Codice Civile art. 2504 quater - Invalidità della fusione (1).

Cecilia Bernardo

Invalidità della fusione (1).

[I]. Eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione a norma del secondo comma dell'articolo 2504, l'invalidità dell'atto di fusione non può essere pronunciata.

[II]. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione.

(1) V. nota al Capo X.

Inquadramento

Il principio della pubblicità sanante della fusione invalida , introdotto nell'ordinamento italiano con il d.lgs. n. 22/1991, trova la sua origine nella terza direttiva comunitaria (dir. 78/855/CE del 9 ottobre 1978).

La relazione di accompagnamento al testo legislativo precisa che il principio espresso dalla disposizione in esame è stato inserito in ragione delle gravissime difficoltà che nascerebbero qualora si fosse dichiarata nulla una fusione già attuata: difficoltà inerenti sia alla suddivisione dei patrimoni ormai unificati, e nel tempo intercorrente fino alla formazione del giudicato, modificati magari profondamente, sia alla ricostituzione delle compagini dei soci partecipanti all'operazione.

La finalità dell'articolo 2504 c.c. è quella di prescrivere una sanatoria delle invalidità dell'atto di fusione, le quali non possono più essere pronunciate una volta che siano state eseguite le iscrizioni di cui all'articolo 2504 c.c., aventi pertanto efficacia sanante.

I diritti individuali al risarcimento dei danni subiti dai soci o dai terzi derivanti dall'atto di fusione vengono fatti tuttavia salvi. Pertanto, sebbene non si possa più procedere a far dichiarare l'invalidità dell'atto di fusione, anche e soprattutto per ragioni di stabilità dell'assetto organizzativo creatosi e di tutela dei terzi che vedrebbero pregiudicati i loro diritti, il singolo socio o il terzo possono agire per domandare il risarcimento del danno che abbiano subito proprio a causa dell'invalidità dell'atto di fusione.

Naturale conseguenza di tale disposizione, è la preclusione di ogni altra azione diversa dal risarcimento del danno per equivalente.

La tutela dei soci o dei terzi si esplica in una tutela di tipo obbligatorio e non reale (Lucarelli, 1373).

Sul punto era stata sollevata questione di legittimità costituzionale per contrasto con l'articolo 24 Cost. nella parte in cui non consentiva la pronuncia di invalidità dell'atto di fusione a seguito delle iscrizioni di cui all'articolo 2504 c.c. La questione è stata tuttavia giudicata manifestatamente infondata, poiché è stato giustamente sottolineato come l'interesse del singolo socio di minoranza sia stato bilanciato dal legislatore con interessi superiori quali la stabilità degli effetti creatisi a seguito del perfezionamento del procedimento di fusione seppur viziato (Trib. Genova 21 dicembre 2000).

Nell'eventualità in cui venisse infatti dichiarata l'invalidità della fusione, dall'atto perfezionativo della stessa, sino al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa, il patrimonio della società risultante dalla fusione, avrà sicuramente subito modificazioni in termini qualitativi e quantitativi, così come possano averle subite le compagini sociali, tanto da rendere piuttosto arduo il ripristino dello status quo ante.

Il principio della pubblicità sanante della fusione invalida, introdotto nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 22/1991, trova la sua origine nella terza direttiva comunitaria (dir. 78/855/CE del 9 ottobre 1978).

La relazione di accompagnamento al testo legislativo precisa che il principio espresso dalla disposizione in esame è stato inserito in ragione delle gravissime difficoltà che nascerebbero qualora si fosse dichiarata nulla una fusione già attuata: difficoltà inerenti sia alla suddivisione dei patrimoni ormai unificati, e nel tempo intercorrente fino alla formazione del giudicato, modificati magari profondamente, sia alla ricostituzione delle compagini dei soci partecipanti all’operazione.

