Codice Civile art. 2533 - Esclusione del socio (1).

Stefano Schirò

Esclusione del socio (1).

[I]. L'esclusione del socio, oltre che nel caso indicato all'articolo 2531, può aver luogo:

1) nei casi previsti dall'atto costitutivo;

2) per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico;

3) per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società;

4) nei casi previsti dall'articolo 2286;

5) nei casi previsti dell'articolo 2288, primo comma.

[II]. L'esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o, se l'atto costitutivo lo prevede, dall'assemblea.

[III]. Contro la deliberazione di esclusione il socio può proporre opposizione al tribunale, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.

[IV]. Qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti.

(1) V. nota al Titolo VI.

Inquadramento

L'esclusione del socio dalla cooperativa – che consiste nello scioglimento particolare del vincolo sociale per decisione unilaterale della società – è consentita soltanto in particolari circostanze e, in via di principio, solo in presenza di un inadempimento del socio ovvero quando la sua partecipazione sia incompatibile, inutile o dannosa con il perseguimento del fine sociale (Bonfante 148). Secondo l'art. 2531 (al cui commento si rinvia), il socio di società cooperativa che non esegue in tutto o in parte il pagamento delle quote o delle azioni sottoscritte può, previa intimazione da parte degli amministratori, essere escluso in base all'art. 2533. Tale ultima norma, oggetto di commento in questa sede, indica poi una serie di ulteriori ipotesi di esclusione del socio (ampliate con la riforma del 2003), che ricalcano anche quelle previste per il socio di società di persone (I D , 154), In particolare, in base al disposto dal primo comma dell'articolo in esame, può darsi luogo all'esclusione del socio, oltre che nell'ipotesi del mancato pagamento delle quote o delle azioni di cui all'art. 2531, anche nei casi previsti dall'atto costitutivo, per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico, per mancanza o perdita  dei requisiti previsti per la partecipazione alla società, nei casi previsti dall'art. 2286 (interdizione legale o inabilitazione del socio; sua condanna ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici; sopravvenuta inidoneità del socio d'opera a svolgere l'opera conferita; perimento della cosa conferita in godimento dovuta a causa non imputabile agli amministratori; perimento della cosa conferita in proprietà prima che la proprietà sia acquistata dalla società) e nei casi previsti dall'art. 2288, comma 1 (sottoposizione del socio a liquidazione giudiziale o a liquidazione controllata).  Tra i casi di esclusione previsti dalla norma in commento, spicca quello «per gravi inadempienzedelle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico». In effetti, la formulazione dell'art. 2533 attribuisce un potere più ampio al giudice, il quale è quindi chiamato a pronunciarsi, per giustificare o meno l'esclusione del socio, sull'importanza dell'inadempimento, come previsto in via generale dall'art. 1455 c.c. (C AMPOBASSO , 637; F ARENGA , 513; S TAGNO D'A LCONTRES -D E L UCA 904).

Nelle società cooperative, il fondamento dell'esclusione è legato alle finalità mutualistiche della società, in quanto la norma in commento eleva il rapporto mutualistico a fattore condizionante il rapporto sociale, nel senso che eventuali patologie di tale rapporto sono in grado di condizionare la permanenza di ciascun socio nel rapporto sociale (C ECCHERINI - Schirò, 138). Si è anche sostenuto che la gravità dell'inadempimento deve essere tale da giustificare l'esclusione del socio quando intacchi irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra cooperativa e socio, ossia quando possa utilmente farsi riferimento alla giurisprudenza in tema di giusta causa, concetto richiamato anche dall'art. 2473-bis c.c. in tema di esclusione del socio di una società a responsabilità limitata (D ELLI P RISCOLI 121).

Per le cooperative di consumo di grandi dimensioni deve inoltre essere prevista una clausola statutaria di esclusione, tuttavia imposta dalla legge (art. 17-bis, comma 7, d.l. 2 giugno 2014, n. 91, conv. in l. 11 agosto 2014, n. 116), nel caso in cui il socio non abbia intrattenuto per almeno un anno rapporti mutualistici con la cooperativa ( S TAGNO D'A LCONTRES -D E L UCA 905), in particolare, secondo quanto stabilito dal d.m. 18 settembre 2014, non abbia partecipato alle assemblee e agli organismi territoriali, non abbia acquistato beni o servizi o non abbia intrattenuto rapporti finanziari, quali il prestito sociale, in conformità allo statuto (P RESTI -R ESCIGNO , 619). Si tratta di una singolare e particolare clausola di esclusione (statutaria e non legale, ma che non è espressione dell'autonomia statutaria) che attribuisce marcata rilevanza alla effettività del rapporto tra socio e cooperativa ai fini della prosecuzione del rapporto sociale e che non consente margini di discrezionalità alla cooperativa, che dovrà disporre l'esclusione ogni qual volta si verifichi il presupposto (V ELLA -G ENCO -M ORARA , 93).

