Codice Civile art. 2478 - Libri sociali obbligatori (1).

Guido Romano

Libri sociali obbligatori (1).

[I]. Oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti nell'articolo 2214, la società deve tenere:

1) (2)

2) il libro delle decisioni dei soci, nel quale sono trascritti senza indugio sia i verbali delle assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia le decisioni prese ai sensi del primo periodo del terzo comma dell'articolo 2479; la relativa documentazione è conservata dalla società;

3) il libro delle decisioni degli amministratori;

4) il libro delle decisioni del collegio sindacale nominato (3) ai sensi dell'articolo 2477.

[II]. I libri indicati nei numeri 2) e 3) del primo comma devono essere tenuti a cura degli amministratori; il libro indicato nel numero 4) del primo comma deve essere tenuto a cura dei sindaci (4).

[III]. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro indicato nel numero 3 del primo comma o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

(1) V. nota al Capo VII.

(2) Numero abrogato dall'art. 16, comma 12 septies, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 conv., con modif., nella l. 28 gennaio 2009, n. 2. Il testo recitava: «il libro dei soci, nel quale devono essere indicati il nome dei soci, la partecipazione di spettanza di ciascuno, i versamenti fatti sulle partecipazioni, nonché le variazioni nelle persone dei soci;». Ai sensi del comma 12 undecies del medesimo art. 16 del d.l. n. 185 del 2008, conv. con modif., dalla l. n. 2 del 2009, le disposizioni entrano in vigore il sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro tale termine, gli amministratori delle società a responsabilità limitata depositano, con esenzione da ogni imposta e tassa, apposita dichiarazione per integrare le risultanze del registro delle imprese con quelle del libro dei soci.

(3) Le parole «o del revisore nominati» sono state sostituite dalle parole «nominato» dall'art. 37, comma 27, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39.

(4) Comma modificato dall'art. 37, comma 27, del d.lg. 27 gennaio 2010, n. 39, che ha soppresso le parole «o del revisore», poste alla fine del comma. Precedentemente il comma era stato modificato dall'art. 16, comma 12 septies, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 conv., con modif., nella l. 28 gennaio 2009, n. 2. Il testo recitava: «I primi tre libri devono essere tenuti a cura degli amministratori e il quarto a cura dei sindaci o del revisore». Ai sensi del comma 12 undecies del medesimo art. 16 del d.l. n. 185 del 2008, conv. con modif., dalla l. n. 2 del 2009, le disposizioni entrano in vigore il sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro tale termine, gli amministratori delle società a responsabilità limitata depositano, con esenzione da ogni imposta e tassa, apposita dichiarazione per integrare le risultanze del registro delle imprese con quelle del libro dei soci.

Inquadramento

L'art. 2478 prevede, in primo luogo, che la società a responsabilità limitata debba tenere i libri previsti dall'art. 2214 c.c. e, dunque, libro giornale, il libro degli inventari e tutte le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa.

È stato correttamente osservato che la norma in commento ha portata più ampia dell'art. 2214 c.c. in quanto estende a tutte le società a responsabilità limitata l'obbligo della tenuta delle scritture contabili che, invece, l'art. 2214 c.c. limita alle sole imprese commerciali (Arcidiacono, 687; Buta, 764).

Sebbene non esplicitamente richiamati, sono applicabili anche le previsioni di cui agli artt. 2215 ss. c.c. che disciplinano le formalità con le quali debbono essere tenuti tutti i libri sociali obbligatori. Inoltre, la società a responsabilità limitata ha l'obbligo di conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite

Oltre a tali libri, la società deve tenere: il libro delle decisioni dei soci; il libro delle decisioni degli amministratori; il libro delle decisioni del collegio sindacale nominato ai sensi dell'art. 2477 c.c.

La versione originaria della norma, poi, prevedeva anche la tenuta del libro dei soci nel quale dovevano esser indicati il nome dei soci, la partecipazione di spettanza di ciascuno, i versamenti fatti sulle partecipazioni, nonché le variazioni nelle persone dei soci e, secondo opinione unanime degli interpreti, il domicilio di essi. Tuttavia, in sede di conversione del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 in l. 28 gennaio 2009, n. 2, tale libro è stato, per le società a responsabilità limitata, abolito e le funzioni cui esso doveva assolvere sono state attribuite alle relative iscrizioni presso il registro delle imprese.

