I versamenti in conto futuro aumento di capitale non sono assoggettabili alla disciplina sulla postergazione
12 Febbraio 2019
Massima
I versamenti dei soci in conto futuro aumento di capitale hanno quale effetto diretto quello di tradursi in concreto sostegno finanziario alla società, senza però rappresentare un definitivo incremento del patrimonio netto della stessa, come invece avviene per il caso dei versamenti a fondo perduto o in conto capitale. I soci, infatti, hanno un diritto di restituzione - secondo un vero e proprio meccanismo risolutivo - rispetto ai versamenti effettuati a titolo di futuro aumento di capitale, laddove non si perfezioni la fattispecie (i.e. il prospettato aumento del capitale) in ragione della quale sono stati effettuati.
Tali versamenti in conto futuro aumento di capitale, in ogni caso, pur avendo tra le proprie caratteristiche un diritto di restituzione per il caso di mancato aumento del capitale, non devono essere confusi con i veri e propri finanziamenti dei soci, con la conseguente non assoggettabilità degli stessi alla disciplina della postergazione dei finanziamenti soci "anormali" di cui all'art. 2467 c.c.. Il caso
La vicenda giunta al vaglio della Corte di Cassazione riguarda l'operazione effettuata da un Comune italiano che, unico azionista di una società per azioni posta in amministrazione straordinaria, le aveva "conferito" (con veri e propri atti notarili di trasferimento e girate azionarie) due immobili, un pacchetto azionario e della liquidità, al fine di sostenere la ricapitalizzazione e il risanamento della controllata. In assenza di una delibera di ricapitalizzazione della controllata - il "conferimento" infatti era avvenuto non contestualmente ad un aumento del capitale - e accentuandosi la crisi di tale società, il Tribunale di Palermo ne ha dichiarato il fallimento, con conseguente domanda di insinuazione al passivo del socio unico (i.e. il Comune), richiedente la restituzione degli immobili, delle azioni e dei liquidi, poiché il trasferimento alla società sarebbe stato effettuato sulla base della condizione risolutiva della mancata ricapitalizzazione (e conseguente risanamento) della società (allora) in amministrazione straordinaria. Di fronte a tale azione il giudice delegato ha in parte dichiarato inammissibile (perché ultra-tardiva) e in parte infondata la domanda del Comune, mentre il Tribunale di Palermo, con decreto, ha propeso in senso opposto, inquadrando sia il trasferimento immobiliare sia quello azionario quali "versamenti in conto futuro aumento di capitale, essendosi trattato di apporti funzionalmente collegati e risolutivamente condizionati al mancato aumento di capitale" che avrebbe dovuto essere deliberato entro un anno dalla chiusura dell'amministrazione straordinaria al fine di risanare definitivamente la partecipata. Contro il decreto del Tribunale di Palermo è stato poi proposto ricorso dalla curatela in Cassazione, la quale, rigettando il ricorso, ha aderito alla tesi dei giudici palermitani - basandosi sull'analisi della volontà del socio già accertata dal giudice di merito - ed effettuando un'ulteriore importante chiarificazione circa il rapporto tra versamenti in conto futuro aumento del capitale e finanziamenti dei soci, soggetti a postergazione ove ricorrano i presupposti di cui all'art. 2476 c.c..
Le questioni
La sentenza della Corte di Cassazione in esame, peculiare anche poiché l'apporto del socio è consistito principalmente in beni diversi dal denaro, presenta più di un profilo di interesse e aiuta ad analizzare da più angolature la disciplina dei "versamenti in conto futuro aumento di capitale", che trattasi di apporti messi a disposizione della società prima della delibera di aumento del capitale, mediante cui i soci anticipano alla società la disponibilità finanziaria destinata alla sottoscrizione e liberazione del futuro aumento di capitale. In via generale, tali tipi di versamenti rientrano tra i diversi contributi che i soci, spontaneamente, possono apportare alla società, senza che questi siano - almeno inizialmente - computati a capitale sociale (in generale, sulla legittimità dei versamenti effettuati causa societatis non imputati a capitale, cfr., tra gli altri, M. Maugeri, Finanziamenti «anomali» dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005; G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato Colombo-Portale, 1, Torino, 2004). La peculiarità dei versamenti in conto futuro aumento del capitale risulta essere la circostanza per cui non sono acquisiti in via definitiva dalla società, con beneficio a favore di tutti i soci, ma ne traggono vantaggio - proprio al fine della sottoscrizione di un futuro aumento del capitale - solo coloro che li hanno effettuati, che siano soci o terzi in procinto di diventare soci (in tale ultimo senso Trib. Milano 7 febbraio 2017 n. 1468, in questo portale). La qualificazione di un determinato apporto alla stregua di un versamento in conto futuro aumento del capitale (da cui ne deriva la disciplina