Natura dell'invalidità

Sebbene il legislatore sia stato chiaro nel limitare l'effetto sanante al solo atto di fusione, prescrivendo che le sue invalidità non possano più essere pronunciate a seguito delle iscrizioni ex art. 2504 c.c., un'interpretazione teleologica della norma suggerirebbe di estenderne gli effetti anche all'ipotesi in cui l'invalidità rivesta il procedimento di fusione o un suo atto, escludendo unicamente la fattispecie di inesistenza della fusione.

La dottrina proprio per risolvere una questione non solo teorica, ma dagli evidenti riflessi pratici, ha elaborato varie teorie estensive.

La fusione è stata infatti qualificata come procedimento complesso la sanatoria del cui atto finale avrebbe effetto sull'intero procedimento (Camilletti, 168). Altri invece hanno posto l'accento sulla natura procedimentale dell'operazione di fusione, riferendo l'invalidità della norma a tutte le ipotesi di invalidità del procedimento di fusione (Farenga, 467).

Sul punto sembra però aver fornito un indirizzo chiarificatore la Suprema Corte che in una recente sentenza ha rilevato come l'interesse a far dichiarare l'invalidità di un atto del procedimento prodromico all'atto di fusione sussista solo nel caso in cui da questo possa derivare l'invalidità dell'atto finale. Le delibere assembleari hanno mera funzione endoprocedimentale e la dichiarazione di invalidità delle stesse pregiudicherebbe l'affidamento dei terzi fondato sulla pubblicità dell'atto di fusione. Ad analoghe considerazione deve giungersi nel caso in cui un atto del procedimento sia viziato da inesistenza. L'interesse a farne dichiarare l'invalidità sussisterebbe solo nell'ipotesi in cui da questa possa derivare anche l'inesistenza dell'atto di fusione, fattispecie che potrebbe verificarsi solo in casi tanto estremi da avere ad oggetto atti manifestatamente irriconoscibili nei loro tratti essenziali anche ai terzi (Cass. n. 8864/2012).

In merito ai vizi denunciabili, il legislatore ha utilizzato il generico termine dell'invalidità. Questa scelta pare dettata dalla volontà di ricomprendere tutte le fattispecie di invalidità, per cui tanto la nullità quanto l'annullabilità.

Vi è tuttavia chi aderisce ad un indirizzo più restrittivo come quello sotteso alla motivazione della Corte nella precedente sentenza richiamata, la quale esclude dalla sanatoria i vizi di non eccezionale gravità, escludendovi quindi anche le ipotesi di nullità per contrarietà all'ordine pubblico od illeceità dell'oggetto (Oppo, 501).

La sanatoria di cui all’art. 2504-quater si estende a tutto il procedimento di fusione ed è comprensivo di ogni ipotesi di vizio dell’atto. La sanatoria, dunque, opera sia con riferimento a vizi che comportano l’inefficacia dell’atto sia con riferimento ai vizi della delibera di approvazione del progetto di fusione contro cui il creditore ha proposto opposizione (Trib. Milano, 8 settembre 2003, in Giur. comm., 2005, II, 198; Trib. Milano, 11 gennaio 2007, in Soc., 2008, 481; Trib. Roma, 23 settembre 1998, Soc., 1999, 458, contra però Trib. Velletri, 10 agosto 1994, in Riv. dir. comm., 1996, II, 295 secondo il quale l’iscrizione non sana i vizi determinati l’inesistenza o l’inefficacia della fusione, ad es., la inefficacia derivante dall’esecuzione della fusione in pendenza di opposizione).

Si è anche osservato che l’iscrizione nel registro delle imprese non sana tecnicamente il vizio. Se è vero che l’effetto della pubblicità legale è quello di precludere per il futuro eventuali pronunce invalidative della fusione, è anche vero che tale effetto non si estende fino a sanare in senso giuridico eventuali vizi dell’atto stesso o del procedimento, in quanto l’iscrizione nel registro delle imprese non ha l’effetto di rendere legittimi i comportamenti dei soggetti responsabili di eventuali vizi, ma solo di precludere la declaratoria di invalidità ai fini della tutela reale (Ruggeri 67).

In altre parole, la norma in esame impone una sostituzione della tutela reale con quella risarcitoria (Pasquini 1576).

