Giuseppe Fiengo
10 Giugno 2019

Il fideiussore che garantisce il debito di una società può essere considerato consumatore? In caso affermativo, in presenza di quali presupposti lo status di consumatore può essere riconosciuto al fideiussore?
Massima

Atteso che il contratto di garanzia, pur accessorio rispetto a quello dal quale deriva il debito garantito, è, sotto il profilo delle parti contraenti, un contratto distinto da quello principale, è in capo alle parti del contratto di garanzia (e non del contratto principale) che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito.

Il caso

Tizio, socio al 70% della Alfa s.r.l. (dichiarata fallita nel 2008) e fideiussore in favore della medesima società unitamente a Caio e Sempronio (soci al 15% ciascuno della medesima Alfa s.r.l.) cita in giudizio Banca s.p.a., Caio e Sempronio deducendo l'inesistenza o l'invalidità della fideiussione per mancanza della sottoscrizione della banca ed il venir meno della garanzia ai sensi degli artt. 1953 e 1056 c.c. per non essere stato informato dalla debitrice del peggioramento delle condizioni economiche della società garantita; su tali presupposti Tizio chiede quindi di esser liberato dall'obbligo nei confronti della banca creditrice e, in subordine, di essere manlevato da Caio e Sempronio, amministratori, rispettivamente di fatto e di diritto, della Alfa s.r.l.

Il giudice di primo grado rigetta la domanda e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da Banca s.p.a., condanna l'attore ed i suoi due ex soci al pagamento di euro 68.671,79. La sentenza di primo grado è confermata dalla Corte di Appello di Bologna che, per quanto qui di rilievo, esclude l'applicabilità della disciplina consumeristica essendo la garanzia espressamente ricondotta, nelle premesse dell'atto, agli scopi connessi all'attività imprenditoriale della società contraente ed atteso che il ruolo di professionista del debitore principale attrae la qualifica del fideiussore.

Avverso la sentenza di secondo grado Tizio propone ricorso per cassazione censurando, tra l'altro, la ritenuta non applicabilità nei propri confronti della disciplina consumeristica e la propria mancata considerazione quale consumatore; mancata considerazione impeditiva dell'applicabilità nei propri confronti delle clausole di liberazione della fideiussione espressamente rinunziate attraverso il contratto di finanziamento. Il ricorrente, a sostegno della propria qualificabilità come consumatore, deduce di non aver mai amministrato la società garantita, ma di esserne stato solo socio, di non essersi occupato delle vicende societarie e di avere sottoscritto il contratto per fini esclusivamente privati.

La questione

Il fideiussore che garantisce il debito di una società può essere considerato consumatore? In caso affermativo, in presenza di quali presupposti lo status di consumatore può essere riconosciuto al fideiussore?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nell'affrontare la questione sottopostale, richiama la giurisprudenza della Corte di giustizia secondo la quale il contratto di garanzia, pur considerabile, in relazione al suo oggetto, come accessorio rispetto al contratto principale, è, dal punto di vista delle parti contraenti, un contratto distinto, in quanto stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale; ne discende che la qualità di professionista o consumatore deve essere valutata avendo riguardo alle parti del contratto di garanzia. Peraltro, prosegue la Corte, secondo quanto discende dall'art. 2, lett. b), della direttiva 93/13/CEE, la nozione di consumatore deve essere valutata alla luce di un criterio funzionale consistente nel verificare se il rapporto contrattuale scrutinato sia riconducibile o meno ad attività estranee all'esercizio di una professione. Ne discende, osservano gli ermellini, che il giudice nazionale è tenuto a verificare, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto ed alla luce di tutti gli elementi di prova, se il fideiussore possa essere o meno considerato come consumatore.

Secondo la Corte di cassazione, alla luce della giurisprudenza europea, emergono due parametri che devono essere valutati dal giudice nazionale: la qualità di amministratore della società-debitrice principale e la detenzione di una partecipazione non trascurabile al capitale sociale di tale società.

Alla luce di tali parametri, con riferimento al caso concreto, la Suprema Corte esclude la qualificabilità di Tizio quale consumatore stante la titolarità, da parte dello stesso, del 70% del patrimonio della debitrice principale e l'assenza di prove idonee ad escludere un collegamento tra la fideiussione e lo svolgimento dell'attività professionale o imprenditoriale.

