Decreto legislativo - 29/03/2004 - n. 99 art. 2 - Società agricole 1Società agricole 1
1. La ragione sociale o la denominazione sociale delle società che hanno quale oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile deve contenere l'indicazione di società agricola. Non costituiscono distrazione dall'esercizio esclusivo delle attivita' agricole la locazione, il comodato e l'affitto di fabbricati ad uso abitativo, nonche' di terreni e di fabbricati ad uso strumentale alle attivita' agricole di cui all' articolo 2135 del c.c. , sempreche' i ricavi derivanti dalla locazione o dall'affitto siano marginali rispetto a quelli derivanti dall'esercizio dell'attivita' agricola esercitata. Il requisito della marginalita' si considera soddisfatto qualora l'ammontare dei ricavi relativi alle locazioni e affitto dei beni non superi il 10 per cento dell'ammontare dei ricavi complessivi. Resta fermo l'assoggettamento di tali ricavi a tassazione in base alle regole del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 2. 2. Le società costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, che abbiano i requisiti di cui al presente articolo, devono inserire nella ragione sociale o nella denominazione sociale la indicazione di "società agricola" ed adeguare lo statuto, ove redatto. Le predette società sono esentate dal pagamento di tributi e diritti dovuti per l'aggiornamento della ragione sociale o denominazione sociale negli atti catastali e nei pubblici registri immobiliari e per ogni altro adempimento a tal fine necessario 3. 3. L'esercizio del diritto di prelazione o di riscatto di cui all'articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, e successive modificazioni, ed all'articolo 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, spetta anche alla società agricola di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 e seguenti del codice civile. Alla medesima società sono in ogni caso riconosciute, altresì, le agevolazioni previdenziali ed assistenziali stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto. 4. Alle società agricole di cui all'articolo 1, comma 3, qualificate imprenditori agricoli professionali, sono riconosciute le agevolazioni tributarie in materia di imposizione indiretta e creditizie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto. La perdita dei requisiti di cui all'articolo 1, comma 3, nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni ricevute in qualità di imprenditore agricolo professionale determina la decadenza dalle agevolazioni medesime 4. 4-bis. Le agevolazioni di cui al comma 4 sono riconosciute anche alle società agricole di persone con almeno un socio coltivatore diretto, alle società agricole di capitali con almeno un amministratore coltivatore diretto, nonché alle società cooperative con almeno un amministratore socio coltivatore diretto, iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale. [ In ogni caso le agevolazioni, se richieste dalla società, non possono essere riconosciute anche al coltivatore diretto socio o amministratore.] La perdita dei requisiti di cui al presente comma nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni determina la decadenza dalle agevolazioni medesime 56. [1] A norma dell'articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 le società di persone, le società a responsabilità limitata e le società cooperative, che rivestono la qualifica di società agricola ai sensi del presente articolo possono optare per l’imposizione dei redditi ai sensi dell’ articolo 32 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. [2] Comma modificato dall'articolo 36, comma 8, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221 . [3] Comma modificato dall'articolo 2 del D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 101. [4] Comma sostituito dall'articolo 2 del D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 101. [5] Comma aggiunto dall'articolo 2 del D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 101, e successivamente modificato dall'articolo 1, comma 1096, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha soppresso il secondo periodo del presente comma. [6] Vedi l'articolo 11, comma 1.1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, come modificato dall'articolo 5, comma 13, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116. InquadramentoStoricamente, la mancanza di una disciplina della società esercente attività di impresa agricola (anteriormente alle riforme del 2001 e del 2004) si giustifica