Codice Civile art. 2409 octiesdecies - Comitato per il controllo sulla gestione (1).

Francesca Rinaldi

Comitato per il controllo sulla gestione (1).

[I]. Salvo diversa disposizione dello statuto, la determinazione del numero e la nomina dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione spetta al consiglio di amministrazione. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il numero dei componenti del comitato non può essere inferiore a tre.

[II]. Il comitato è composto da amministratori in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità stabiliti dallo statuto e dei requisiti di indipendenza di cui all'articolo 2409-septiesdecies, che non siano membri del comitato esecutivo ed ai quali non siano attribuite deleghe o particolari cariche e comunque non svolgano, anche di mero fatto, funzioni attinenti alla gestione dell'impresa sociale o di società che la controllano o ne sono controllate.

[III]. Almeno uno dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione deve essere scelto fra i revisori legali iscritti nell'apposito registro (2).

[IV]. In caso di morte, rinunzia revoca o decadenza di un componente del comitato per il controllo sulla gestione, il consiglio di amministrazione provvede senza indugio a sostituirlo scegliendolo tra gli altri amministratori in possesso dei requisiti previsti dai commi precedenti; se ciò non è possibile, provvede senza indugio a norma dell'articolo 2386 scegliendo persona provvista dei suddetti requisiti.

[V]. Il comitato per il controllo sulla gestione:

a) elegge al suo interno, a maggioranza assoluta dei suoi membri, il presidente;

b) vigila sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione;

c) svolge gli ulteriori compiti affidatigli dal consiglio di amministrazione con particolare riguardo ai rapporti con il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti (3).

[VI]. Al comitato per il controllo sulla gestione si applicano altresì, in quanto compatibili, gli articoli 2404, primo, terzo e quarto comma, 2405, primo comma, e 2408.

(1) V. nota al Capo V.

(2) Le parole «gli iscritti nel registro dei revisori contabili» sono state sostituite dalle parole «i revisori legali iscritti nell'apposito registro» dall'art. 37, comma 13, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39.

(3) Le parole «i soggetti incaricati del controllo contabile» sono state sostituite dalle parole «il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti» dall'art. 37, comma 14, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39.

Inquadramento

Il profilo realmente caratterizzante il sistema alternativo regolato dagli artt. 2409-sexiesdecies ss. attiene la composizione, il ruolo e le funzioni spettanti all'organo di controllo, ovvero il comitato per il controllo sulla gestione.

Il comitato per il controllo sulla gestione costituisce un'articolazione interna al consiglio di amministrazione ed è composto esclusivamente da consiglieri non esecutivi ed indipendenti.

L'individuazione della posizione riservata all'interno della società ai componenti del comitato per il controllo è questione complessa

Gli amministratori indipendenti che compongono il comitato per il controllo, infatti, non cessano di essere pur sempre degli amministratori per il solo fatto di essere nominati per le funzioni di controllo.

Come testualmente sancito dal primo comma dell'art. 2409-septiesdecies c.c., nel sistema monistico, il ruolo di gestione dell'impresa sociale spetta all'intero consiglio di amministrazione, a prescindere dall'attribuzione a singoli amministratori di eventuali deleghe di funzioni e, quindi, anche ai componenti dell'organo di controllo, i quali partecipano con pieno diritto di voto alle riunioni del consiglio di amministrazione e concorrono a conferire o a revocare le deleghe ad altri amministratori, a redigere il bilancio ed a svolgere tutte le ulteriori attribuzioni che il quarto comma dell'art. 2381 c.c. non consente di delegare, assumendone la relativa responsabilità.

Ciò comporta che, data la sottile distanza nel modello monistico tra gestione e controllo, risposa interamente sull'indipendenza, oltre che sulla professionalità e diligenza, degli amministratori-controllori, l'efficienza della funzione di vigilanza scolta dal comitato.

In dottrina si discute sull'inquadramento del comitato e sul suo rapporto con il plenum.

In particolare, mentre una parte degli interpreti ritiene che si tratti di un organo a tutti gli effetti, anche se normativamente così non definito e con alcuni profili atipici, (Facchin, 679; Varrasi, 2436; Riolfo, 51), altra dottrina ritiene che il carattere principalmente ausiliare del comitato, rispetto alle funzioni del consiglio, ne faccia un corpo «delegato» dell'organo amministrativo (per un approfondimento del dibattito sul punto cfr. Riolfo, 84 ss.; Veronelli, 334 ss.).

In ogni caso, è fuori di dubbio il carattere sostanzialmente «ibrido» del comitato, il quale assume i tratti: i) dell'organo delegato, in relazione alle regole sulla composizione, nomina e revoca dei suoi membri; ii) dell'organo autonomo, per quanto concerne le competenze ad esso attribuite; iii) di una semplice segmentazione in seno all'organo amministrativo, rispetto al ruolo consultivo e di mero ausilio svolto nei confronti del consiglio di amministrazione (Ghezzi, Rigotti, 252 ss.).

Si osserva, dunque, che le caratteristiche del sistema monistico sono due: i maggiori poteri corrispondenti alle funzioni esercitate nel c.d.a. rispetto  quelli assegnati ai membri del c.d.a. come disegnato da modello tradizionale e la acquisizione – grosso modo – delle funzioni del collegio sindacale aspetti tra loro strettamente connessi. Nonostante la disciplina sia scarna e non richiama gli artt. 2403 e 2403 bis sull’osservanza della legge, dello statuto e dei principi di corretta amministrazione, non si può sostenere che i poteri dei componenti del comitato di controllo della gestione siano limitati. Invero, ogni amministratore, in quanto tale, deve assicurarsi che le delibere assunte siano conformi alla legge, siano conformi allo statuto e corrispondano ad una corretta amministrazione (Alpa).