L'esclusione legale non è però esclusione di diritto, in quanto, come previsto dal secondo comma della norma in esame, deve essere sempre deliberata dagli amministratori o, se lo prevede l'atto costitutivo, dall'assemblea. Non costituisce neppure causa di esclusione di diritto la sottoposizione a liquidazione giudiziale del socio, come invece disposto dall'art. 2288, comma 1, per le società di persone, in quanto anche in tale ipotesi l'esclusione del socio dalla cooperativa deve deliberata dagli amministratori (C ECCHERINI - Schirò, 138).

Rientra nell'autonomia statutaria l'individuazione di ulteriori cause di esclusione, che tuttavia dovranno improntarsi ai canoni di legittimità, parità di trattamento e divieto di comportamenti di carattere discriminatorio (artt. 2516 e 2527, al cui commento si rinvia) ed anche ad un principio di proporzionalità tra il presupposto e la conseguenza di radicale interruzione del rapporto sociale e mutualistico. A tal fine sono da considerarsi illegittime le previsioni statutarie che consentano una eccessiva discrezionalità degli organi sociali, in quanto connotate da previsioni generiche, o che facciano riferimento a condotte del socio non gravi o irrilevanti ai fini dello svolgimento del rapporto sociale. In particolare, non possono configurarsi come cause di esclusione condotte che costituiscano una forma di esercizio di diritti individuali (ad esempio, l'attivazione d parte del socio di strumenti di tutela giurisdizionale nei confronti della cooperativa o di altri soci) ( V ELLA -G ENCO -M ORARA , 93). In ogni caso il comportamento del socio deve rivestire importanza, tale da impedire o rendere più gravoso il perseguimento del fine sociale, e deve essere imputabile ad un comportamento doloso o colposo del socio. (F ARENGA , 513).

La giurisprudenza ha affermato che l'inadempimento che giustifica l' esclusione  del socio lavoratore deve essere qualificato in termini di specifica gravità e presuppone, pertanto, anche una valutazione del tempo trascorso fra la mancanza addebitata e la reazione da parte della  società  recedente , dovendosi ritenere non conforme ai criteri legali, anche alla luce delle regole di buona fede e correttezza, l' esclusione  disposta a notevole distanza di tempo dai fatti addebitati (Cass. L, n. 14741/2011; Trib. Catania, 23 febbraio 2019 ). Analoga valutazione sulla gravità dell'inadempimento deve essere compiuta dal tribunale investito dell'opposizione da parte del socio escluso (Trib. Salerno I, 7 aprile 2008).  Inoltre, r esta escluso che nella clausola che sanziona la "violazione dello spirito mutualistico e solidaristico della  cooperativa " sia ascrivibile la tutela in giudizio dei diritti del socio, salvo che si dimostri che la tutela giudiziaria fosse strumentale al perseguimento di finalità indebite, del tutto estranee alla legittima (anche se eventualmente infondata nel merito) protezione dei propri interessi giuridici (Cass. L, n. 14741/2011).

La giurisprudenza si è altresì occupata delle problematiche inerenti alla genericità o indeterminatezza delle clausole statutarie che prevedono l'esclusione del socio.

Si è in particolare stabilito che le cause di origine convenzionale di  esclusione  di un socio dalla  cooperativa  devono essere indicate nello statuto in modo tassativo e non generico, al fine di evitare un'eccessiva discrezionalità dell'organo amministrativo (Trib. Napoli, sez. spec. impresa, 2 dicembre 2021, n. 9747). Deve pertanto considerarsi nulla per contrasto con l'art. 1346 c.c. l a clausola statutaria che prevede l'esclusione del socio il quale, in qualunque modo, arrechi danno materiale o morale alla cooperativa e fomenti in seno ad essa dissidi e disordini (Trib. Torino, 19 gennaio 2001).

Si è, inoltre, chiarito che da parte dell'organo deliberante devono essere portate a conoscenza del socio le ragioni in concreto ritenute giustificative dell'esclusione dal momento che su di esse il socio stesso dovrà articolare le proprie difese (Cass. I, n. 23353/2016; Cass. I, n. 11558/2008) e, comunque, per consentire al socio escluso di proporre opposizione (Trib. Monza, 5 luglio 2001). Si è perciò ritenuto che, qualora la comunicazione dell'esclusione, per la sua genericità o perché priva di contenuto motivazionale, non sia idonea a consentire la piena esplicazione dei diritti di difesa del socio escluso, essa deve ritenersi affetta da un vizio genetico che ne comporta la nullità e che si riflette a sua volta sulla delibera di esclusione (Trib. Milano 3 febbraio 2020). Qualora la comunicazione sia generica, è irrilevante che il socio sia stato reso edotto dalla  cooperativa , aliunde, e prima dell'adozione della delibera di  esclusione , di addebiti mossi nei suoi confronti (Trib. Milano, Sez, spec. impresa, 7 luglio 2016)).

