I presupposti per la risarcibilità iure hereditatis del danno da perdita della vita causata da illecito

Giovanni Gea
04 Marzo 2019

Qual è la consistenza minima del danno non patrimoniale patito dalla vittima di lesioni mortali per la sua trasmissibilità agli eredi?
Massima

La possibilità di chiedere iure hereditatis il risarcimento del danno patito dalla vittima di lesioni mortali è ammessa, quanto al “danno biologico temporaneo”, laddove la lesione della salute si sia protratta per un periodo di tempo “apprezzabile” che ne consenta l'accertamento medico-legale e, quanto al “danno morale”, laddove sussista uno stato di coscienza della vittima che le consenta di prefigurarsi la morte imminente e di addolorarsi per essa.

Il caso

Gli eredi di una persona deceduta a causa delle lesioni riportate in seguito ad un incidente stradale, adivano il Tribunale di Torre Annunziata chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento sia dei danni patiti iure proprio che dei danni patiti dalla de cuius nelle due ore di sopravvivenza tra le lesioni e l'exitus.

Il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento dei danni iure proprio per la perdita del rapporto parentale ma respingeva la domanda di risarcimento dei danni iure hereditatis sull'assunto che, in quel brevissimo lasso di tempo di sopravvivenza in stato di incoscienza, la de cuius non avesse acquisto, e conseguentemente trasmesso loro, alcun credito risarcitorio né per il danno biologico né per il danno morale.

La Corte d'Appello di Napoli, adita dagli eredi per ottenere, per quanto qui di interesse, anche il risarcimento del danno biologico e morale patito dalla de cuius, ne respingeva le domande, confermando, sul punto, la sentenza del Tribunale.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello, gli eredi ricorrevano in Cassazione.

La questione

Qual è la consistenza minima del danno non patrimoniale patito dalla vittima di lesioni mortali per la sua trasmissibilità agli eredi?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, rigetta il ricorso degli eredi e, nel confermare il proprio consolidato orientamento in merito ai presupposti per la risarcibilità iure hereditatis del “danno biologico terminale” e del “danno morale catastrofale” patito dalla vittima di lesioni mortali, non manca di ribadire, in una sorta di vademecum, i concetti fondamentali che ne regolano la materia.

Anzitutto, la S.C. precisa che la vittima di lesioni personali, che sopravviva quodam tempore e poi muoia a causa delle stesse, può “teoricamente” patire sia un pregiudizio derivante dalla lesione della salute (danno biologico) che un pregiudizio derivante dalla consapevolezza dell'approssimarsi della morte (danno morale).

Entrambi i pregiudizi, pur avendo la medesima natura di danno non patrimoniale, investendo la persona in sé e non il suo patrimonio, purtuttavia presentano una differente consistenza reale in quanto il danno biologico, inteso quale forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità temporanea, è suscettibile di accertamento medico-legale e sussiste, anche, quando la vittima sia in stato di incoscienza mentre il danno morale, inteso quale turbamento dell'animo, sussiste solo quando la vittima sia cosciente dell'approssimarsi della morte.

La S.C. precisa, inoltre, che, dal punto di vista medico-legale, il danno alla salute che la vittima, sopravvissuta per un apprezzabile lasso temporale alle lesioni mortali, può patire, è costituito solo dall'invalidità temporanea avendo il decorso delle stesse condotto alla morte e non ad uno stato menomativo residuato dopo la loro stabilizzazione che determinerebbe, invece, un'invalidità permanente.

Infatti, l'esistenza di una malattia in atto (decorso delle lesioni) e l'esistenza di uno stato di invalidità permanente non sono tra loro compatibili in quanto finché dura la malattia, permane uno stato di invalidità temporanea e non c'è ancora invalidità permanente mentre se la malattia guarisce con postumi menomanti si ha uno stato di invalidità permanente e non ci sarà più invalidità temporanea.

Nel caso in esame, avendo il decorso delle lesioni condotto la vittima alla morte, e non ad un permanente stato psico-fisico menomato, le stesse avevano determinato solo un periodo di invalidità temporanea.

La S.C. evidenzia, poi, come, per secolare convenzione medico-legale, il danno alla salute da invalidità temporanea, consistente nella forzosa rinuncia, durante il periodo di malattia, alle ordinarie attività non spiacevoli cui la vittima si sarebbe altrimenti dedicata, se fosse rimasta sana, si apprezza in “giorni” essendo, infatti, un esercizio meramente teorico pretendere di dare un peso monetario alle attività di cui una persona è stata privata in poche ore o pochi minuti.