Osservazioni

Come è noto, il legislatore europeo ha, da tempo (da ultimo, De Cristofaro, 177 ss.), prestato grande attenzione alla tutela del consumatore (a ragione considerata come strumento destinato ad assicurare un mercato europeo effettivamente concorrenziale). Una simile tutela trova fondamento nella considerazione per la quale il consumatore che contratta con un imprenditore o un professionista si trova in una situazione di inferiorità rispetto alla controparte sia con riferimento al potere nelle trattative, sia con riferimento al livello di informazione ed è pertanto indotto ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza in alcun modo poter incidere sul contenuto delle stesse (in questo senso, tra le tante, CGUE, 30 maggio 2013, C-488/11, Asbeek Brusse e de Man Garabito; CGUE, 15 gennaio 2015, C-537/13, Šiba).

Proprio al fine di superare una simile situazione di inferiorità il legislatore europeo ha previsto che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato tra un consumatore ed un professionista “non vincolano il consumatore” (art. 6, n. 1, direttiva 93/13/CEE e, quanto all'Italia, art. 36, d. lgs. n. 206/2005). Tale norma è stata espressamente qualificata dalla Corte di Lussemburgo come norma imperativa che, attesa l'inferiorità di una delle parti contrattuali, è tesa a sostituire all'equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l'uguaglianza delle parti stesse (CGUE, 26 ottobre 2006, C-168/05, Mostaza Claro). Peraltro, la stessa Corte di giustizia ha progressivamente ampliato l'ambito della tutela accordata al consumatore, affermando la necessità di un intervento, da parte di un soggetto terzo (il giudice), destinato ad equilibrare anche a livello processuale l'asimmetrico rapporto di forza esistente tra professionista e consumatore (tra le tante, CGUE, 26 ottobre 2006, C-168/05, Mostaza Claro; CGUE, 21 novembre 2002, C-473/00, Cofidis).

Si spiegano così gli arresti giurisprudenziali che hanno affermato il “potere-dovere” per il giudice di rilevare d'ufficio la vessatorietà della clausola contenuta nel contratto concluso dal consumatore (in questo senso, già, CGUE, 4 giugno 2009, C-243/08, Pannon), eventualmente –ed in presenza di determinati presupposti- superando anche il giudicato (da ultimo, CGUE, 26 gennaio 2017, C-421/14, Banco Prumus SA) ed il potere, per il giudice nazionale, di esercitare poteri istruttori d'ufficio (CGUE, 4 giugno 2015, C-497/17, Faber; CGUE, 9 novembre 2010, C-137/08, VB Pénzügyi Lízing Zrt.).

Un simile, assai significativo intervento giudiziale, destinato ad esplicarsi tanto a livello sostanziale, quanto processuale, presuppone tuttavia l'individuazione dei contorni della figura del consumatore. Figura delineata dal legislatore italiano come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3, comma 1, lett. a, d. lgs. n. 206/2005; conforme la nozione accolta a livello europeo –si veda, tra le altre, l'art. 2, lett. b, direttiva 93/13/CEE) e la cui portata, come precisato dalla Corte di giustizia, deve essere apprezzata avendo riguardo ad un “criterio funzionale”, sì da valutare se il rapporto contrattuale rientri o meno nell'ambito di attività estranee all'esercizio della professione (tra le tante, CGUE, 3 settembre 2015, C-110/14; Costea, CGUE, 20 gennaio 2015, C-464/01, Gruber).

Nonostante la meritoria attività chiarificatrice della Corte di giustizia, permangono, peraltro, casi nei quali non immediata è la riconducibilità di un contraente alla categoria del consumatore.

Tanto è a dirsi, tra l'altro, proprio per il caso del fideiussore con riferimento al quale l'applicabilità della disciplina del consumatore è particolarmente importante, atteso che il contratto di garanzia comporta un impegno personale del garante al pagamento del debito contratto da un terzo; impegno che comporta, per chi vi acconsente, obblighi onerosi che hanno l'effetto di gravare il suo patrimonio di un rischio finanziario spesso di difficile misurazione (CGUE, 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitraș; CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Tarcău).