Secondo la S.C, compete al giudice del merito la valutazione in concreto della riconducibilità dei comportamenti del  socio  escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di  esclusione , tenendo conto a tal fine - soprattutto quando la previsione statutaria si riferisca a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all'interesse sociale, senza enunciare una casistica specifica - della rilevanza della lesione eventualmente inferta dal  socio  all'interesse della  società , atteso che la regola negoziale contenuta nello statuto sottintende un criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento addebitato al  socio  e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo. Nel compiere detta valutazione, il giudice del merito deve avere riguardo alla rilevanza centrale che in proposito svolgono sia il principio di buona fede (a cui non soltanto il comportamento della  cooperativa , ma anche quello del  socio  devono essere improntati), sia l'elemento personale nella  società   cooperativa , essendo questa fondata su un principio solidaristico che necessariamente postula il reciproco affidamento dei  soci . Detta valutazione compiuta dal giudice del merito, se logicamente e congruamente motivata, sfugge al sindacato della Corte di cassazione. (Nella specie l' esclusione  del  socio  era scaturita da un duplice addebito: dal fatto che questi, nell'informare la banca creditrice della propria intenzione di revocare la fideiussione prestata per i debiti sociali, aveva espresso dubbi e riserve sulla solidità patrimoniale della  cooperativa  e sulla correttezza dei suoi bilanci; dalla circostanza che lo stesso aveva costituito un'altra  società  operante nel medesimo settore ed avente una denominazione simile a quella della  cooperativa  di cui egli faceva parte (Cass. I, n. 19414/2004. In senso conforme, Trib. Palermo, Sez. spec. impresa, 4 ottobre 2021, n. 3671)). Sul potere valutativo del giudice in ordine alla riconducibilità dei comportamenti del socio escluso alla clausola statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione, v. anche C.a. Firenze, 28 settembre 2021, n. 1825. La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente chiarito che non possono trascurarsi i principî di buona fede, correttezza e divieto di abuso del diritto, tutti derivanti da quello più generale di solidarietà economica e sociale di cui all'art. 2 Cost., che si sono tradotti, a proposito di società cooperative, nell'affermazione secondo cui la deliberazione di esclusione del socio per morosità, nonostante la richiesta, da parte di quest'ultimo, di chiarimenti e la manifestata disponibilità a pagare la somma richiesta, una volta accertatane la motivazione, costituisce reazione sproporzionata e lesiva del criterio della buona fede oggettiva (Cass. I, n. 22097/2013).

Anche la giurisprudenza di merito ha chiarito la portata del potere valutativo del giudice in ordine all'accertamento delle ragioni fondanti la delibera di esclusione del socio, precisando che, ove l'atto costitutivo dell'ente contenga formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite di volta in volta di contenuto in relazione a ciascun singolo caso – si dovrà valutare se la condotta contestata al socio sia stata talmente grave da provocarne l'espulsione dalla compagine sociale, dovendo al riguardo il giudice operare una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del comportamento imputato al socio e la radicalità del provvedimento espulsivo. L'ambito di valutazione del giudice è pertanto inversamente proporzionato all'analiticità dei fatti statutariamente rilevanti a livello disciplinare e delle connesse sanzioni: più la disciplina interna è analitica e meno penetrante è la valutazione del giudice. In tali giudizi, il tribunale è tenuto a verificare, oltre al rispetto della procedura prevista dalle disposizioni statutarie interne ovvero dalla legge, l'effettiva sussistenza della causa fondante la misura sanzionatoria, ossia la sussistenza degli inadempimenti o degli illeciti imputati dall'ente al socio al momento dell'assunzione della deliberazione; si tratta quindi di un giudizio in cui la valutazione deve essere fatta sulla base della contestazione mossa e dei dati conoscitivi esistenti al momento della deliberazione stessa (Trib. Roma, sez. Impr., 26 gennaio 2018, n. 1889).

Ritenuto che lo scioglimento e la messa in liquidazione della cooperativa non impediscono l'esclusione del socio, (Trib. Salerno, 4 luglio 2006), la giurisprudenza ha affermato che, in ogni caso, l'inadempimento del socio ai propri obblighi deve essere particolarmente grave avuto riguardo al mancato o più difficoltoso perseguimento dell'oggetto sociale della cooperativa (Trib. Torino, 7 marzo 2008), oggetto sociale che deve essere valutato   secondo il principio dell'interpretazione complessiva delle clausole del contratto, posto dall'art. 1363 c.c. (Cass. I, n. 14901/2009). Costituisce grave inadempimento, idoneo a giustificare l'esclusione del socio, la sua impossibilità alla partecipazione allo scambio mutualistico (Trib. Como, 20 aprile 2004). Invece, secondo il Trib. Milano, 31 marzo 2016, è generica e perciò illegittima la clausola statutaria che prevede l'esclusione del socio che non sia più in grado diconcorrere al raggiungimento degli scopi sociali.