Logico corollario sarà, dunque, che in tanto la vittima di lesioni potrà acquisire il diritto al risarcimento del danno alla salute (danno biologico temporaneo), in quanto abbia sofferto un danno alla salute “medicalmente apprezzabile”, dal momento che per espressa definizione normativa ex art. 138 cod. ass., oltre che per risalente insegnamento della dottrina e per conforme pluridecennale giurisprudenza della S.C., il danno biologico è solo quello «suscettibile di accertamento medico legale».

E ciò, sull'ormai pacifico presupposto che il danno biologico non consiste nella mera lesione dell'integrità psico-fisica (danno-evento), ma presuppone che tale lesione abbia compromesso l'esplicazione piena ed ottimale delle attività realizzatrici dell'individuo nel suo ambiente di vita (danno-conseguenza), di talché «una concreta perdita o riduzione di tali potenzialità può concretizzarsi soltanto nell'eventualità della prosecuzione della vita, in condizioni menomate, per un apprezzabile periodo di tempo successivamente alle lesioni. Consegue che, in difetto di una apprezzabile protrazione della vita successivamente alle lesioni, pur risultando lesa l'integrità fisica del soggetto offeso, non è configurabile un danno biologico risarcibile, in assenza di una perdita delle potenziali utilità connesse al bene salute suscettiva di essere valutata in termini economici» (Cass. civ, sez. III, 25 febbraio 1997, n. 1704).

Pertanto, nel caso di morte causata da lesioni, sopravvenuta a distanza di tempo da queste, un danno biologico permanente è inconcepibile mentre potrà predicarsi l'esistenza di un danno biologico temporaneo qualora la lesione della salute si sia protratta per un “tempo apprezzabile”, perché solo un tempo apprezzabile consente quell'accertamento medico-legale che costituisce il fondamento del danno biologico temporaneo.

La S.C. osserva, inoltre, che tale "lasso apprezzabile di tempo" dovrà essere superiore alle 24 ore, giacché è il "giorno" l'unità di misura, convenzionalmente adottata dalla medicina legale, della invalidità temporanea anche se, in astratto, non va esclusa, a priori, la possibilità di apprezzare il danno in esame anche per periodi inferiori.

Naturalmente, una volta accertata la sussistenza di un danno biologico temporaneo provocato da una lesione mortale, esso è risarcibile a prescindere dalla consapevolezza che la vittima ne abbia avuto, dal momento che quel pregiudizio consiste nella oggettiva perdita delle attività quotidiane.

Correttamente, pertanto, secondo la S.C., la Corte d'Appello ha negato il risarcimento del danno alla salute dal momento che, nel caso di specie, non è stata negata in iure la risarcibilità del danno alla salute che la vittima poteva teoricamente avere patito, ma è stato escluso in facto che la vittima, nelle due ore di sopravvivenza, avesse patito un danno alla salute suscettibile di accertamento medico-legale.

E, tale giudizio, secondo la S.C. non è affatto erroneo in punto di diritto, giacché l'esistenza del “danno biologico temporaneo” non può presumersi solo perché la vittima di lesioni non sia deceduta illico et immediate.

La S.C. precisa, altresì, che la vittima di lesioni mortali può patire anche un pregiudizio non patrimoniale di tipo diverso consistente nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dovere morire.

Questa sofferenza può consistere nel provare la paura della morte, nell'agonia provocata dalle lesioni, nel dispiacere di lasciar sole le persone care, nella disperazione di dover abbandonare le gioie della vita, nel tormento di non sapere chi si prenderà cura dei propri familiari, e così via.

È, dunque, evidente che la concepibilità stessa di un simile pregiudizio presuppone che la vittima sia cosciente perché se non fosse consapevole della fine imminente non potrebbe nemmeno prefigurarsela e, dunque, addolorarsi per essa.

Per questo tipo di pregiudizio, poiché il danno risarcibile è rappresentato non dalla perdita delle attività cui la vittima si sarebbe dedicata, se fosse rimasta sana, ma da una sensazione dolorosa, la durata della sopravvivenza non è un elemento costitutivo del danno né incide necessariamente sulla sua gravità poiché, anche una sopravvivenza di pochi minuti, può consentire alla vittima di percepire la propria fine imminente, mentre una lunga sopravvivenza in totale stato di incoscienza non consentirebbe di affermare che la vittima abbia avuto consapevolezza della propria morte.