Sono legittimati ad accedere ai libri contabili gli organi incaricati del controllo contabile della società e tutti i soci che non partecipano all'amministrazione, come espressamente previsto dall'art. 2476, comma 2 c.c. (Zanarone, 1179).

L'obbligo di tenuta delle scritture contabili.

La regolare tenuta dei libri contabili costituisce l'oggetto di una specifica obbligazione gravante sugli amministratori (Buta, 764), i quali potranno avvalersi di collaboratori e di ausiliari, ma solo sul piano meramente operativo e senza alcun esonero di responsabilità.

Si rileva generalmente che la non corretta tenuta della contabilità e dei libri sociali espone gli amministratori alla revoca per giusta causa da parte dei soci e, secondo un certo indirizzo interpretativo, alla revoca da parte del tribunale ai sensi dell'art. 2476 comma 3, c.c. Appare, invece, di difficile affermazione l'esistenza di un danno che derivi, in via esclusiva, dalla mancata tenuta delle scritture contabili, in quanto come affermato da Cass.,S.U., n. 9100/2015, la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l'attività dell'impresa, non li determina ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità.

Gli amministratori, poi, sono esposti, in caso di fallimento, alle stesse sanzioni penali previste per l'imprenditore individuale dagli S00">artt. 216 e 217 l. fall. per i reati di bancarotta semplice e fraudolenta (Buta, 765).

In giurisprudenza, è stato comunque affermato che, in tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata per i danni ad essa cagionati da operazioni illegittime, il giudice ben può tenere conto, al fine di ricostruire l'andamento degli affari sociali e di valutare gli effetti concreti dell'operato degli amministratori medesimi, delle risultanze di scritture contabili informali (una sorta di «contabilità nera») e libri sociali la cui tenuta, avvenuta in modo difforme dalle prescrizioni di legge, già di per sè può costituire autonoma fonte di responsabilità (Cass. n. 6471/2003).

I libri sociali obbligatori.

Il primo libro menzionato dall'art. 2478 è il libro delle decisioni dei soci, nel quale sono trascritti senza indugio sia i verbali delle assemblee, anche se redatti per atto pubblico, sia le decisioni prese mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto.

È stato osservato (Arcidiacono, 699; Zanarone, 1188) che la coesistenza di due tecniche di assunzione delle decisioni comporta la coesistenza di due distinte tecniche di «evidenziazione» delle decisioni sul libro delle decisioni dei soci. Infatti, per quanto riguarda le deliberazioni assunte dall'assemblea, esse andranno trascritte sul libro, mentre, per le decisioni assunte in forma extrassembleare, potendo il consenso di ciascun socio risultare da più atti separati, sarà necessaria la redazione di un ulteriore documento che formalizzi la decisione, documento che andrà poi trascritto nel libro in argomento (Zanarone 1188; Arcidiacono, 700; Buta, 766, che precisa che, al contrario, va esclusa la necessità di un verbale che documenti le varie fasi del procedimento extrassembleare).

Si esclude che la trascrizione della decisione abbia natura di elemento costitutivo della fattispecie decisoria ovvero di condizione di efficacia tout court della medesima (Zanarone, 1189; Arcidiacono, 700). La sua funzione è quella di consentire il decorso del termine per l'impugnazione delle decisioni dei soci ovvero per l'esercizio del diritto di recesso.

La trascrizione delle decisioni nel relativo libro deve intervenire «senza indugio».

La norma prevede, poi, il libro delle decisioni degli amministratori. La diversità della attuale formulazione della norma rispetto a quella previgente (art. 2490 c.c. che prevedeva il «libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione») si spiega sia in ragione della possibilità che, nella s.r.l., anche in caso di amministrazione pluripersonale, l'organo amministrativo potrebbe funzionare secondo il sistema dell'amministrazione disgiuntiva o congiuntiva sia in relazione alla circostanza che le decisioni dell'organo amministrativo potrebbero essere adottate per consultazione scritta ovvero per consenso manifestato per iscritto, sempre che lo statuto lo consenta (Arcidiacono, 701). Secondo la dottrina, la documentazione nel libro può avere luogo mediante la diretta trascrizione o l'inserimento nel libro medesimo dei relativi documenti o dichiarazioni redatti per iscritto, senza postulare l'intermedia produzione di un verbale quale forma di documentazione scritta ulteriormente qualificata (Perrino, 771). D'altra parte, nella s.r.l., l'unica previsione espressa di un obbligo di verbalizzazione di decisioni amministrative (anche ove assunte dall'amministratore unico) è quella di cui all'art. 2481 c.c. che impone che la decisione degli amministratori, cui sia per statuto attribuita la facoltà di aumentare il capitale sociale, deve risultare da verbale redatto senza indugio da notaio (Perrino, 772).

