La responsabilità civile della P.A. in caso di danno cagionato dal reato del proprio dipendente

Ilvio Pannullo
26 Novembre 2018

La responsabilità del danno cagionato a terzi dal pubblico dipendente che commette un reato per realizzare un fine personale può essere estesa alla P.A. di appartenenza?
Massima

È configurabile la responsabilità civile della pubblica amministrazione anche per le condotte delittuose dei dipendenti pubblici dirette a perseguire finalità esclusivamente personali, purché l'adempimento delle funzioni pubbliche costituisca un'occasione necessaria che l'autore del reato sfrutta per il compimento degli atti penalmente illeciti.

Il caso

Tizio agiva in giudizio chiedendo la condanna di Caio e del Ministero della Giustizia (di qui, “P.A.”) al risarcimento del danno a lui derivato dal comportamento illecito di Caio il quale, cancelliere di Tribunale, si era appropriato di somme versate su libretti di deposito da lui custoditi per ragioni di ufficio, precisando che Caio era stato condannato per peculato.

La P.A. si costituiva chiedendo il rigetto della domanda, Caio rimaneva contumace, e il Tribunale, ritenendo sussistenti i presupposti ex art. 28 Cost. della responsabilità civile della P.A., condannava il Ministero.

Avverso detta sentenza la P.A. proponeva appello lamentando l'omessa condanna di Caio, autore materiale dell'illecito, e l'estensione della responsabilità nel caso di specie avendo Caio agito al fine di procurare a se stesso un vantaggio illecito.

La Corte distrettuale rigettava il primo motivo e accoglieva il secondo, riformando la sentenza di primo grado con conseguente rigetto della domanda attorea e condanna di Tizio al pagamento delle spese di giudizio.

Avverso detta sentenza Tizio proponeva ricorso per Cassazione e la P.A. resisteva con atto di costituzione in giudizio.

La questione

Il punto è il seguente: la responsabilità del danno cagionato a terzi dal pubblico dipendente che commette un reato per realizzare un fine personale può essere estesa alla P.A. di appartenenza?

Le soluzioni giuridiche

Oggetto dell'ordinanza in commento è la questione inerente alla sussistenza o meno della responsabilità civile della P.A. per i fatti illeciti dei propri dipendenti, qualora questi, profittando delle proprie funzioni, commettano un illecito penale per finalità di carattere esclusivamente personale.

L'ordinanza in commento, nel rimettere al Primo Presidente della Cassazione la questione, individua i diversi orientamenti sul punto, peraltro emersi sia nelle opposte sentenze di merito sia negli atti processuali portati all'attenzione del Giudice di legittimità.

Da una parte, infatti, il Tribunale ritiene sussistenti i presupposti per l'estensione alla P.A. della responsabilità del danno cagionato a Tizio dal comportamento penalmente rilevante di Caio, proprio dipendente, dall'altra, la Corte d'Appello -richiamando l'orientamento tradizionale- riforma la sentenza impugnata giudicando necessaria la sussistenza, oltreché del nesso di causalità fra comportamento ed evento lesivo, anche della riferibilità alla P.A. del comportamento stesso, la quale presuppone che il comportamento lesivo del dipendente si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente pubblico, ossia tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio a cui il dipendente è addetto.

La Suprema Corte, nel rimettere la soluzione della questione al Primo Presidente, analizza in rassegna le due tesi contrapposte, avendo cura di contestualizzarle anche alla luce delle diverse pronunce emerse in ambito sia penale che civile.

In particolare, per quanto attiene alla tesi tradizionale, a mente della quale la riferibilità del comportamento dannoso alla P.A. -presupposto per l'estensione della responsabilità- viene meno quando il dipendente agisca come privato per un fine strettamente egoistico che si rilevi assolutamente estraneo alla P.A. stessa, il rimettente rileva il possibile contrasto con la ratio sottesa all'art. 28 Cost. individuata nella garanzia di un più agevole conseguimento del risarcimento del danno.

Per quanto attiene, invece, la diversa tesi emergente in ambito penale -a mente della quale è configurabile la responsabilità civile della P.A. anche per le condotte dei dipendenti dirette a perseguire finalità esclusivamente personali mediante la realizzazione di reati, quando le stesse sono poste in essere, sfruttando, come premessa necessaria, l'occasione offerta dall'adempimento di funzioni pubbliche, costituendo un non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio di tali funzioni- il rimettente rileva interessanti parallelismi nelle diverse ipotesi di responsabilità conosciute in casi analoghi, richiamando la propria giurisprudenza in materia di art. 2049 c.c., nonché in materia di responsabilità della banca per danno cagionato dall'illecito penale del proprio dipendente e di responsabilità solidale tra l'intermediario e il promotore finanziario per i danni da questi arrecati ai consumatori.

Osservazioni

L'ordinanza in commento è particolarmente degna di nota per l'articolata puntualizzazione dei riferimenti giurisprudenziali espressi dal Giudice della nomofilachia, nell'ambito della responsabilità sia penale sia civile che del datore di lavoro, relativamente alle ipotesi in cui si verifica l'estensione della responsabilità ai soggetti organizzanti per i danni cagionati dai soggetti organizzati.

