Codice Civile art. 2468 - Quote di partecipazione (1).

Guido Romano

Quote di partecipazione (1).

[I]. Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari (2).

[II]. Salvo quanto disposto dal terzo (3) comma del presente articolo, i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta. Se l'atto costitutivo non prevede diversamente, le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento.

[III]. Resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili.

[IV]. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo e salvo in ogni caso quanto previsto dal primo comma dell'articolo 2473, i diritti previsti dal precedente comma possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.

[V]. Nel caso di comproprietà di una partecipazione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106 (4).

(1) V. nota al Capo VII.

(2) Le parole «offerta al pubblico di prodotti finanziari» sono state sostituite alle parole «sollecitazione all'investimento» dall'art. 5 1 d.lg. 28 marzo 2007, n. 51, con effetto a decorrere dal 24 aprile 2007.

(3) V. Avviso di rettifica in G.U. 4 luglio 2003, n. 153.

(4) Seguiva un periodo soppresso dall'art. 21 d.lg. 28 dicembre 2004, n. 310.

Inquadramento

Il duplice divieto contenuto nel primo comma dell'articolo in commento – le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari – è funzionale all'emersione, nell'ambito della società a responsabilità limitata, del principio della centralità della persona del socio e, dunque, dell'intuitus personae proprio delle società personali.

A differenza di quanto avviene nelle società per azioni ove il capitale sociale è suddiviso in parti secondo un criterio predeterminato nello statuto che risulta insensibile rispetto al numero dei soci (Angelici, 2012, 21), nelle società a responsabilità limitata il capitale sociale è suddiviso in ragione del numero dei soci e, dunque, il numero delle quote varia in dipendenza del numero dei soggetti che compongono la compagine sociale (Paolini, 2015, 301; Guerrera, 238, Salvatore, 306). È assente in questo tipo di società, la standardizzazione della partecipazione e, quindi, l'emissione in serie, caratteristica questa tipica dei titoli destinati alla circolazione (Paolini, 2015, 301): da qui il divieto, assoluto ed inderogabile, di emissione di azioni, cioè di partecipazioni standardizzate ed emesse in serie, incorporate in un titolo di credito destinato alla circolazione (Paolini, 2015, 302). Nella nuova s.r.l. l'intuitus personae, proprio delle società personali, trova un vero e proprio riconoscimento normativo in una struttura che comunque continua a far parte dei tipi capitalistici (Salvatore, 306). Tale struttura delle quote di partecipazione è funzionale alla diversa concezione del socio nelle società azionarie e nelle società a responsabilità limitata. Nelle prime, il socio è, innanzitutto, un investitore disinteressato alla gestione amministrativa della società, nelle seconde, invece, si tratta di soggetti interessati alla gestione ed alla vita della società (c.d. soci imprenditori) e, dunque, interessati alla compagine sociale.

È stato efficacemente affermato che la norma in commento è descrittiva del tipo e dunque imperativa (Zanarone, 499, nt. 1). Si segnala che l'art. 26 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni in l. 17 dicembre 2012, n. 221) prevede che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2468, comma 1, le quote di partecipazione in start-up innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali di cui all'art. 30 del decreto medesimo, nei limiti previsti dalle leggi speciali.

Il secondo comma dell'art. in commento, poi, stabilisce la regola della doppia proporzionalità: 1) tra i diritti del socio e la partecipazione sociale; 2) tra la partecipazione stessa ed il conferimento. Tuttavia, si tratta di regole entrambe derogabili, potendo l'atto costitutivo, da un lato, attribuire di diritti particolari e, dall'altro, ammettere la possibilità di determinare il valore delle quote di partecipazione in misura non proporzionale al conferimento. Come è stato osservato (Mondani, 469), si tratta di due diverse tecniche di differenziazione e valorizzazione della posizione di uno o più soci all'interno della società: nel caso dell'assegnazione di quote non proporzionali ai conferimenti, l'esigenza di diversificare la posizione dei soci viene soddisfatta al momento dell'assunzione dell'obbligo del conferimento, senza alterare il rapporto di proporzionalità tra diritti e partecipazione sociale (con la conseguenza che la differenziazione tra le posizioni dei soci è oggettivizzata nella partecipazione); nel caso dei diritti particolari, il vantaggio è riferito alla persona del socio uti singulus (sulle connessioni tra principio di proporzionalità e diritti particolari alla luce dell'ampiezza dell'autonomia statutaria di cui godono i soci di società a responsabilità limitata, Palmieri, 877).

Inoltre, è consentita dall'art. 2483 c.c. (v.) l'emissione di titoli di debito la cui sottoscrizione è riservata ad investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale.

La natura giuridica della quota di società a responsabilità limitata.

La quota corrisponde, sotto un primo profilo, alla frazione matematica da essa rappresentata rispetto al capitale sociale, frazione che, in assenza di diversa pattuizione dell'atto costitutivo, è proporzionale al conferimento eseguito dal socio o al momento della costituzione della società ovvero in sede di aumento di capitale (Bianchi-Feller, 306). La quota, poi, costituisce l'espressione del valore nominale della partecipazione e, precisamente, del risultato della divisione del capitale per la frazione o quota della partecipazione (Bianchi-Feller, 306). Come già evidenziato, nella s.r.l. è assente la standardizzazione delle partecipazioni, essendo l'emissione in serie caratteristica dei titoli destinati alla circolazione: ciò comporta che la quota è sempre unitaria ed unica ed il socio è titolare di una unica partecipazione corrispondente alla frazione di capitale da lui sottoscritta la quale, eventualmente, potrà accrescersi a seguito dell'acquisizione di altra quota già appartenente ad altro soggetto ovvero attraverso la partecipazione del socio ad un aumento di capitale, fermo rimanendo le caratteristiche della unitarietà ed unicità (cfr., sul punto, Notari, 337 il quale ritiene che l'autonomia statutaria, pur potendo creare categorie di quote, non può mai superare il divieto di «standardizzare» le partecipazioni in tante uguali frazioni del capitale sociale, dal medesimo contenuto, né il divieto di incorporare le partecipazioni in titoli rappresentativi; sul punto, anche, con diverse visuali, De Stasio, 62 ss.). È, dunque, fatto divieto ai privati di «atomizzare» la partecipazione in «unità minime» di valore uguale e consentire ai soci di essere proprietari, anziché di una sola quota globalmente intesa, di una pluralità di partecipazioni (Revigliono, 179). Discende da quanto ora esposto che i diritti sociali amministrativi e patrimoniali si computano sulla base del valore unitario ed assoluto della partecipazione, così come il voto è unitario e come tale va esercitato (Bianchi-Feller, 307).

