L’oggetto del sequestro nel reato di ostacolo alla autorità di vigilanza
04 Marzo 2019
Massima
In tema di ostacolo all'autorità di vigilanza le somme di denaro eventualmente utilizzate per la commissione dell'illecito costituiscono lo strumento utilizzato per attuare la condotta criminosa e di conseguenza il rapporto di pertinenzialità fra tali somme e la condotta penalmente rilevante determina la sottoposizione degli importi investiti alla misura della confisca obbligatoria, e, prima ancora, al sequestro preventivo. Il caso
Nella fase delle indagini per il reato di ostacolo alla vigilanza di cui all'art. 2638 c.c. veniva adottato a carico dell'amministratore delegato (e del suo coniuge) di un importante istituto di credito un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni immobili, mobili registrati e mobili, fino alla concorrenza della somma di euro 45.425.000. La condotta contestata, sussumibile come detto nella fattispecie di cui all'art. 2638 c.c., era consistita nel comunicare alle autorità di controllo un patrimonio societario non corrispondente al vero perché non decurtato del valore di una pluralità di operazioni che l'indagato aveva posto in essere con enti e persone fisiche con l'impegno, da parte della banca, di riacquisto degli strumenti finanziari ceduti, per un valore complessivo ingente utilizzando, per l'appunto, la somma di €. 45.000.000 circa. Avverso il provvedimento veniva presentato ricorso in cassazione, con cui si denunciava, per quel che interessa in questa sede, l'illegittimità costituzionale dell'art. 2641, comma 2, c.c. nella parte in cui sottopone alla confisca per equivalente i beni utilizzati per commettere il reato alla luce dei parametri costituzionale previsti dagli artt. 3, 27, comma 3, 42 e 117 (in relazione, quest'ultimo all'art. 1 del primo protocollo addizionale CEDU e 17 e 49 CDFUE) Cost.. Nel formulare questa censura, la difesa richiama una decisione della Cassazione civile (sentenza n. 3831 del 16 febbraio 2018), che aveva giudicato rilevante la questione relativa alla compatibilità costituzionale dell'art. 187-sexies d.lgs. n. 58/1998 - che si assume riprodurre norma identica o analoga a quella contemplata dall'art. 2641 c.c. - poichè, preso atto della natura sanzionatoria della confisca per equivalente dei beni utilizzati per compiere l'illecito amministrativo, dalla conseguente ablazione deriva all'incolpato una sanzione complessiva del tutto sproporzionata rispetto al precetto violato, così violando i parametri costituzionali previsti dagli artt. 3, 11 e 117 Cost.. Tali considerazioni, secondo la difesa, dovrebbero operare anche nel caso dell'art. 2641 c.c. posto che il quantum sottoposto al vincolo (sempre nel caso di confisca dei beni utilizzati per commettere il reato) viene calcolato non facendo riferimento al profitto conseguito dall'indagato ma alle ben più ingenti risorse economiche impiegate, che, peraltro, nel caso di specie neppure appartenevano all'imputato dato che erano riconducibili alla società da questi amministrata - anche alla luce del fatto che l'art. 187-sexies TUF era stato novellato dall'art. 4, comma 14, d. lgs. n. 107/2018, escludendo, appunto, la possibilità di confisca (per gli illeciti amministrativi contemplati dal TUF) dei beni strumentali, determinandosi così una disparità di trattamento fra l'illecito amministrativo e quello penale.
Le questioni
L'art. 2641 c.c. contiene la previsione di una ipotesi speciale di confisca, disponendo che “1. in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti [dagli artt. 2621-2038 cod. civ.] è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. 2. Quando non è possibile l'individuazione o l'apprensione dei beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. 3. Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell'articolo 240 del codice penale”. Nonostante l'assonanza nominativa con la confisca disciplinata dal codice penale, la confisca richiamata dal codice civile non ha la natura di misura di sicurezza, ma è qualificata dalla dottrina e dalla giurisprudenza quale sanzione obbligatoria (ALESSANDRI, La confisca, in ALESSANDRI (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, 107; GRASSO, Profili problematici delle nuove forme di confisca, in MAUGERI (a cura di), Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione, Milano, 2008, 138), che si accompagna alla pena detentiva per offrire uno strumento di contrasto più efficace e penetrante nei confronti della criminalità economica e che, alla luce di tale sua natura e funzione, prescinde per la sua applicazione dalla natura pericolosa dei beni oggetto di ablazione. Presupposto di applicazione dell'art. 2641 è la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati tipizzati nel Titolo XI del codice civile. Il provvedimento ablativo ha per oggetto il prodotto o il profitto di tale reato, ovvero i beni utilizzati per commetterlo. Il prodotto del reato consiste in ciò che direttamente ed immediatamente risulta dall'esecuzione del reato, ovvero le cose che furono create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, o