Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 135 bis - Disciplina delle societa' cooperative1

Lorenzo Delli Priscoli

Disciplina delle societa' cooperative1

Art. 135-bis

1. Alle societa' cooperative non si applica il comma 2 dell'articolo 125-bis, nonche' il comma 4, lettera b), numero 1), limitatamente alle parole: "del diritto di porre domande prima dell'assemblea" e numero 3, e lettera c), del medesimo articolo. Non si applicano altresi' gli articoli 127-bis, 127-ter e 127-quater.

2. Restano ferme le altre esclusioni espressamente previste dal presente decreto.

3. Il termine previsto dall'articolo 126-bis, comma 2, primo periodo, e' ridotto a dieci giorni.

(1)

[1] Articolo inserito dall'articolo 3, comma 11, del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 27 e, successivamente, sostituito dall'articolo 3, comma 10, del D.Lgs. 18 giugno 2012, n. 91, con la decorrenza indicata dall'articolo 5, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 91 del 2012.

Inquadramento

La norma in oggetto esclude l'applicabilità alle società cooperative di alcune norme del TUF incompatibili con la causa mutualistica. L'art. 135-bis stabilisce espressamente quali siano le norme del TUF che non trovano applicazione relativamente alle cooperative. Appare evidente che, in base al chiaro dettato della norma e ad una lettura a contrario della disposizione, trovi piena applicazione alla banca in forma di cooperativa, sia secondo l'originario decreto legislativo, sia secondo il successivo correttivo, l'art. 127 TUF in materia di voto per corrispondenza o in via elettronica (Trib. Bologna sez. spec. in materia di imprese, 18 marzo 2014).

Secondo il comma 2 dell'art. 125-bis del TUF, «Nel caso di assemblea convocata per l'elezione mediante voto di lista dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, il termine per la pubblicazione dell'avviso di convocazione è anticipato al quarantesimo giorno precedente la data dell'assemblea».

Secondo il comma 4, lett. b), n. 1, dell'art. 125-bis del TUF, l'avviso di convocazione reca «b) una descrizione chiara e precisa delle procedure da rispettare per poter partecipare e votare in assemblea, ivi comprese le informazioni riguardanti: 1) i termini per l'esercizio del diritto di porre domande prima dell'assemblea e del diritto di integrare l'ordine del giorno o di presentare ulteriori proposte su materie già all'ordine del giorno, nonché, anche mediante riferimento al sito Internet della società, le eventuali ulteriori modalità per l'esercizio di tali diritti»; «3) la procedura per il conferimento delle deleghe al soggetto eventualmente designato dalla società ai sensi dell'articolo 135-undecies, con la precisazione che la delega non ha effetto con riguardo alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto»; «c) la data indicata nell'articolo 83-sexies, comma 2, con la precisazione che coloro che diventeranno titolari delle azioni solo successivamente a tale data non avranno il diritto di intervenire e votare in assemblea».

Secondo l'art. 127-bis TUF, «1. Ai fini dell'articolo 2377 del codice civile colui a cui favore sia effettuata la registrazione delle azioni successivamente alla data indicata nell'articolo 83-sexies, comma 2 e prima dell'apertura dei lavori dell'assemblea, è considerato assente all'assemblea».

Secondo l'art. 127-ter TUF «1. Coloro ai quali spetta il diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso contenuto».

Secondo l'art. 127-quater TUF, «1. In deroga all'articolo 2350, comma 1, del codice civile, gli statuti possono disporre che ciascuna azione detenuta dal medesimo azionista per un periodo continuativo indicato nello statuto, comunque non inferiore ad un anno o al minor periodo intercorrente tra due date consecutive di pagamento del dividendo annuale, attribuisca il diritto ad una maggiorazione non superiore al 10 per cento del dividendo distribuito alle altre azioni. Gli statuti possono subordinare l'assegnazione della maggiorazione a condizioni ulteriori. Il beneficio può estendersi anche alle azioni assegnate ai sensi dell'articolo 2442 del codice civile a un azionista che abbia diritto alla maggiorazione indicata nel primo periodo».