Peraltro, il divieto di far rappresentare la partecipazione sociale da azioni ed il divieto che la partecipazione possa costituire oggetto di offerta al pubblico di strumenti finanziari, escludendo così il ricorso al mercato del capitale di rischio, trovano la loro giustificazione nel carattere chiuso della società a responsabilità limitata (Paolini, 302; Corsi, 224). Si tratta, peraltro, di divieti assoluti e non derogabili.

La dottrina si è interrogata sulle conseguenze civilistiche della violazione del divieto di offerta al pubblico. Secondo una prima ricostruzione, i contratti stipulati in contrasto con tale disposizione sarebbero nulliexart. 1418 c.c., per violazione di norma imperativa (Zanarone, 499, nt. 1). Altra dottrina, se da una parte concorda per la configurabilità del rimedio della nullità, dall'altra, critica l'attrazione della stessa nell'alveo della disciplina generale del codice individuando, invece, nel TUF la normativa da applicare: conseguentemente, tale dottrina ritiene di dovere applicare estensivamente, al caso di irregolare circolazione delle partecipazioni in s.r.l., l'art. 100-bis comma 3 TUF, che configura, per il caso di mancata pubblicazione del prospetto, una nullità relativa che può essere fatta valere soltanto dall'acquirente, che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale (Di Nella, 303).

Si ritiene, peraltro, che la qualità di socio di s.r.l. possa essere attestata da documenti dotati di mero valore probatorio non destinati alla circolazione (Santoni, 379; Bianchi-Feller, 311, secondo i quali la società potrebbe procedere al rilascio di un «certificato di quota», quale documento avente unicamente una funzione rappresentativa della titolarità della partecipazione e del suo regime, quali vincoli e gravami, obblighi e diritti con efficacia ed effetti meramente interni alla società).

Quanto alla natura giuridica della quota, la dottrina e la giurisprudenza più risalente evidenziavano come la quota non potesse essere identificata con un bene, esprimendo, invece, la titolarità di una somma di rapporti giuridici che scaturiscono in via diretta ed in via indiretta dal contratto di società (Salvatore, 316). In altre parole, la quota veniva a costituire una posizione contrattuale oggettivizzata. Oggi, la quota viene, invece, intesa come bene mobile (Cagnasso, 126; De Stasio, 93).

Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza, la quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata esprime una posizione contrattuale obiettivata, che va considerata come bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblico registro ai sensi dell'art. 812 c.c., per cui ad essa possono applicarsi, a norma dell'art. 813, ultima parte, c.c., le disposizioni concernenti i beni mobili e, in particolare, la disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene, poiché la quota, pur non configurandosi come bene materiale al pari dell'azione, ha tuttavia un valore patrimoniale oggettivo, costituito dalla frazione del patrimonio che rappresenta, e va perciò configurata come oggetto unitario di diritti (Cass. n. 22361/2009; Cass. n. 19161/2007; Cass. n. 6957/2000; Cass. n. 697/1997; Cass. n. 7409/1986). Tale qualificazione è seguita anche nella giurisprudenza di merito, ove si afferma che la quota di partecipazione in una società a responsabilità limitata costituisce un bene immateriale equiparabile al bene mobile non iscritto in pubblici registri con conseguente applicazione della relativa disciplina e, in particolare, della disciplina delle situazioni soggettive reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene e che a norma dell'art. 1153 c.c. l'acquirente a non domino acquista la proprietà del bene mobile alienato mediante il possesso purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà (Trib. Roma, 15 giugno 2015, in Soc., 2016, 368). In senso parzialmente difforme però; Cass. n. 10826/2014, secondo la quale la quota è priva di ogni carattere di «realità» e comprende un complesso di diritti e doveri di carattere personale e di contenuto obbligatorio. Solo in considerazione del fatto che la partecipazione sociale assume, sotto il profilo economico, un valore patrimoniale oggettivo, in quanto rappresenta il diritto ad una frazione del patrimonio sociale, ed in considerazione del rilevante interesse a che il complesso dei diritti e degli obblighi facenti capo alla titolarità della quota (il c.d. status di socio) possa costituire oggetto unitario di atti di disposizione (trasferimento, sequestro, pignoramento, ecc.) la si assimila ai beni mobili immateriali. Tale definizione, tuttavia, non esprime una realtà fenomenica, bensì solo la sintesi di una disciplina, cioè l'assoggettabilità della quota – in linea di massima – alle norme che regolano i beni mobili, ai sensi dell'art. 812, comma 3, c.c. La qualificazione sarebbe significativa se l'iscrizione degli atti di disposizione nel registro delle imprese producesse gli stessi effetti della iscrizione degli atti aventi ad oggetto beni mobili registrati, mentre il criterio di risoluzione dei conflitti tra più titolari di diritti sul medesimo bene non è uniforme per i trasferimenti immobiliari e di beni mobili registrati e per il trasferimento di quote. Soggiunge la Cassazione che il possesso della quota societaria si configura come «possesso di diritti» e non di cose, cioè come situazione che consente di fatto l'esercizio dei diritti inerenti alla posizione acquisita. Con affermazione che va quindi coordinata con l'avvenuta abolizione del libro soci, i giudici statuiscono che «il possesso di quota può essere acquisito solo nel momento in cui l'iscrizione in libro soci dell'atto di trasferimento immetta l'acquirente nell'organizzazione societaria e lo ponga in condizione di potere effettivamente esercitare i diritti inerenti allo status di socio» (Cass. n. 10826/2014, in motivazione).