 

La composizione dell'organo e la nomina dei componenti

Nel sistema monistico il compito di determinare il numero e di nominare i componenti dell'organo di vigilanza spetta al consiglio di amministrazione.

Un numero minimo di componenti è fissato solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, per le quali il secondo comma della norma in commento stabilisce che il comitato per il controllo sia composto da almeno tre membri.

Nonostante il codice nulla disponga in merito alla struttura del comitato delle società chiuse, la natura pluripersonale dell'organo di controllo si desume, non solo dal riferimento nominalistico al «comitato» che di per sé suggerisce una plurisoggettività, ma anche dalla previsione della nomina di un presidente dell'organo ex art. 2409-octiesdecies, comma 5, lett. a), c.c. (Facchin, 677, adduce a sostegno dell'inammissibilità dell'organo amministrativo monocratico anche il rinvio compiuto dall'art. 2409-octiesdecies, ult. comma, all'art. 2404 c.c., che regola, nel sistema tradizionale, il funzionamento collegiale del collegio sindacale).

La ricostruzione interpretativa prevalente ritiene che nelle società chiuse il comitato per il controllo sulla gestione possa essere costituito anche da due soli membri (Riolfo, 101; Guaccero, Di Marcello, 751; contraGhezzi, Rigotti, 255 ss. secondo i quali è preferibile estendere la regola dettata per le società aperte del numero minimo di tre componenti anche alle società chiuse poiché con soli due soggetti componenti non si potrebbe avere la maggioranza assoluta richiesta dalla legge).

In virtù del primo comma dell'art. 2409-octiesdeciesla regola della competenza del consiglio di amministrazione per la nomina dell'organo di controllo è derogabile in via statutaria.

Lo statuto della società che adotta il modello monistico può affidare la nomina e la determinazione del numero dei componenti del comitato – o anche solo di parte di essi – all'assemblea dei soci ovvero a soggetti terzi, mentre è dubbio se sia consentito attribuire la competenza per la nomina del comitato agli amministratori indipendenti (Ghezzi, Rigotti, 256 ss.).

Peraltro, anche qualora lo statuto non attribuisca il potere di nomina all'assemblea, può verificarsi che il consiglio di amministrazione sia solo formalmente titolare del potere di nomina ma che, sostanzialmente, si trovi privo di ogni discrezionalità in merito alle persone da nominare. Una tale situazione può verificarsi nell'ipotesi in cui l'assemblea abbia nominato un numero di amministratori indipendenti esattamente coincidente con il numero di soggetti che dovranno comporre il comitato.

Lo statuto può attribuire la competenza a nominare uno o più membri del comitato per il controllo sulla gestione ai titolari di strumenti finanziari, allo Stato o agli enti pubblici, rispettivamente, in virtù degli artt. 2351,2349 e 2450 c.c.

Nelle società quotate organizzate secondo il modello monistico, in forza degli artt. 147-ter, comma terzo, e 148, comma 4-ter, del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, c.d. TUF, uno dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione deve essere scelto necessariamente tra gli amministratori espressi dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti. Questi deve essere successivamente anche designato quale presidente.

Una volta costituito, il comitato elegge al proprio interno il presidente con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti. E ciò a differenza di quanto avviene per il presidente del collegio sindacale che è nominato dallo stesso organo che nomina il collegio, ovvero l'assemblea dei soci.

Nelle società quotate la carica di presidente del comitato deve essere necessariamente affidata al consigliere eletto nella lista di minoranza in virtù del richiamo all'art. 148, comma 2-bis, operato dal comma 4-ter. Il presidente deve essere, quindi, in possesso dei requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza previsti per i sindaci, ai sensi dell'art. 148, commi 3-4, pena la decadenza dall'incarico.

Pur non essendo specificati dal legislatore i poteri del presidente, si può ritenere che il presidente del comitato per il controllo sia chiamato a svolgere compiti di tipo organizzativo e di impulso dei lavori dell'organo e che, in primo luogo, sia tenuto alla convocazione delle riunioni del comitato, come indirettamente confermato, con riferimento alle società quotate, dall'art. 151-ter, secondo comma, TUF.

Non conduce, infatti, a diverse conclusioni la circostanza che il presidente del comitato sia, comunque, membro del consiglio di amministrazione, in quanto anche il presidente del collegio sindacale partecipa alle riunioni del consiglio di amministrazione (Guaccero, 920).

In analogia con il presidente del collegio sindacale il presidente del comitato è destinatario delle dimissioni dei consiglieri di amministrazione, delle dichiarazioni di dissenso di un amministratore rispetto alle decisioni consiliari ex art. 2392, terzo comma c.c., ed è, altresì, legittimato passivo per la notifica dell'azione di responsabilità esercitata dalla minoranze ex 2393- bis , terzo comma, c.c. (norme tutte richiamate dall'art. 2409-noviesdecies e da ritenersi compatibili con il modello monistico).

I requisiti soggettivi di eleggibilità

Il comitato per il controllo è composto da amministratori in possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità stabiliti dallo statuto e dei requisiti di indipendenza ex art. 2409- septiesdecies c.c.

