Codice Civile art. 2400 - Nomina e cessazione dall'ufficio (1).Nomina e cessazione dall'ufficio (1). [I]. I sindaci sono nominati per la prima volta nell'atto costitutivo e successivamente dall'assemblea, salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450. Essi restano in carica per tre esercizi, e scadono alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica. La cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito. [II]. I sindaci possono essere revocati solo per giusta causa. La deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dal tribunale, sentito l'interessato. [III]. La nomina dei sindaci, con l'indicazione per ciascuno di essi del cognome e del nome, del luogo e della data di nascita e del domicilio, e la cessazione dall'ufficio devono essere iscritte, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese nel termine di trenta giorni. [IV]. Al momento della nomina dei sindaci e prima dell'accettazione dell'incarico, sono resi noti all'assemblea gli incarichi di amministrazione e di controllo da essi ricoperti presso altre società (2). (1) V. nota al Capo V. (2) Comma aggiunto dall'art. 2 2 lett. a) l. 28 dicembre 2005, n. 262. InquadramentoLa norma si occupa di prevedere come e con quali modalità debba avvenire la nomina dei sindaci, riservando ad altre disposizioni di dettare regole per garantirne l'indipendenza (art. 2399 c.c.). Per altro verso, essa prevede quale sia la durata dell'incarico e l'efficacia della relativa cessazione. Di particolare rilievo la disciplina della revoca (art. 2400, comma 2, c.c.), subordinata all'approvazione del tribunale. Inoltre, viene dettata la disciplina relativa alle formalità per rendere pubblica e conoscibile ai terzi – mediante iscrizione camerale – ogni vicenda relativa all'incarico conferito ai componenti dell'organo di controllo. Nomina ed accettazioneI membri del collegio sono nominati per la prima volta nell'atto costitutivo. L'art. 2328, n. 11, c.c., infatti, dispone che nel suddetto atto debbano essere indicati non solo il numero, ma anche i nomi dei sindaci. Nonostante tale previsione, tuttavia, la mancata indicazione dei nominativi dei componenti del collegio non implica la nullità della costituzione societaria, poiché non è ricompresa nell'elencazione ex art. 2332 c.c., considerata tassativa e non suscettibile di analogia. Per le fasi successive, la nomina dei sindaci è lasciata esclusivamente all'assemblea. Va detto che lo statuto, ai sensi dell'art. 2368, comma 1, c.c., può prevedere regole particolari per tale nomina, ma senza sottrarla alla competenza assembleare. La regola generale di detta competenza può subire deroga solo in forza di disposizione di legge. Le eccezioni tassative risultano, invero, contemplate nel primo comma del presente art. e riguardano: a) la nomina che spetti allo Stato o ad enti pubblici, titolari di una partecipazione societaria (art. 2449, essendo invece stato abrogato l'art. 2450 c.c. dal d.l. n. 10/2007: v.); b) la nomina riservata ai portatori di strumenti finanziari (art. 2351, comma 5). La dottrina si è interrogata anzitutto sul tema della prima nomina dei sindaci, sulle relative modalità e sugli effetti della sua mancanza. Secondo alcuni autori (Cavalli, 647; Rivolta, 105), seguiti invero dall'orientamento maggioritario, la nomina dei primi sindaci dovrebbe costituire parte integrante dell'atto costitutivo (o dell'atto di trasformazione eterogenea, di scissione e di fusione) tal che la relativa mancanza influirebbe sulla regolare costituzione della società. Altri sostengono, viceversa, che – nonostante la richiesta contestualità – la nomina non debba esser contenuta necessariamente in quegli atti. La critica a questa posizione fonda, tuttavia, soprattutto sul dato letterale dell'art. 2328, n. 11, c.c. che prevede appunto che l'atto costitutivo debba prevedere la nomina in esame. Per altro verso, giacché le ipotesi di nullità dell'atto costitutivo sono tassativamente indicate dall'art. 2332 c.c., la lacuna potrebbe essere ovviata – con effetti sananti l'invalidità – con la nomina immeditatamente successiva dei componenti dell'organo di controllo (Cavalli, 11; Domenichini). Ove ciò non avvenga, si sostiene integrata una causa di scioglimento della