Si segnala, peraltro, che ai sensi degli artt. 2331 e 2463 c.c., è lecita la conclusione di un contratto preliminare di compravendita delle quote di una società a responsabilità limitata, ancor prima dell'iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese, in quanto, da un lato, il divieto di emissione delle azioni non impedisce il trasferimento della partecipazione sociale, secondo le regole della cessione del contratto, restando precluse, in tale periodo, soltanto quelle forme di negoziazione che presuppongono la cartolarizzazione della partecipazione; mentre, dall'altro lato, tale ultimo divieto comunque resta inapplicabile al tipo società a responsabilità limitata, nonostante la genericità del richiamo all'art. 2331 c.c. contenuto nell'art. 2463, comma 3, c.c., atteso che l'art. 2468 c.c. esclude espressamente l'emissione di titoli rappresentativi della partecipazione sociale e l'offerta degli stessi al pubblico quali prodotti finanziari, che costituiscono i presupposti per l'applicabilità del divieto medesimo (Cass. n. 12712/2012).

La divisibilità e la comproprietà della quota.

La norma in argomento, diversamente dal vecchio art. 2482 c.c., non contiene alcun precetto in ordine alla divisibilità della quota. Un orientamento, minoritario, muove dalla circostanza che la disciplina della quota di s.r.l. presenta caratteristiche simili a quella corrispondente delle società di persone e conclude, coerentemente, nel senso della indivisibilità di essa. Conseguentemente, gli acquirenti della quota e gli eredi del socio defunto subentrano nella titolarità della quota indivisa, divenendo comproprietari di una unica partecipazione e non titolari di distinte quote (Santoni, 389 che evidenzia, altresì, che l'indivisibilità della quota permette di evitare, in coerenza con il tratto personalistico della società, che ciascun socio possa attribuire ai propri aventi causa, e senza il consenso degli altri soci, i numerosi e pregnanti diritti di controllo che spettano individualmente a ciascun socio).

La dottrina maggioritaria, tuttavia, ritiene che l'unitarietà della partecipazione non ne implica, salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'indivisibilità (Zanarone, 514; Paolini, 2015, 329; Stella Richter, 296; Revigliono, 1815; Di Nella, 276; Rosapepe, 484). L'atto costitutivo può, tuttavia, escludere la divisibilità della quota attraverso una esplicita clausola di indivisibilità ovvero implicitamente come conseguenza di una clausola di intrasferibilità o di una clausola che imponga l'uguaglianza delle quote (Zanarone, 515).

Anche la giurisprudenza di merito è incline ad ammettere la divisibilità della quota (in questo senso, Trib. Milano, 19 marzo 2007, in Giur.it., 2008, 925).

Come sottolineato in dottrina, la divisibilità della quota non significa divisione automatica di essa (Paolini, 2015, 330), in quanto è pur sempre necessario un apposito atto tra tutti i contitolari della quota (Revigliono, 1816).

Inoltre, secondo l'orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 2 maggio 2001, in Vita not., 2003, 328), è illegittima l'iscrizione nel libro dei soci dell'acquisto di quote divise in capo a ciascuno dei coeredi, non preceduta dal deposito nel registro delle imprese e dalla conseguente iscrizione nel libro soci della comunione ereditaria avente ad oggetto la quota sociale relitta, essendo questa la conseguenza immediata, ed insuperabile, della successione ereditaria al socio defunto. Invero, l'acquisto in proprietà esclusiva di porzioni di quota proporzionali al diritto di ciascun coerede, presuppone il precedente acquisto, in capo ai chiamati, della quota indivisa, la cui iscrizione nel libro soci (previo deposito nel registro delle imprese) non può in alcun caso essere omessa, pena la violazione del principio generale di continuità delle iscrizioni. La illegittimità della iscrizione nel libro soci dell'acquisto di quote divise, in quanto non preceduta dal deposito nel registro delle imprese di alcun atto autentico avente natura divisionale, deriva altresì dalla violazione del disposto dell'art. 2470 c.c., che prevede il requisito della forma autentica per il deposito e l'iscrizione nel registro delle imprese di ogni atto inter vivos avente ad oggetto la titolarità di quote di partecipazione al capitale sociale, ivi compresa la divisione. In caso di successionemortis causa, l'erede o il legatario dovrà provvedere al deposito della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro soci dei trasferimenti in materia di società per azioni. L'atto di divisione tra più coeredi dovrà avvenire, invece, nelle forme previste per gli atti tra vivi. La cessione di singole frazioni di quote ereditarie postula invero l'iscrizione non solo del trasferimentomortis causa, ma altresì dell'atto divisionale, che comporta l'assegnazione delle «frazioni» di quota a ciascuno dei condividenti e quindi delle modifiche nella titolarità e nell'esercizio delle situazioni soggettive che fanno capo ai singoli eredi (Giud. Registro Roma, 26 settembre 2017, secondo il quale, diversamente, verrebbe ad essere violato il principio di continuità delle iscrizioni nel registro delle imprese che richiede che vengano iscritti tutti i mutamenti della compagine sociale succedutisi nel tempo nella titolarità delle quote sociali).

Nel caso di comproprietà di una partecipazione (previsto dall'ultimo comma dell'art. in commento), i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato ai sensi degli artt. 1105 e 1106 c.c.: la nomina avverrà a maggioranza semplice, calcolata sulla base del valore delle quote dei singoli partecipanti (Paolini, 2015, 331; per le ipotesi in cui la legittimazione ad agire spetti singolarmente ai comproprietari, cfr. Zoppini-Rojas Elgueta, 311 ss.).