Con riguardo alle s.p.a. quotate, i requisiti minimi di onorabilità e professionalità sono, invece, definiti dal regolamento emanato ai sensi dell'art. 148, comma quarto, TUF ed i requisiti di indipendenza sono determinati dall'art. 148, comma terzo, TUF (art. 148, comma 3-ter, TUF) (per la trattazione del profilo soggettivo degli amministratori indipendenti, sia nell'ambito delle società chiuse che di quelle aperte, cfr. commento sub art. 2409-septiesdecies c.c.).

Oltre ai menzionati presupposti soggettivi, il secondo comma dell'articolo in commento prevede un'ulteriore condizione per la nomina dei componenti: essi non devono far parte di un comitato esecutivo e non devono essere titolari di deleghe o di particolari cariche enon possono svolgere funzioni attinenti la gestione dell'impresa di società controllanti o controllate.

Tale regola esprime la distinzione, all'interno del consiglio di amministrazione delle s.p.a. a governance monistica, fra amministratori esecutivi ed amministratori non esecutivi, titolari questi ultimi della funzione di vigilanza sulla gestione societaria.

Posto che il secondo comma dell'art. 2409-octiesdecies deve essere inteso nel senso che la carica di componente del comitato per il controllo non può essere rivestita da amministratori con funzioni amministrative (Abriani, Il sistema monistico, 876 ss.), diviene centrale definire il concetto di amministratore esecutivo.

In particolare, occorre analizzare cosa significhi la necessaria assenza di funzioni, anche di mero fatto, inerenti alla gestione dell'impresa sociale o di una società del gruppo.

Secondo la dottrina, al fine di evitare che il disposto normativo menzionato si traduca in una mera ripetizione delle situazioni di fatto tipiche già elencate dal medesimo art. 2409-octiesdecies, devono essere considerati amministratori esecutivi anche gli amministratori che abbiano ricevuto incarichi interni consistenti, ad esempio, in incarichi istruttori per una decisione consiliare, ovvero in specifici mandati con o senza rilievo esterno. Con la precisazione, peraltro, che lo svolgimento di un'attività istruttoria da parte dell'amministratore che sia anche componente del comitato deve ritenersi ammissibile qualora sia finalizzata a supportare il consiglio di amministrazione nello svolgimento dei suoi compiti di valutazione ed assunzione di decisioni in merito al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi.

L'ineleggibilità a componente del comitato per il controllo connessa alla titolarità di «particolari cariche» all'interno della società, poi, determina che la preclusione valga sia per il presidente del consiglio di amministrazione, che per gli amministratori cui sia conferito il potere di rappresentanza della società (Guaccero, 918).

Almeno uno dei componenti del comitato deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili.

Sebbene lo statuto non possa attribuire compiti di controllo contabile al comitato, come si evince dal disposto del secondo comma dell'art. 2409-noviesdecies, che non richiama il terzo comma dell'art. 2409-bis (la bozza di decreto legislativo delegato stabiliva, invece, che lo statuto potesse demandare al comitato la funzione di controllo dei conti, Ambrosini, 330 ss.) tale requisito soggettivo si giustifica in relazione alle peculiari funzioni che l'organo è chiamato a svolgere, soprattutto per quanto concerne la vigilanza sull'adeguatezza del sistema amministrativo e contabile.

Similmente al collegio sindacale, il comitato per il controllo sulla gestione, infatti, è chiamato vigilare sul sistema contabile e sui meccanismi e sulle modalità di rendicontazione contabili adottati dalla società ed è titolare, altresì, di alcune attribuzioni di tipo contabile.

L'art. 154 TUF non esclude l'applicazione dell'art. 2409-octiesdecies, comma terzo, alle società quotate, con la conseguenza che almeno un componente del comitato deve essere scelto tra gli iscritti nel registro dei revisori legali.

Durata dell'incarico e disciplina della revoca dei componenti

I componenti il comitato per il controllo per la gestione rimangono in carica per la durata del mandato del consiglio di amministrazione che li ha nominati e sono rieleggibili salvo che lo statuto non preveda diversamente.

Pertanto, la durata dell'incarico, si spiega per un massimo di tre esercizi, con scadenza alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica.

Nella disciplina del comitato per il controllo sulla gestione non è richiamato l'art. 2400 c.c. che dispone che i sindaci sono revocabili solo per giusta causa, integrata dall'approvazione del tribunale.

La lacuna induce l'interprete a risolvere il quesito se, nel caso di specie, debba applicarsi il menzionato art. 2400 c.c., ovvero la disciplina prevista per gli amministratori dall'art. 2383, comma secondo, c.c., richiamato dall'art. 2409-noviesdecies c.c., previo superamento del limite di compatibilità.

Secondo la tesi prevalente, dal momento che l'organo di controllo è composto da soggetti che sono a pieno titolo anche amministratori, in caso di revoca ai componenti il comitato per il controllo sulla gestione, si applicano le stesse disposizioni dettate per la revoca degli amministratori nelle società che adottano il sistema tradizionale, mentre l'applicazione della disciplina prevista per il collegio sindacale non sarebbe giustificabile neppure alla luce dell'art. 223-septies disp. att. c.c. (Rordorf, 183 ss., il quale ravvisa nella revocabilità ad nutum il principale fattore di debolezza della figura dell'amministratore indipendente).