Tuttavia, nonostante la fusione non sia più reversibile, permane l’interesse del socio e del creditore a far valere il vizio di invalidità tutte le volte che da tale pronunzia possa trarsi fondamento per una azione di risarcimento (Ruggeri 67).

 

 

Rimedio risarcitorio

D Legittimati attivi all'azione risarcitoria sono i soci (di minoranza), i creditori e tutti coloro che abbiano ricevuto un pregiudizio dalla fusione viziata (Iermano, 426, Ruggeri, 71).

È legittimato attivo il rappresentante comune degli obbligazionisti di risparmio, pur essendo detta legittimazione limitata alla proposizione della domanda di accertamento del pregiudizio conseguito dalla fusione a ciascun azionista di risparmio, e non estendendosi alla conseguente azione di condanna, riservata ai singoli titolari delle azioni stesse (Trib. Milano 2 novembre 2000, Foro it., 2001, I, 1935).

La legge non chiarisce espressamente chi risponde dell'eventuale danno cagionato dalla fusione invalida. La relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 22/1991 qualificava come legittimati passivi della domanda di risarcimento del danno sia le società partecipanti alla fusioni che i loro amministratori, ma la dottrina evidenzia come le due ipotesi menzionate non possano considerarsi coincidenti e sempre cumulabili (Ruggeri 77). Secondo un primo orientamento sarebbero legittimati passivi i sindaci, i soggetti incaricati del controllo contabile, la società di revisione, gli esperti ex art. 2501-sexies, il notaio, l'ufficio del registro delle imprese (Di Sarli, 965) e, in ultima analisi, la società risultante dalla fusione o l'incorporante (Santagata, 679; Iermano, 426).

Altra dottrina, invece, evidenzia che gli amministratori agiscono sempre nell'interesse della società e la fusione costituisce pur sempre un atto proprio delle società. Se l'ideazione e la pianificazione della fusione è atto degli amministratori, la realizzazione effettiva della fusione dipende è comunque riconducibile ai soci: è, dunque, la società che pone in essere l'azione produttiva del danno. Solo la società sarà legittimata passiva nell'azione risarcitoria intentata dai soci o dai terzi (Ruggeri 79). Tuttavia, la medesima dottrina osserva che, se l'invalidità deriva da una condotta propria degli amministratori, allora la società potrà a sua volta agire nei confronti degli amministratori, dei sindaci o degli esperti per far valere la responsabilità di questi (Ruggeri 80).

Legittimati passivi dell'azione risarcitoria, spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione, sono gli amministratori ex art. 2395, la società incorporante ai sensi dell'art. 2049 o per la natura organica del rapporto gestorio e l'esperto ex art. 2501-quinquies (Trib. Genova, 21 dicembre 2000, in Foro it., 2001, I, 1933).

Nei giudizi di impugnazione della deliberazione assembleare che abbia approvato la fusione sulla base di un rapporto dedotto incongruo, il giudice del merito è chiamato ad accertare tale requisito; del pari, nei giudizi risarcitori, tale verifica mira ad accertare la condotta dannosa e quantificare il pregiudizio al diritto fatto valere: infatti, ad iscrizione dell'atto avvenuta, la legge intende mantenere l'assetto organizzativo risultante dalla fusione ed escludere ogni azione invalidante, sia essa esercitata dalla minoranza o da terzi. L'azione di responsabilità trasferisce la tutela sul piano risarcitorio per equivalente, sia essa rivolta contro la società, contro gli amministratori o i sindaci ecc. (Cass. I, n. 15025/2016). Per ciò che attiene al danno, esso avrà riguardo sia al danno diretto immediatamente subito dal socio o dal terzo sia la danno indiretto e, derivante al socio o ai creditori quale riflesso, appunto, di una riduzione patrimoniale della società e, dunque, della diminuzione del valore delle partecipazioni o delle garanzie di adempimento delle obbligazioni sociali.