società, per impossibilità di funzionamento o per l'inattività dell'assemblea, ai sensi dell'art. 2484, n. 3, c.c. (Cavalli, 13; Tedeschi, 3). Le nomine successive alla prima competono, come visto, all'assemblea. L'art. 2400, poi, non prevede espressamente che i nominati debbano accettare la carica. La dottrina prevalente ritiene l'accettazione sia necessaria (Cavalli, 11; Cottino, 575; De Angelis, 61; Tedeschi, 56), al fine di permettere il sorgere dei poteri e dei doveri relativi alla carica, dal momento che la nomina non può incidere sulla sfera giuridica del neo sindaco in assenza della sua volontà. Discussa appare ancora la forma dell'accettazione, tra coloro che sostengono che essa debba avvenire per iscritto e quanti ne affermano una totale libertà (Cavalli, Tedeschi, Domenichini). Del resto, a conferire rilevanza al momento dell'accettazione, considerata ormai una fase fondamentale per l'acquisizione della carica, concorre il quarto comma dell'art. in commento, il quale stabilisce che i sindaci sono tenuti a rendere noti gli incarichi di amministrazione e controllo, svolti presso altre società, al momento della nomina e prima dell'accettazione: manifestando, così, un chiaro intento di trasparenza nei rapporti societari. In particolare, dovranno essere comunicati sia gli incarichi gestori, sia ogni mansione di controllo prestata presso società terze. La norma si applica anche alle società quotate ex art. 148-bis, comma 2, TUF (v.). In considerazione dell'indispensabilità della suddetta accettazione, in dottrina ritiene che la mancata accettazione di uno dei soggetti designati renda necessario riconvocare urgentemente l'assemblea al fine di provvedere ad una nuova nomina (Ambrosini, 215; Aiello, 488). La nomina dei sindaci, inoltre, è soggetta ad obblighi pubblicitari, dal momento che deve essere iscritta dagli amministratori, entro il termine di trenta giorni, nel registro delle imprese, insieme con l'indicazione, per ciascuno dei nuovi membri, del cognome, del nome, del luogo e della data di nascita e, infine, del domicilio. Il dies a quo degli obblighi pubblicitari disposti dal terzo comma deve essere riferito al momento dell'accettazione e non a quello della designazione dei sindaci (Cavalli, 13). L'iscrizione della nomina di un sindaco nel registro delle imprese ha funzione di pubblicità dichiarativa e quindi non è necessaria ai fini della prova del conferimento dell'incarico e della sua accettazione. L'omissione dell'iscrizione da parte degli amministratori comporta esclusivamente l'inopponibilità della nomina ai terzi che non ne abbiano avuto conoscenza (Cass. n. 1042/2015). Durata della carica e prorogatioIl termine di durata triennale della carica è inderogabile, in quanto permette di garantire ai sindaci l'indipendenza dagli amministratori e dalla maggioranza dei soci, nonché di assicurare continuità nell'esercizio delle funzioni. La dottrina prevalente ritiene che il termine non sia estendibile (Cavalli, 41). Decorso il triennio, i sindaci possono essere rieletti e riconfermati in carica, per un periodo di tempo uguale, in seguito a nuova delibera assembleare. In tal caso, il termine decorre dalla data dell'accettazione e non cesserà dopo tre anni esatti di calendario, infatti la scadenza coincide con la data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio. In ogni caso, i sindaci uscenti rimangono in carica in regime di prorogatio, fino alla nomina dei nuovi componenti del collegio. Il primo comma dell'art. 2400 c.c., nel prevedere che la cessazione dei sindaci per scadenza del mandato ha effetto solo dal momento in cui il collegio è stato ricostituito dall'assemblea, contiene in sé l'istituto della prorogatio, onde consentire al collegio dei sindaci di essere sempre costituito e operare nel pieno delle proprie facoltà senza alcuna soluzione di continuità (Trib. Roma 27 luglio 2014). Il collegio sindacale rimane nelle sue funzioni, in regime di prorogatio, sino all'effettiva assunzione della carica da parte dei successori, per la quale non è sufficiente la sola nomina da parte dell'assemblea, dovendo invece sussistere almeno l'accettazione di fatto della carica, che può intervenire anche prima di quella formale (Trib. Milano 3 febbraio 2010). In