In caso di sistema di amministrazione consiliare, il libro deve, comunque, riportare le eventuali dichiarazioni di dissenso di singoli amministratori rispetto all'assunzione di decisioni collegiali o rispetto a fatti o omissioni individuali (Colombo, 10; Arcidiacono, 701).

È dubbio se il libro delle decisioni degli amministratori debba essere tenuto anche nel caso in cui l'organo gestorio sia composto da un amministratore unico. In senso favorevole si osserva come la trascrizione nel libro delle decisioni dell'amministratore unico assicuri maggiore trasparenza nella gestione e favorisca il controllo sull'amministrazione da parte dei singoli soci e dell'organo di controllo ove presente (Buta, 767 che evidenzia, inoltre, che la trascrizione nel libro si rivela fondamentale, in caso di s.r.l. unipersonali, per consentire l'opponibilità ai terzi dei contratti della società con l'unico socio ai sensi dell'u.c. dell'articolo in commento). In senso contrario, si osserva che l'art. 2478 obbliga gli amministratori alla tenuta del libro delle decisioni allo scopo di consentire la ricostruzione ex post dell'iter decisionale; di conoscere se una determinata operazione sia stata deliberata a maggioranza o all'unanimità; di conoscere se un amministratore abbia fatto constare il proprio dissenso: ma tutte queste esigenze risultano assenti in caso di decisioni assunte dall'amministratore unico. Si conclude, quindi, che le decisioni dell'amministratore unico non devono essere trascritte nel libro in esame, dovendo soltanto le operazioni da questi compiute risultare dal libro giornale di cui all'art. 2216 c.c. al quale possono accedere tanto i soci quanto l'eventuale organo di controllo (Arcidiacono, 701 ss., spec. 706).

Non è previsto il libro delle adunanze del comitato esecutivo.

Infine, è prevista la tenuta del libro delle decisioni del collegio sindacale: questo è l'unico libro che deve essere tenuto non già dagli amministratori, ma a cura dei sindaci, senza possibilità di delega (Santini, 296). Assumendo necessariamente le decisioni dei sindaci forma collegiale, il verbale – che deve dar atto non solo della decisione raggiunta, ma anche dello svolgimento della riunione – deve essere trascritto integralmente (Zanarone, 1193).

L'art. 37 comma 27 d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 ha espunto il riferimento al revisore, con la conseguenza che tale soggetto non sarà più obbligato alla tenuta del libro. Comunque, la documentazione afferente alle relazioni contenenti il giudizio sul bilancio di esercizio ex art. 14 d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 ovvero alle osservazioni sulla situazione patrimoniale in caso di perdite sarà consultabile dai soci in quanto depositata presso la sede sociale rispettivamente ai sensi dell'art. 2429 comma 3 c.c. (richiamato per le s.r.l. dall'art. 2478-bis c.c.) ed ai sensi dell'art. 2482-bis comma 2 c.c. Inoltre, la documentazione che registra l'attività svolta dal revisore in adempimento del proprio incarico, dovrà essere conservata per un periodo di dieci anni (art. 6 d.lgs. n. 39/2010), decorrenti dalla data della relazione di revisione.

Qualora l'organo di controllo sia costituito da un solo membro effettivo (sulla base della disposizione di cui al comma 1 dell'art. 2477 c.c.), parte della dottrina ritiene comunque obbligatoria la tenuta del libro delle decisioni da questi assunte (Santini, 579; Arcidiacono, 713).

L'abolizione del libro dei soci.

In sede di conversione del d.l. 29 novembre 2008, n. 185 nella l. 28 gennaio 2009, n. 2, il legislatore ha disposto, per le società a responsabilità limitata, l'abolizione del libro soci e previsto l'obbligo di iscrivere presso il registro delle imprese le informazioni già contenute nel predetto.

Nel regime previgente, nel libro dei soci andavano indicati: il nome dei soci; la partecipazione di spettanza di ciascuno, i versamenti fatti sulle partecipazioni, le variazioni nelle persone dei soci, i vincoli sulle partecipazioni. Inoltre, sebbene non espressamente previsto dalla norma, si riteneva fosse anche necessario indicare il domicilio dei soci ove doveva essere inviata la convocazione all'assemblea (Buta, 765).