Secondo la giurisprudenza di merito , la clausola statutaria che prevede l'esclusione del socio dalla società cooperativa se questo svolga, o tenti di svolgere, attività in concorrenza con la società stessa, deve ritenersi ammissibile, in quanto riconducibile ad una delle clausole legali di esclusione previste dall'art. 2533. (Trib. Bologna, 18 dicembre 2019). Si è anche affermato che è legittima la delibera di  esclusione  del socio che sia fondata sul mancato versamento da parte di questo di una specifica somma prevista per un servizio offerto allo stesso dalla  cooperativa , anche nel caso in cui questi non ne abbia usufruito, senza, però, aver previamente rinunciato al servizio nei termini previsti dalle norme di regolamento della  cooperativa . È proprio nella mancata comunicazione di rinuncia che trova fondamento l'obbligo di pagamento e dalla cui omissione deriva la violazione del regolamento della  cooperativa  che ne giustifica l' esclusione (Trib. Napoli, sez. Impr., 2 dicembre 2021, n. 9747) .

Infine, la Corte di cassazione non ha ritenuto nulla per impossibilità o illiceità dell'oggetto , in una società cooperativa edilizia, la deliberazione di  esclusione  del  socio , che abbia solo conseguito la consegna dell'alloggio o abbia integralmente pagato i costi di costruzione a suo carico, in quanto il trasferimento della proprietà si realizza solamente con la stipulazione del contratto di mutuo individuale e non in forza di meri atti materiali (Cass. I, n. 4386/2014).

Procedimento per l'esclusione

Secondo il disposto del secondo comma della norma in esame, l’esclusione deve essere deliberata dagli amministratori o, se l’atto costitutivo lo prevede, dall’assemblea (CAMPOBASSO, 637), Contro la deliberazione di esclusione, il socio può proporre opposizione al tribunale nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, come stabilito  dal terzo comma dell’articolo in commento, ovvero, se previsto il ricorso al collegio dei probiviri, entro sessanta giorni dalla decisione di questi ultimi.  Si tratta di un’azione speciale e diversa rispetto a quella di impugnazione delle delibere societarie invalide ex artt. 2377 e 2379 (VELLA-GENCO-MORARA, 94). Nel giudizio di opposizione è la società, formalmente convenuta, a dover provare i fatti posti a fondamento della esclusione impugnata e le motivazioni devono essere esposte anche nella comunicazione, in modo che il socio possa valutare l’opportunità dell’opposizione stessa. Resta in capo all’escluso l’onere di provare il danno di cui eventualmente chieda il ristoro (STAGNO D’ALCONTRES-DE LUCA 905-906). Il sindacato del giudice è di legittimità e non di merito, nel senso che il tribunale non può valutare l’opportunità della decisione, ma deve limitarsi all’accertamento della legittimità della esclusione. Si tratta però di una valutazione di legittimità sostanziale, non potendo il giudice limitarsi ad una verifica formale e dovendo invece accertare il fatto contestato, la sua corrispondenza ad una causa di esclusione, legale o statutaria, e la legittimità della relativa clausola dello statuto (VELLA-GENCO-MORARA, ivi).

Secondo la Corte di cassazione, il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 2533 per proporre opposizione  avverso la delibera di esclusione del socio di società cooperativa decorre dalla comunicazione della stessa, restando irrilevante la conoscenza del provvedimento aliunde acquisita; la prova dell'avvenuta comunicazione, da intendersi come partecipazione al socio non soltanto dei contenuti della delibera, ma anche delle sue motivazioni onde assicuragli il pieno esercizio del diritto di difesa nel termine breve assegnato, deve essere fornita in modo rigoroso, in ragione della gravità degli effetti derivanti al decorso del termine, senza che sia sufficiente la mera circostanza della proposizione di un'impugnativa stragiudiziale, che prova una semplice conoscenza di fatto dell'avvenuta esclusione (Cass. lav., n. 23353/2016). Tuttavia, la giurisprudenza di merito ha ritenuto valida una clausola dello statuto che preveda espressamente la decorrenza degli effetti dell'esclusione del socio fin dall'annotazione nel libro dei soci e non già dalla comunicazione della deliberazione al socio escluso (Trib. Genova I, 28 aprile 2017; Trib. Salerno, 7 aprile 2008).

Il giudice di legittimità ha inoltre ritenuto che la comunicazione al socio della delibera di esclusione adottata ai sensi dell'art. 2533 svolga la funzione d'informarlo non tanto di ciò di cui si è discusso nel corso del procedimento, bensì delle ragioni in concreto ritenute giustificative dell'esclusione dall'organo deliberante, dal momento che su di esse egli dovrà articolare le proprie difese; la sua incompletezza non comporta pertanto l'invalidità dell'atto, ma incide esclusivamente sulla decorrenza del termine per l'opposizione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la conoscenza da parte del socio degli addebiti contestatigli nel corso del procedimento, in quanto gli stessi possono anche non coincidere con quelli posti a base dell'esclusione come deliberata dal competente organo societario. Infatti, ben può accadere che gli iniziali addebiti siano ridimensionati o riconfigurati nella decisione finale, ovvero che quest'ultima, in caso di pluralità di addebiti, si basi soltanto su alcuni di essi (Cass. I, n. 11558/2008). Più in particolare, ma secondo un conforme orientamento,  si è successivamente affermato che in una società cooperativa di produzione e lavoro, l'onere di comunicazione della delibera di esclusione del socio, in un contenuto minimo necessario a specificarne le ragioni, è imposto, come per il licenziamento, a pena d'inefficacia, sia dalla disciplina generale di cui all'art. 2533, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, sia, per la gravità degli effetti che ne discendono, dalla disciplina speciale di cui alla l. 3 aprile 2001, n. 142, che la rende idonea ad estinguere contemporaneamente il rapporto associativo e quello lavorativo, sicché, in presenza di un'esclusione non impugnata, non potrebbe essere dichiarata l'illegittimità del licenziamento né ripristinato il solo rapporto di lavoro. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto equipollente alla comunicazione la mera restituzione della quota sociale in busta paga) (Cass. lav., n. 6373/2016).