Correttamente, pertanto, secondo la S.C., la Corte d'Appello ha negato anche il risarcimento del “danno morale" patito dalla de cuius non essendo stato nemmeno dedotto ed, anzi, addirittura smentito per tabulas che la vittima abbia potuto coscientemente percepire, nelle due ore di sopravvivenza, il proprio stato acquisendo consapevolezza dell'imminenza della morte o della gravissima entità delle lesioni patite e provare, di conseguenza, la formido mortis.

Alla luce dei suddetti principi, già affermati in precedenti pronunce, la S.C. ha rigettato il ricorso degli eredi ribadendo il proprio definito orientamento: nel caso di sopravvivenza quodam tempore della vittima di lesioni mortali, questa ha “teoricamente” diritto ad essere risarcita sia del danno biologico temporaneo che della sofferenza provocata dalla paura di morire, la cui esistenza e consistenza va accertata, quanto al primo, con gli ordinari criteri della medicina legale e, quanto alla seconda, con gli ordinari mezzi di prova e ciò per il rispetto delle irrinunciabili regole a presidio del principio di legalità.

Osservazioni

La decisione in commento si colloca nel solco dell'ormai più che consolidato orientamento giurisprudenziale, anche di merito, secondo cui, nel caso di morte “immediata” o che segua alle lesioni entro un “brevissimo lasso di tempo”, il pregiudizio conseguente è costituito dalla “perdita della vita”, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché non è predicabile la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio stante, da un lato, l'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene vita e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio e, dall'altro, la mancanza di utilità, perse e da reintegrare, in un così breve spazio di sopravvivenza.

Pertanto, la lesione del diritto alla vita che, per il definitivo contestuale venir meno del soggetto, non entra nel suo patrimonio e può ricevere tutela solo in sede penale, non è suscettibile di risarcimento essendo inconcepibile in capo alla vittima un diritto che deriva dal fatto stesso della morte stante la natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria, del risarcimento del danno civile.

Tale impostazione si basa sulla concezione della responsabilità civile come un sistema oggettivo il cui momento centrale è rappresentato dal “danno-conseguenza” inteso come perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva e, tale perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata ad un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio.

Pertanto, nel caso di morte verificatasi “immediatamente” o dopo “brevissimo tempo” dalle lesioni, l'irrisarcibilità del danno da perdita della vita deriva non dalla natura personalissima del diritto leso ma dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo.

La risarcibilità iure hereditatis del danno subito dal congiunto in conseguenza di lesioni mortali, sarà, al contrario, predicabile laddove la perdita sia entrata nel suo patrimonio.

Ciò, si verifica, quanto al “danno biologico terminale”, laddove sia intercorso, tra la lesione ed il decesso, “un apprezzabile lasso di tempo” quantificato in almeno 24 ore, giacché è il “giorno” l'unità di misura medico-legale della invalidità temporanea, e, quanto al diverso “danno morale terminale”, laddove sia provata la sofferenza della vittima per la consapevole percezione dell'ineluttabile approssimarsi della morte.

Pertanto, nel caso di morte cagionata dalle lesioni, sarà sufficiente per la risarcibilità del “danno biologico terminale” che queste siano separate dalla morte da un “apprezzabile lasso di tempo” suscettibile di accertamento medico-legale poiché, consistendo il danno in una forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità temporanea, la vittima lo patisce, e trasmette iure hereditatis il relativo credito risarcitorio, anche in stato di incoscienza.

Parimenti, sarà sufficiente per la risarcibilità del “danno morale terminale” la sola “lucidità” della vittima nello spatium temporis tra le lesioni e la morte, dal momento che, se la sua lucidità viene manifestata, non si può negare la risarcibilità della sofferenza patita, anche solo per pochi minuti, nel percepire consapevolmente la gravità delle proprie condizioni di salute, l'approssimarsi della propria fine e l'abbandono dei propri congiunti.

Copiose sono, ormai, le decisioni sia di legittimità che di merito che hanno ritenuto non ravvisabile un danno alla salute nel caso in cui la vittima di lesioni sia sopravvissuta meno di 24 ore ovvero che hanno ravvisato la sussistenza del danno morale “catastrofale” in poche ore o pochi minuti di sopravvivenza della vittima sul presupposto che la stessa fosse perfettamente lucida e cosciente dell'approssimarsi della morte.

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