In giurisprudenza, si è affermato che, in caso di comproprietà di partecipazioni, l'impugnazione di una deliberazione assembleare può essere proposta esclusivamente dal rappresentante comune e non dal singolo comproprietario, carente del potere d'impugnare così come di quello di esercitare il diritto d'intervento e di voto in assemblea (Cass. n. 15962/2007).

Peraltro, la norma ora menzionata non si applica al diverso caso di quota oggetto della comunione legale tra i coniugi. Si distingue, sul punto, tra titolarità della quota e legittimazione all'esercizio dei diritti sociali: infatti, mentre la quota, in quanto entità economica, viene immediatamente acquisita al patrimonio della comunione ai sensi dell'art. 177 c.c., la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali richiede il requisito delle formalità previste in caso di trasferimento della partecipazione e, dunque, nonostante la comunione legale, se la cointestazione non risulta presso il registro delle imprese, il coniuge intestatario sarà l'unico legittimato all'esercizio dei diritti sociali (Paolini, 2015, 331; sul punto, Zoppini-Rojas Elgueta, 314).

In giurisprudenza, è stato affermato che, nel caso di coniugi in regime di comunione legale dei beni, la quota di società a responsabilità limitata acquistata da uno di essi in costanza di matrimonio ricade nella comunione legale: in tal caso, verso la società e gli altri soci, dei diritti derivanti dal contratto sociale, quali il diritto di voto, di percezione degli utili di cui sia stata disposta la distribuzione, i vincoli derivanti da clausole statutarie di prelazione o di gradimento, è titolare soltanto il coniuge che la proprietà della partecipazione abbia acquistato per avere partecipato alla costituzione della società o per effetto di contratto stipulato con il precedente proprietario della partecipazione ovvero per causa di morte di quest'ultimo (Trib. Roma, 31 ottobre 2007, in Foro it., 2008, I, 3676; ma si veda anche Trib. Milano, 19 marzo 2007, in Giur. it., 2008, 925).

Le partecipazioni non proporzionate al conferimento.

È stato efficacemente osservato che il secondo comma della disposizione in commento pone una doppia regola di proporzionalità: della commisurazione dei diritti sociali, in relazione alla quota di partecipazione detenuta da ciascun socio e della misura della partecipazione, in relazione al conferimento (Paolini, 2015, 303).

Tuttavia, proprio al fine di lasciare il massimo dell'autonomia, il legislatore consente la derogabilità di tali norme attraverso, da una parte, il conferimento di diritti particolari ad uno o a taluni dei soci e, dall'altra, attraverso la possibilità di prevedere una partecipazione sociale non proporzionale al conferimento.

Con riferimento a tale secondo aspetto, diviene possibile che i soci, nell'ambito della loro autonomia contrattuale, eseguano un conferimento non proporzionale alla partecipazione che ricevono che, dunque, può essere percentualmente maggiore o minore rispetto al primo. Il principio dell'effettività e dell'integrità del capitale sociale è, comunque, garantito attraverso una valutazione globale dei conferimenti che deve corrispondere al capitale medesimo non potendo essere attribuite partecipazioni per un valore complessivo ad esso superiore (art. 2464 c.c.). Una simile ricostruzione, d'altra parte, si pone in sintonia con il disposto di cui all'art. 3, comma 2, lett. c) della l. 3 ottobre 2011, n. 366, che delegava il governo a dettare una disciplina dei conferimenti tale da consentire l'acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell'impresa sociale, a condizione che sia garantita l'effettiva formazione del capitale sociale, ed a consentire ai soci di regolare l'incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali.

In questa prospettiva, diviene giocoforza possibile che alcuni soci effettuino un conferimento più che proporzionale alla partecipazione ricevuta mentre altri conferiscano meno del valore della partecipazione effettivamente ricevuta (così, Paolini, 2015, 304 anche per la dottrina ivi menzionata). Si è, peraltro, evidenziato che l'attribuzione in favore del socio avvantaggiato, ove il correlativo sacrificio di altro socio non trovi una qualche compensazione sul piano societario, può configurare una liberalità indiretta (Revigliono, 1805).

L'unico vincolo all'autonomia delle parti è rappresentato dal principio dell'integrità del capitale sociale, fissato nell'interesse dei terzi e dell'intero sistema (cfr. artt. 2346, comma 5, e 2464, comma 1, c.c.): non assume alcuna rilevanza esterna alla società come esso sia ripartito tra i soci (Sodi, 2).

La legittimità di una attribuzione non proporzionale di partecipazione è condizionata da una autorizzazione preventiva che deve essere contenuta nell'atto costitutivo e che può essere anche solo generica (in altre parole, l'atto costitutivo/statuto deve espressamente optare per la ripartizione non proporzionale, Sodi, 2); la concreta operatività ed attuazione deve essere oggetto di una decisione dei soci in sede di determinazione dell'atto costitutivo o della deliberazione di aumento di capitale (Bianchi-Feller, 317). Peraltro, si ritiene che la soppressione della clausola statutaria ammissiva della non proporzionalità delle quote non necessiti dell'unanimità dei consensi (come previsto per i diritti particolari dal co. 4 dell'art. in commento) potendo essere deliberata con le maggioranze richieste per le modificazioni dell'atto costitutivo (Bianchi-Feller, 319 che fondano una simile conclusione sulla base della considerazione che una simile modificazione non verrebbe in alcun modo ad incidere su posizioni soggettive dei soci).