Si è però anche affermato che la comunicazione della deliberazione di esclusione del socio, ai fini del decorso del termine per proporre opposizione, non richiede l'adozione di specifiche formalità o di particolari mezzi di trasmissione né la rigorosa enunciazione degli addebiti, dovendosi considerare sufficiente qualsiasi fatto o atto idoneo a rendere edotto il socio delle ragioni e del contenuto del provvedimento per porlo nelle condizioni di articolare le proprie difese, conseguendosi in tal modo le finalità previste dalla legge. Tale principio si applica anche alla comunicazione della preventiva contestazione dei fatti legittimanti l'esclusione, nel caso in cui lo statuto di una società cooperativa la preveda (Cass. I, n. 23628/2015).

La  prevalente giurisprudenza di legittimità ritiene che in caso di controversie riguardanti l’esclusione e il conseguente licenziamento di un socio lavoratore di una cooperativa si configuri un’ipotesi di connessione di cause, che determina la competenza del giudice del lavoro, sulla base del principio della forza di attrazione del rito del lavoro di cui all’art. 40, comma 3, c.p.c., che costituisce regola di carattere generale e preminente per gli interessi di rilevanza costituzionale che la norma processuale è preordinata a garantire (Cass. lav., ord., n. 12460/2017; Cass. lav., ord., n. 15798/2016; Cass. lav., ord. n. 19975/2015; Cass. lav., ord., 24917/2014. Contra, Cass. lav., ord., n. 24692/2010).

Secondo la giurisprudenza di merito, nelle società cooperative la comunicazione al socio della deliberazione di esclusione, ai sensi dell’art. 2527 (ora 2533). non richiede la trasmissione in forma autentica ed integrale del provvedimento, né l’adozione di particolari formalità, essendo sufficiente che essa risulti idonea a rendere edotto il socio delle ragioni della sanzione adottata. Pertanto, anche l’eventuale incompletezza o la mancata specificità della comunicazione non incide sulla validità e sull’operatività del provvedimento (potendo spiegare rilievo solo al diverso fine di consentire un’opposizione tardiva o non specifica), divenendo, comunque, irrilevante quando l’escluso dimostri di essere pienamente consapevole delle vicende addebitategli, per avere su di esse fondato la propria difesa in sede di opposizione (Trib. Bologna, 25 giugno 2020).

La S. C. ha anche stabilito che, qualora lo statuto preveda la facoltà del socio di ricorrere ad un collegio di probiviri, nell'ambito di un procedimento non arbitrale ma endosocietario, finalizzato non a decidere la controversia ma a prevenirla, l'esercizio di tale facoltà comporta che il procedimento di esclusione si perfezioni solo con la determinazione del collegio dei probiviri, della cui comunicazione al socio è onerata la società anche quando il collegio non abbia adottato nel termine perentorio assegnato ai probiviri alcun provvedimento. Ne consegue che solo dalla data della comunicazione riprende a decorrere il termine di cui all'art. 2533, comma 3, per l'impugnazione della delibera di esclusione da parte del socio davanti l'autorità giudiziaria, senza che tale impugnazione gli sia tuttavia preclusa nelle more del predetto procedimento endosocietario (Cass. S.U., n. 868/1999; Cass I, ord. n. 19304/2018; Cass. I, n. 8429/2012; Cass. I, n. 7962/2009).  