sopra accennata) è una questione, come si evince anche dalla Cassazione in esame che su ciò aderisce alla tesi maggioritaria, di interpretazione sulla "comune intenzione" delle parti. Dicono i giudici che "la relativa prova va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui si mostra diretto e dagli interessi a esso sottesi". Criterio ermeneutico, quello della comune intenzione delle parti, che supera anche la modalità di appostazione in bilancio delle somme adoperata dalla società (cfr. Cass. Civ. 8 giugno 2018 n. 15035, in Giust. Civ. Mass. 2018). Ci si è poi chiesti in dottrina e giurisprudenza come inquadrare giuridicamente tali versamenti. Una dottrina più risalente li ha ricondotti a un'offerta irrevocabile da parte dei soci (cfr. F. Di Sabato, Manuale delle Società, Torino, 1992). Un'altra tesi - abbracciata anche dalla sentenza in esame - li ha qualificati alla stregua di contratti atipici aventi una condizione risolutiva (più o meno esplicita), consistente nel mancato verificarsi, entro un lasso temporale individuato o da individuarsi secondo il caso di specie, di un aumento del capitale, oppure - come ricostruito da una giurisprudenza citata anche dalla sentenza in esame (Cass. Civ. 14 aprile 2006 n. 8876, in Giust. Civ. Mass. 2006) - secondo una sfumatura differente, quali versamenti effettuati in ragione dell'obbligazione del socio di sottoscrivere l'aumento del capitale soggetto alla condizione sospensiva che la delibera intervenga entro un certo termine. Un'ultima tesi (cfr. M. Ragno, Versamenti in conto capitale, Versamenti in conto futuro aumento di capitale e prestiti subordinati effettuati dai soci di società di capitali, in Giur. Comm., 2000, I, 763) ha differentemente riletto i versamenti in conto futuro aumento del capitale nell'alveo di un particolare mutuo, che, da un lato prevede un impegno del socio di accettare l'offerta di sottoscrizione del futuro aumento del capitale e, dall'altro, una conseguente compensazione volontaria del debito sorto dall'impegno alla sottoscrizione con il credito che il socio vanta per la restituzione delle somme apportate con il mutuo. Trattasi di classificazioni, queste ultime, che hanno un impatto significativo anche di natura pratica: la riconduzione alla figura del mutuo, infatti confermerebbe la tesi della corretta appostazione contabile nel passivo dello stato patrimoniale, tra i debiti, mentre l'apporto con condizione risolutiva giustificherebbe quella tesi dell'iscrizione, seppur provvisoria, tra le riserve con eventuale (seppur discussa) possibilità di ricorrere a tali versamenti per coprire le perdite, stante la qualifica di riserva (cfr. Cass. Civ. 19 marzo 1996, n. 2314 in Vita not. 1997, 316).
Osservazioni
Un ulteriore profilo di interesse, che si collega a quanto sopra riportato e merita un'osservazione, concerne il rapporto tra i versamenti in conto futuro aumento di capitale e la disciplina di cui all'art. 2467 c.c. che, come noto, prevede - in tema di S.r.l. ma con generalizzata applicabilità anche alle S.p.A. - la postergazione di quei finanziamenti dei soci "anormali" (cfr. al riguardo U. Tombari, “Apporti spontanei” e “prestiti” dei soci nelle società di capitali, in AA.VV., Il nuovo diritto delle società diretto da Abbadessa e Portale, 1, Torino, 2006). Il tema di analisi nasce dalla tesi del ricorrente del caso in esame di voler qualificare il conferimento in questione - in possibile alternativa al versamento in conto capitale, quindi assorbito tra i mezzi propri della società e non suscettibile di restituzione - quale finanziamento socio, che sarebbe soggetto sì a rimborso da parte della società, ma con il vincolo della postergazione (tesi rigettata dal Tribunale di Palermo). Seppur non sempre oggetto di precisa demarcazione, anche per i giudici della Cassazione, tuttavia, il confine tra i versamenti in conto futuro aumento del capitale e i finanziamenti soci esiste e i primi "non possono rimanere attratti dal principio [di cui all'art. 2467 c.c.] in nome della mera provvisorietà dell'apporto" che risulta comune. Divergono, infatti, per causa e funzione ("anticipo" di capitale di rischio i primi, mera erogazione di debito i secondi) da ricercarsi nella comune intenzione delle parti, oggetto di vaglio del giudice di merito.
Conclusioni
La conclusione, in parte implicita, cui sembrano giungere i giudici di legittimità delle sentenza in esame, è nel senso che un genuino versamento in conto futuro aumento di capitale comporta un vincolo restitutorio marcato, anche in un contesto distressed, seppur da considerare caso per caso. La genuinità del versamento è da valutare secondo gli elementi di fatto e alla luce della comune intenzione delle parti, e trae beneficio qualora, con il versamento, le parti individuino una data ultima per la delibera dell'aumento di capitale, oltre la quale, in caso di mancato aumento - che opera quale condizione risolutiva dell'apporto - dovrà essere restituito al socio-finanziatore.
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