È però oggetto di discussione se sia possibile l'assunzione della qualità di socio senza eseguire alcun conferimento. Secondo una parte della dottrina, una simile ipotesi violerebbe, da una parte, il divieto di patto leonino e, dall'altra, la stessa nozione di contratto di società che trova il suo perno nella esistenza dei conferimenti (Stagno d'Alcontres, 258). In senso contrario, tuttavia, si è osservato che il socio, sebbene non conferente, è comunque titolare di una frazione del capitale sociale integralmente sottoscritto e versato nei modi di legge (ancorché da altri soci) e, dunque, di una partecipazione al capitale di rischio della società risentendo così delle perdite e godendo dei guadagni in misura pari alla entità della partecipazione medesima (Salvatore, 321; Paolini, 2015, 306). Quanto al patto leonino, pare difficile ravvisarne una violazione poiché, chiarito che la sua operatività attiene al contenuto della partecipazione e non alla «fattispecie acquisitiva», il socio beneficiato risente sicuramente delle perdite e gode dei guadagni in misura proporzionale alla entità della partecipazione al capitale assegnatagli, non essendo in alcun modo sollevato dal rischio d'impresa (Sodi, 3). Inoltre, si evidenzia che il risultato è lo stesso cui si potrebbe pervenire mettendo a disposizione del singolo socio le risorse necessarie per l'esecuzione del conferimento (Guida, 414). Ancora, l'orientamento restrittivo non considera che non si potrebbe comunque escludere che un socio effettui un conferimento puramente simbolico per poi essere beneficiato da ulteriori attribuzioni, a caratteri liberali, in suo favore; a quel punto, dovrebbe necessariamente individuarsi una soglia minima da raggiungere per non considerare l'apporto meramente fittizio (Paolini, 2015, 308).

I diritti particolari del socio

L'atto costitutivo può prevedere l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili: la norma in esame rafforza l'autonomia statutaria dei soci (Paolini, 2015, 311; Rossi, 465 ss.) derogando così al principio generale di proporzionalità tra partecipazione e diritti. Peraltro, l'attribuzione di un diritto particolare avviene in ragione della persona del socio – singolarmente intesa (Zanarone, 521) – in quanto tale con la conseguenza che non è possibile la sua oggettivizzazione mediante creazione di categorie di quote che incorporino il suddetto diritto in modo tale da mantenerlo inalterato a seguito alla circolazione della partecipazione (Zanarone, 521; Santoni, 392; Paolini, 2015, 312; Guerrera, 239; contra, Notari, 332, che ammette la configurabilità nella società a responsabilità limitata di partecipazioni «speciali» e, quindi, la possibilità di ancorare statutariamente i diritti particolari non già alla persona, ma al contenuto della partecipazione, con la idoneità dei primi a circolare con la seconda, nonché Dacco, 2007, 402; Blandini, 203; Perrino, 133).

Tale ultima possibilità è, invece, espressamente consentita nelle start-up innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata, laddove l'art. 26, comma 2, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 prevede che l'atto costitutivo può creare categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall'art. 2468, commi 2 e 3.

Si esclude poi che i diritti particolari possano essere attribuiti a soggetti non soci (Zanarone, 522).

Nella prassi notarile si osserva (Consigli notarili Triveneto, massima I.I.9) che la facoltà prevista dal comma 3 dell'art. 2468 c.c. di prevedere l'attribuzione di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili a singoli soci non autorizza la creazione di «categorie di quote» aventi diritti diversi; è comunque possibile attribuire diritti particolari: 1) a singoli soci individuati nominativamente; 2) a singoli soci individuati per appartenenza a categorie omogenee (ad esempio ai titolari di una determinata partecipazione di minoranza o di maggioranza, a soci persone giuridiche, a residenti all'estero o in determinati comuni, a coloro che hanno compiuto una certa età o non l'hanno raggiunta, a cittadini di un determinato stato, e così via). Inoltre, si evidenzia (Consigli notarili Triveneto, massima I.I.11) che, essendo i diritti particolari ex art. 2468, comma 3, c.c., attribuiti a singoli soci, gli stessi non possono appartenere a chi non è più socio o deve ancora diventarlo. È illegittima una diversa previsione dell'atto costitutivo.

Secondo la dizione contenuta nel comma in commento, i diritti particolari possono riguardare l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili.

Peraltro, la dottrina interpreta in maniera estensiva la duplice dizione normativa consentendo alla autonomia privata di prevedere, con l'atto costitutivo, l'attribuzione di diritti particolari in materie diverse (Notari, 330; Daccò, 2007, 407, Consiglio Notarile di Milano, massima n. 39), mentre altri giungono al medesimo risultato attribuendo alle due ipotesi il contenuto rispettivamente di «diritti amministrativi» e di «diritti patrimoniali» (Zanarone, 525).

La prima categoria ricomprende sia l'attività gestoria in senso stretto sia l'insieme dei diritti che consentono al socio di partecipare attivamente alle vicende societarie (Paolini, 2015, 313; De Stasio, 136; Maltoni, 216).

Esemplificando, possono essere attribuiti: la funzione di amministratore (Paolini, 2015, 314; Stella Richter, 287; Notari, 331; Perrino, 131; Butturini, 173; dubitano che in questo caso sia ravvisabile un diritto particolare, Rosapepe, 482; Blandini, 63; per una approfondita analisi della questione, Rossi, 492 ss.; Palmieri, 896); il diritto di nomina di uno o più amministratori (così, Daccò, 2007, 403; Notari, 330; Stella Richter, 287; Santagata, 290; contra però Zanarone, 951, in ragione del disposto di cui all'art. 2479, comma 2, n. 2, c.c. che riserva «in ogni caso» alla competenza dei soci la nomina, se prevista dall'atto costitutivo, degli amministratori); il potere autorizzatorio, decisorio o di veto rispetto a determinate scelte gestorie o imprenditoriali (Zanarone, 525; Maltoni, 218; Stella Richter, 287; Palmieri, 897) nel rispetto tuttavia della riserva a favore di tutti i soci di decidere il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci ex art. 2479, comma 2, n. 5, e della riserva a favore dell'organo amministrativo nelle materie di cui all'art. 2475, comma 5 (Paolini, 2015, 315); il potere di esprimere il gradimento al trasferimento delle partecipazioni sociali, di esercitare il diritto di prelazione; la facoltà di sottoporre argomenti alla decisione dei soci o di provocare l'intervento dell'assemblea indipendentemente dal raggiungimento delle soglie di cui all'art. 2479 (Zanarone, ibidem; Cavanna, 132); il diritto di recesso in presenza di particolari condizioni; il diritto di riscatto della quota di proprietà di altro socio, ma solo al verificarsi di determinate condizioni oggettive, altrimenti risolvendosi la fattispecie in una esclusione del socio al di fuori delle previsioni di cui all'art. 2473-bis (Salvatore, 334, che precisa, inoltre, come il riscatto dovrebbe avvenire nel rispetto dei criteri fissati dal legislatore per determinare il valore delle quote in caso di recesso).