Nel sistema previgente, poi, l'atto di trasferimento della partecipazione sociale diveniva efficace nei confronti della società solo a seguito della relativa iscrizione nel libro soci: solo da tale data, l'acquirente della quota acquistava la qualità di socio e diveniva legittimato all'esercizio dei diritti sociali.

A seguito dell'abolizione del libro in argomento, tutti gli effetti che prima si ricollegavano alla iscrizione nel libro soci dipendono oggi dal deposito e dalla conseguente iscrizione dell'atto presso il registro delle imprese.

Ciò posto, la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogati in ordine alle sorti delle clausole statutarie, redatte antecedentemente alla novella, che subordinavano l'esercizio dei diritti sociali all'iscrizione nel libro soci ed in ordine alla possibilità per gli atti costitutivi di prevedere una disciplina conforme alla normativa abrogata.

Con riferimento al primo profilo, si ritiene che le clausole statutarie non adeguate alla soppressione del libro soci debbano ritenersi tacitamente abrogate o, meglio, debbano essere lette con riferimento al deposito nel registro delle imprese. Quanto al secondo rilievo, rimasto del tutto minoritario l'orientamento secondo il quale la società non potrebbe comunque istituire il libro soci poiché l'abolizione sarebbe stata posta a tutela di interessi generali, non disponibili dai soci, si ammette pacificamente che lo statuto possa prevedere l'introduzione del libro soci al fine di colmare le lacune informative derivanti dal sistema del registro delle imprese (così, ex plurimis,Arcidiacono, 696; Meli, 36 che, peraltro, ritiene ammissibile che la società richieda ai soci di comunicare i dati personali che li riguardano, necessari per un efficiente svolgimento della vita sociale, a partire dal domicilio e dalle relative variazioni).

Controversa è, invece, la possibilità di istituire il libro dei soci con funzione legittimante verso la società e, quindi, di subordinare l'esercizio dei diritti sociali all'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci.

A favore della proposta di reintrodurre il libro dei soci si è espressa una parte della dottrina (Petrelli, 434; Busani, 20 ss.; Marasà, 658; Rescio, 1503; Fico, 1511; DeStasio, 116; contra, però, Tassinari, 1384; Donativi, 1362 ss.) secondo la quale al libro soci così reintrodotto potrebbe essere affidata sia la funzione di raccolta e reperimento dei dati dei soci per le comunicazioni con la società sia la funzione di strumento per l'acquisto della legittimazione all'esercizio dei diritti sociali, nel senso che soltanto con l'iscrizione nel libro dei soci l'acquirente di una quota sociale può esercitare i diritti in essa inclusi (così, testualmente, Rescio, 1500). Tale soluzione troverebbe il proprio fondamento nel riconoscimento, nell'ambito della disciplina della s.r.l., di un ampio ruolo dell'autonomia statutaria. La medesima dottrina precisa, peraltro, che la deroga alla previsione legislativa dovrebbe riguardare solamente l'eventuale aggiunta di un ulteriore passaggio al procedimento per l'acquisto della legittimazione ad esercitare i diritti sociali, non certo la soppressione di quello consistente nella iscrizione nel registro delle imprese (Zanarone, 605; Marasà, 658; Rescio, 1506).

In senso favorevole si è, peraltro, espressa la prassi notarile. Secondo il Consiglio notarile di Milano (massima n. 115), l'abolizione dell'obbligo di tenuta del libro dei soci nelle s.r.l. non ne impedisce la facoltativa adozione per scelta statutaria. Inoltre, sono valide ed efficaci le clausole statutarie che, pur dopo l'abolizione dell'obbligo di tenuta del libro dei soci nella s.r.l., subordinino l'efficacia delle cessioni di quote nei confronti della società e la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali alla iscrizione nel libro dei soci facoltativamente istituito o mantenuto, ferma restando la necessità di previamente assolvere all'obbligo del deposito nel registro delle imprese di cui all'art. 2470 c.c. (si precisa, peraltro, nella medesima massima che le clausole statutarie relative al libro dei soci, già esistenti alla data di entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 2470 c.c., se non si riducono a meri rinvii alla legge recettivi delle modifiche intervenute, rimangono in vigore con l'efficacia desumibile in via interpretativa dal tenore delle stesse clausole: esse pertanto sono idonee a mantenere all'iscrizione nel libro dei soci la funzione di regola organizzativa per l'acquisto della legittimazione all'esercizio dei diritti sociali soltanto se il testo delle medesime clausole ricollega a quella iscrizione l'efficacia della cessione nei confronti della società e/o la legittimazione all'esercizio di almeno uno dei diritti connessi alla quota ceduta).