Similmente ai consiglieri di sorveglianza del modello dualistico la revoca dei componenti il comitato si caratterizza, pertanto, per una maggiore elasticità rispetto al sistema di amministrazione e controllo tradizionale.

I membri del comitato sono revocabili in qualunque momento, se non diversamente stabilito dallo statuto, non essendo richiesta né la giusta causa, né l'approvazione da parte del tribunale.

È fatto salvo il diritto al risarcimento del danno in favore dei componenti il comitato che siano stati revocati in assenza di una giusta causa (Bertolotti, 374).

In mancanza di indicazioni legislative è dibattuto quale sia l'organo – se il consiglio di amministrazione, ovvero l'assemblea – titolare del potere di revoca dei componenti del comitato

La tesi prevalente ritiene che il potere di revoca, per specularità rispetto al potere di nomina, spetti al consiglio di amministrazione e che, solo qualora lo statuto abbia attribuito il potere di nomina del comitato all'assemblea, tale potere sia di competenza dell'assemblea (Guaccero, Di Marcello, 60; Lorenzoni, 83 ss.; contra, Valensise, 742; Riolfo, 112).

In ogni caso, in ipotesi di revoca dalla carica di amministratore da parte dell'assemblea, si determina automaticamente anche la perdita della carica di membro del comitato eventualmente ricoperta (Campobasso, 440).

In caso di rinuncia, morte o decadenza di un componente del comitato, l'art. 2409-octiesdecies, quarto comma, individua le regole per la sostituzione dell'amministratore venuto a mancare.

Le modalità di sostituzione dell'amministratore componente del comitato dipendono dalla composizione del consiglio e tendono ad assicurare che il comitato per il controllo sia sempre composto da consiglieri di amministrazione eletti dall'assemblea dei soci.

Al venir meno di un soggetto preposto al controllo sulla gestione, se tra gli altri amministratori in carica vi sono soggetti dotati dei requisiti previsti dalla legge o dallo statuto per nomina di componente del comitato, il consiglio di amministrazione deve provvedere senza indugio a sostituirlo scegliendo il nuovo membro fra i soggetti in possesso dei suddetti requisiti.

Se all'interno dell'organo non vi sono consiglieri di amministrazione provvisti dei requisiti di professionalità e di indipendenza, ai quali non sono affidati compiti esecutivi, il consiglio di amministrazione – in seduta plenaria, cioè costituito sia dai membri di gestione che da quelli di controllo – provvede senza indugio mediante cooptazione, come indicato nell'art. 2386 c.c. (richiamato dall'art. 2409-noviesdecies c.c.), a scegliere all'esterno una persona provvista dei suddetti requisiti.

Pertanto, a differenza di quanto avviene nel sistema dualistico, il normale avvicendamento degli amministratori per qualsiasi ragione venuti meno dalla carica avviene attraverso il sistema della cooptazione secondo le previsioni dell'art. 2386 c.c., con la precisazione che la cooptazione dovrà essere approvata dal comitato di controllo, in luogo del collegio sindacale, e la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione dovrà rimanere di nomina assembleare.

Posto che la nomina dei componenti il comitato spetta ex lege al consiglio di amministrazione e non all'assemblea, sembra corretto ritenere che la nomina avvenuta per cooptazione non sia condizionata – a differenza di quanto disposto per il sistema tradizionale – alla successiva conferma da parte dell'assemblea dei soci (Ghezzi, Rigotti, 271; Salinas, 1227; Valensise, 741).

Le funzioni del comitato

L'individuazione dei poteri e dei doveri attribuiti al comitato per il controllo sulla gestione appare fra i più controversi dell'intera riforma societaria.

Nel sistema monistico, il nucleo dell'attività di controllo affidata al comitato consiste nella vigilanza sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla idoneità di questa a rappresentare correttamente i fatti di gestione (art. 2409-octiesdecies, comma 5, lett. b).

Nonostante tale disposizione sia simile a quanto statuito dall'art. 2403 c.c. per il collegio sindacale sussistono non marginali profili differenziatori fra le due discipline e, a ben vedere, la formulazione testuale dell'articolo in commento sembra sancire una riduzione dei compiti di vigilanza affidati all'organo di controllo interno del sistema monistico rispetto a quelli affidati al collegio sindacale.

In particolare, nell'art. 2403 c.c. (richiamato in via diretta dall'art. 2409-terdecies, comma primo, lett. c, c.c., per la definizione delle competenze del consiglio di sorveglianza) il dovere di vigilanza del collegio sindacale ha ad oggetto l'osservanza delle leggi e dello statuto, dei principî di corretta amministrazione e l'adeguatezza ed il concreto funzionamento dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile.

Di converso, nel sistema monistico, il dovere di vigilanza del comitato per il controllo interno, da un lato, ha ad oggetto anche l'adeguatezza del sistema di controllo interno (riferimento invece assente nell'art. 2403, ma previsto tra i compiti del collegio sindacale delle società quotate dall'art. 149, comma 1, lett. c, TUF) e l'idoneità del sistema amministrativo e contabile a rappresentare correttamente i fatti di gestione, dall'altro, non contempla né l'obbligo di vigilanza sull'osservanza delle leggi e dello statuto, né dei principî di corretta amministrazione.

Variegate sono state le risposte avanzate dagli interpreti in merito alla diversa configurazione dei compiti affidati al comitato per il controllo sulla gestione, rispetto a quelli spettanti al collegio sindacale.

