Codice Civile art. 2437 quater - Procedimento di liquidazione (1).

Lorenzo Delli Priscoli

Procedimento di liquidazione (1).

[I]. Gli amministratori offrono in opzione le azioni del socio recedente agli altri soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili, il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio.

[II]. L'offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione. Per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell'offerta.

[III]. Coloro che esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell'acquisto delle azioni che siano rimaste non optate.

[IV]. Qualora i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente, gli amministratori possono collocarle presso terzi; nel caso di azioni quotate in mercati regolamentati, il loro collocamento avviene mediante offerta nei mercati medesimi.

[V]. In caso di mancato collocamento ai sensi delle disposizioni dei commi precedenti entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso (2), le azioni del recedente (3) vengono rimborsate mediante acquisto da parte della società utilizzando riserve disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell'articolo 2357.

[VI]. In assenza di utili e riserve disponibili, deve essere convocata l'assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società.

[VII]. Alla deliberazione di riduzione del capitale sociale si applicano le disposizioni del comma secondo, terzo e quarto dell'articolo 2445; ove l'opposizione sia accolta la società si scioglie.

(1) V. nota al Capo V.

(2) Le parole «entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso» sono state inserite dall'art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, come modificato dall'art. 5 1cc) d.lg. 6 febbraio 2004, n. 37.

(3) V. Errata-corrige in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.

Inquadramento

L'art. 2437-quater c.c., stabilendo che gli amministratori offrono in opzione le azioni del socio recedente, si pone l'obiettivo di evitare la depatrimonializzazione della società ed è coerente con l'impianto complessivo del codice civile secondo cui l'acquisto delle azioni del socio recedente da parte della società costituisce l'extrema ratio. L'offerta di opzione è depositata presso il registro delle imprese e deve essere concesso un termine non inferiore a trenta giorni dal deposito dell'offerta: è dunque previsto sia un meccanismo di pubblicità della possibilità di esercitare l'opzione sia un congruo termine per decidere se approfittarne (Calandra Buonaura, 317; Callegari, 1420).

Si è ritenuto che legittimati a richiedere l'iscrizione nel registro delle imprese delle modificazioni dell'atto costitutivo sono soltanto gli amministratori e che pertanto non sia accoglibile il ricorso presentato dal socio di una società in nome collettivo contro il rifiuto di iscrivere il suo recesso (Trib. Milano 16 luglio 1986, in Soc. 1986, 1387).

L'art. 2355-bis c.c. pone, in alternativa al recesso, la possibilità che le azioni vengano acquistate dalla società o dagli altri soci, così evitando in quest'ultimo caso una perdita di patrimonio da parte della società, permettendo al contempo di realizzare lo scopo di consentire l'uscita del socio dalla stessa. Un'analoga alternativa è posta — sia nelle s.p.a. che nelle s.r.l. — nel corso del procedimento di liquidazione in seguito al recesso del socio (art. 2437-quater e 2473, comma 4, c.c.): prima che la società rimborsi le azioni al socio recedente viene attribuita la facoltà ai soci (e in alcuni casi anche ai terzi) di acquistare le partecipazioni del socio recedente. Potrebbe pertanto affermarsi che se sono globalmente aumentate le ipotesi legali di uscita dalla società, non siano anche aumentate le ipotesi legali di recesso inteso come procedimento al termine del quale la società subisce un depauperamento del proprio patrimonio; al contempo l'aumento dei casi sarebbe determinato esclusivamente da modifiche intervenute in altri luoghi del codice (Daccò, 99; Delli Priscoli, 121).

Queste conclusioni sembrano peraltro messe in discussione dall'introduzione della facoltà di recesso in caso di società non quotata in un mercato regolamentato costituita a tempo indeterminato (artt. 2437, comma 2, c.c. per le società per azioni; art. 2473, comma 2, c.c. per le società a responsabilità limitata) che solo teoricamente e solo per le società per azioni potrebbe essere ricondotta a quelle nuove ipotesi di recesso provocate da innovazioni avvenute in altri luoghi del codice (l'art. 2328, n. 13, c.c., che comprende, fra i requisiti dell'atto costitutivo, l'indicazione della durata della società). Tale tipo di società potrebbe infatti essere costituito proprio solo allo scopo di attribuire al socio un diritto di recesso ad nutum, salvo il dovere di preavvertire la società. Inoltre, gli artt. 2437, comma 1, lett d, e 2473 c.c. menzionano, fra le ipotesi legittimanti il recesso, la revoca dello stato di liquidazione, la cui disciplina non ha subito modifiche di rilievo a seguito della riforma. Da ultimo può menzionarsi il diritto di recesso prevista dall'art. 2497-quater c.c. in caso di entrata e uscita dai gruppi, i quali — se è vero che sono stati per la prima volta disciplinati con la riforma del 2003 — non sono stati dotati di una normativa che, aumentando il rischio derivante dall'appartenenza agli stessi, potrebbe giustificare la nuova facoltà di exit (M. Stella Richter jr., 399; Delli Priscoli, 128).