Secondo l'art. 126-bis TUF, «2. Delle integrazioni all'ordine del giorno o della presentazione di ulteriori proposte di deliberazione su materie già all'ordine del giorno, ai sensi del comma 1, è data notizia, nelle stesse forme prescritte per la pubblicazione dell'avviso di convocazione, almeno quindici giorni prima di quello fissato per l'assemblea. Le ulteriori proposte di deliberazione su materie già all'ordine del giorno sono messe a disposizione del pubblico con le modalità di cui all'articolo 125-ter, comma 1, contestualmente alla pubblicazione della notizia della presentazione. Il termine è ridotto a sette giorni nel caso di assemblea convocata ai sensi dell'articolo 104, comma 2, ovvero nel caso di assemblea convocata ai sensi dell' articolo 125-bis, comma 3» (Cetra, 1512).

Dalle regole precipuamente finalizzate a tutelare le minoranze (cfr. artt. 126-bis, 147-ter, comma 1 e 148, comma 2, TUF) si ricava che la figura soggettiva presa a riferimento sia non solo e non tanto quella del socio minimo o disperso quanto piuttosto e soprattutto quella dell'investitore istituzionale. Depone in questo senso il fatto che sia stato consentito all'autonomia statutaria di attribuire i sottostanti poteri (integrazione dell'ordine del giorno e presentazione di nuove proposte di delibera; presentazione di liste per il rinnovo dell'organo amministrativo e di controllo nella prospettiva di eleggere un componente di minoranza nell'uno e nell'altro) a un gruppo di soci identificato non secondo il criterio generale di determinazione della minoranza, tradizionalmente ritenuto coerente con il voto capitario, cioè quello che la commisura in rapporto al numero complessivo dei soci (art. 135 TUF), ma secondo un criterio plutocratico, fondato su un'aliquota di partecipazione al capitale sociale (cfr. artt. 126-bis, comma 1 e 147-ter, comma 1, TUF, richiamato, ai sensi dell'art. 148, comma 2, TUF, dall'art. 144-sexies, comma 2, reg. emittenti). A ciò si aggiunga che sempre l'autonomia statutaria può condizionare la stessa qualifica di socio al possesso di un numero minimo predeterminato di azioni (art. 30, comma 5-bis, TUB) (Cetra, 1513).

Se ne può, allora, dedurre che l'efficacia del sistema di tutela è strettamente legata al modo con cui vengono confezionate le clausole statutarie che identificano in concreto la minoranza: efficacia che allora è inversamente proporzionale all'ammontare di capitale richiesto per esercitare i suddetti poteri (Cetra, 1519).

Il sistema di tutela specifico per le cooperative quotate rischierebbe di risultare comunque insufficiente ove non venisse integrato con le misure finalizzate a ridurre il gap intercorrente tra la base sociale e l'organo amministrativo. Vero è che qualche passo in questa direzione è stato fatto proprio di recente, consentendo alcune eccezioni al voto capitario (cfr. art. 150-bis, comma 2, TUB) ed aumentando il numero di deleghe conferibili ad ogni socio (che dev'essere compresa nell'intervallo tra dieci e venti: art. 150-bis, comma 2-bis, TUB). Vero è anche che tanto non basta per consentire ai soci o agli operatori di mercato di svolgere un adeguato controllo sull'operato dei gestori e, all'esito di questo, eventualmente rimuovere gli amministratori dal loro incarico. Si consideri che nelle banche popolari (quotate), da un lato, l'esercizio del voto per rappresentanza è l'unica forma di voto mediato (cfr. artt. 135-duodecies e 137, comma 4, TUF), sicché gli amministratori hanno una non trascurabile possibilità di controllare gli esiti delle assemblee; dall'altro, un aspirante socio, al quale sia stato negato il  placet  all'ingresso non può né coinvolgere l'assemblea né fare opposizione al tribunale (cfr. art. 150-bis, comma 2, TUB che esclude l'applicazione degli artt. 2528, comma 4 e 2530, comma 5, c.c.), sicché gli amministratori hanno una non trascurabile possibilità di influenzare la composizione della compagine sociale (Cetra, 1521).