Una parte della dottrina lamenta una carenza del regime di controllo della gestione nel sistema monistico, ritenendo che il mancato richiamo ai doveri di vigilanza previsti per il collegio sindacale non sia colmabile in via analogica (Salafia, 922 ss.; Fortunato, 320, secondo il quale, rispetto al collegio sindacale, il comitato non sembra chiamato a svolgere compiti di vigilanza sull'osservanza della legge e dello statuto, né una generale vigilanza sul rispetto dei principî di corretta amministrazione: dunque, né un controllo di legalità, né un controllo sulla diligente amministrazione del consiglio di cui pure fa parte).

L'interpretazione prevalente, invece, spiega e giustifica l'esclusione della competenza relativa al controllo di legalità sulla gestione dell'impresa ed alla generale vigilanza sull'amministrazione alla luce della natura “ibrida” del comitato per il controllo sulla gestione (Facchin, 678; Campobasso, 440, nota. 24; Valensise, 748 ss.).

I componenti dell'organo di controllo sulla gestione sono chiamati, in qualità di amministratori, a partecipare alle decisioni gestionali della società e ad adempiere diligentemente ai propri compiti.

Come noto, la diligente gestione dell'impresa, da un punto di vista operativo, si traduce in operazioni ed atti che siano rispettosi della legge, dello statuto e dei principî di corretta amministrazione.

Inoltre, i controllori, come tutti gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato ai sensi dell'art. 2381, ult. comma, c.c., richiamato dall'art. 2409-noviesdecies, primo comma c.c., e ricevono dal presidente del consiglio di amministrazione le adeguate informazioni sulle materie poste all'ordine del giorno ai sensi dell'art. 2381, comma primo, c.c.

Essi dispongono, altresì, del potere di impugnativa individuale delle deliberazioni assunte in violazione dell'art. 2391 c.c. in caso di interessi degli amministratori o in violazione della legge e dello statuto ai sensi dell'art. 2388, comma quarto, c.c.

Pertanto, la partecipazione dei controllori al consiglio di amministrazione e le ulteriori informazioni che essi hanno il potere-dovere di chiedere agli organi mette i componenti del comitato nella posizione di effettuare un controllo sulla base di maggiori informazioni e, quindi, potenzialmente più efficace di quello svolto dal collegio sindacale o dal consiglio di sorveglianza.

Secondo questa impostazione, dunque, la funzione di controllo di legalità ed, in generale, di vigilanza sulla corretta amministrazione non è esclusa dalla previsione legislativa ma è già implicita nell'incarico di amministratore della società. Sarebbe stato, infatti, non solo irragionevole attribuire una simile competenza a soggetti ai quali già spetta “amministrare” la società, ma l'esplicita previsione normativa avrebbe potuto ingenerare il dubbio che il generale dovere di controllo sul rispetto della legalità fosse escluso dall'area delle competenze degli altri amministratori (Irrera, 526 ss.; Abriani, 879).

Tale interpretazione pare orientare anche la relazione governativa di accompagnamento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, laddove si chiarisce che “La circostanza che la vigilanza sull'amministrazione sia svolta, invece che dal Collegio sindacale, da un comitato formato all'interno del Consiglio di Amministrazione, non determina un minor rigore dell'attività di controllo, poiché la professionalità, l'indipendenza, i doveri e i poteri di tale comitato coincidono con quelli del Collegio sindacale, e possono anzi essere integrati da codici di comportamento”.

Se, da un lato, appare controversa l'individuazione dell'oggetto delle competenze spettanti al comitato per controllo sulla gestione, d'altro lato, sicuramente appare carente la disciplina dei poteri spettanti ai componenti dell'organo.

In virtù dell'ultimo comma dell'articolo in commento, il comitato, al pari del collegio sindacale, è chiamato ad indagare su richiesta dei soci, sui fatti ritenuti censurabili, ai sensi dell'art. 2408 c.c. Tali verifiche dovranno avvenire senza ritardo nel caso in cui la denuncia pervenga da minoranze qualificate di soci.

Il comitato, inoltre, può adottare i provvedimenti previsti dall'art. 2409 c.c., ove riscontri gravi irregolarità di gestione potenzialmente dannose ex art. 2409, ult. comma (strumento, peraltro, di non semplice impiego nel sistema monistico se si considera che alle scelte del consiglio di amministrazione hanno partecipato gli stessi vigilanti in qualità di amministratori, Facchin, 679).

Secondo la ricostruzione prevalente – nonostante il mancato richiamo espresso all'art. 2429 – il comitato, analogamente al collegio sindacale, è tenuto a relazionare sull'attività svolta ma non è chiaro se questo compito debba svolgersi nei confronti del consiglio di amministrazione ovvero dell'assemblea ovvero di entrambi (per la tesi secondo cui la relazione è rivolta all'assemblea dei soci, Guaccero, Di Marcello, 772). La periodicità della relazione viene stabilita dallo statuto o da una delibera del consiglio stesso.

Nell'ambito delle funzioni del comitato per controllo, non è richiamato neppure l'art. 2403-bis c.c., che consente ai sindaci di procedere, anche individualmente ed in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo e che consente loro, nell'espletamento di specifiche operazioni di ispezione e controllo, di avvalersi di dipendenti ed ausiliari.

