Decreto legislativo - 24/02/1998 - n. 58 art. 147 bis - Assemblee di categoria 1.Assemblee di categoria 1. Art. 147-bis 1. Gli articoli 146 e 147 si applicano alle assemblee speciali previste dall'articolo 2376, comma 1, del codice civile, qualora le azioni siano quotate in mercati regolamentati italiani o di altri Paesi dell'Unione europea. (1) [1] Articolo inserito dall'articolo 9.75 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel testo introdotto dall'articolo 3 del D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37. Vedi la disciplina transitoria di cui all'articolo 6 del medesimo D.Lgs. 37/2004. InquadramentoLe azioni di risparmio sono state istituite con la c.d. mini-riforma del 1974 (d.l. n. 95/1974 convertito in l. n. 216/1974) contestualmente all'istituzione della Consob. L'istituzione delle azioni di risparmio rispondeva ad una visione teorica secondo cui fosse più adatto agli investitori/risparmiatori un investimento in titoli partecipativi privi del diritto di voto che – pur essendo di capitale e, dunque, utile per rafforzare la dimensione delle imprese italiane – avesse natura esclusivamente patrimoniale. Tale impostazione, pur essendo sostenuta da una parte della dottrina, era stata sin dall'origine criticata autorevolmente, in quanto la previsione del diritto di voto era considerata da alcuni come la perdita di una caratteristica essenziale della partecipazione azionaria non controbilanciata da particolari vantaggi e, per altro verso, le azioni prive di tale diritto si prestavano ad un uso strumentale come tecnica di difesa degli assetti di controllo e, dunque, di minore apertura del mercato del controllo societario, con conseguenti minori opportunità di incremento del valore delle azioni ordinarie (cfr. Oppo, 1220, nonché, per una rassegna della dottrina, i testi di Ferro-Luzzi citati in bibliografia). Tale ultimo aspetto (il possibile uso delle azioni di risparmio come meccanismi di «blindatura» delle posizioni di controllo) è favorito anche dall'assenza di obblighi di trasparenza sui possessi di tali azioni. L'evoluzione normativa dall'originaria previsione del 1974 al TUF del 1998 ha portato – di fronte a un non particolare successo dell'istituto – ad una maggiore flessibilità, sostituendo le caratteristiche dei «particolari privilegi di natura patrimoniale» predefinite per legge (ad esempio dividendo privilegiato del 5% del valore nominale previsto dal previgente art. 15, comma 1, della l. n. 216/74) con una piena autonomia statutaria nella definizione di tali privilegi, il cui riconoscimento rimane però un vincolo per l'emissione di tal genere di azioni da parte della società con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o dell'Unione Europea. Altro vincolo è che non venga superato il 50% del capitale sociale. Peraltro, neanche la maggiore flessibilità riconosciuta dal TUF ha favorito lo sviluppo dell'istituto, che è rimasto limitato a pochi casi. Attualmente, ci sono 16 società che hanno azioni di risparmio quotate sul mercato regolamentato. Al riguardo, la giurisprudenza di merito (Trib. Roma 7 luglio 2011, in Giur. comm., 2013, II, 274) ha affermato che l'art. 145, comma 2, TUF, nella parte in cui prescrive che l'atto costitutivo della società emittente deve stabilire i diritti spettanti agli azionisti di risparmio in caso di esclusione dalle negoziazioni, non indica la natura e il contenuto minimo di tali diritti, lasciando libertà all'autonomia statutaria, senza quindi obbligo di prevedere una maggiore remunerazione o, in genere, diritti aggiuntivi. Con la conseguenza che è annullabile la deliberazione dell'assemblea degli azionisti ordinari della società emittente e la conseguente deliberazione di approvazione dell'assemblea speciale degli azionisti di risparmio violative dell'obbligo di stabilire i diritti spettanti a questi ultimi, trattandosi di norma posta a tutela non di interessi generali, tali da trascendere quello dei singoli soci, ma di interessi individuali dei medesimi azionisti di risparmio a vedersi attribuiti particolari diritti in caso di delisting della società emittente; mentre i portatori di azioni di risparmio, che non possiedono azioni aventi diritto di voto con riferimento alle deliberazioni dell'assemblea degli azionisti ordinari della società emittente, non sono legittimati a proporre azione di annullamento, ma hanno diritto al risarcimento del danno cagionato dalla non conformità alla legge o allo statuto delle deliberazioni medesime. Mentre secondo altra decisione (Trib. Milano 27 