È poi discusso se il diritto particolare possa avere ad oggetto l'attribuzione di un potere di voto o di controllo maggiorati rispetto agli altri (Zanarone, 525; Salvatore, 333; Notari, 331; in senso favorevole, Cavanna, 134). In senso negativo, si evidenzia il disposto di cui all'art. 2479, comma 5, secondo il quale ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni ed il suo voto vale in misura proporzionale alla sua partecipazione: tale disposizione appare infatti inderogabile quanto meno con riferimento alle materie indicate dall'art. 2479, comma 2 (Santagata, 293; Paolini, 2015, 319). Sono, poi, ritenuti inderogabili i diritti di impugnazione, di esercizio dell'azione di responsabilità (e della conseguente possibilità di domandare la revoca dell'amministratore) e di controllo, in quanto attribuiti anche in funzione dell'interesse pubblico al corretto svolgimento dell'attività sociale (Paolini, 2015, 320; Santagata, 288; Maltoni, 217).

Sulla base della considerazione che l'attribuzione di un diritto non può portare a conseguenze negative per la società, parte della dottrina esclude la configurabilità di un diritto di revoca dell'amministratore, revoca che, in assenza di giusta causa, comporterebbe per la società un onere risarcitorio (Paolini, 2015, 320; Maltoni, 217). Altra dottrina, al contrario, ritiene ammissibile l'attribuzione di un diritto particolare che consenta al beneficiario di esso di revocare l'amministratore sulla base della duplice considerazione che, da una parte, il diritto di revoca degli amministratori, al pari di quello di nomina, riguarda pur sempre l'amministrazione ed è, dunque, pienamente attratto all'ambito di applicazione di una norma, quale l'art. 2468, comma 3, c.c., centrale nel delineare l'equilibrio fra prerogative dei singoli soci e poteri dei gestori e, dall'altro, che sussiste una ontologica diversità tra una revoca proveniente ab externo, come quella giudiziale, e una revoca comunque fondata su un principio organizzativo riferibile alla volontà unanime dei soci, quale, appunto, quella disposta in esercizio del «diritto particolare» (così, testualmente, Palmieri, 898).

Non è, però, consentito violare la riserva, a favore di tutti i soci, di decidere il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale o una rilevante modificazione dei diritti dei soci (art. 2479, comma 2, c.c.) ovvero attribuire ai singoli soci competenze che sono riservate, «in ogni caso», agli amministratori ai sensi dell'art. 2475, comma 5, c.c., quali la redazione del progetto di bilancio, dei progetti di fusione e scissione, nonché le decisioni di aumento del capitale ai sensi dell'art. 2481 c.c. (Paolini, 2015, 315).

Nel caso in cui ad un socio venga attribuita la funzione di amministratore, si ritiene che egli sarà revocabile dai soci soltanto per giusta causa ovvero dal tribunale adito ai sensi dell'art. 2476, comma 3 (Salvatore, 330; Daccò, 405).

Con riferimento alla categoria di diritti particolari attinenti alla distribuzione degli utili, appare pacifica l'ammissibilità di una partecipazione agli utili non proporzionale al conferimento, con il limite del divieto di patto leonino. Tuttavia, tale divieto può dirsi violato esclusivamente allorché i diritti attribuiti siano idonei ad escludere dalla partecipazione agli utili o alle perdite «in modo assoluto e costante» (Paolini, 2016, 1). La dottrina tende ad interpretare questa categoria di diritti particolari in senso ampio, in modo tale da comprendere qualsiasi beneficio di natura patrimoniale come categoria inclusiva anche dei diritti diversi da quello agli utili in senso stretto, quale, ad esempio, la possibilità di attuare una diversa distribuzione dell'attivo di liquidazione (Zanarone, 527; Paolini, 2016, 2; Santoni, 386; Revigliono, 1810; Maltoni, 217).

Ad es., i diritti particolari potranno riguardare (per una elencazione, Palmieri, 892): una priorità nella percezione degli utili, garantendo ad un socio il conseguimento di una misura minima dell'utile e mantenendo la proporzionalità nella ripartizione del residuo tra gli altri soci; l'attribuzione di un utile relativo all'andamento di uno specifico settore dell'attività della società (Paolini, 2016, 2, la quale precisa che tale attribuzione, sulla base del modello delle azioni correlate o tracking stocks di cui all'art. 2350, comma 2, richiede, tuttavia, l'adozione di una contabilità separata; Zanarone, 527, nt. 44; Salvatore, 327, il quale precisa che ciò può avvenire nei limiti degli utili realmente conseguiti).

Ciò che, invece, non sembra consentito è articolare il diritto particolare sugli utili configurandolo come una forma di «interesse», cioè di diritto ad un determinato rendimento, che prescinda dal risultato (positivo) dell'esercizio (Paolini, 2016, 2; De Stasio, 142).

Può farsi riferimento non solo all'utile distribuibile, ma all'utile di bilancio e, cioè, all'utile conseguito accertato in bilancio: in altre parole, il diritto particolare può attribuire ad un socio un diritto all'utile per effetto della sola approvazione del bilancio ed a prescindere dalla deliberazione di distribuzione, purché si tratti di utili realmente conseguiti (Salvatore, 326, Paolini, 2015, 316, Daccò, 2007, 405; Butturini, 177; contra,Santagata, 297).

Inoltre, può essere attribuito ad uno o più soci il diritto a ricevere, in sede di liquidazione, una porzione di attivo residuo non proporzionale alla partecipazione sociale (Salvatore, 329; Paolini, 2016, 2; Palmieri, 895).