Secondo una parte della dottrina (Petrelli, 435), nell'ipotesi di istituzione del libro soci con funzione legittimante verso la società, occorrerebbe comunque distinguere i rapporti tra i soci e la società, da un lato e quelli con terzi, dall'altro. In questa prospettiva, potrebbero essere statutariamente derogate le disposizioni che disciplinano gli effetti del trasferimento delle partecipazioni nei confronti della società (art. 2470, comma 1, c.c.), l'art. 2479-bis, comma 1, c.c. (convocazione dell'assemblea); nonché, probabilmente, l'art. 2472, comma 1, c.c. (responsabilità dell'alienante). Non potrebbero essere invece derogate le disposizioni che regolamentano l'efficacia nei confronti dei terzi dell'acquisto della partecipazione sociale (essendo, sotto tale profilo, le clausole societarie res inter alios acta), né quelle che prevedono obblighi di natura pubblicistica. Deve, pertanto, escludersi la derogabilità dell'art. 2470, comma 3, c.c. (conflitto tra più acquirenti della medesima quota), dell'art. 2471, comma 1, c.c. (modalità di esecuzione del pignoramento sulle quote sociali, essendo coinvolto anche l'interesse del terzo creditore pignorante), e dell'art. 2470, ultimo comma, c.c. (termine per il deposito nel registro delle imprese). In tali casi, gli effetti verso i terzi si produrrebbero comunque dall'iscrizione del relativo atto nel registro delle imprese così come sulla base della iscrizione dell'atto di compravendita delle partecipazioni sarebbe risolto il conflitto tra più acquirenti: ne deriva la necessità del preventivo deposito dell'atto nel registro delle imprese e l'impossibilità di invertire, per effetto di una clausola statutaria, l'ordine logico che antepone il deposito all'iscrizione nel libro soci (Rescio, 1502).

In senso contrario, e a nostro avviso condivisibilmente, si è osservato che simili ricostruzioni comporterebbero una vanificazione dell'intento perseguito dal legislatore di valorizzazione del registro delle imprese anche ai fini dell'opponibilità del trasferimento delle partecipazioni sociali nei confronti della società: deve, invece, escludersi l'ammissibilità della clausola statutaria che introduca il libro soci condizionando l'esercizio dei diritti sociali al previo ottenimento dell'annotazione sul libro (Meli, 38 secondo il quale è innegabile che l'unico interesse concepibile per l'eliminazione del libro dei soci sia di natura pubblica e sia individuabile nella semplificazione amministrativa, nella eliminazione della duplicazione delle iscrizioni, nella volontà di completare il processo di informatizzazione della documentazione amministrativa, nella tracciabilità della circolazione della ricchezza). Si evidenzia, inoltre, che l'introduzione statutaria del libro dei soci con funzione legittimante all'esercizio dei diritti sociali comporterebbe un appesantimento degli adempimenti a carico delle parti, aprendo la via a possibili conflitti tra fonte pubblica e fonte privata di legittimazione (Mele, 40 che evidenzia come potrebbe verificarsi un disallineamento tra le risultanze del libro soci e quelle del registro delle imprese con la conseguenza che gli amministratori dovrebbero consentire l'esercizio dei diritti sociali ai soggetti iscritti nel primo eventualmente anche contro le risultanze del registro pubblico).

L'introduzione statutaria del libro soci può svolgere, in questa prospettiva, soltanto una funzione informativa di fatto (Arcidiacono, 698), senza possibilità che la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali sia subordinata alla iscrizione in un libro di fonte statutaria non accessibile al pubblico (Mele, 40).