novembre 2008, in Riv. dir. comm., 2009, II, 203) il potere di impugnazione del rappresentante comune degli azionisti di risparmio non è limitato alle deliberazioni pregiudizievoli per la categoria, sicché egli è legittimato a promuovere l'azione risarcitoria per il fatto illecito, compiuto dalla società, produttivo di effetti lesivi del patrimonio degli azionisti di minoranza, in generale, e di quelli di risparmio, in particolare. Nel frattempo, vi è stata un'importante ulteriore evoluzione, costituita dall'apertura della disciplina generale delle società per azioni alle azioni senza diritto di voto, oltre che più in generale ad un'ampia autonomia statutaria nella strutturazione ed emissione di strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi (artt. 246 e ss. c.c.). In particolare l'art. 2351, comma 2, c.c. (v.), consente l'emissione di azioni prive di diritto di voto, anche a prescindere dall' attribuzione di un privilegio sul piano patrimoniale con l'unico vincolo – presente sin dall'origine anche nella disciplina sulle azioni di risparmio – del non superamento della metà del capitale sociale. Tale disciplina è applicabile «salvo quanto previsto dalle leggi speciali» e dunque appare corretto ritenere che alle società con azioni quotate si applichino gli artt. 145-147 del TUF in luogo della norma civilistica. Più recentemente (ad opera del d.l. n. 91/2014, convertito nella l. n. 116/2014) vi è stato l'ulteriore intervento normativo rappresentato dalla possibilità di emettere azioni a voto multiplo (nelle due forme di azioni a voto plurimo, per le sole società non quotate, e azioni a voto maggiorato, per le sole società con azioni quotate, cfr. artt. 127-quinquies e 127-sexies del TUF), che ha definitivamente superato l'ultimo residuo divieto – già presente nel quarto comma dell'art. 2351 c.c. oggi sostituito – espressione del principio one share one vote. Anche nelle società con azioni quotate, pur essendo ancora presente un divieto di emettere azioni a voto plurimo, le stesse possono restare se erano state emesse prima della quotazione. In tal caso, peraltro, fra le tante diverse motivazioni avanzate a supporto della novella è stata apertamente avanzata anche quella della difesa di posizioni di controllo preesistenti, nell'ottica di favorire l'appetibilità della quotazione delle azioni sul mercato regolamentato per piccoli e medi imprenditori. In questo contesto, può ragionevolmente dirsi che il progressivo abbandono del meccanismo di attribuzione del diritto di voto su base proporzionale nelle società per azioni quotate rappresenta una delle più significative linee di evoluzione del diritto societario che muove dall'inammissibilità di azioni senza diritto di voto (Codice di commercio del 1882) al suo completo superamento con la riforma del diritto societario del 2003 e poi con l'introduzione delle azioni a voto multiplo nel nostro ordinamento. Contestualmente, peraltro, costituisce un'evoluzione parallela la valorizzazione del diritto di voto come strumento di controllo dell'operato dei manager da parte dei Codici di Corporate Governance dei mercati e della disciplina europea sulle società quotate (ad esempio ad opera della nuova Direttiva shareholder's rights n. 828/2017). La disciplina in commento è completata dalle previsioni in ordine all'assemblea speciale (art. 146 TUF; corrispondente a quella di cui all'art. 2376 c.c. per le società non quotate, seppure con alcune differenze), che va convocata ogni qual volta vi sia una deliberazione dell'assemblea della società che può pregiudicare i diritti degli azionisti di risparmio e che delibera con il voto favorevole di almeno il 20% della categoria (in prima convocazione); il 10% in seconda; la maggioranza dei presenti in terza. L'assemblea speciale si occupa poi di varie questioni organizzative di interesse della categoria e, fra queste, della nomina del rappresentante comune, che è il soggetto (art. 147) che cura nel tempo gli interessi degli azionisti di risparmio. L'art. 147-bis estende la disciplina su assemblea e rappresentante comune alle altre categorie di azioni diverse dalle ordinarie previste dal codice civile qualora sino quotate su mercati regolamentati. BibliografiaAbriani, Sub art. 145 TUF, in Giur. it., 1998, 1994; Abriani, Azioni di risparmio, in Digesto priv., 4, Agg., Torino, 1997, 57; Aiaf, Le azioni di risparmio, Quaderno AIAF n. 86, Milano, 1997; Bartalena, Le azioni di risparmio, Pisa, 1999; Bigelli, Le azioni di risparmio. 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