Più discussa l'attribuzione del diritto alla postergazione nelle perdite e, precisamente, il diritto a vedersi ridotta o annullata la propria partecipazione per perdite solo dopo l'annullamento delle quote degli altri soci. In senso contrario, si osserva che la postergazione nelle perdite può provocare, in caso di riduzione del capitale sociale, una modificazione delle quote di partecipazione e dei diritti spettanti ai soci, in contrasto con il disposto di cui all'art. 2482-quater c.c. (Fazzutti, 60). In senso favorevole, una parte della dottrina evidenzia come tale norma sarebbe derogabile all'unanimità con la conseguenza che sarebbe legittima l'attribuzione di un simile diritto particolare (Salvatore, 328). Altri autori pongono l'accento, per l'ammissibilità di diritti particolari di postegrazione nelle perdite, sulla circostanza che l'art. 2482-quater si riferisce soltanto alla riduzione del capitale per perdite: al contrario, il divieto resta irrilevante rispetto al computo della quota di riparto dell'eventuale residuo attivo, ai sensi dell'art. 2492, comma 1, al termine della liquidazione, che potrà avvenire secondo le regole determinate dai soci (Santoni, 386; Palmieri, 894, sulla base della considerazione della portata sistematica di cui all'art. 2468, comma 3, che giustifica il riconoscimento di una ampia derogabilità statutaria del principio di proporzionalità; Santagata, 297).

Una parte della dottrina ammette la configurazione, attraverso l'attribuzione di diritti particolari, di una posizione privilegiata in sede di sottoscrizione di un aumento di capitale e ciò anche senza che le stesse debbano necessariamente articolarsi in forma di rinuncia espressa ad esercitare il diritto di opzione in proporzione al valore delle partecipazioni posseduta (Palmieri, 895, il quale precisa che può reputarsi, a tale fine, sufficiente l'adesione espressa dal socio alla previsione statutaria del diritto particolare; in senso parzialmente diverso, Maugeri, 1501).

La modificazione dei diritti particolari

Il quarto comma dell'articolo in commento prevede che i diritti previsti dal precedente comma possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci. Sebbene la norma si riferisca esplicitamente al solo caso della modifica dei diritti, la dottrina ritiene applicabili il principio dell'unanimità anche ai casi di eliminazione e di introduzione di diritti particolari (Paolini, 2015, 324, Daccò, 2007, 395; Alleca, 1111, che ricava tale conclusione sulla base del principio di intangibilità della posizione di socio della s.r.l.). Si osserva, infatti, che l'attribuzione, così come la soppressione, di particolari diritti di natura amministrativa ad alcuni soci ha l'effetto di definire, conformemente al voluto delle parti, i contorni della governance dell'ente, con la conseguenza che l'introduzione della relativa clausola determina una sostanziale modificazione delle basi comuni del contratto, che (salva diversa previsione dell'atto costitutivo) deve essere decisa all'unanimità (Alleca, 1112). E medesimo discorso deve essere svolto con rifermento all'introduzione della previsione statutaria che attribuisca particolari diritti di natura patrimoniale che sono giustificati dalla rilevanza della partecipazione di singoli soci all'iniziativa comune (ancora, Alleca, ibidem).

La regola della unanimità può essere letta, in un senso, sottolineandone l'affinità con la regola generale in materia contrattuale (così, Cavanna, 102; De Stasio, 131) ovvero valorizzando l'interesse di natura organizzativa dell'intera compagine sociale al mantenimento dell'assetto costituito (Butturini, 183, secondo il quale questa lettura si lascia preferire, perché, se il legislatore avesse inteso assegnare al titolare del diritto particolare una prerogativa intangibile, non avrebbe ammesso la derogabilità statutaria; Blandini, 151; Daccò, 408; Maltoni, 1827).

Essendo la norma derogabile, l'atto costitutivo potrà prevedere diversamente, consentendo il ripristino della regola maggioritaria. La norma, poi, fa salva l'applicazione dell'art. 2473 c.c., il quale riconosce il diritto di recesso in caso di modificazioni indirette, conseguenti al compimento di atti gestori, dei diritti particolari. Parte della dottrina ritiene che il diritto di recesso spetti anche in caso di modificazioni dirette del diritto particolare ove siano state, in presenza di apposita clausola dell'atto costitutivo, assunte a maggioranza (Paolini, 2015, 326; Zanarone, 539; Daccò, 2007, 410; Salvatore, 337).

Ci si interroga sulla invalidità della deliberazione che modifichi i diritti particolari in violazione della regola dell'unanimità o delle maggioranze previste dallo statuto. Coloro che ritengono la natura di diritto soggettivo del diritto particolare concludono che la deliberazione dovrebbe considerarsi inefficace (Bianchi-Feller, 336; Revigliono, 1813); coloro che ritengono tali diritti una prerogativa di natura societaria ed organizzativa propendono per l'ordinaria invalidità di essa (Butturini, 182; Santagata, 299; Zanarone, 536).

Vincoli sulla quota e diritti particolari

Costituisce oggetto di dibattito la spettanza dei diritti particolari in caso di sottoposizione della quota del socio cui essi afferiscono a diritti parziali quali il pegno e l'usufrutto. Secondo una parte della dottrina, in mancanza di diversa disciplina pattizia, i diritti particolari dovrebbero permanere in capo al socio (debitore o nudo proprietario) il quale però dovrebbe esercitarli in modo tale da non pregiudicare le ragioni del creditore pignoratizio o dell'usufruttuario (Daccò, 2007, 399). Altri autori, sulla base della considerazione che il voto è attribuito dall'art. 2352 c.c. al creditore pignoratizio o all'usufruttuario, riconoscono ai predetti soggetti anche l'esercizio dei diritti particolari (Maugeri, 1513; per una critica a tale orientamento, Paolini, 2015, 329 secondo la quale essa non appare coordinabile con il principio di personalità dei diritti particolari). Altri ancora riconoscono all'usufruttuario, al creditore pignoratizio ed al custode i diritti enunziati nell'art. 2352; gli altri diritti (quali ad es., il diritto ad amministrare la società, il diritto ad esprimere il proprio gradimento in caso di trasferimenti della partecipazione) rimangono in capo al socio (Maltoni, 246).