L'offerta in opzione delle azioni del socio recedente agli altri soci

Il secondo comma dell'art. 2355-bis c.c., dettato in tema di società per azioni, stabilisce che «le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il recesso dell'alienante... Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'art. 2437-ter». La nuova disciplina delle clausole di mero gradimento pone, in alternativa al recesso, la possibilità che le azioni vengano acquistate dalla società o dagli altri soci, così evitando in quest'ultimo caso la depatrimonializzazione della società, permettendo al contempo di realizzare lo scopo di consentire l'exit al socio. Nel caso pertanto in cui la società preveda l'acquisto da parte degli altri soci, il rifiuto del placet potrà avvenire solo quando quest'ultimi dispongano dei mezzi necessari per il riacquisto delle partecipazioni del socio che vuole vendere la sua partecipazione (Demuro, 142; De Nova, 337).

Una situazione analoga si verifica nel corso del procedimento di liquidazione in seguito al recesso del socio (art. 2437-quater c.c.): prima che la società rimborsi le azioni al socio recedente viene attribuita la facoltà ai soci (e in alcuni casi anche ai terzi: quando gli amministratori riterranno, valutata la corrispondenza dell'operazione all'interesse sociale, che non vi siano pregiudizi dall'alterazione della composizione della compagine sociale) di acquistare le azioni del socio recedente: lo scopo è sempre quello di evitare, per quanto possibile, la perdita di risorse patrimoniali della società (Delli Priscoli, 154; Di Cataldo, 113).

La vendita a terzi delle azioni del socio recedente

La nuova disciplina del recesso si ripromette di fornire i rimedi ai problemi che le novità hanno inevitabilmente recato, attribuendo una via di fuga a quei soci che dovessero ritenere troppo facile l'uscita o troppo convenienti i criteri di liquidazione o ancora non sufficientemente garantito il mantenimento dell'originaria compagine sociale. Quest'ultimo aspetto è tenuto in considerazione, oltre che dagli art. 2355-bis e, per le s.r.l., 2469 c.c. (che disciplinano le clausole di gradimento, mero e non, e il divieto di alienazione) anche dall'artt. 2437-quater, che permette agli amministratori di una s.p.a., una volta che i soci non abbiano acquistato in tutto o in parte le azioni del recedente, e valutata la corrispondenza dell'operazione all'interesse sociale, di non vendere a terzi le azioni del socio in procinto di lasciare la società (M. Stella Richterjr., 400; Delli Priscoli, 132).

Secondo il comma 4 dell'art. 2437-quater c.c., qualora i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del socio recedente, gli amministratoripossonocollocarle presso terzi. L'uso del verbo potere però non attribuisce agli amministratori un potere di scelta svincolato da qualsiasi limite. Essi, pur a seguito del riconoscimento da parte dell'art. 2380-bis c.c. dell'esclusività del potere gestionale, saranno infatti tenuti ad effettuare la scelta tenendo presente l'interesse sociale: si tratta pertanto di un potere-dovere, in quanto essi non sono del tutto liberi nella scelta, ma, dovendo curare gli interessi della società, sono vincolati nel fine da perseguire (Delli Priscoli, 133; Di Cataldo, 115).

L'ultimo comma dell'art. 2437-quater c.c. (che disciplina il procedimento di liquidazione delle azioni del socio recedente) e l'art. 2445 c.c. (che disciplina la riduzione del capitale sociale), stabiliscono che i creditori sociali hanno la possibilità di opporsi al procedimento di riduzione del capitale sociale che scaturisce a seguito del recesso di un socio quando né gli altri soci né i terzi abbiano acquistato le azioni del recedente, e se il Tribunale non ritiene infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure la società non presti idonea garanzia, si dà luogo allo scioglimento della società. Deve rilevarsi che prima della riforma la legge non consentiva ai creditori di proporre opposizione alla delibera di riduzione del capitale sociale a seguito di recesso del socio (Calandra Buonaura, 317; Callegari, 1420).