Ne risulta una tutela della minoranza senz'altro limitata e comunque deteriore rispetto a quella accordata alla minoranza di una s.p.a. quotata, il che appare particolarmente grave se si considera che la figura di minoranza cui il legislatore fa riferimento è non diversa da quella di una s.p.a. quotata: i soci quali «cittadini del mercato», che hanno interesse a massimizzare il valore del proprio investimento e, quindi, effettuarlo su un mercato (il più possibile) efficiente. E proprio alla luce della consapevolezza che si tratta di una tutela bisognosa di essere migliorata e resa non diversa da quella accordata alla minoranza di una qualsiasi società quotata – cosa che per troppo tempo è stata rinviata aspettando la tanto auspicata, anche a livello europeo, riforma delle banche popolari – può forse cogliersi la ragione alla base del provvedimento che obbliga la trasformazione in società per azioni (in alternativa alla messa in liquidazione) delle banche popolari con attivo patrimoniale superiore a otto miliardi di euro, salvo che l'aggregato patrimoniale non sia riportato al di sotto di detta soglia entro un anno dal suo superamento (art. 29, comma 2-ter, TUB come riscritto dall'art. 1, comma 1, lett. c, d.l. n. 3/2015: Cetra, 1522).

L'art. 135 TUF ai fini dell'esercizio dei diritti dei soci converte il parametro della partecipazione al capitale in quello del numero complessivo dei membri. Il dato, tra l'altro, risulta in linea con il principio della variabilità del capitale e con quello democratico che permeano lo statuto delle società di cui agli artt. 2511 ss. c.c. La norma prova inconfutabilmente come per il Legislatore nelle società mutualistiche il numero dei soci sia idoneo a rappresentare il termine di raffronto per il calcolo dei quorum. Essa è dettata in materia di soggetti quotati sotto forma di società cooperative, ossia, sostanzialmente, per le banche popolari e la Società Cattolica di Assicurazioni. È stato osservato, però, che la sua formulazione è scevra di riferimenti alle banche popolari proprio perché il legislatore voleva rivolgersi al mondo delle cooperative in genere (Renzulli, 70).

Le banche cooperative

A seguito delle riforme delle banche popolari  e delle banche di credito cooperativo, il TUB (art. 28) e le disposizioni di vigilanza della Banca d'Italia confermano che «l'attività bancaria da parte di società cooperative è riservata alle banche popolari e alle banche di credito cooperativo».

Le banche cooperative dunque sopravvivono, ma vengono meno sia le banche popolari “grandi”, sia le banche di credito cooperativo “monadi”, esistenti al di fuori di un gruppo bancario cooperativo.

Ne deriva un ridimensionamento del pluralismo   delle forme bancarie: nel primo caso quantitativo, tramite la riduzione del numero delle banche popolari; nel secondo caso qualitativo, attraverso il riassetto organizzativo quasi a parità numerica degli enti interessati. Inoltre, cambia la disciplina delle banche popolari che sopravvivono come cooperative e delle banche di credito cooperativo, che continueranno l'attività nella nuova dimensione di gruppo.

Nel riordinare e separare i regimi delle banche cooperative il legislatore ha accorciato la distanza con la cooperativa del codice civile: infatti, il testo riformato dell'art. 150-bis TUB ha ridotto il numero delle norme delle cooperative che non si applicano, rispettivamente, alle banche di credito cooperativo (primo comma) e alle banche popolari (secondo comma), ora ripartite in due elenchi. Tuttavia, la concreta efficacia delle previsioni divenute disponibili anche nelle banche cooperative dipende, nella maggior parte dei casi, da una scelta statutaria pienamente volontaria.