Si ritiene, però, che un analogo potere – funzionale all'efficiente esercizio delle funzioni di controllo – debba essere riconosciuto anche al comitato e che, in ogni caso, esso possa essere attribuito ai componenti del comitato per via statutaria (Ghezzi, Rigotti, 295; Di Marcello, 221 ss., il quale rileva che i poteri, concessi ai componenti dei comitati delle società quotate dall'art. 151-ter, comma 4, TUF, devono considerarsi specificazione di principî applicabili anche all'organo di controllo del modello monistico; contraMagnani, 856).

Il comitato per il controllo è tenuto a trascrivere su un apposito libro la rendicontazione delle proprie adunanze e delle proprie deliberazioni, almeno ogni 90 giorni.

Ai sensi dell'art. 2405, primo comma, c.c., i componenti del comitato sono tenuti ad assistere, oltre che alle assemblee, alle riunioni del comitato esecutivo ma, non essendo richiamato il secondo comma del medesimo art. 2405, che impone al collegio sindacale di partecipare obbligatoriamente alle adunanze pena la decadenza dalla carica, è da ritenere tale sanzione non sia applicabile ai membri del comitato per il controllo sulla gestione.

In quanto amministratori, essi, poi partecipano alle riunioni del consiglio di amministrazione.

L'assenza priva di giustificato motivo a più di una adunanza, assemblea o riunione può essere valutata ai fini di una eventuale revoca per giusta causa, sia dall'incarico di componente del comitato, sia dalla carica di amministratore (Guaccero, Di Marcello, 781), nonché a fini risarcitori (Mancuso, 2017, 773 ss).

Si ritiene, poi, che al comitato debbano estendersi, in virtu` dell'art. 223-septies disp. att. c.c., alcune norme riferite al collegio sindacale che riguardano funzioni consistenti nella partecipazione a rilevanti procedimenti societari quali il potere di adire il Tribunale in merito a situazioni di riduzione del capitale ex artt. 2357, comma 4, 2359-ter, comma 2, e 2359-quater, comma 3 (in tema di azioni proprie) c.c. (Guaccero, Di Marcello, 779 ss.).

La lett. c) dell'art. 2409-octiesdecies attribuisce al consiglio di amministrazione la possibilità di attribuire ulteriori compiti al comitato, in particolare quelli relativi ai rapporti con il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti.

I rapporti con i revisori devono svilupparsi su un piano diverso da quello del mero scambio di informazioni (già contemplato tra i doveri del comitato ai sensi dell'art. 2409-septies, richiamato dall'art. 2409 noviesdecies) e possono includere, ad esempio, la supervisione dei rapporti tra la società ed il revisore, mediante l'affidamento al comitato del compito di effettuare il vaglio delle proposte di nomina o revoca dell'incarico di revisione, oppure la gestione di specifici temi contabili e l'esame preliminare della bozza di bilancio, con riferimento anche al corretto utilizzo dei principî contabili.

Conformemente alla prassi ed alla regolamentazione internazionale appare configurabile, inoltre, l'attribuzione al comitato di compiti di valutazione e monitoraggio per la salvaguardia dell'indipendenza dell'organo contabile (Facchin, 679).

Riguardo ai possibili ulteriori compiti – di controllo e non di tipo gestorio (GuacceroDi Marcello, 778) – attribuibili al comitato e non relativi ai rapporti con il revisore, oltre al controllo sul compimento di operazioni con parti correlate, potrebbero annoverarsi, ad esempio, l'esame preventivo di operazioni di rilievo significativo effettuate da società controllate, il controllo sul compimento di operazioni in cui uno o più amministratori siano portatori di un interesse, la verifica della congruità e l'attività di proposta circa i compensi ad amministratori e dirigenti.

Nell'ambito delle s.p.a. quotate sono ampliati i doveri del comitato per il controllo sulla gestione, quale organo di vigilanza.

La disciplina del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 sul punto è, infatti, più analitica di quella dettata nel codice civile e riconosce, sostanzialmente, ai componenti del comitato i medesimi poteri e diritti di informazione spettanti al collegio sindacale ed al consiglio di sorveglianza nei confronti degli amministratori.

L'art. 151-ter TUF attribuisce al comitato: i) poteri informativi, che si estrinsecano nella facoltà di chiedere, anche individualmente, informazioni sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, sia agli altri amministratori della società sia agli organi di amministrazione e controllo delle società controllate; ii) poteri organizzativi, consistenti nella facoltà, esercitabile da ciascun componente anche individualmente, di domandare al presidente la convocazione del comitato nonché, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, di convocare direttamente il consiglio di amministrazione o il comitato esecutivo; iii) poteri di controllo, che si esprimono sia nello scambio di informazioni con i corrispondenti organi delle controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo e all'andamento generale dell'attività sociale, sia nell'effettuazione di atti ispettivi e di verifica (per approfondimenti cfr. Regoli, 2057 ss.).

L'art. 150, comma 5, TUF, inoltre, estende al comitato il potere-dovere di scambiare tempestivamente con la società di revisione i dati e le informazioni rilevanti per l'espletamento dei rispettivi compiti nonché quello di chiedere informazioni ai preposti al controllo interno, esercitabile anche singolarmente da ciascun componente.

Al comitato si applica quanto previsto per i doveri del collegio sindacale dall'art. 149 TUF, ma limitatamente al comma 1, lett. c-bis) e d), commi 3 e 4.