Il socio escluso dalla cooperativa può far valere i vizi della relativa deliberazione esclusivamente mediante l'opposizione ai sensi dell’art. 2533, penultimo comma, essendo tale procedimento del tutto distinto dai normali mezzi d'impugnazione delle deliberazioni assembleari, previsti dagli artt. 2377 ss. c.c. (Cass. I, n. 25945/2011). Con specifico riferimento ad una società cooperativedilizia, si è affermato che il socio che sia stato escluso può fare valere i vizi della relativa delibera soltanto mediante l'opposizione; ne consegue che, nel giudizio avente ad oggetto la domanda di rilascio dell'immobile della società, abusivamente occupato dal detto socio, il giudice non può sindacare la legittimità del menzionato provvedimento di esclusione (Cass. III, ord., n. 10804/2020). Il tribunale investito dell’opposizione può sospendere l’esecuzione della delibera di esclusione, qualora ne ricorrano i presupposti (Trib. Salerno, 7 aprile 2008). Nel giudizio di opposizione contro la delibera di esclusione del socio, la società cooperativa - che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore - ha l'onere di provare i fatti posti a fondamento dell'atto impugnato, a partire dalla comunicazione al socio escluso degli addebiti mossi nei suoi confronti (Cass. I, n. 4402/2017; Cass. I, n. 22097/2013), senza poter invocare in giudizio, a sostegno della legittimità medesima, fatti distinti e diversi, ancorché potenzialmente idonei a giustificare l’interruzione del rapporto societario(Trib. Napoli. 2 dicembre 2021; Trib. Milano 3 febbraio 2020;).  Grava invece  sul socio, il quale agisca per il risarcimento del danno alla reputazione personale, con riflessi patrimoniali, sofferto a causa dell’illegittima esclusione, l’onere di provare, sia pure a mezzo di presunzioni, l’esistenza del danno, non essendo configurabile un pregiudizio in re ipsa, tanto più che l’esclusione, sia pure illegittima, può dipendere, in astratto, da un ventaglio di cause, anche di oggettiva incompatibilità con la permanenza del rapporto sociale; né può farsi ricorso alla liquidazione equitativa, inidonea a surrogare l’assolvimento dell’onere della prova in ordine all’esistenza del concreto pregiudizio (Cass. I, n. 20143/2009).

Si ritiene che, ai fini della validità della delibera di esclusione, la preventiva contestazione dell’addebito, non prevista dalla legge, sia necessaria solo se previsto dallo statuto sociale (Cass. I, 23628/2015; Trib. Bari, 15 luglio 2009).

A tale riguardo, si è affermato che la clausola statutaria di una società cooperativa a r.l., in base a cui l’esclusione del socio ex art. 2533 deve esser deliberata dagli amministratori, previa intimazione al socio stesso di rimuoverne (ove possibile) la causa, integra una previsione a tutela del socio volta a consentirgli di assumere comportamenti tesi a evitare la decisione di esclusione e a fare affidamento sul fatto che, fino alla predetta intimazione, l’esclusione non possa essere deliberata e comunicata. Costituisce, pertanto, vizio procedurale tale da causare l’annullamento dell’esclusione l’assenza tanto della previa intimazione al socio quanto della formale delibera (Trib. Milano, 3 febbraio 2020).

Secondo Trib. Bologna, 3 giugno 2019, l’organo amministrativo può legittimamente deliberare l’esclusione del socio anche dopo essere decaduto per scadenza del termine, stante quanto disposto dall’art. 2385, co. 2, c.c., ai sensi del quale la cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito. L’istituto della prorogatio, contemplato per le s.p.a. dall’art. 2385, comma 2, c.c., è applicabile anche alle s.r.l., in ragione dell’esigenza del tutto analoga di salvaguardare la continuità dell’organo di amministrazione, che giustifica l’applicazione analogica della disciplina sulla proroga. [Nella specie, il Tribunale ha considerato legittima la deliberazione di esclusione del socio assunta dal consiglio di amministrazione in regime di prorogatio di una società cooperativa il cui atto costitutivo prevedeva, ai sensi dell’art. 2519, co. 2, la sottoposizione della stessa alle norme in tema di s.r.l.].

Le conseguenze dell’esclusione del socio

In forza del disposto del quarto comma dell'articolo in commento, se l'atto costitutivo non prevede diversamente, l'esclusione, a differenza che per il recesso, è immediatamente efficace anche sui rapporti mutualistici pendenti, determinandone lo scioglimento (CAMPOBASSO, 637). La differenza dei tempi di risoluzione del rapporto mutualistico tra il caso di recesso e il caso di esclusione si riconnette all'interesse che la cooperativa può avere, nella prima ipotesi, alla prosecuzione del rapporto mutualistico, interesse che si presume non persista qualora la cessazione del rapporto sociale avvenga su iniziativa della cooperativa (VELLA-GENCO-MORARA, 94). L'esclusione diviene efficace anche in caso di opposizione tempestiva, salvo che il tribunale non sospenda l'esecuzione; ne consegue che di regola al socio escluso spetteranno i soli diritti sociali funzionali alla conservazione del valore della quota di liquidazione, fino alla liquidazione stessa, a meno che non abbia chiesto e ottenuto un provvedimento sospensivo dal tribunale (STAGNO D'ALCONTRES-DE LUCA, 906).