La trasferibilità delle quote di proprietà di titolari di diritti particolari.

La dottrina si è posta la domanda se la cessione della quota cui siano attribuiti dall'atto costitutivo diritti particolari importi anche il trasferimento di tali diritti al cessionario.

Come evidenziato, la dottrina maggioritaria muove dalla considerazione che i diritti particolari possono essere conferiti in ragione della persona del socio senza possibilità di creare una speciale categoria di quote, con la conseguenza che essi non fanno parte del contenuto oggettivo della quota. Pertanto, si ritiene che il diritto particolare sia intrasferibile, sia inter vivos che mortis causa: nel caso di cessione della partecipazione del socio titolare, il diritto particolare necessariamente si estingue, non potendo, da un lato, trasferirsi all'acquirente, né, dall'altro lato, permanere in capo alla persona del cedente, che non riveste più la qualità di socio (Daccò, 2007, 399; Guerrera, 250; Paolini, 2015, 327; Salvatore, 337; Blandini, 189; Angelici, 2003, 54; Perrino, 134).

È, però, legittima una diversa previsione dell'atto costitutivo che potrebbe consentire la trasferibilità del diritto particolare insieme alla partecipazione: infatti, nulla osta a che il regime della cessione dei diritti particolari a seguito del trasferimento sia assoggettato a quello proprio delle modificazione del diritto particolare e, precisamente, sottoposta alla disciplina vigente nel caso specifico (unanimità, salva diversa previsione dell'atto costitutivo) (in questi termini, Paolini, 2015, 327; Revigliono, 1806).

Si deve segnalare che una parte della dottrina ritiene del tutto intrasferibile la partecipazione sociale in relazione alla quale siano connessi diritti particolari (Carestia, 103; Rosapepe, 485). Tale ricostruzione è stata però criticata, sulla base della considerazione che in un sistema, qual è quello della s.r.l., pur sempre caratterizzato dalla regola della libera trasferibilità delle quote, un limite legale alla loro circolazione non potrebbe trarsi implicitamente, come sembra supporre tale orientamento, ma dovrebbe risultare da una espressa disposizione normativa (Mondani, 474).

Altra dottrina (Mondani, 482 ss.; Guerrera, 250 ss.), invece, distingue tra diritti particolari «fungibili» e diritti particolari «infungibili»: i primi coincidono tendenzialmente con diritti particolari a contenuto patrimoniale, quali possono essere ad es. i diritti sugli utili, i secondi afferiscono essenzialmente all'amministrazione della società, quali ad es. la riserva della funzione di amministratore, il diritto di nominare gli amministratori e di revocarli, la facoltà di esprimere il gradimento in ordine alle persone designate dagli altri soci, il potere decisionale o di veto in relazione al compimento di determinati atti gestori. Ebbene, i diritti particolari «fungibili» si caratterizzano per la normale sostituibilità del soggetto legittimato al loro esercizio, essendo disposti nell'esclusivo interesse del socio beneficiato. Pertanto, il mutamento dell'originario titolare non incide sul generale assetto organizzativo della società né modifica o pregiudica la posizione degli altri soci. I diritti particolari «fungibili», dunque, sono suscettibili di essere compresi nel contenuto oggettivo della partecipazione sociale, con la conseguenza che essi si trasferiscono insieme alla stessa partecipazione (Mondani, 484, che evidenzia come tale conclusione consentirebbe al socio beneficiato di «monetizzarne» il relativo valore). I diritti particolari «infungibili», riguardando l'amministrazione della società, sono, invece, connotati dall'intuius personae che osta al subentro dell'acquirente della partecipazione nella titolarità dei diritti spettanti all'alienante, e, conseguentemente, si estinguono per effetto della cessione della quota. Tuttavia, al trasferimento dei diritti di natura amministrativa all'acquirente della partecipazione si potrebbe pervenire con le modalità prescritte dall'art. 2468, comma 4, per le modifiche dei diritti particolari, e quindi con il consenso di tutti i soci, in quanto il mutamento della persona beneficiata determina una modifica di tipo soggettivo dei diritti particolari (Mondani, 487).

In caso di trasferimento parziale della quota, il diritto particolare, salvo diversa disciplina dell'atto costitutivo, dovrebbe restare in capo all'originario titolare (Paolini, 2015, 327; Notari, 334).

Secondo la prassi notarile, qualora l'atto costitutivo non disponga diversamente i diritti particolari ex art. 2468, comma 3, c.c., sono attribuiti al singolo socio prescindendo dall'entità della sua partecipazione, pertanto in caso di alienazioni parziali della partecipazione detti diritti rimangono attribuiti per intero in capo al socio alienante. Nel caso in cui il singolo socio alieni per intero la sua partecipazione i diritti particolari ad esso attribuiti si estinguono e conseguentemente si espandono quelli degli altri soci. È comunque possibile che l'atto costitutivo disponga diversamente nel senso di ammettere la trasferibilità dei diritti agli aventi causa del socio, a discrezione di quest'ultimo, o di altro socio, prescindendo o meno dall'entità della quota trasferita (Consigli Notarili Triveneto, massima n. I.I.10).

Inoltre, stante la necessità di salvaguardare l'attualità dello statuto sociale, è quanto mai opportuno che la clausola attributiva di particolari diritti amministrativi ai soci contenga anche una delega all'organo amministrativo (simile a quella prevista dall'art. 2481-bis, ultimo comma, c.c. in materia di aumento del capitale sociale) relativa al deposito presso il registro delle imprese, sotto la propria responsabilità, di un testo aggiornato dello statuto sociale, adeguato nella clausola attributiva di particolari diritti a singoli soci, qualora muti la persona del socio cui spettano detti diritti (Consigli Notarili Triveneto, massima n. I.I.15).

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