In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza secondo la quale è nulla per manifesto contrasto con la norma imperativa dell'art. 2470, comma 1, c.c. la clausola statutaria che subordina e differisce l'esercizio dei diritti sociali del cessionario di una quota di s.r.l. al momento dell'iscrizione nel libro dei soci dalla società volontariamente istituito (Giudice registro Verona, decr., 14 settembre 2009, in Soc. 2009, 1497). Il medesimo orientamento è stato fatto proprio anche dal Trib. Roma ord., 15 gennaio 2015 (in giurisprudenzadelleimprese.it) che ha osservato che, pur non potendosi escludere che i soci abbiano legittimamente la possibilità di istituire e prevedere la tenuta del libro soci anche solo per finalità pratiche, p.es. per tenere aggiornata la compagine sociale e l'anagrafica dei soci per la corretta convocazione degli stessi, deve invece escludersi la possibilità di continuare a subordinare all'iscrizione nel libro soci, volontariamente istituito e tenuto dall'amministratore, l'efficacia, di fronte alla società, dell'atto di trasferimento di partecipazioni sociali. Ove si ammettesse una tale eventualità, si rimetterebbe di fatto alla volontà dei soci, peraltro neanche prevista attraverso un inciso di salvaguardia, una sorta di abrogazione della legge, ripristinando il vecchio sistema.

I contratti con l'unico socio.

L'ultimo comma della norma in commento prevede che i contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle decisioni degli amministratori o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento (cui, peraltro, va equiparata la dichiarazione di fallimento).

Il legislatore ha inteso innovare la disciplina previgente sciogliendo i nodi interpretativi insorti nell'applicazione dell'art. 2490-bis c.c. in ordine alle conseguenze della violazione delle regole di forma ivi indicate, oscillando la dottrina tra l'ipotesi della inopponibilità dell'atto nei confronti dei terzi, la invalidità dell'atto e, infine, l'inefficacia di esso nei confronti della società (per una ricostruzione degli orientamenti dell'epoca, Di Cataldo, 346 ss; Scognamiglio, 260 ss.).

Oggi, invece, l'articolo in commento è chiaro nello stabilire che — ferma restando la validità degli atti — l'esecuzione delle formalità previste (annotazione nel libro delle decisioni degli amministratori; redazione dell'atto con data certa) condiziona soltanto l'opponibilità nei confronti dei soli creditori sociali dei contratti e delle operazioni concluse tra la società e l'unico socio di essa. L'atto, dunque, sarà valido ed efficace nei rapporti tra le parti e anche opponibile nei confronti di soggetti diversi dai creditori sociali (Zanarone, 1205).

L'adempimento della prescrizione formale (il «risultare» dei contratti e delle operazioni nel libro delle decisioni degli amministratori oppure da atto scritto) costituisce oggetto non già di un obbligo, cioè di un vincolo la cui inosservanza è passibile di sanzioni, ma di un onere, cioè di un vincolo connesso ad un potere, sì che la sua inosservanza impedisce all'atto di esplicare interamente tutti i suoi effetti (Zanarone, 1201) e, precisamente, di essere opponibile nei confronti dei terzi. Come è stato efficacemente osservato, le formalità previste dalla norma in commento, «benché ispirate a generiche finalità di trasparenza, realizzano tali finalità non già mettendo i terzi in grado di acquisire informazioni da utilizzare immediatamente nelle rispettive relazioni d'affari con la società, ma piuttosto precostituendo una documentazione, così dire, a futura memoria, in gradi consentire la ricostruzione a posteriori dei rapporti tra società e socio unico, soprattutto rilevante nell'ipotesi di crisi dell'impresa sociale» (Zanarone, 1201).

Si evidenzia, poi, che gli unici interessi tutelati dalla norma sono quelli dei creditori sociali, mentre la norma non prende in considerazione gli interessi né dei soci sopravvenuti (i quali possono, prima di operare l'investimento apprezzare il valore complessivo del patrimonio sociale) né dei terzi aventi causa dalla società in caso di doppia alienazione di un bene (la cui preferenza è subordinata le regole ordinarie di circolazione dei beni) (così, Arcidiacono, 719; D'Attorre, 150; Di Cataldo, 348).

La norma deve trovare applicazione anche nei casi in cui l'esecuzione dei contratti, conclusi in situazione di unipersonalità, avvenga in un momento successivo di sopravvenuta ricostituzione della pluripersonalità.