La delibera di esclusione del socio da una cooperativa di produzione e lavoro è sufficiente a determinare l'automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento. Nelle cooperative edilizie, fino all'assegnazione definitiva dell'immobile, il socio, a seguito della delibera di esclusione, perde anche la prenotazione dell'immobile e, se ha pagato un prezzo a titolo di prenotazione, ha diritto alla restituzione da parte della cooperativa (FARENGA, 513-514).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno negato la possibilità di compensare il credito del socio fallito, avente ad oggetto la liquidazione della sua quota a seguito dell'esclusione dalla cooperativa, con il credito della cooperativa stessa (Cass. S.U . , n. 22659/2006). Le S.U.  hanno ritenuto, infatti, che la costituzione del rapporto societario e l'originario conferimento, pur rappresentando il presupposto giuridico del diritto del socio alla quota di liquidazione, non rilevano come fatto direttamente genetico di un contestuale credito restitutorio del conferente, configurandosi la posizione di quest'ultimo come mera aspettativa o diritto in attesa di espansione, destinato a divenire attuale soltanto nel momento in cui si addivenga alla liquidazione (del patrimonio della società o della singola quota del socio, al verificarsi dei presupposti dello scioglimento del rapporto societario soltanto nei suoi confronti), ed alla condizione che a tale momento dal bilancio (finale o di esercizio) risulti una consistenza attiva sufficiente a giustificare l'attribuzione pro quota al socio stesso di valori proporzionali alla sua partecipazione. Pertanto, il credito relativo alla quota di liquidazione vantato dal socio di una cooperativa escluso dalla società per effetto della dichiarazione di fallimento (ovvero, ai sensi dell'art. 2533, n. 5, c.c., a seguito della delibera di esclusione che è in facoltà della società adottare in caso di fallimento del socio) nasce o comunque diviene certo esclusivamente nel momento in cui interviene quella dichiarazione (o quella delibera), con la conseguenza che, non potendosi considerare detto credito anteriore al fallimento, viene a mancare il presupposto necessario, ai sensi dell'art. 56, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (l. fall.), per la compensabilità dello stesso con i contrapposti crediti vantati dalla società nei confronti del socio. Non è dunque compensabile il credito avente ad oggetto la liquidazione della quota del socio fallito di una società cooperativa con i contrapposti pregressi crediti della società nei confronti del fallito medesimo, ai sensi dell'art. 56 l. fall. (Conf. Cass I, n. 18599/2008).

La giurisprudenza ha inoltre approfondito le conseguenze della esclusione del socio nelle cooperative di produzione e lavoro e in quelle edilizie.

Con riferimento alle prime si è stabilito che l'esclusione del socio comporta l'automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell'art. 2533, che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall'atto costitutivo, dall'assemblea (Cass. L, n. 9916/2016, in motivazione; Cass. L., n. 2802/2015; Cass. L., n. 14741/2011). Da tale principio si è anche tratta la conseguenza che, nel caso di accertata illegittimità del provvedimento espulsivo del socio, che si fondi esclusivamente su ragioni disciplinari, trova applicazione, in forza del rinvio operato dall'art. 2 della l.  3 aprile 2001, n. 142, l'art. 18 della l. 20 maggio 1970, n. 300, con ripristino sia del rapporto associativo che di quello lavorativo (Cass. L., n.  1259/2015). Inoltre, si è ritenuto che ove per le medesime ragioni afferenti al rapporto lavorativo siano stati contestualmente emanati la delibera di esclusione ed il licenziamento, l'omessa impugnativa della delibera di esclusione non preclude la tutela risarcitoria contemplata dall'art. 8 della l. n. 604 del 1966, mentre impedisce quella restitutoria della qualità di lavoratore (Cass. S.U., n. 27436/2017; Cass.  L., n. 8386/2019; Cass. L., n. 8224/2019; Cass. L., n. 21567/2018). Sempre con riferimento alla società cooperativa di produzione e lavoro, si è altresì affermato che, la l. n. 142 del 2001, art. 2, esclude l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori nell'ipotesi in cui, con il rapporto di lavoro, venga a cessare anche quello associativo, sicché l'accertata illegittimità della delibera di esclusione del socio, con conseguente ripristino del rapporto associativo, determina l'applicabilità della tutela di cui all'art. 18, nel testo vigente all'epoca del licenziamento ( Cass. lav., n. 707/2020. Conf. Trib. Udine, sez. lav., 27 novembre 2020, n. 161) . Con altra pronuncia la Corte di legittimità ha affermato che, in caso di delibera di esclusione di un   socio da una  cooperativa di produzione e lavoro, qualora non sia adempiuto l'onere di comunicazione, in un contenuto minimo necessario a specificarne le ragioni – comunicazione insuscettibile di essere sostituita da altre forme di conoscenza comunque acquisita, quale la produzione della delibera in giudizio - deve trovare applicazione la tutela reintegratoria di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Cass. lav., n. 24795/2016).

