli aspetti specifici regolati dalla norma speciale di cui all'art. 2449. Pertanto, nell'ipotesi in cui il mandato di un amministratore di nomina pubblica scada, senza che abbia avuto luogo la sostituzione, dovrebbe trovare applicazione la disciplina comune in tema di prorogatio di cui all'art. 2385, secondo comma – che, benché inserito all'interno alla disciplina della S.p.A., può essere considerato principio transtipico, vigente per tutte le società di capitali ed anche per le cooperative – dal momento che la disciplina speciale dell'art. 2449 riguarda solo gli atti di nomina e revoca, ma non pure il regime di diritto comune della prorogatio, alla scadenza (in senso contrario, Trib. Terni, 22 agosto 2011, in Giur. comm., 2013, II, 253, secondo cui, in caso di scadenza del mandato dell'amministratore nominato dall'ente pubblico nel consiglio di amministrazione di una società a partecipazione pubblica maggioritaria si applica l'art. 1 l. n. 444/1994 – Disciplina della proroga degli organi amministrativi – sulla prorogatio degli organi amministrativi dello stato, degli enti pubblici e delle persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica). Per effetto dell'iscrizione diventa opponibile ai terzi la cessazione del potere rappresentativo dell'amministratore, in base al principio generale di efficacia della pubblicità dichiarativa (art. 2193). Non entra quindi in gioco la disciplina speciale dettata dall'art. 2384, né quella in tema di invalidità della nomina (art. 2383, settimo comma). Si è posto il quesito se l'inopponibilità della cessazione dall'ufficio non iscritta nel registro delle imprese riguardi la sola società, o invece qualunque soggetto interessato, in astratto, a farla valere. Nel primo senso si è espresso Trib. Catania 15 luglio 2011, in Foro it., 2012, 1, 1597, secondo cui l'amministratore cessato dall'incarico, convenuto con azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare, può opporre la propria cessazione dall'incarico, ancorché non iscritta, non operando nei suoi confronti il regime di inopponibilità, applicabile alla sola società. In senso contrario, la risalente Cass. I, n. 2241/1965 ha affermato che l'amministratore dimissionario, se vuole la legale certezza che i terzi vengano a conoscenza della sua cessazione dall'ufficio, al fine di esimersi da responsabilità verso i creditori della società per i danni derivanti dalla cattiva gestione degli affari sociali da parte degli altri amministratori deve rendersi parte diligente e curare o far curare, a mezzo notaio, che venga iscritta la variazione nell'apposito registro. Al riguardo, occorre però rilevare come la legge non imponga alcun obbligo di pubblicità a carico dell'amministratore cessato: onde, non sembra che dall'inadempimento di un obbligo altrui (e precisamente, del collegio sindacale) possono derivare conseguenze pregiudizievoli a carico di chi non sarebbe neppure legittimato a sostituirsi per l'attuazione alla pubblicità. Fattispecie di dubbio inquadramento è la cd. “autosospensione” dell'amministratore. Sembra certo che non possa essere assimilata alle dimissioni, e cioè alla rinunzia alla carica di cui all'art. 2385, comma 1, c.c., per il suo carattere non definitivo. L'amministratore che si autosospende non risolve, infatti, completamente il rapporto che lo lega alla società: decorso il termine di sospensione, egli torna nella pienezza dei suoi poteri; ed anche prima della scadenza del termine di autosospensione, da lui stesso fissato, può perfino revocare la decisione, tornando ad esercitare la funzione gestoria (Richter, 208). L'amministratore autosospeso potrebbe non essere convocato nelle assemblee e nei consigli di amministrazione; mentre è dubbio se dell'autosospensione e della successiva ripresa della carica si debba dare pubblicità nel registro delle imprese. BibliografiaAgnoletti, Sostituzione di delibera di esclusione del socio di cooperativa e poteri dell’amministratore in prorogatio, in Soc., 2003, 1494; Angelillis, Sub art. 2385, in Commentario alla riforma delle società diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2008; Bertolotti, Dimissioni di amministratore di S.p.A. – Dimissioni di amministratore non comunicate al presidente del collegio sindacale, in Giur. it., 2021, 2156; Bonelli, Inizio e fine del rapporto di amministrazione, in Trattato di diritto privato diretto da Pietro Rescigno, XVI, Torino, 1985, 445; Bordiga, La rinuncia all’incarico del componente di organi di s.p.a., in Riv. soc., 2017, 652; Cossu, La prorogatio dell’amministratore di nomina pubblica nelle società a partecipazione pubblica, in Giur. comm., 2013, 2, 260; De Feo, Sub art. 2385, in Codice commentato delle nuove società a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004; Della Tommasina, Sub art. 2385, in Commentario del codice civile diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015; Luoni e M. Cavanna, S.p.a. – Revoca degli amministratori - revoca degli amministratori, con mancata iscrizione della delibera da parte dei sindaci, in Giur. it., 2016, 1157; Magnani, Sub art. 2385, in Commentario breve al Diritto delle società diretto da A. Maffei Alberti, Padova-Milano, 2017; Richter, Io era tra color che son sospesi; note in tema di “autosospensione” dell’amministratore, in Riv. soc., 2020, 208; Sandei, Sub art. 2385, in Commentario breve al codice civile a cura di G. Cian, Milano-Padova, 2016; Scano, Dimissioni degli amministratori e successivo scioglimento della società: efficacia e regime pubblicitario, in Giur. comm., 2005, 2, 841; Tombari, L’«autosospensione» degli amministratori di società bancarie tra diritto speciale e diritto comune, in Banca borsa tit. cred., 2021, 663. |