che ne sono una sua naturale conseguenza. Le cose che servirono alla commissione del reato possono essere intese, sia pure con qualche diversità di sfumatura, non come qualunque cosa in qualche modo utilizzata per la commissione del reato, bensì soltanto quali mezzi collegati a questa da un nesso strumentale, ovvero mezzi senza i quali l'esecuzione non sarebbe avvenuta (oppure sarebbe avvenuta, ma con altre modalità), con esclusione della rilevanza dei beni impiegati in attività meramente prodromiche e preparatorie rispetto alla fase dell'esecuzione. Quanto al profitto, secondo le sezioni unite, esso consiste nel «vantaggio di natura economica che deriva dall'illecito, quale beneficio aggiunto di tipo patrimoniale, che non deve essere necessariamente conseguito da colui che ha posto in essere l'attività delittuosa», ma deve comunque trovarsi in rapporto di «diretta derivazione causale dall'attività del reo, intesa quale stretta relazione con la condotta illecita» (Cass., Sez. Un., 9 luglio 2004, n. 29951. Anche Cass., Sez. Un., 6 marzo 2008, n. 10280 ha ribadito l'accezione lata del concetto di profitto, comprensiva delle «trasformazioni che il denaro illecitamente conseguito subisca anche per effetto del suo investimento, quando queste siano causalmente collegabili al reato stesso e al profitto immediato conseguito (il denaro) e siano "soggettivamente" attribuibili all'autore del reato che quelle trasformazioni abbia voluto»). Quanto al provvedimento cautelare – il sequestro preventivo – che può precedere l'adozione della definitiva confisca, lo stesso è disciplinato dal comma 2 dell'art. 321 c.p.p. e si ritiene sia figura autonoma rispetto a quella "generale" contemplata dal 1° comma dello stesso art. 321 in quanto tale svincolata anche dai presupposti richiesti da quest'ultimo: il carattere preventivo della figura in esame è infatti "piegato" allo specifico fine di rendere (possibile ed) efficace l'eventuale futura confisca dei beni, con la conseguenza che il giudice non deve accertare la ricorrenza del periculum in mora e, imponendo il solo limite della assoggettabilità a confisca delle "cose", cioè la condizione che si tratti di cose di cui è consentita la confisca a tenore del codice penale o delle leggi speciali. In altri termini, la "cosa" costituente (a seconda delle disposizioni) prodotto, profitto, prezzo del reato o strumento utilizzato o destinato a commetterlo, nonché (nei casi in cui è prevista la confisca di valore) qualunque altro "bene" di valore a questi equivalente, può essere sottratta al soggetto, già in sede di indagini preliminari, sulla base del solo requisito della sua confiscabilità in caso di condanna o sentenza equiparata, e a prescindere da qualunque rapporto di pertinenzialità rispetto al reato. Quanto alla confisca per equivalente, il presupposto per l'operatività della stessa è costituito dall'impossibilità di procedere all'individuazione o all'apprensione dei beni collegati con il reato. Si tratta di fatto dell'ipotesi ablativa di maggiore applicazione, poiché consente di aggredire qualunque bene rientrante nella disponibilità diretta o indiretta del soggetto, anche non direttamente collegato al reato, come invece il prodotto o il profitto, e rispetto al quale non è necessario dare prova di alcun rapporto di derivazione dal reato, non dovendo inoltre il presupposto della impossibilità di individuazione ed apprensione dell'effettivo prodotto o profitto del reato essere oggetto di analitica verifica La confisca non può essere applicata su cose appartenenti a persona estranea al reato. La nozione di "appartenenza" abbraccia senza dubbio la proprietà del bene, mentre è dubbio la riconducibilità di essa al presupposto della titolarità di un diritto reale di godimento e di garanzia e ai diritti di credito. Il concetto di "estraneità al reato" invece non coincide con quello di estraneità al procedimento, ovvero al processo in corso, per cui possono essere appresi beni appartenenti a persona sottoposta a separato procedimento penale; inoltre, non sono ritenuti "estranei al reato" i soggetti che abbiano partecipato a qualunque titolo ad un reato che risulti teleologicamente connesso ex art. 61, n. 2, c.p., ovvero ad un reato unito da un qualunque vincolo di "accessorietà" e "consequenzialità", quale quello che avvince i reati di ricettazione e favoreggiamento rispetto all'illecito penale presupposto, nonché il terzo abbia comunque ricavato vantaggi e utilità dal reato. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione, analogamente a quanto deciso in altre occasioni, dichiara la censura di incostituzionalità manifestamente infondata in più occasioni (Cass., sez. V, 26 maggio 2017, n. 42778, in questo portale, con nota di Santoriello; Cass., sez. VI, 22 maggio 2013, n. 24558; Cass., sez. V, 13 marzo 2012, n. 28486). La ragione di tale conclusione risiede nel fatto che – seppur è vero che l'art. 2641 c.c. consente la confisca per equivalente (come tale, di natura sanzionatoria) dei beni strumentali utilizzati per la consumazione del reato, al di fuori di ogni possibilità di graduazione, di modo che, a fronte della realizzazione di profitti di ammontare anche modesto, è possibile pervenire al sequestro e la confisca di somme ingenti – è altresì vero che l'entità del sequestro è determinata dallo stesso autore dell'illecito, essendo i compendi assoggettati a cautela equivalenti, oltre che alle plusvalenze eventualmente realizzate, anche all'ammontare delle provviste finanziarie impegnate. Tale circostanza consente di escludere l'esistenza di una sproporzione fra la risposta sanzionatoria complessiva - in essa compresa l'apprensione delle somme confiscate non in via diretta ma per equivalente - e la condotta illecita non potendosi ritenere sussistente: infatti, la somma che l'indagato volta a volta utilizza per compiere gli illeciti contestati rappresenta la quantificazione dell'interesse economico sottostante la commissione dei relativi delitti. Tale conclusione non è invalidata, secondo la Cassazione, dalla circostanza che il legislatore ha modificato con l'art. 4 d.lgs. n. 107/2018, l'art. 187-sexies TUF escludendo la possibilità di precedere alla confisca, sia diretta sia per equivalente, dei beni utilizzati per commettere l'illecito amministrativo limitando la misura "al prodotto o al profitto dell'illecito". Infatti, tale riforma ha interessato la risposta sanzionatoria complessiva dei soli illeciti amministrativi, contemplati dal TUF, lasciando invariata quella derivante dalla commissione delle condotte di rilievo penale, non disponendo analoga modifica dell'art. 187 TUF che, quindi, ancor oggi, consente la confisca, diretta e per equivalente, dei beni strumentali alla consumazione dei delitti di insider trading e di aggiotaggio. Non si è creata pertanto quell'unicum, rappresentato dalla sola disciplina prevista dall'art. 2641 c.c., in tema di confisca per equivalente dei beni utilizzati per compiere il reato, che il ricorrente denuncia per argomentare ulteriormente l'illegittimità costituzionale di tale norma.
Conclusioni
La sentenza della Cassazione merita accoglimento anche perché si colloca nel solco di un'altra pronuncia della Suprema Corte (Cass., sez. V, 5 dicembre 2018, n. 54524) che, seppur con riferimento al reato di manipolazione del mercato, ha esaminato il medesimo profilo attinente la previsione che la confisca possa ad avere ad oggetto non solo il profitto del reato ma anche le disponibilità economiche utilizzate per porre in essere l'illecito. In tale decisione, la Corte ha sostenuto che le somme di denaro utilizzate per la commissione di uno degli illeciti previsti dagli artt. 2621 ss. c.c. o dal Testo Unico della Finanza hanno un innegabile rapporto di pertinenzialità con la condotta penalmente rilevante e tale pertinenzialità determina la sottoposizione degli importi utilizzati a confisca obbligatoria (in senso conforme si era già espressa la Cassazione sostenendo che costituiscono "beni utilizzati per commettere il reato", i finanziamenti concessi da un istituto di credito a terzi per l'acquisto di azioni ed obbligazioni dello stesso istituto, finalizzati a rappresentare una realtà economica del patrimonio di vigilanza dell'ente creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”: Cass., sez. V, 26 maggio 2017, n. 42778, cit., in tema di sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi dell'art. 2641 c.c., in relazione al reato di cui all'art. 2638 c.c.). Tale conclusione è imposta dalla considerazione – che giustifica la valutazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della relativa disciplina – che tanto nell'ipotesi di cui al 187 TUF che nel caso di uno degli illeciti di cui agli artt. 2621 c.c. il reato è consumato a prescindere dal risultato dell'operazione finanziaria, che costituisce un post factum e rileva esclusivamente ai fini della determinazione della pena, mentre lo scopo della norma è quello di impedire che operatori finanziari di pochi scrupoli e particolarmente qualificati, possano porre in essere avventure economiche che si traducono in turbative del mercato cui conseguirebbe corrispondente danno all'economia nazionale, risultato conseguibile solo sottraendo loro le risorse economiche relative (nello stesso senso, Cass., sez. V, 13 marzo 2012, n. 28486). In sostanza, nell'ambito di tali illeciti di natura economica e finanziaria, la condotta del soggetto responsabile dimostra come lo stesso utilizzi le proprie disponibilità economiche in maniera criminale e ciò fa sì che “le cose ed i mezzi utilizzati per la commissione dell'illecito” – pur non avendo di per sé una connotazione pericolosa – acquisiscono carattere criminogeno se l'indagato o imputato rimane libero di disporne come meglio crede. In questo senso, dunque, è pienamente condivisibile sostenere che nel caso deciso dalla Cassazione con la decisione in esame (ed in altri analoghi) in quanto l'entità del sequestro è determinata dallo stesso autore dell'illecito, essendo i compendi assoggettati a cautela equivalenti oltre che alle plusvalenze eventualmente realizzate, anche all'ammontare delle provviste finanziarie impegnate. |