Infine, sempre a tutela dei creditori sociali non può non rilevarsi la notevole portata dell'innovazione in tema di responsabilità degli amministratori di cui all'art. 2392 c.c. – ferma quella sancita a loro carico dall'art. 2394 c.c. in caso di inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del capitale sociale – che impone a questi di agire «con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze». Questa modifica sembra costituire un valido rimedio all'eventuale sottocapitalizzazione delle società e all'assunzione di obbligazioni senza un adeguato controllo circa la capacità di onorarle. Infatti, non si è mancato di sottolineare che tale norma, sostituendo il riferimento alla diligenza del mandatario, accosta invece quest'ultima a quella della regola generale di cui all'art. 1176, comma 2 c.c., secondo cui, nell'ambito di un'attività professionale, la diligenza deve avere riguardo «alla natura dell'attività esercitata»: pertanto quanto maggiori saranno le dimensioni della società e soprattutto il numero e la rilevanza delle obbligazioni contratte dalla stessa, tanto più grande dovrà essere la perizia degli amministratori, che dovranno avere la capacità di valutare la capacità della società nel tenere fede agli impegni. Del resto l'esistenza di un generale principio di diligente amministrazione lo si evince anche dalla previsione, al comma 3 dell'art. 2381 c.c., di un obbligo di valutazione da parte del consiglio di amministrazione del generale andamento della gestione da parte degli amministratori delegati e di un obbligo specifico di vigilanza sul rispetto di tali principî in capo agli organi di controllo, anche se, per un difetto di coordinamento, la statuizione espressa si rinviene soltanto per il collegio sindacale (art. 2403 c.c.: «il collegio sindacale vigila... sul rispetto dei principî di corretta amministrazione») e per il consiglio di sorveglianza (art. 2403-terdecies, comma 1, lett. c), ma non per il comitato per il controllo sulla gestione (art. 2403-octiesdecies), anche sul quale però si ritiene che, ricorrendone la stessa ratio, gravi in via analogica un obbligo di vigilanza sul rispetto di una condotta diligente e corretta da parte degli amministratori (De Nova, 336; Meli, 366).

Secondo Cass. I, n. 3902/2012, al fine dell'affermazione della responsabilità dei sindaci non occorre l'individuazione di specifici comportamenti illeciti ad essi imputabili, ma è sufficiente il fatto che non sia stata da parte loro rilevata una qualche macroscopica violazione commessa dagli amministratori, o che, in presenza di una violazione siffatta, essi non abbiano in alcun modo reagito ponendo in essere ogni atto necessario all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buonafede, anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al pubblico ministero per consentire a quest'ultimo di attivarsi ai sensi dell'art. 2409 c.c., potendo il ricorso a simili rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, risultare idoneo ad evitare o, quanto meno, a ridurre le conseguenze dannose dell'illegittima condotta gestoria.

Il principio di corretta e diligente amministrazione, prima espressamente contemplato soltanto per le società quotate (cfr. art. 149, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, secondo cui «il collegio sindacale vigila...» non solo «sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo», ma anche «sul rispetto dei principî di corretta amministrazione», è dunque assunto a clausola generale di comportamento degli amministratori di tutte le società di capitali. Il rispetto delle regole, anche tecniche e non solo giuridiche, di buona gestione è oggi, pertanto, norma di diritto comune, e come tale è riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità. Le regole organizzative escono dunque dall'area della tecnica aziendalistica, superano i confini dei settori vigilati (banche, assicurazioni, società quotate) e si estendono a tutte le società azionarie.

In definitiva le immutate esigenze di garanzie dei terzi trovano a seguito della riforma una risposta che discende non più solo dal principio di fissità del capitale sociale ma anche da una maggiore facilità per la società di attrarre investimenti, dal principio della postergazione dei soci e da una maggiormente calibrata responsabilità degli amministratori, più idonea a colpire eventuali abusi che potrebbero nascere da una sottocapitalizzazione della società. La perdita del ruolo decisivo da parte della fissità del capitale sociale nella garanzia per i terzi per le obbligazioni societarie, attenuando notevolmente le esigenze che erano alla base della massima limitazione dei casi di recesso e della conseguente impossibilità di una loro applicazione in via analogica, determina la possibilità di concepire un nuovo ruolo del recesso, non più confinato entro ipotesi rigidamente predefinite, ma volto a venire incontro alle sempre mutevoli esigenze dell'organizzazione societaria e alle sue necessità di finanziamento (M. Stella Richterjr., 402; Delli Priscoli, 134).

Bibliografia

Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm. 2005, I, 317; Callegari, Commento all'art. 2437-ter c.c., in Il nuovo diritto societario, a cura di Cottino, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, II, 2, 1420; Daccò, Il recesso nelle s.p.a., in Le nuove s.p.a., diretto da Cagnasso e Panzani, Bologna, 2010; Delli Priscoli, L'uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, 2005; Demuro, La determinazione della quota di liquidazione del socio receduto, in Giur. comm. 2011, II, 139; De Nova, Il diritto di recesso del socio di società per azioni come opzione di vendita, in Riv. dir. priv. 2004, 333; Di Cataldo, Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto della società. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, 3, Torino, 2006; Meli, Commento all'art. 2355-bis c.c., in Società di capitali a cura di Niccolini, Stagno d'Alcontres, I, Napoli, 2004, 363; Spolidoro, Questioni in tema di recesso dalle società di capitali a margine di un libro recente, in Riv. soc. 2012, 403; Stella Richter jr, Diritto di recesso ed autonomia statutaria, in Riv. dir. comm. 2004, I, 395.

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