Pertanto, spetta al comitato la vigilanza sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste dai codici di comportamento, nonché sull'adeguatezza delle disposizioni impartite dalla società alle società controllate ex art. 114, comma 2, TUF.

Il comitato deve comunicare senza indugio alla Consob le irregolarità riscontrate nell'attività di vigilanza e trasmettere i verbali delle riunioni e degli accertamenti condotti, nonché ogni altra documentazione utile; la disposizione non è applicabile nelle società con azioni quotate esclusivamente su altri mercati dell'Unione Europea e dunque non in Italia (art. 149, commi 3-4, richiamati dal comma 4-ter).

L'art. 152 TUF, poi, estende anche al sistema monistico l'istituto della denunzia al tribunale di cui all'art. 2409 ed attribuisce la relativa legittimazione anche alla Consob.

Il funzionamento dell'organo

La disciplina del funzionamento del consiglio per il controllo sulla gestione è estremamente scarna e, per lo più, deve essere ricavata mediante il complesso sistema dei rinvii alle norme dettate, nell'ambito del modello tradizionale, per i sindaci.

Il comitato si riunisce ogni novanta giorni, come previsto dalle norme sul collegio sindacale, richiamate dall'art. 2409-octiesdecies, comma sesto, ma, mancando il rinvio all'art. 2404, comma secondo, c.c., non appare configurabile la decadenza dalla carica in caso di mancata partecipazione a due riunioni del comitato.

La riunione, così come previsto anche per tutti gli altri organi di controllo ed, a patto che lo statuto lo consenta indicandone le modalità, potrà svolgersi anche attraverso l'ausilio di mezzi telematici.

L'organo è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei componenti, i quali deliberano a maggioranza assoluta dei presenti, con al precisazione che alle riunioni “pure” del comitato non possano partecipare gli altri amministratori, salvo che non siano stati autorizzati per materie attinenti all'ordine del giorno (Riolfo, 110; GhezziRigotti, 110).

Dell'attività del comitato deve essere dato atto in appositi verbali da trascrivere nel relativo libro sociale ex art. 2421, comma primo, n. 5, c.c., nel quale i membri dissenzienti hanno il diritto di far annotare le proprie osservazioni, come disposto dall'art. 2404, commi terzo e quarto, c.c.

Inoltre, sebbene non precisato dal legislatore, deve ritenersi che le riunioni del comitato siano distinte da quelle del consiglio di amministrazione.

Per le società quotate, l'art. 151-ter, secondo comma, TUF dispone che i componenti del comitato per il controllo sulla gestione possono, anche individualmente, chiedere al presidente la convocazione del comitato, indicando gli argomenti da trattare. La riunione deve essere convocata senza ritardo, salvo che vi ostino ragioni tempestivamente comunicate al richiedente ed illustrate al comitato alla prima riunione successiva.

Tale norma, peraltro, viene intesa quale espressione di un principio generale nel senso del riconoscimento di istanze di una partecipazione più consapevole da parte dei vari componenti del comitato e, pertanto, dovrebbe essere ritenuta applicabile anche alle società chiuse (Guaccero, Di Marcello, 764).

Il procedimento deliberativo dell'organo ed il relativo sistema delle impugnazioni non è oggetto di previsione normativa specifica.

Mentre per il consiglio di sorveglianza, l'art. 2409-quaterdecies c.c. richiama l'art. 2388 c.c. che disciplina il funzionamento e l'impugnazione delle delibere adottate dal consiglio di amministrazione, per il comitato per il controllo sulla gestione, come anche per il collegio sindacale, la legge non chiarisce se le rispettive delibere siano impugnabili.

Il profilo è dubbio in dottrina e la tesi prevalente ritiene le deliberazioni del comitato non siano impugnabili. Secondo questa tesi, la conclusione per l'inoppugnabilità sarebbe giustificata dal tipo di funzioni attribuite al comitato per il controllo sulla gestione – come anche al collegio sindacale – in quanto, oltre al fatto che non sarebbe comunque configurabile l'attribuzione del potere di impugnazione a soggetti esterno all'organo di controllo, la previsione del dissenso dei singoli componenti e della relativa verbalizzazione rappresenterebbe già una garanzia di funzionamento idonea ad eliminare l'interesse all'impugnativa delle delibere (Guaccero, Di Marcello, 765; Magnani, 134; Mancuso, 2016, 1986).

Il compenso dei controllori

In assenza di rinvio alle disposizioni concernenti la determinazione del compenso, si ritiene che i componenti del comitato per il controllo sulla gestione, in quanto consiglieri di amministrazione, godano della relativa remunerazione e che, pertanto, il rispettivo compenso sia determinato dall'assemblea ai sensi dell'art. 2389, primo comma, c.c.

Ai componenti del comitato, in quanto incaricati della funzione di controllo, appare corretto applicare, altresì, l'art. 2389, comma terzo, c.c., ai sensi del quale gli amministratori investiti di particolari cariche possono ricevere un compenso accresciuto (Ghezzi, Rigotti, 256 ss.; Guaccero, Di Marcello, 766).

In tema di remunerazione dei controllori del sistema monistico sorgono, poi, due interrogativi: i) se la determinazione dell'eventuale compenso aggiuntivo sia di competenza del consiglio di amministrazione, come disposto dall'art. 2389, comma terzo, c.c. oppure se esso sia rimesso allo statuto ed, in mancanza di previsione statutaria, spetti all'assemblea; ii) se la retribuzione dei componenti del comitato debba essere invariabile per tutta la durata dell'incarico, come imposto per i sindaci e per i consiglieri di sorveglianza, rispettivamente, dagli artt. 2402 e 2409-quaterdecies c.c.

