Caricatura ironica e paradossale: è satira e non diffamazione l’utilizzo di espressioni anche lesive della reputazione altrui

Ilenia Alagna
24 Gennaio 2019

In tema di diritto di satira è obbligatorio riferire fatti o circostanze veritiere? Le espressioni utilizzate dal soggetto che esercita il diritto di satira possono essere di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui?
Massima

La satira, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni rispetto allo scopo di denuncia sociale, è sottratta all'obbligo di fornire fatti veri, ma anzi può essere grottesca, ironica, utilizzare paradossi che consentano al pubblico di percepire il messaggio oggetto di comunicazione. Nella formulazione del giudizio critico possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato.

Il caso

Durante una puntata di una nota trasmissione televisiva di satira, un comico in uno dei suoi monologhi, criticava un'azienda di lavorazione delle carni ricollegandola al fenomeno, mediaticamente noto, della “mucca pazza” per l'enorme quantitativo di carne avariata rinvenuta all'interno dei capannoni (già oggetto di indagine giudiziaria) della predetta azienda. Quest'ultima citò in giudizio la società di produzione televisiva per ottenere il risarcimento danni per la presunta diffamazione subita.

L'istanza proposta era stata respinta dai giudici di prime cure e dai giudici d'appello. Nel ricorrere per cassazione, l'azienda attrice evidenziava come i giudici di secondo grado avessero “legittimato il collegamento fra il commento satirico ed i fatti reali” applicando erroneamente la regola iuris secondo cui non deve essere violato “il limite della verità”.

La questione

In tema di diritto di satira è obbligatorio riferire fatti o circostanze veritiere? Le espressioni utilizzate dal soggetto che esercita il diritto di satira possono essere di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui?

Le soluzioni giuridiche

Con l'ord. n. 30193/2018, depositata il 22 novembre 2018 la Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte di Appello di Roma, ha escluso la sussistenza della diffamazione a carico della società di produzione televisiva da parte del comico ritenendo infondato il motivo principale del ricorso proposto e assorbito quello incidentale.

L'Azienda ricorrente, con il primo motivo, lamentava l'erronea applicazione da parte della Corte territorialedelle disposizioni e dei principi in materia di diritto di satira e di critica ad una fattispecie ad essa estranea poiché, pur premettendo correttamente che la prima fattispecie era sottratta al parametro della verità in quanto l'aperta difformità dalla realtà ne faceva apprezzare l'inverosimiglianza, aveva poi legittimato il collegamento fra il commento satirico ed i fatti reali, quali il morbo della "mucca pazza", ed aveva, con ciò, applicato erroneamente la regola iuris secondo cui non deve essere violato "il limite della verità".

I giudici d'appello hanno fatto corretta applicazione di tale principio in quanto, nel condividere, sul punto, la valutazione del Tribunale sulla configurabilità della scriminante del diritto di critica e del diritto di satira hanno valorizzato il collegamento fra i fatti veri imputati alla penale responsabilità della società (e cioè il rinvenimento della carne avariata) con il morbo BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy) all'interno del perimetro della "ricostruzione paradossale" ed hanno affermato che il messaggio veicolato ai telespettatori assumeva una valenza satirica proprio attraverso la grottesca presentazione di un escremento, accompagnata dalle frasi ironiche riportate.

In tale situazione, dunque, la Corte territoriale, lontana dal violare le disposizioni suddette ed il "limite della verità", è rimasta all'interno dei parametri di legittimità proprio attraverso l'utilizzo del paradosso che consente al pubblico di percepire il messaggio oggetto di comunicazione, attivando al contempo tutti gli strumenti cognitivi per non darvi credito.

I giudici della Suprema Corte, sulla scorta di un precedente orientamento (Cass. civ. n. 6919/2018), affermano che, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. È, quindi, corretto non ravvisare alcun comportamento sanzionabile nel programma satirico, che aveva ricostruito la vicenda grottescamente, servendosi del c.d. parodosso, che, secondo i giudici, consente al pubblico di percepire il messaggio oggetto di comunicazione, fornendogli tutti gli strumenti cognitivi per non darvi credito.

Gli stessi giudici, nel predetto Provvedimento, stabilivano che «la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all'obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito».