In proposito la stessa Corte di giustizia (con riferimento al caso di una fideiussione prestata, in favore di una banca, da un soggetto figlio dei debitori principali ed estraneo all'attività d'impresa esercitata dai genitori per la quale era stata prestata la garanzia) aveva valorizzato l'accessorietà della fideiussione rispetto al rapporto obbligatorio principale, sì da ricondurre, in astratto, la fideiussione nel campo di applicazione della direttiva 85/577/CEE in materia di contratti negoziati al di fuori dei locali commerciali, pur escludendo –in considerazione, appunto, dell'accessorietà- l'applicabilità della direttiva per il caso di fideiussore che garantisca il rimborso di un debito assunto da un imprenditore o professionista nell'esercizio della propria attività.

Proprio valorizzando il rapporto di accessorietà tra garanzia e rapporto obbligatorio principale, la Corte di cassazione italiana ha, in più occasioni, affermato che la qualità di consumatore deve essere valutata avendo riguardo all'obbligazione garantita (tra le altre, Cass. civ., 9 agosto 2016, n. 16827; Cass. civ., 29 novembre 2011, n. 25212). In tal modo è stata accolta a livello giurisprudenziale la tesi del c.d. “professionista di rimbalzo” che comporta la meccanica trasposizione della posizione del debitore principale (ove “non consumatore”) a quella del terzo garante. Soluzione, questa, che la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto anche con riferimento ad un contratto autonomo di garanzia che, pur privo del rapporto di accessorietà tradizionalmente rinvenuto tra obbligazione garantita e obbligazione di garanzia, è stato ritenuto pur sempre funzionalmente inserito nell'attività dell'impresa garantita e, quindi, non considerabile quale contratto di consumo (Cass. civ., 5 dicembre 2016, n. 24846).

Il richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità comportava una significativa compressione dell'applicazione della disciplina consumeristica per il garante (risultando tale disciplina, nella sostanza, applicabile al solo caso di garante-persona fisica consumatore che avesse garantito l'adempimento del debito principale assunto da altro consumatore) e, soprattutto, risultava non conforme al carattere oggettivo della nozione di consumatore ed al criterio funzionale in base al quale deve essere apprezzata la riconducibilità del singolo contratto alla disciplina a tutela del consumatore.

Sulla base di un simile criterio funzionale la Corte di giustizia ha affermato l'astratta riconducibilità della fideiussione prestata a garanzia del debito principale di una società commerciale alla disciplina consumeristica. La stessa Corte, nel rispetto di quell'approccio collaborativo che caratterizza il proprio operato (Cortese, 47 ss.), ha peraltro rimesso al giudice nazionale il compito di verificare se, nel prestare la fideiussione, il garante abbia agito nell'esercizio della propria attività professionale o sulla base di collegamenti funzionali che lo legano a tale società, “quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale” o se abbia agito per scopi di natura privata (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Tarcău; in termini, CGUE, 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitraș).

A tale indirizzo si è conformata anche la Corte di cassazione con la sentenza che si annota; conformazione che, per la verità, deve ritenersi obbligata, atteso che, come in più occasioni osservato dalla stessa giurisprudenza di legittimità (tra le tante, Cass. civ., 8 febbraio 2016, n. 2468; Cass. civ., 9 febbraio 2012, n. 1917), le pronunzie della Corte di giustizia costituiscono fonte di diritto oggettivo.

Una precisazione deve peraltro essere svolta. Secondo la sentenza che qui si annota, la verifica della qualificabilità del fideiussore quale consumatore deve essere svolta avendo riguardo a “tutte le circostanze della fattispecie” e a “tutti gli elementi di prova” acquisiti. Ebbene, alla luce della giurisprudenza sovranazionale sopra citata, deve affermarsi il dovere, per il giudice, di esercitare (nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività che costituiscono corollario del principio di autonomia procedurale degli Stati membri) poteri istruttori officiosi tesi ad acquisire elementi utili alla valutazione che lo stesso è chiamato a compiere.

Infine, è verosimile ritenere che, ormai superata la teoria del professionista da rimbalzo, l'attenzione della giurisprudenza si concentrerà sugli indici in presenza dei quali, effettivamente, il garante possa essere considerato consumatore. Non semplice si prospetta, in particolare, l'indagine relativa alla partecipazione “non trascurabile” al capitale della società-debitrice principale; indagine che è auspicabile sia svolta alla luce di quell'approccio funzionale costantemente affermato dalla Corte di giustizia.

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