L'omessa acquisizione del consenso informato del paziente quale autonoma fonte di responsabilità del medico e della struttura ospedaliera

Raffaella Caminiti
17 Giugno 2019

Il passaggio in giudicato della sentenza di rigetto della domanda risarcitoria per colpa medica preclude la proposizione di una successiva azione relativa al mancato consenso informato?
Massima

Il diritto alla salute è del tutto distinto dal diritto all'autodeterminazione e la questione relativa al consenso informato non costituisce affatto un «antecedente logico necessario» rispetto alla questione concernente la corretta esecuzione dell'intervento chirurgico.

Il caso

Dalla consulenza tecnica, espletata nel corso di un giudizio per responsabilità medica, era emerso che il consenso informato non era stato adeguatamente raccolto riguardo a una complicanza operatoria poi verificatasi. La paziente, che aveva dedotto originariamente solo la colpa professionale, in sede di precisazione delle conclusioni introduceva l'ulteriore profilo di responsabilità per inadempimento dell'obbligo informativo. La domanda risarcitoria era respinta per insussistenza di colpa medica e, pur dichiarandone la tardività, in sentenza si alludeva alla fondatezza nel merito della domanda concernente il mancato consenso informato.

La donna, una volta passata in giudicato la pronuncia, promuoveva un nuovo giudizio nei confronti della struttura sanitaria e del medico per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale da violazione del consenso informato, deducendo la mancanza di un'adeguata informazione e allegando che, se correttamente informata dei rischi, avrebbe certamente rifiutato di sottoporsi all'operazione.

La domanda era rigettata poiché improcedibile, essendo ritenuta preclusa la possibilità per la paziente di esperire una nuova azione per il risarcimento di altri danni derivanti dal medesimo illecito, su cui si era già pronunciata la sentenza passata in giudicato, anche se in relazione a voci nuove e diverse da quelle esposte nel precedente giudizio.

La Corte d'appello, adita dalla paziente, rigettava il gravame, confermando la sentenza impugnata.

La donna proponeva allora ricorso per cassazione, sostenendo che il danno da omesso consenso informato non possa considerarsi conseguente all'esecuzione dell'intervento chirurgico e che gli elementi costitutivi della causa petendi della relativa azione risarcitoria siano oggettivamente diversi da quelli posti a fondamento dell'azione per colpa medica. Poiché nessun giudice di merito aveva svolto alcun accertamento sugli elementi costituitivi della domanda risarcitoria da omesso consenso informato, il giudicato sostanziale non poteva estendersi a questa domanda.

La questione

Il passaggio in giudicato della sentenza di rigetto della domanda risarcitoria per colpa medica preclude la proposizione di una successiva azione relativa al mancato consenso informato?

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour accolgono il ricorso, cassano la sentenza impugnata e rinviano alla Corte d'appello in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame della domanda attorea alla luce dei principi richiamati nell'ordinanza.

La Cassazione, sulla scia del proprio consolidato orientamento, enuclea i principi fondamentali in tema di consenso informato ai trattamenti sanitari.

Anzitutto, la responsabilità del medico e della struttura ospedaliera per omessa acquisizione del consenso del paziente deriva dall'inadempimento dell'obbligo informativo sulle prevedibili conseguenze del trattamento diagnostico-terapeutico e dal successivo verificarsi, a causa della sua effettuazione, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, essendo indifferente, per la sussistenza dell'illecito, la correttezza o meno della prestazione sanitaria, che rileva invece sotto un profilo diverso, riconducibile direttamente all'esecuzione del trattamento medesimo (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444; conformi, Trib. Milano, sez. V, 9 agosto 2006, n. 8396; Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748; Trib. Bari, sez. III, 25 marzo 2008, n. 769; Trib. Milano, sez. V, 23 febbraio 2009, n. 2423; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984).

In altri termini, non assume alcun rilievo che il peggioramento della salute del paziente sia dovuta a un'esecuzione del trattamento corretta o scorretta dal punto di vista tecnico, poiché l'ingiustizia del fatto sussiste per la semplice ragione che egli, a causa del deficit informativo, non è stato messo in condizione di assentire a tale trattamento, con volontà consapevole delle sue implicazioni, di talché si configura una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2011, n. 16543; conformi, Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984 cit.; Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2013, n. 2253; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2013, n. 19220; Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2013, n.27751; Trib. Bari, sez. II, 23/04/2014, n. 2040; Trib. L'Aquila, 23 ottobre 2014, n. 853; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2019, n. 10423 ).

A seguire è richiamato il principio secondo cui, allorché la sentenza di primo grado abbia accertato la responsabilità del sanitario sia per l'inesatta esecuzione del trattamento, sia per la mancata acquisizione, previamente, del consenso informato, l'omessa impugnazione della statuizione relativa all'accertata violazione del diritto all'autodeterminazione del paziente comporta il suo passaggio in giudicato, stante l'autonomo rilievo che nel rapporto contrattuale assume l'inadempimento dell'obbligo informativo, prescindendo – come si è detto – dalla circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno, oppure dalla prova che il danneggiato avrebbe rifiutato l'intervento laddove preventivamente e adeguatamente informato (Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2015, n. 14642; Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2018, n. 9056; v. anche: Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847; Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950; Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2013, n. 25764; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2854).

Il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto, si configura quale vero e proprio diritto della persona (tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, n. 11749; Trib. Milano, sez. I, 28/01/2019, n. 847 ).