sulla scorta di tre considerazioni: 1) lo spirito individualistico che contraddistingue gli imprenditori agricoli; 2) l'inadeguatezza delle forme societarie previste nel codice civile a rispondere ai bisogni dell'agricoltura, 3) la preoccupazione di smarrire nella forma societaria i vantaggi riconosciuti agli imprenditori agricoli individuali (Rook Basile, 872; Masi, 415). Alla base del cambio di rotta rappresentato dall'introduzione della società agricola con il d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, si sono individuate molteplici finalità, quali l'ammodernamento delle strutture produttive agricole, lo sviluppo della competitività fra le imprese, nonché il potenziamento della capacità di queste ultime di soddisfare la domanda dei mercati assicurando la qualità dei prodotti (Carmignani, 2004, 417). Date queste premesse, la peculiarità dell'intervento normativo di cui al d.lgs. n. 99/2004 starebbe in ciò, che – al fine di perseguire gli obiettivi sopra richiamati – il legislatore non ha introdotto un nuovo tipo di società ad hoc (Russo, 600; ma v. Rook Basile, 876, secondo cui il legislatore avrebbe introdotto un tipo societario, determinato non dalla disciplina legale del soggetto, ma dell'oggetto, con la conseguenza che, se l'attività svolta dalla società non si espleta nella coltivazione del fondo, silvicoltura o allevamento degli animali, ma svolge anche attività commerciale, la società agricola, nonostante la denominazione, non potrebbe essere considerata tale), ma ha viceversa disciplinato «le società» in agricoltura, lasciando inalterati gli schemi societari codicistici ed agendo sui profili di qualificazione (in termini di imprenditore agricolo professionale o coltivatore diretto: v. infra) ai fini dell'applicazione delle speciali discipline agricole, soprattutto di carattere promozionale (Carmignani, 2009). In sostanza, con l'indicazione nella ragione o nella denominazione sociale, della qualifica di «società agricola», e con lo svolgimento, in via esclusiva, dell'attività agricola contemplata dall'art. 2135 c.c., ogni tipo di società, di capitali o di persone, è reso dalla legge – superando l'impostazione soggettiva propria del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, che si basava, viceversa, sulla qualificazione dei componenti della compagine sociale (Rook Basile, 877) – destinatario delle agevolazioni tributarie e creditizie stabilite a favore degli imprenditori agricoli individuali professionalmente caratterizzati. Si tratta, tuttavia, di un'impostazione che potrebbe definirsi tendenziale, posto che alcune specifiche discipline e qualificazioni presuppongono una particolare connotazione della compagine sociale (v. infra), contribuendo a individuare una serie di «sottotipi» di società agricole (Scoccini, 447). Come evidenziato in giurisprudenza (T.A.R. Veneto, 30 maggio 2006, n. 1556, in Dir. giur. agr. alim. amb., 2006, 687) il mero dato nominalistico non contribuisce necessariamente a qualificare la società agricola, la quale può essere ritenuta imprenditore agricolo professionale, ai fini del riconoscimento delle relative agevolazioni, anche sulla base del solo dato dell'oggetto sociale esclusivamente agrario e della ricorrenza dei presupposti previsti dall'art. 1, comma 3, d.lgs. n. 99/2004 (cfr. infra). Tale avviso è condiviso anche dalla dottrina (Russo, 602). Allo stesso modo, occorre segnalare come il legislatore, con la disciplina che si esamina, non ha introdotto un nuovo tipo contrattuale agricolo e ha anzi definitivamente contribuito a superare – posto che la società agricola, se in forma di s.p.a. o di s.r.l., può assumere la veste di società unipersonale, oppure essere partecipata da soggetti privi di qualsivoglia qualificazione agricola – l'orientamento pure espresso in passato da una parte dei commentatori, secondo cui la società, in agricoltura, costituirebbe un'ipotesi di contratto agrario plurilaterale, deputato all'esercizio in comune dell'attività agricola (Scoccini, 446). Quanto appena detto, comunque, non esclude, secondo alcuni, un problema di raccordo con il principio del numerus clausus dei contratti in agricoltura (principio in base al quale, in materia agraria, non è possibile ricorrere a contratti atipici, diversi, cioè, da quelli disciplinati dalla l. n. 203/1982, pena la nullità delle pattuizioni con sostituzione automatica delle clausole ex art. 1339 c.c., e salvo che le parti siano assistite da organizzazioni professionali), che ha indotto parte della dottrina (Corsaro, 452) ad affermare che non sia possibile stipulare un contratto di società avente ad oggetto la concessione di fondi rustici dalla società ai soci (oggetto di altri contratti tipici di cui alla l. n. 203/1982), a meno che non si ricorra all'autonomia privata assistita (ma v. in senso contrario Rook Basile, 878, la quale rimarca come, nei casi appena esaminati, l'interesse del concedente non è quello alla riscossione del canone, bensì quello alla realizzazione di una migliore organizzazione e gestione dell'impresa, per condurre «a mani divise» i terreni oggetto dell'azienda sociale). Il problema dell'affitto può venire in rilievo secondo un'altra prospettiva, ponendo l'interprete di fronte al dubbio della compatibilità del contratto in questione con lo svolgimento di attività agricola (nei casi in cui la detta attività trasformi la società da agricola in commerciale) ovvero di impresa tout court: a tale proposito, in giurisprudenza si è affermato che l'affitto dell'azienda agricola effettuato dalla società «formalmente» agricola può trasformare la società in una comunione ex art. 2248 c.c. (App. Venezia, 27 ottobre 2011, in Fall., 2012, 1462, con nota di Carmignani, la quale ha revocato la dichiarazione di fallimento di una società agricola che aveva ceduto in affitto l'azienda, non ravvisando nella sua attività un'impresa commerciale). A fini fiscali – ma sembra che se ne possano trarre implicazioni in punto di qualificazione commerciale o agricola dell'attività consistente nell'affitto di azienda, quando questa non trasformi la società ex art. 2247 c.c. in una comunione ex art. 2248 c.c. – il legislatore del 2012 (art. 36, comma 8, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221) ha aggiunto il secondo periodo del primo comma dell'art. 2 in esame, a mente del quale «non costituiscono distrazione dall'esercizio esclusivo delle attività agricole la locazione, il comodato e l'affitto di fabbricati ad uso abitativo, nonché di terreni e di fabbricati ad uso strumentale alle attività agricole di cui all'articolo 2135 del c.c., sempreché i ricavi derivanti dalla locazione o dall'affitto siano marginali rispetto a quelli derivanti dall'esercizio dell'attività agricola esercitata. Il requisito della marginalità si considera soddisfatto qualora l'ammontare dei ricavi relativi alle locazioni e affitto dei beni non superi il 10 per cento dell'ammontare dei ricavi complessivi. Resta fermo l'assoggettamento di tali ricavi a tassazione in base alle regole del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917». Quanto appena esposto consente di affrontare il problema, spesso dibattuto in giurisprudenza, relativo al rapporto fra la nozione di società agricola e la soggezione a fallimento. A tale proposito, la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni ribadito (Cass. I, n. 17343/2017e, più di recente,Cass. I, 9308/2023) che, ai fini dell'esenzione dal fallimento (ovvero, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 14/2019, dalla liquidazione giudiziale) di una impresa agricola, è irrilevante l'organizzazione della stessa in forma societaria, come pure le previsioni statutarie in ordine al suo oggetto sociale, poiché, ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 99/2004, anche le società di capitali possono esercitare l'impresa agricola, sicché, per essere dichiarate fallite, è sempre necessaria un'indagine volta a provare la natura commerciale dell'attività in concreto svolta. Si rammenta che nel Codice della crisi e dell'insolvenza (d.lgs. n. 14/2019), pur permanendo l'esenzione dell'imprenditore agricolo dalla liquidazione giudiziale, è previsto, allorché il predetto imprenditore si trovi in una situazione di "squilibrio patrimoniale o economico-finanziario" che ne renda probabile l'insolvenza o la mera crisi, un ventaglio di opzioni che arricchiscono le possibilità di gestione proficua di quelle situazioni (per una compiuta disamina, cfr. Minutoli, 960 ss.). L'orientamento appena richiamato consente di svolgere due considerazioni. La prima è che, con il d.lgs. n. 99/2004, sarebbe venuta meno la presunzione di «commercialità» dell'attività agricola esercitata mediante lo schema della società di capitali (opinione autorevolmente espressa in passato da Oppo, 153) e la seconda è che non è possibile arrestarsi al mero dato qualificatorio (relativo alla ragione o alla denominazione sociale) o formale (relativo all'oggetto sociale), dovendo viceversa essere accertato – ai fini dell'esenzione dal