particolare la riforma del diritto societario intervenuta sull'art. 2400 c.c. in tema di cessazione dei sindaci per scadenza del termine, ha aggiunto, al comma 1, ultima parte, la locuzione «ha effetto dal momento in cui il collegio è stato ricostituito», estendendo quindi, anche per tale ipotesi, l'istituto già previsto per gli amministratori dall'art. 2385, comma 2, c.c. Nel caso di non completabilità dell'organo di controllo, troverebbe applicazione la proroga del cessato quanto meno per l'intero lasso di tempo necessario per convocare il consesso assembleare. Revoca per giusta causaL'art. in commento dispone, inderogabilmente, che la revoca sia subordinata a due condizioni: in primo luogo, è necessario che sussista una giusta causa; in secondo luogo, occorre che vi sia l'approvazione del tribunale, che dovrà ascoltare l'interessato. In particolare, la decisione relativa alla revoca deve essere assunta dall'assemblea, per mezzo di una deliberazione adeguatamente motivata, evitando una revoca ad nutum. In dottrina si ritiene che la giusta causa non corrisponda, esclusivamente, a gravi inadempimenti dei propri obblighi ad opera del sindaco, bensì anche a particolari circostanze inerenti alla sua persona, purché siano rilevanti nel rapporto tra la società e l'organo di controllo (Bertolotti, 124). In particolare, è consolidato l'orientamento per cui il complesso dei fatti che incidono negativamente sull'elemento fiduciario del suddetto rapporto costituisce giusta causa di revoca. Secondo la giurisprudenza, la giusta causa può rinvenirsi sicuramente in condotte che integrino altrettante violazioni dei doveri dei sindaci imposti dalla legge o dallo statuto (cfr. Trib. Milano 11 luglio 1986) ovvero in situazioni che, pur non pervenendo a livello di cause di decadenza, rilevino sotto il profilo dell'attendibilità e dell'affidabilità dell'organo. Il riferimento, più nello specifico, è a situazioni che possano minare, da un punto di vista tecnico o personale, l'efficacia dell'attività ovvero l'immagine richiesta in colui che è deputato ad assolvere una funzione di controllo in piena indipendenza, quale la sottoposizione a misure cautelari restrittive che impediscano il corretto svolgimento dell'incarico o riguardino ipotesi di reato che facciano dubitare dalla terzietà del controllante rispetto alle attività gestorie della società (cfr. al riguardo Trib. Milano 29 aprile 2009, che ha ritenuto legittima la revoca di un sindaco coinvolto in un procedimento penale e sottoposto a misura cautelare. Nel 2005, la Suprema Corte ha precisato che l'azione di responsabilità contro i sindaci, anche se adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale, non implica la revoca automatica dalla carica, né la sostituzione, in considerazione del carattere inderogabile della suddetta disciplina. Trattasi di una posizione confermata anche nel 2010 (Cass. n. 27389/2005; Cass. n. 20826/2010). Ciò, a differenza di quanto avviene per gli amministratori, ai sensi dell'art. 2393, comma 4, c.c.; così ribadendo la necessità di sottoporre sempre detta revoca all'approvazione del tribunale, a cautela dell'indipendenza dell'organo sindacale. In passato, si sosteneva che i sindaci di nomina pubblica, ove revocati dall'ente che li ha nominati, cessassero direttamente dalla carica, non essendo ulteriormente necessario l'intervento giudiziale sul controllo della giusta causa. Per questo motivo, si sosteneva che l'atto di revoca fosse dotato di efficacia immediata, potendo essere rimosso solamente in forza di un intervento del giudice amministrativo su istanza dell'interessato ovvero della società stessa. La situazione è ora regolata dall'art. 9 d.lgs. n. 175/2016 (v.). Recente giurisprudenza sostiene che in tema di società partecipata da un ente locale, pur quando costituita secondo il modello del c.d. in house providing, le azioni concernenti la nomina o la revoca di amministratori e sindaci, ai sensi dell'art. 2449 c.c., spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, non di quello amministrativo, perché investono atti compiuti dall'ente pubblico uti socius, non jure imperii, e posti in essere “a valle” della scelta di fondo per l'impiego del modello societario, ogni dubbio essendo stato sciolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale, in senso privatistico, prevista dall'art. 4, comma 13, del d.l. n. 95/2012, conv., con modif., dalla l. n. 135/2012, oltre che dal principio successivamente stabilito dall'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 175/2016 (nella specie, peraltro, inapplicabile ratione temporis), a tenore del quale, per tutto quanto non derogato dalle relative disposizioni, le società a partecipazione pubblica sono disciplinate dalle norme sulle società contenute nel codice civile (Cass. n. 24591/2016) Da un punto di vista procedimentale, i soci che vogliano anticipare la cessazione del rapporto di controllo con i sindaci debbono contestare ad essi precisi fatti di violazione dei doveri cedenti a carico di ognuno, sottoponendo poi, in stretto collegamento di razionalità e proporzionalità dei motivi della delibera, il vaglio del loro assunto all'autorità giudiziaria perché su quegli stessi fatti sia osservato l'atto volitivo di censura, sino ad allora improduttivo di effetti (Trib. Bologna 25 luglio 1997). I supremi giudici hanno precisato che l'approvazione del tribunale non rappresenta una semplice verifica formale della regolarità della delibera, bensì un atto di volontaria giurisdizione, per mezzo del quale viene effettuato un vero e proprio controllo inerente alla sussistenza della giusta causa, considerato una necessaria sequenza procedimentale preordinata all'efficacia della revoca (Cass. n. 7264/1999). Il provvedimento di approvazione della delibera di revoca dei sindaci, ai sensi dell'art. 2400, comma 2, c.c., viene dunque, collocato tra gli atti di volontaria giurisdizione, costituente la fase necessaria e terminale di una vera e propria sequenza procedimentale preordinata alla produzione dell'effetto della revoca; tale deliberazione costituisce il presupposto dell'eventuale successivo giudizio d'impugnazione in sede contenziosa, ai sensi dell'art. 2377 ss. c.c., con la conseguenza che il decreto con il quale la corte d'appello abbia respinto il reclamo avverso il provvedimento del tribunale emesso ex art. 2400 c.c., operando solo sul piano processuale, non ha natura di pronuncia irrevocabile sul diritto soggettivo del sindaco all'esercizio delle sue funzioni e non può, pertanto, essere impugnato con ricorso ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 14778/2012). Quindi, la revoca ha inizio con la deliberazione dell'assemblea, perfezionandosi con il decreto di approvazione del tribunale che ne condiziona l'efficacia (Cass. n. 14728/2012; Cass. n. 34449/2015; Cass. n. 7264/1999). La dottrina, altresì, esclude l'applicabilità di clausole statutarie del tipo simul stabunt simul cadent in forza delle quali in caso di dimissioni o decadenza di un sindaco, seguirebbe la decadenza dell'intero collegio sindacale (Ambrosini, 215; Aiello, 491). Inoltre, nell'ipotesi in cui la deliberazione assembleare non includa una giusta causa, ne deriva la sua nullità, nonché il diritto del sindaco ad ottenere il risarcimento dei danni (Cavalli, 53). Secondo alcuni autori, inoltre, il soggetto danneggiato potrà richiedere anche la reintegrazione nella carica (Frè, 551). Modifiche introdotte dalla Legge sul Risparmio del 2005La c.d. Legge sul Risparmio, l. n. 262/2005, oltre ad aver introdotto il citato quarto comma nell'art. in commento, inerente all'accettazione della nomina, ha previsto per la scelta del presidente, nelle società quotate, la necessità di selezionare un membro della minoranza, nell'art. 148, comma 2-bis, TUF, secondo cui «Il presidente del collegio sindacale è nominato dall'assemblea tra i sindaci eletti dalla minoranza» (v.). È stata altresì introdotta all'art. 148-bis una causa di decadenza dal mandato in materia di società quotate e di diritto speciale, dal momento che colui che ha superato il limite fissato dalla delibera Consob (cfr. n. 15915/2007 e modif.) è soggetto alla declaratoria di decadenza, ad opera della stessa Consob, con riguardo agli incarichi assunti dopo il raggiungimento del numero massimo previsto dal regolamento. BibliografiaAbriani, Sub art. 2477, Delle società - Dell'azienda. Della concorrenza, artt. 2452-2510, a cura di D. 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