Una prestazione medica, senza previa acquisizione di un valido consenso, è eseguita in violazione dei diritti tutelati dagli artt. 13 e 32, comma 2, Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, l'inviolabilità della libertà personale (anche quella di salvaguardia della propria salute e integrità fisica) e che nessuno possa essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, nonché dell'art. 33 l. n. 833/78 , istitutiva del servizio sanitario nazionale, che esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p. ). Sul punto, tra le tante, Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444 cit.; Trib. Milano, sez. V, 10 novembre 2008, n. 13192; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015, n.2854 cit.; App. Napoli sez. VII, 15 febbraio 2018, n. 760.

Per gli Ermellini la Corte territoriale non ha applicato correttamente i principi richiamati, senza considerare che il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, ovvero non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (tra i numerosi arresti, Cass. civ., sez. lav., 16 agosto 2012, n. 14535; Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 2016, n. 3488; Cass. civ., sez. lav., 30 ottobre 2017, n. 25745).

Dopo aver richiamato i propri precedenti, il collegio giunge alla conclusione che la Corte d'appello abbia errato nell'affermare una preclusione ex judicato, ovvero che la domanda relativa al mancato consenso informato fosse coperta dal giudicato intervenuto nell'azione giudiziale per colpa professionale, poiché il diritto alla salute è diritto del tutto distinto da quello all'autodeterminazione e, peraltro, la questione relativa al consenso informato non costituisce affatto un «antecedente logico necessario» rispetto a quella concernente la corretta esecuzione dell'intervento chirurgico.

Dal momento che i fatti costitutivi della domanda risarcitoria per lesione del diritto alla salute e all'autodeterminazione sono diversi, la domanda «nuova», relativa ad uno di essi, non può comunque essere coperta dal giudicato formatosi sull'altra.

A maggior ragione nella fattispecie – proseguono le motivazioni – ove la domanda risarcitoria per lesione del diritto al consenso informato è stata dichiarata inammissibile nel giudizio riguardante la corretta esecuzione dell'intervento e, nella sentenza impugnata, è stata ritenuta implicitamente coperta dal giudicato formatosi sulla diversa domanda ritualmente introdotta nel precedente giudizio.

L'ordinanza richiama, infine, la sentenza delle Sezioni Unite del 15 giugno 2015, n. 12310) che, pur ampliando i confini della modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c. , hanno escluso che una domanda «nuova» possa aggiungersi e cumularsi con quella originaria (ciò che, nella fattispecie sarebbe avvenuto se il giudice, originariamente investito della causa per colpa professionale, avesse esaminato nel merito la domanda risarcitoria per violazione del consenso informato), così come la sussistenza di preclusioni alla proposizione di una domanda «nuova» in un successivo giudizio.

Osservazioni

L'orientamento espresso nell'ordinanza in commento si iscrive in un filone giurisprudenziale di legittimità ampiamente consolidato.

L'acquisizione del consenso informato del paziente costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto il trattamento diagnostico o terapeutico, ed è dunque autonoma fonte di responsabilità per medico e struttura ospedaliera.

Al diritto al consenso informato, che costituisce legittimazione e fondamento della prestazione sanitaria, fa da contraltare l'obbligo di fornire al paziente informazioni ragionevolmente esaurienti su natura, portata ed estensione del trattamento cui sarà sottoposto, delle possibili alternative terapeutiche, dei risultati realisticamente conseguibili e delle implicazioni verificabili, ovvero dei possibili benefici ad esso connessi e dei rischi prevedibili per la sua salute, così da porre il paziente in condizione di valutare l'opportunità di sottoporsi al trattamento medesimo e, dunque, di consentire consapevolmente alla sua effettuazione (Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2018, n. 9056 cit.; Trib. Cosenza, sez. II, 25 febbraio 2019, n. 393, Trib. Napoli, sez. II, 24 settembre 2018, n. 8156).

La mancanza di idonea ed esaustiva informazione rileva in ordine all'astratta risarcibilità di un danno alla salute e all'autodeterminazione del paziente, ma le due prospettive risarcitorie rispondono a diversi fondamenti logico-giuridici, che si riflettono anche sul riparto degli oneri probatori (Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2018, n.16336).

Perché sia risarcibile il danno da lesione della salute il paziente deve dimostrare - anche tramite presunzioni e massime di comune esperienza - che, ove adeguatamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento terapeutico (Cass. civ. , sez. III, 23 marzo 2018, n. 7248; Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 2018, n. 31234; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2018, n. 19199), non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo informativo alcuna rilevanza causale sul danno alla salute (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2369).

Se viene lamentata la lesione diritto del paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole, la correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell'illecito (Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2018, n. 16324).

Affinché possa essere risarcito il danno derivante dalla violazione del diritto all'autodeterminazione in sè considerato, è necessario per il paziente dar prova che il pregiudizio abbia varcato la soglia della gravità dell'offesa e, dunque, che il relativo diritto sia stato inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale, non essendo predicabile un danno in re ipsa (Cass. civ., sez. III, 22 agosto 2018, n.20885; Cass. civ. sez. III, 21 giugno 2018, n.16336 cit.; v., inoltre, Cass. civ., sez. III, 4 maggio 2018, n. 10608, sulla possibilità che la prova del danno si poggi anche su presunzioni fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell'operazione; per contro, Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, n. 11749 cit., secondo cui una prova specifica non è necessaria ai fini dell'autonoma risarcibilità del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione).

Guida all'approfondimento

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Redazione Scientifica, Responsabilità del medico, e della struttura sanitaria, per violazione dell'obbligo di ottenere il consenso informato, Ridare.it, 14 Dicembre 2017

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