fallimento – lo svolgimento in concreto dell'attività agricola (Maffettoni). L'oggetto socialeL'oggetto della società agricola può essere esclusivamente quello previsto dall'art. 2135 c.c., che distingue le attività principali (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali) da quelle connesse, così come definite dal terzo comma della medesima disposizione, il quale, a sua volta, si riferisce alle attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge (Germanò, 277). Già all'indomani dell'entrata in vigore della legge del 2004, ci si pose il problema (Rook Basile, 879) di stabilire se costituisse o meno una disparità di trattamento la diversa disciplina prevista dal comma 2 dell'art. 1 del d.lgs. n. 228/2001, che considera imprenditori professionali le cooperative di imprenditori agricoli e i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento dell'attività connessa di cui all'art. 2135 c.c., prevalentemente prodotti dei soci, ovvero quando, al contrario, forniscono prevalentemente ai soci beni o servizi diretti alla cura o allo sviluppo del ciclo biologico, rispetto a quella viceversa prevista per le società agricole, che nulla disponeva sul punto, lasciando intendere come la prevalenza, rispetto alle attività connesse, dovesse riguardare esclusivamente frutti e attrezzature dell'attività principale esercitata dalla società (e non dai soci). Il problema – seppure a fini squisitamente fiscali – è stato specificamente affrontato dall'art. 1, comma 1094, l. 27 dicembre 2006, n. 296, a mente del quale si considerano imprenditori agricoli le società di persone e le società a responsabilità limitata, costituite da imprenditori agricoli, che esercitano esclusivamente le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli ceduti dai soci. La disposizione da ultimo richiamata, tuttavia, non ha mancato di destare perplessità fra gli interpreti, che hanno rilevato come, a differenza di quanto prevede il d.lgs. n. 99/2004, la l. n. 296/2007 ha legato alla scelta di un modello societario (società di persone o s.r.l.) piuttosto che un altro (restano infatti escluse le s.p.a.), e non all'attività concretamente svolta, l'inserimento «nell'area dell'agrarietà» (Carmignani, 2009) delle società considerate. La qualificazione professionale e i «sottotipi» di società agricola.Come si anticipava supra, l'attribuzione di specifici effetti a distinte categorie di società agricola, a seconda della composizione della loro compagine, ha indotto parte dei commentatori (taluni in senso altamente critico nei confronti di una tale «frammentazione» dei modelli: Russo, 602) a discorrere di «sottotipi», a loro volta corrispondenti a diverse qualificazioni. Il primo sarebbe quello della società agricola non ulteriormente qualificata la quale, con il d.lgs. n. 99/2004, non era destinataria di alcun trattamento privilegiato e che con la l. n. 296/2007, art. 1, comma 1093, è stata ammessa alla possibilità di optare per l'assoggettamento al regime fiscale privilegiato, legato alle rendite catastali anziché ai risultati di bilancio, già previsto per gli agricoltori persone fisiche e per le società semplici (Russo, 601; Rocchi-Scappini, 1828). Il secondo sarebbe quello della società-imprenditore agricolo professionale (art. 1, comma 3: si rammenta, per completezza, che l'imprenditore agricolo professionale – o I.A.P. – è il soggetto che, in possesso di conoscenze e competenze professionali, dedica alle attività agricole di cui all'art. 2135 c.c., direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro), ossia quella società di capitali o cooperativa che abbia almeno un amministratore con qualifica di imprenditore agricolo professionale, ovvero la società di persone che abbia almeno un socio con tale qualifica soggettiva. Assumendo tale qualifica, la società è ammessa ai relativi benefici, consistenti, in caso di iscrizione all'I.N.P.S., nell'imposta catastale all'1% per l'acquisto di terreni e nell'imposta di registro e ipotecaria in misura fissa, con onorari notarili ridotti alla metà, (oltre a un sistema agevolato relativo all'IMU, sul quale v. infra), mentre, in caso di non iscrizione, nell'imposta catastale di registrazione dell'8% sul valore dei terreni in acquisto. In ogni caso, per l'imprenditore agricolo professionale sono previsti l'esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione e, in caso di esproprio, il diritto a un'indennità aggiuntiva. Con riguardo a tale figura, si contrappone l'orientamento di chi ritiene che la qualificazione