Secondo la giurisprudenza di merito, la delibera di esclusione del socio lavoratore dalla cooperativa di produzione e lavoro costituisce presupposto costitutivo della tutela reintegratoria di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. sicché, ove il socio lavoratore impugni il licenziamento intimatogli dalla cooperativa, detta tutela resta preclusa qualora non sia impugnata anche la delibera di  esclusione  fondata sulle medesime ragioni del licenziamento. Dunque la tutela restitutoria e, quindi, l'applicabilità dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori. è preclusa solo dove il  socio  lavoratore abbia omesso di impugnare la delibera di  esclusione  da  socio  della  cooperativa e comunque, la perdita della qualità di socio, ed essa sola, non comporta automaticamente ed inevitabilmente l'estinzione del rapporto di lavoro (C.A. Napoli, Sez. lav., 8 ottobre 2019, n. 5013). Si è anche affermato che la delibera illegittima di esclusione del socio lavoratore comporta la reintegra del socio nel posto di lavoro ed il pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, dalla cessazione del rapporto sino alla effettiva reintegra, oltre il risarcimento del danno per illegittimo licenziamento (Trib. Catania, 14 dicembre 2019, n. 4842). Più recentemente, sia la giurisprudenza di legittimità, che quella di merito, hanno affermato che l'estinzione del rapporto di lavoro del socio di società cooperativa può derivare dall'adozione della delibera di  esclusione, di cui costituisce conseguenza necessitata "ex lege", o dall'adozione di un atto formale di licenziamento; soltanto in quest'ultima ipotesi, se ricorrono i relativi presupposti, si potranno esplicare le tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro: a) soltanto risarcimento, a norma dell'art. 8 L. 604/1966, nell'ipotesi di perdita della qualità di socio per effetto di delibera di espulsione non impugnata o di rigetto dell'opposizione avverso la medesima, proposta a norma dell'art. 2533; b) tutela obbligatoria o reale, nel caso di adozione di un provvedimento di licenziamento in mancanza di delibera di espulsione (Cass. lav., n. 35341/2021; Trib. Firenze Sez. lav., 28/02/2023, n.169).

Con riferimento alle società cooperative edilizie, si è ritenuto che,  dovendo distinguersi tra il rapporto sociale, di carattere associativo, e quello di scambio, di natura sinallagmatica, rapporti che, pur collegati, hanno causa giuridica autonoma, il pagamento di una somma, eseguito dal socio  a titolo di prenotazione dell'immobile, deve essere ascritto al rapporto di scambio e perciò al pagamento del prezzo d'acquisto, alla cui restituzione la cooperativa è, quindi, tenuta, in caso di scioglimento dal rapporto sociale per esclusione o per recesso, anche in presenza di un disavanzo di bilancio (Cass. I, n. 13641/2013; Cass. I, n. 9393/2004; Trib. Roma, 6 settembre 2018, n. 16925)

Si è anche stabilito che la delibera di espulsione di un socio di una  cooperativa  edilizia, intervenuta dopo il provvedimento di assegnazione definitiva dell'alloggio, ma prima dell'erogazione del mutuo individuale, il quale avrebbe consentito al socio l'acquisizione della proprietà dell'alloggio, determina il difetto di legittimazione passiva del socio medesimo nell'azione diretta contro la cooperativa e l'impresa realizzatrice degli alloggi per la riparazione dei danni e delle imperfezioni esistenti (Cass. II, n.  304/2016).

Si è poi affermato che il socio di una cooperativa edilizia, escluso  per mancata titolarità dei requisiti di legge, non avendo stipulato l'atto d'acquisto dell'alloggio e non avendone ricevuto l'assegnazione, non deve restituire il mutuo contratto per l'edificazione dell'immobile a lui destinato, dovendosi identificare i "soggetti interessati" menzionati al riguardo dall'art. 23, l. 5 agosto 1978, n. 457 , nella stessa cooperativa, se il contributo sul programma costruttivo viene annullato prima dell'assegnazione degli alloggi, o i privati, se sono assegnatari, o se hanno realizzato loro gli alloggi (Cass. I, n. 7331/2023).

La giurisprudenza di merito ha chiarito che in una società cooperativa edilizia il socio escluso per grave inadempienza nel pagamento dei canoni di locazione dell'unità abitativa occupata decade dal godimento dell'alloggio sociale, in virtù della conseguente risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti tra la società e il socio stesso. Questi, infatti, divenendo, in quanto ex socio a causa della sua esclusione dalla società, detentore dell'alloggio senza valido titolo, ha il conseguente obbligo di rilascio e restituzione alla cooperativa di tale unità immobiliare. Oltre ai canoni di locazione scaduti e non versati fino all'adozione della delibera consiliare, il socio escluso è tenuto a pagare l'indennità di occupazione sine titulo maturata dalla data della risoluzione del rapporto inerente al godimento dell'alloggio sino al suo effettivo rilascio, dovendo tale somma identificarsi nel canone contrattuale di assegnazione dell'alloggio sociale (Trib. Milano 2 luglio 2020). Infatti, l'indennità per occupazione sine titulo, nel caso di società cooperativa edilizia, è dovuta in applicazione analogica dell'art. 1591 c.c., espressione di un principio riferibile a tutti i tipi di contratto con i quali viene concessa l'utilizzazione del bene dietro corrispettivo (Trib. Torino, 19 novembre 2020).

Bibliografia

Bonfante, Trattato di diritto commerciale, Le società cooperative, V, Padova, 2014; Campobasso, Diritto commerciale, II, Diritto delle società, Milano, 2020; Ceccherini-Schirò, Società cooperative e mutue assicuratrici, seconda edizione, in Aa. Vv., La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2008; Delli Priscoli, L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, 2005; Farenga, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2022;; Presti-Rescigno, Corso di diritto commerciale, vol. II, Società, Bologna, 2021; Stagno D’Alcontres-De Luca, Le società, III, Torino, 2019; Vella-Genco-Morara, Diritto delle società cooperative, Bologna, 2018.

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