La satira, configurabile come diritto soggettivo di rilevanza costituzionale, come tale, rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 21 Cost. che tutela la libertà dei messaggi del pensiero. Tale diritto ha un fondamento complesso individuabile nella sua natura di creazione dello spirito, nella sua dimensione relazionale, ossia di messaggio sociale, nella sua funzione di controllo esercitato con l'ironia ed il sarcasmo nei confronti dei poteri di qualunque natura. Al di là del modo di espressione (scritto, orale, figurato), la satira costituisce una critica spesso impietosa e demolitrice, basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso. L'essenza della satira, che si esprime attraverso il paradosso e la metafora surreale, la sottrae al parametro della verità e la rende eterogenea rispetto alla cronaca. Ma a differenza di quest'ultima che, avendo la finalità di fornire informazioni veritiere e oggettive su fatti e persone è soggetta al vaglio del riscontro storico, la satira assume i connotati dell'inverosimiglianza e dell'iperbole essendo riproduzione ironica e non cronaca di un fatto. Essa riporta un giudizio che necessariamente assume connotazioni soggettive ed opinabili, sottraendosi ad una dimostrazione di veridicità. Incompatibile con il parametro della verità, la satira è, però, soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni adoperate rispetto allo scopo di denuncia sociale perseguito. Il limite della continenza non può essere valutato con gli stessi parametri applicabili al giudizio critico, essendo la prima più aggressiva nell'espressione; la Cassazione, a tal fine, ha tentato di limitare la satira non sotto il profilo dei toni o delle forme con cui essa si manifesta, ma dello scopo. Il linguaggio, difatti, è essenzialmente simbolico e frequentemente svincolato da forme convenzionali, per cui è inapplicabile il metro della correttezza dell'espressione.

Con il secondo motivo, ritenuto altresì infondato dalla Suprema Corte, la ricorrente lamenta il vizio di motivazione apparente per violazione dell'art. 132, comma 2 n. 4 c. p.c. deducendo che la valutazione della Corte territoriale circa il collegamento utilizzato dal presentatore fra carne avariata e "mucca pazza" non fosse affatto un'opinione qualificabile come legittimo sviluppo critico della notizia e si duole, pertanto, della decisione in quanto non era stato compiutamente esaminato il passaggio letterale della trasmissione e non era stato considerato che era stato veicolato agli spettatori un messaggio falso, riportando in termini obiettivi ed asettici la sequenza del morbo BSE, delle indagini penali e del sequestro della carne con una commistione di notizie di carattere diffamatorio che si traducevano in motivazione apparente e cioè inidonea a rendere intellegibili le argomentazioni poste a base della decisione.

Secondo i giudici della Corte di Cassazione il motivo che ricalca, sia pur parzialmente, la censura precedente è inammissibile. Con esso, la società ricorrente contesta la motivazione resa dalla Corte che, lungi dal presentare lacune od omissioni, risulta logica, congrua ed aderente alla consolidata giurisprudenza di legittimità sia nella valutazione di inverosimiglianza che del carattere iperbolico della comunicazione sia nell'apprezzamento di una lecita rielaborazione critica del conduttore fra i due fatti enunciati riguardanti la vicenda penale e la malattia.

Inoltre, le argomentazioni sviluppate dai giudici d'appello si fondano sull'esame del passaggio contestato della trasmissione che, anche se non letteralmente riportato nel testo della motivazione, è stato chiaramente oggetto di esame per relationem, rendendo con ciò infondato il vizio di cui all'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. La censura, dunque, maschera nel complesso una richiesta di rivalutazione di merito della controversia, a fronte di una motivazione che supera ampiamente la sufficienza costituzionale e che dà conto delle valutazioni espresse in relazione ai vari aspetti del passaggio "incriminato" della trasmissione, applicando la consolidata giurisprudenza di legittimità della Corte in materia di diritto di satira e diritto di critica.

Osservazioni

È importante notare come anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che la satira esprime una critica il cui superamento sconfina nell'illecito che si esclude nel caso vi sia un collegamento logico tra giudizio satirico (o critico) e fatto accaduto, che peraltro, nel caso ora analizzato, era già noto alle cronache giudiziarie essendo, al tempo della trasmissione televisiva, oggetto di indagine giudiziaria. Viceversa, nel caso in cui mancasse tale collegamento logico, si sconfinerebbe nell'aggressione fine a sé stessa, perdendosi lo scopo meritevole di denuncia sociale.

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