del socio o dell'amministratore sia un requisito solo «formale», dovendo essere la presenza di questi prevista solo in sede di atto costitutivo (Forti, 194) e di chi, viceversa, sostiene – più condivisibilmente, posto che la qualifica è funzionale all'attribuzione di benefici fiscali propri dell'imprenditore, che devono presupporre l'effettività, pena la disparità di trattamento con l'imprenditore agricolo professionale individuale – che l'imprenditore agricolo professionale deve prestare la sua attività all'interno della società che contribuisce a qualificare (recte, nell'azienda facente capo a detta società), agendo, con riguardo alle società di persone, come socio d'opera (Scoccini, 447). In materia di Imposta Municipale sugli immobili, ai fini del riconoscimento delle agevolazioni previste dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 9, consistenti nel considerare agricolo anche il terreno posseduto da una società agricola di persone qualora detta società possa essere considerata imprenditore agricolo professionale, è necessario che lo statuto preveda quale oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all'art. 2135 c.c., ed almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo ovvero abbia conoscenze e competenze professionali, ai sensi dell'art. 5 del regolamento 6 (CE) n. 1257 del 17 maggio 1999, e dedichi alle attività agricole di cui all'art. 2135 c.c. almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo, ricavando da dette attività almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro (Cass., VI, n. 12640/2022). Il terzo sottotipo è quello della società diretta coltivatrice, ossia la società di persone costituita per almeno la metà da soci che abbiano la qualifica di coltivatore diretto (si segnala che la definizione di coltivatore diretto varia a seconda delle specifiche discipline che prendono a riferimento tale figura: ai fini della prelazione è definito, dall'art. 31, l. n. 590/1965, come colui che direttamente ed abitualmente si dedica alla coltivazione dei fondi ed all'allevamento ed al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l'allevamento ed il governo del bestiame, mentre nel codice civile è definito facendo riferimento alla prevalenza del lavoro proprio o della propria famiglia, dagli artt. 2083 e 1647 c.c., applicabili rispettivamente a seconda che si discuta di un coltivatore diretto tout court ovvero di un affittuario coltivatore diretto: Russo, 605): a dette società sono riconosciuti il diritto di prelazione di cui all'art. 8 della l. 26 maggio 1965, n. 590 e all'art. 7 della l. 14 agosto 1971, n. 817, nonché le agevolazioni previdenziali e assistenziali stabilite per il coltivatore diretto. Il quarto sottotipo è quello previsto dall'art. 2 del d.lgs. n. 101/2005, il quale estende determinate agevolazioni tributarie e creditizie previste per il coltivatore diretto alle società agricole di persone con almeno un socio coltivatore diretto, e alle società agricole cooperative e di capitali con almeno un amministratore coltivatore diretto. BibliografiaCarmignani, La società agricola coltivatore diretto tra riforma del settore agricolo e riforma del diritto societario, in Dir. giur. agr. amb. 2005, 417; Carmignani, voce Società in agricoltura, in Dig. priv., 2009; Carmignani, Affitto di azienda e conservazione dell'agrarietà, in Fall. 2012, 1462; Corsaro, Il principio di tipicità dei contratti agrari e il contratto di società, in Dir. giur. agr. amb. 2005, 451; Forti, Commento all'art. 1 d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, in Riv. dir. agr. 2004, 184; Germanò, Nuovo orientamento agricolo: la società agricola, in Dir. giur. agr. amb. 2004, 276; Maffezzoni, Società agricola: oggetto sociale e fallimento, in Ilsocietario.it, fasc. 22 gennaio 2018; Masi, Società agricola e riforma delle società di capitali, in Dir. giur. agr. amb. 2005, 413; Minutoli, La multiforme nozione di impresa agricola alla prova del codice della crisi, in Fall., 2023, 7, 930; Rocchi, Scappini, Profili dichiarativi degli organismi societari operanti in agricoltura, in Fisco 2017, 19, 1827; Oppo, Materia agricola e «forma» commerciale, in Scritti giuridici in onore di Carnelutti, III, Padova, 1950, 145; Rook Basile, Società agricole, in Nuove leggi civ. comm. 2004, 4, 871; Russo, Prelazione e riscatto dell'imprenditore agricolo professionale e delle società agricole, in Riv. dir. civ. 2009, 597; Scoccini, Gli atti costitutivi delle società agricole, in Dir. giur. agr. amb. 2005, 445. |