Il socio potrà far valere il danno derivante dall'incongruità del rapporto di cambio (quando egli ottenga una partecipazione nella società risultante dalla fusione che non rispecchia il valore reale delle sue azioni o quote) ovvero derivante dalla perdita dello status stesso di socio.

In caso di incongrua determinazione del rapporto di cambio , l'entità del risarcimento del danno dovuto al socio vada determinata non in base al raffronto tra la posizione del socio a seguito della fusione e la posizione che egli avrebbe avuto qualora la fusione non fosse avvenuta, ma in base al raffronto fra la situazione del socio conseguente all'applicazione del rapporto di cambio incongruo e quella corrispondente al rapporto stesso dopo la correzione degli errori tecnici (Trib Genova, 21 dicembre 2000).

Nel giudizio volto al risarcimento del danno subito dal socio in ragione della determinazione di un rapporto di cambio incongruo nella fusione, il rilievo del patrimonio della società incorporata avviene per mezzo, appunto, del rapporto di cambio tra le azioni della incorporata e quelle della incorporante: occorre valutare entrambe le società e fissare i rapporti matematici relativi; «mentre non costituisce un criterio corretto di liquidazione l'immediato pagamento a favore del socio di minoranza – in via proporzionale pro quota – del minore incasso conseguito dalla società partecipata per la dismissione di un bene sottocosto, il che varrebbe come risarcire il danno indiretto al di fuori dei casi ammessi dalla legge» (Cass. I, n. 15025/2016).

Si realizza un “danno diretto” in capo ai singoli soci di una società (partecipante ad una complessa operazione di integrazione tra due gruppi bancari e di riallocazione dei rami di attività rispettivamente di traditional banking e di consumer banking, realizzato attraverso una scissione, con propedeutico conferimento di ramo d'azienda, e di successiva fusione) quando, a causa del diretto contributo causale prestato dall'amministratore, con colpa o dolo, nell'adozione di un rapporto di cambio irragionevole, gli stessi ricevano un numero di azioni della società scaturente dalla fusione minore di quello che sarebbe loro legittimamente spettato. Pertanto, costoro sono pienamente legittimati ad agire in giudizio per il risarcimento del relativo danno non solo nei confronti della società ritenuta inadempiente sul piano contrattuale, ai sensi dell'art. 2504-bis, comma 1, c.c., ma anche, ai sensi dell'art. 2043 c.c., nei confronti di tutti i soggetti individuati come corresponsabili del lamentato inadempimento, ed in particolare, ai sensi dell'art. 2395 c.c., degli amministratori all'epoca in carica, fatta salva l'esigenza di adeguata deduzione e piena prova dei profili di specifica responsabilità soggettiva a costoro riferibili (Trib. Milano, 25 settembre 2015).

Bibliografia

Camilletti, Alcune considerazioni sulla nuova disciplina delle fusioni e sul c.d. «merger leveraged buy out», in Giur. comm. 1994; Di Sarli, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Trasformazione - Fusione - Scissione, Milano, 2006; Farenga, Profili di invalidità e nuova disciplina della fusione, in Riv. dir. comm. 1991; Genovese, La tutela risarcitoria dell’azionista pregiudicato dalla fusione, in Riv. soc. 2007; Iermano, Invalidità delle operazioni straordinarie e principio di stabilità, ne Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, IV, Milano, 2007; Lucarelli, La nuova disciplina delle fusioni e scissioni: una modernizzazione incompiuta, in Riv. soc. 2004; Oppo, Fusione e scissione delle società secondo il D.lgs. 22/1991: Profili generali, in Riv. dir. comm. 1991; Pasquini, in Commentario del codice civile, a cura di Gabrielli, Delle società - Dell’azienda. Della concorrenza, artt. 2452-2510, a cura di Santosuosso Torino; Ruggeri, L’irreversibilità della fusione societaria, Padova, 2012; Santagata, Le fusioni, in Tr. Colombo Portale, 7, Torino, 2004; Scognamiglio, La nullità della fusione nella direttiva CEE e nello schema di legge di attuazione, in Riv. not. 1990.

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