In ogni caso restano ferme la natura di cooperative a mutualità prevalente delle sole banche di credito cooperativo (art. 28, comma 2-bis, TUB), in funzione del rispetto dei requisiti di mutualità statutari (art. 2514, comma 1, c.c.) e operativi (art. 35 TUB), e l'integrale sottrazione delle banche popolari alle disposizioni della c.d. legge Basevi (d.lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, come modificato, v. art. 29, ult. comma, TUB). L'attenuazione della specialità delle banche cooperative apre tra l'altro la via alla creazione di strumenti di natura lucrativa e meno democratica in tali banche. Ciononostante le banche cooperative non sono implicitamente divenute a potenziale controllo plutocratico: l'emissione di tali strumenti può portare a un diverso assetto degli equilibri di governo solo in specifici, limitati casi.

La riduzione del numero delle banche popolari in forma cooperativa deriva dall'introduzione della soglia di otto miliardi di euro di attivo (art. 29, comma 2-bis, TUB), al di sopra della quale la banca deve adottare scopo lucrativo e forma di società per azioni, altrimenti ridurre l'attivo o liquidarsi. Il termine per provvedere è di un anno dal rilevato superamento del limite, pena l'applicazione da parte delle autorità di vigilanza di rimedi di crescente intensità sanzionatoria, fino alla revoca dell'autorizzazione bancaria (art. 29, commi 2- bis e 2- ter, TUB). Per le banche già autorizzate all'entrata in vigore della riforma il termine scadeva a fine dicembre 2016. Le banche popolari di piccole dimensioni, le sole destinate a sopravvivere come tali, hanno scopo mutualistico (nei limiti in cui le banche popolari abbiano tale scopo ) e organizzazione cooperativa, ora con minori deviazioni dalla cooperativa diversa disciplinata dal codice civile (Ciocca, 21).

Fino alla riforma del diritto societario, le banche popolari costituivano l'unico caso di trasformazione consentita di una società cooperativa in società per azioni (art. 31 TUB), altrimenti vietata dall'art. 14 l. 17 febbraio 1971, n. 127, e senza obblighi devolutivi. Inoltre, con l'intento di agevolare il passaggio a banca lucrativa, l'art. 31 TUB prevedeva che la trasformazione potesse essere assunta con i  quorum previsti dallo statuto per le modificazioni statutarie e, in presenza di maggioranze statutarie diverse, con la più bassa fra esse.

La riforma del diritto societario ha attenuato il valore di norma di agevolazione dell'art. 31 TUB, rimasto invariato. Esso ha cessato di essere il solo caso di trasformazione di società cooperativa in società lucrativa, nel frattempo consentita a tutte le cooperative diverse (art. 2545-decies c.c.) e non più alle sole banche popolari. Inoltre, l'utilità dell'art. 31 TUB, che permette di applicare la più bassa delle maggioranze statutarie, dipende dalla concreta previsione dello statuto. In ogni caso, il rinvio allo statuto appare più conveniente rispetto alla norma del codice civile, che richiederebbe il voto favorevole di almeno la metà dei soci (art. 2545-decies c.c) e non si applica alle banche cooperative (art. 150-bis TUB, sul punto immutato). Come si evince dall'art. 31 TUB, si rinnova la disciplina di favore per la trasformazione in società lucrativa delle banche popolari. Non si tratta, peraltro, di predilezione per lo scopo di lucro su quello mutualistico, che non sarebbe in linea con l'art. 45 Cost., ma dell'intento di perseguire la stabilità della banca e la sua sana e prudente gestione: sono quindi le «esigenze della impresa» alla base della riforma, che intende convogliare la raccolta del capitale verso il modello organizzativo capace di un'adeguata patrimonializzazione. La necessità di valorizzare tali esigenze è d'altra parte esaltata nel nuovo quadro giuridico in cui è venuta meno la garanzia sovrana per l'indebitamento delle banche  (Ciocca, 26).

Bibliografia

Cetra, Tutela delle minoranze e dei soci nell'impresa cooperativa, in Riv. dir. civ. 2016, 1512; Ciocca, Riforma delle banche cooperative: riassetti organizzativi e possibili equilibri di poteri, in Banca borsa tit. cred. 2018, 21; Renzulli, La legittimazione all'impugnazione delle deliberazioni assembleari nelle società cooperative, in Giur. comm. 2013, I.

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