Gli atti presi in considerazione dalla norma sono i «contratti della società con l'unico socio» o le «operazioni a favore dell'unico socio». Con riguardo ai primi, si osserva che non è richiesto che il socio unico sia anche amministratore o legale rappresentante della società (Zanarone, 1202 il quale evidenzia come il rischio di depauperamento che la norma vuole evitare si potrebbe realizzare anche allorquando amministratore della società sia un terzo che, evidentemente, agirebbe «per conto» del socio unico). Inoltre, la norma non distingue tra contratti che comportino prestazioni a carico di entrambe le parti ovvero a carico solo di una di esse e, in questo ultimo caso, della società o del socio unico (Zanarone, ivi, il quale evidenzia come la norma non dovrebbe venire in rilievo in caso di donazione del socio unico a favore della società, esulando dagli scopi della norma impedire ai creditori della società di avvantaggiarsi di un incremento patrimoniale della società medesima).

Il concetto di «operazioni» ricomprende ogni atto, anche unilaterale, che coinvolga la società ed i cui effetti ricadano nella sfera patrimoniale del socio unico (Rosapepe, 101) comportando un vantaggio patrimoniale per quest'ultimo ed a scapito della società (Zanarone, 1203): vi rientrano, quindi, la rinunzia ad un diritto vantato nei confronti del socio, la fideiussione della società per un debito del socio (Ibba, 101) e il contratto a favore del terzo in cui la società figuri quale stipulante ed il socio quale terzo beneficiario. È, invece, dubbio se debbano ritenersi compresi anche gli atti di esecuzione o di adempimento di obbligazioni precedentemente contratte (in senso favorevole, Mastrogiacomo, 741; contra, Ibba, 101).

Parte della dottrina ritiene che la norma sia applicabile unicamente a quegli atti e rapporti nei quali il socio venga in considerazione come terzo e possa essere, anche solo formalmente (potendo egli influire in modo determinante sullo svolgimento dell'attività sociale), equiparato ad un estraneo (Scognamiglio, 262). Tuttavia, la norma, proprio per la sua formulazione diretta ad abbracciare atti e rapporti molto diversi tra loro, non sembra escludere dalla propria portata le «operazioni» causalmente giustificate dalla qualità di socio.

Si evidenzia come l'articolo in commento ponga requisiti formali aggiuntivi, e non sostitutivi, rispetto a quelli previsti da altre norme (Arcidiacono, 720; D'Attorre, 150). Inoltre, il rispetto delle regole formali dettate dall'art. 2478 non esclude che l'atto sia inopponibile sotto altri profili vuoi perché simulato vuoi perché revocabile (Arcidiacono, 720; D'Attorre, 149).

Ai fini della realizzazione dell'effetto della opponibilità nei confronti dei terzi dei contratti e delle operazioni concluse tra società e socio unico, l'art. 2478 prende in considerazione il loro risultare, alternativamente, nel libro delle decisioni degli amministratori ovvero da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

Con riferimento alla prima ipotesi, è dubbio se l'annotazione nel libro debba comportare la trascrizione integrale del contratto ovvero se sia sufficiente una semplice menzione del negozio. Secondo un primo orientamento, che valorizza la nuova formulazione della norma rispetto alla precedente (che richiedeva che i negozi dovessero «essere trascritti nel»), una parte della dottrina ha concluso che gli amministratori non sono più tenuti a trascrivere integralmente il contenuto del contratto o dell'operazione nel libro indicato, essendo invece sufficiente riportare gli estremi identificativi degli atti attraverso una menzione degli stessi (così, D'Attorre, 149; Arcidiacono, 722, spec. 724, che, comunque, precisa che l'annotazione dell'operazione deve comunque consentire l'univoca individuazione dell'operazione, pena l'inopponibilità dell'operazione ai creditori sociali). Altro orientamento valorizza, al contrario, il tenore letterale della norma e, precisamente, l'alternatività dell'adempimento in parola con quello rappresentato dall'«atto scritto» costituito da un documento che riproduce interamente il testo contrattuale, tenore letterale che fa propendere per la tesi più rigorosa (Zanarone, 1204; Buta, 769; Baroni, 2012). Alle medesime conclusioni si giunge valorizzando scopo della norma di salvaguardare i diritti dei creditori sociali (Santini, 579).

La seconda modalità che realizza l'opponibilità dell'atto ai creditori si verifica laddove i contratti con l'unico socio o le operazioni a favore di questi risultino da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento.

In caso di fallimento della società, sarà il curatore fallimentare a rappresentare i diritti dei creditori sociali e, dunque, spetterà al predetto la scelta di far valere l'inopponibilità alla massa degli atti compiuti dal fallito.

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