In merito al primo profilo, la prevalente impostazione interpretativa ritiene che il compenso debba essere stabilito dallo stesso organo titolare del potere di nomina, ovvero dal consiglio di amministrazione (Magnani, 857; Mancuso, 2016, 1982).

Tale tesi, peraltro, fa salva l'ipotesi in cui lo statuto attribuisca all'assemblea il potere di determinazione del compenso, eventualmente anche in via implicita, affidando a quest'ultima la competenza per la nomina e la revoca dei suoi componenti (Guaccero, Di Marcello, 766).

Per quanto concerne, poi, la sussistenza, nell'ambito del sistema monistico, del principio dell'immodificabilità della remunerazione, la dottrina sostiene la tesi secondo cui, trattandosi di regola a tutela dell'indipendenza dei controllori nelle s.p.a., deve ritenersi che tale principio viga anche riguardo al comitato per il controllo per la gestione, con la precisazione che l'eventuale incremento del compenso stabilito dall'assemblea in favore degli amministratori nel corso dell'incarico dovrebbe considerarsi illegittimo per la parte relativa ai componenti del comitato (Guaccero, 919).

Il regime della responsabilità

Con riferimento alla responsabilità degli amministratori l'art. 2409-noviedecies, comma primo, contiene solo un rinvio espresso alla disciplina di cui gli artt. 2392-2395 c.c., che regolano le azioni di responsabilità nel modello tradizionale di governance.

Nell'ambito del sistema alternativo monistico il legislatore non ha, invece, previsto apposite regole in ordine alla responsabilità dei componenti del comitato per il controllo sulla gestione, né in via diretta, né mediante il sistema dei rinvii.

In particolare manca il rinvio all'art. 2407 c.c. che stabilisce che i sindaci rispondono, da una parte, per il fatto proprio e, dall'altra, per omessa vigilanza sugli amministratori ed in solido con essi, relativamente alle fattispecie di responsabilità gestionale di cui agli artt. 2393,2394 e 2395 c.c.

Pertanto, il problema preliminare che si pone è quello di stabilire se sia possibile distinguere la responsabilità degli amministratori componenti del comitato dal regime della responsabilità degli altri consiglieri ed, in secondo luogo, in caso di risposta positiva, a quale regime di responsabilità si debba fare riferimento.

A ben vedere, la soluzione del problema è in parte influenzata dalla configurazione del comitato come organo autonomo a come mera articolazione interna del comitato.

Qualora si consideri il comitato come un'articolazione interna dell'organo consiliare si conclude che per i membri del comitato non debba operare una disciplina sulla responsabilità diversa da quella dettata, in linea generale, per gli altri consiglieri di amministrazione (Ghezzi, Rigotti, 318 ss.).

In ragione delle peculiari competenze affidate ai «controllori» e tenuto conto delle maggiori informazioni da essi possedute, la tesi prevalente in dottrina ritiene però di dover compiere un distinguo, in punto di responsabilità, fra gli amministratori esecutivi e gli amministratori con funzioni di vigilanza (per un approfondimento di carattere comparativo in merito al discrimine tra la responsabilità dei directors e quella dei membri dell'audit committee nei modelli one tier system,Mancuso, 2017, 733 ss., nota 8).

I componenti del comitato per il controllo sulla gestione, in quanto amministratori, sono responsabili dei danni derivanti dall'inosservanza dei loro doveri, secondo il regime ordinario dettato dagli artt. 2392 ss. c.c.

La partecipazione all'organo interno di vigilanza aggrava, però, la posizione degli amministratori, i quali accanto alla funzione gestoria che conservano, svolgono altresì la funzione di rilievo per l'interesse pubblico di controllo della corretta gestione della società, rispetto alla quale devono rispondere in termini autonomi e specifici (la tesi dell'applicazione diretta dell'intero regime della responsabilità dei sindaci di cui all'art. 2407 c.c. è sostenuta da Facchin, 680; in termini parzialmente analoghi Guaccero, 924, il quale ritiene che gli artt. 2392 e 2407 si applichino ai membri del comitato, alternativamente, in ragione della natura amministrativa o di controllo dell'atto causativo di responsabilità ad essi addebitati).

Al di là del rinvio specifico alla disciplina della responsabilità dei sindaci, piuttosto che a quella degli amministratori, una impostazione mediana osserva come, anche in relazione ai componenti del comitato, la distinzione dei ruoli – di amministratore e di controllore – possa assumere rilievo ai sensi dell'art. 2392, comma primo, c.c., ossia in ragione delle specifiche competenze nonché delle effettive conoscenze dei singoli, con la conseguenza che la diligenza dovuta dall'amministratore indipendente nominato membro del comitato dovrà essere modulata proprio in ragione delle specifiche competenze che gli sono attribuite (Mancuso, 2017, 733 ss.; per una casistica delle diverse fattispecie in concreto prospettabili cfr. Lorenzoni, 66 s.).

L'azione di responsabilità contro i componenti del comitato, in ogni caso, è sottoposta alle stesse regole di quella contro gli amministratori, in virtù del richiamo dell'art. 2409-noviesdecies agli artt. 2392 ss. (Guaccero, Di Marcello, 782).

Bibliografia

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