Il rimettente, infatti, muove dall'evoluzione della giurisprudenza di legittimità sul tema della responsabilità civile della P.A., prima ricostruita come responsabilità obiettiva indiretta ex art. 2049 c.c. e solo poi ricostruita, muovendo dalla teorica dell'immedesimazione organica tra dipendente e P.A., come responsabilità soggettiva diretta ex art. 2043 c.c., sottolineando come il perno dell'evoluzione giurisprudenziale civilistica sia stato, da una parte, il disconoscimento della stessa possibilità di riferire istituzionalmente alla P.A. una responsabilità di tipo indiretto, dall'altra, la necessaria riferibilità alla P.A. del comportamento dannoso del proprio dipendente.

In questa prospettiva, emerge quale presupposto indefettibile della responsabilità diretta della P.A. la c.d. occasionalità necessaria, che nell'orientamento tradizionale ricorre quando il dipendente non abbia agito quale privato per fini esclusivamente personali, ponendo invero in essere una condotta ricollegabile, anche solo indirettamente, alle attribuzioni proprie della P.A. agente.

Tuttavia, recentemente, in sede penale, si è andato affermando un diverso orientamento a mente del quale l'estensione della responsabilità (civile) alla P.A. di appartenenza occorre anche nel caso di condotta del dipendente diretta a perseguire finalità esclusivamente personali mediante la realizzazione di un reato doloso, quando la condotta è attuata sfruttando l'occasione offerta dall'adempimento di funzioni pubbliche e costituisce uno sviluppo non imprevedibile dello scorretto esercizio di tali funzioni.

Il nuovo orientamento ha senz'altro il pregio di coniugare principi di diritto già espressi dalla Suprema Corte in diverse branche dell'ordinamento: si va dalla classica responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c. -dove l'occasionalità necessaria è intesa nel senso che l'incombenza svolta dal dipendente (del padrone o del committente) deve aver determinato una situazione tale da rendere possibile o agevolare il fatto dannoso e radica la responsabilità dell'organizzante anche se l'organizzato abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze o persino trasgredendo gli ordini ricevuti, purché sempre entro l'ambito delle proprie mansioni- alla responsabilità della banca e delle società di intermediazione finanziaria per fatto illecito del dipendente, dove il presupposto della occasionalità necessaria non viene meno in caso di commissione di un illecito penale per finalità personali.

Ebbene, se nel caso della responsabilità della banca o dell'intermediario finanziario il nesso di occasionalità necessaria è riscontrato dalla Cassazione quando il fatto lesivo sia riconducibile allo svolgimento dell'attività lavorativa, anche quando il dipendente abbia agito all'insaputa del datore di lavoro, «in considerazione della peculiare natura dell'attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, dei controlli e dei vincoli pubblicistici oltre che della conseguente particolare intensità dell'affidamento del cliente in ordine alla correttezza e lealtà dei comportamenti dei preposti alle singole funzioni», nel caso di specie è proprio l'analoga intensità dell'affidamento che caratterizza il rapporto instauratosi tra Tizio, Caio -cancelliere di Tribunale- e la P.A. a legittimare l'ordinanza di rimessione al Primo Presidente.

Peccando di ὕβρις e volendo prevedere l'esito del ricorso, centro di attrazione gravitazionale che segnerà e orienterà le linee evolutive degli orientamenti giurisprudenziali richiamati non potrà che essere l'art. 28 Cost. la cui ratio -anche alla luce, nella geografia della Costituzione, della sua posizione di chiusura del Titolo I dedicato ai rapporti civili- va individuata nell'abbandono della previgente teoria della responsabilità c.d. diretta della P.A. (cfr. art. 1151 c.c. del 1865): innanzi al terzo danneggiato, infatti, è posta la persona fisica dell'agente, all'evidente fine di rafforzare il principio di legalità, e soltanto in via sussidiaria o solidale quella dell'ente pubblico, soprattutto a garanzia di solvibilità.

La tesi più accreditata in dottrina, infatti, radica proprio nell'art. 28 Cost. sia la disciplina della responsabilità della P.A. per i danni prodotti dall'attività funzionale illegittima dei propri organi, sia l'estensione alla stessa della responsabilità civile (ricostruita come diretta o indiretta) per i fatti illeciti cagionati dai propri dipendenti. Il tutto motivato dal disegno costituzionale, che pone al centro l'individuo ex art. 2 Cost., spostando l'attenzione dal perseguimento dell'utilità sociale corporativa alla tutela della persona e delle sue libertà e, tra queste, con primaria importanza -anche alla luce dell'ordinamento europeo- alla libertà di autodeterminazione negoziale, cioè di quel diritto (espressione a sua volta del principio costituzionale che tutela la libertà di iniziativa economica) di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenze comunque illecite derivanti da condotte di terzi connotate o da slealtà e scorrettezza ovvero da illegittimità e illiceità.

Se un simile approccio trovasse la ragionevole obiezione di aumentare irragionevolmente i casi in cui la P.A. potrebbe essere chiamata a risarcire il danno cagionato dal proprio dipendente, la censura non coglierebbe nel segno tenuto conto della disciplina della responsabilità amministrativo-contabile, ossia quella in cui incorrerà nel caso di specie Caio, il quale, in rapporto di servizio con la P.A. e in violazione degli obblighi da tale rapporto derivanti, con dolo ha cagionato il danno a Tizio, ovviamente solo nella misura in cui la P.A. dovesse essere condannata al risarcimento di quest'ultimo.

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