Oltraggio a Pubblico Ufficiale e diffamazione aggravata dall’utilizzo di un Social Network

Ilenia Alagna
29 Luglio 2019

Dare del maleducato e dell'ignorante all'ufficiale dell'Anagrafe integra gli estremi della fattispecie penale dell'oltraggio a Pubblico Ufficiale? Cosa succede se l'offesa viene pubblicata sui Social Network?
Massima

La condotta di un soggetto che si rivolge all'Ufficiale dell'Anagrafe con epiteti offensivi, quali “maleducato” ed “ignorante”, integra gli estremi dell'oltraggio a pubblico ufficiale, poiché il responsabile dell'ufficio anagrafe, nell'esercizio delle proprie funzioni, riveste la qualifica di pubblico ufficiale. Il soggetto risponde altresì di diffamazione aggravata, poiché la diffusione del messaggio diffamatorio è avvenuta mediante Facebook, capace di raggiungere un numero indeterminato o quantitativamente apprezzabile di soggetti.

Il caso

Un uomo di 27 anni si era presentato in Comune per ottenere la carta di identità che aveva smarrito in Spagna. L'interessato presentando la denuncia di smarrimento, effettuata presso l'autorità spagnola, veniva invitato a recarsi presso l'autorità locale di polizia giudiziaria per riproporre la denuncia non potendo accettare il documento estero. Il cittadino, infastidito, inveiva contro il funzionario comunale, alla presenza di un certo numero di soggetti in attesa, il quale fu costretto ad allontanarlo dall'ufficio. Subito dopo l'interessato si presentava in Comune con la denuncia resa alla locale stazione dei carabinieri ed otteneva, nell'immediato, la nuova carta di identità.

Successivamente l'uomo si sfogava su Facebook, ove pubblicava un post offensivo, nei confronti del responsabile dell'anagrafe comunale, sulla pagina dello stesso Comune, definendolo “maleducato e ignorante”. In particolare utilizzava la seguente nomea: «una persona maleducata che non conosce molto bene le procedure» e «veramente ignorante sia nei modi sia nelle parole. Se assumete personale così meglio chiudere».

Il Responsabile dell'Anagrafe presentava, quindi, denuncia per diffamazione nei confronti del ventisettenne, il quale è stato condannato a risarcire 5 mila euro di danni.

La questione

Dare del maleducato e dell'ignorante all'ufficiale dell'Anagrafe integra gli estremi della fattispecie penale dell'oltraggio a Pubblico Ufficiale? Cosa succede se l'offesa viene pubblicata sui Social Network?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Pavia, con la sentenza n. 468 del 14 marzo 2019, ha stabilito che la condotta dell'uomo integra gli estremi dell'oltraggio a pubblico ufficiale e della diffamazione aggravata, meritevole del risarcimento del danno quantificato in 5.000.00 euro.

L'epiteto «maleducato» ha, infatti, un'oggettiva portata offensiva e il responsabile dell'ufficio anagrafe, nell'esercizio delle proprie funzioni, riveste la qualifica di pubblico ufficiale.

Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale concerne l'offesa proferita “in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone”, all'onore e al prestigio di un pubblico ufficiale “mentre compie un atto d'ufficio e a causa o nell'esercizio delle sue funzioni”. La fattispecie incriminatrice è contenuta nell'art. 341-bis c.p. La norma delinea una figura di illecito caratterizzata da “un mutato ambito oggettivo, per l'inserimento nella fattispecie di presupposti fattuali qualificanti la condotta ed indicativi del fatto che ciò che viene riprovato dall'ordinamento non è la mera lesione in sé dell'onore e della reputazione del pubblico ufficiale, quanto la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell'azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell'atto dell'ufficio ed a causa o nell'esercizio della funzione pubblica” (Cass. pen., n. 15367/2014).

Il bene giuridico tutelato dal reato è il regolare svolgimento dei compiti assegnati al pubblico ufficiale e ciò giustifica la reintroduzione di un'autonoma fattispecie più grave rispetto al reato di ingiuria. Le offese arrecate ai pubblici soggetti, infatti, nell'esercizio o a causa della loro funzione, si traducono in offese arrecate alla Pubblica Amministrazione, per cui alla stessa stregua dell'art. 341 c.p. il bene giuridico protetto è la salvaguardia, attraverso la tutela dell'onore e del decoro della persona che agisce quale organo dell'amministrazione in quanto investita di funzioni pubbliche, della stessa P.A., dalle offese al prestigio e all'onore rese ancora più gravi dalla potenziale maggiore diffusione poiché realizzate in presenza di più persone in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale prevede, inoltre, che la condotta per rivelarsi lesiva debba essere cumulativa sia dell'onore che del prestigio del pubblico ufficiale nell'esercizio o a causa delle funzioni dallo stesso svolte, con la conseguenza che non saranno punibili le mere lesioni “in sé dell'onore e della reputazione del pubblico ufficiale” ma soltanto “la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell'azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell'atto dell'ufficio ed a causa o nell'esercizio della funzione pubblica" Cass. pen., n. 15367/2014).

La figura di reato disciplinata dall'art. 341-bis c.p. è caratterizzata sotto il profilo della condotta materiale da un'azione consistente nell'offesa dell'onore e della reputazione del soggetto passivo, quale il pubblico ufficiale, che deve essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico. Pertanto, non risulta penalmente sanzionata né l'offesa formulata in un luogo privato, né quella non percepita o comunque oggettivamente percepibile da almeno due persone. Ulteriore elemento costitutivo del reato è il nesso funzionale tra l'offesa e la funzione: il delitto è configurabile a condizione che l'offesa sia arrecata al pubblico ufficiale a causa o nell'esercizio delle sue funzioni e mentre compie un atto d'ufficio, restringendo così ulteriormente l'ambito di applicazione della norma. È sufficiente, infatti, che l'agente abbia la consapevolezza della qualità di pubblico ufficiale del soggetto passivo e del fatto che questo stesse compiendo un atto del suo ufficio, senza che sia necessaria una consapevolezza “giuridica” del suo status risultando bastevole che il reo sia consapevole, alla stregua dell'uomo medio, di essere entrato in contatto con un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni.

In riferimento alla decisione in esame, i giudici hanno considerato rilevanti, da un lato le testimonianze delle persone presenti alla discussione, dall'altro il post dell'uomo sulla pagina Facebook del Comune, che recitava: «persona maleducata che non conosce molto bene le procedure» e «veramente ignorante sia nei modi sia nelle parole…se assumete personale così meglio chiudere», la quale allude all'incompetenza professionale traducendosi in «un pesante attacco personale che colpisce la sfera professionale e privata» della vittima.

Secondo i giudici non è valso all'esclusione del risarcimento del danno la circostanza che l'uomo non avesse indicato su Facebook il nome del responsabile dell'ufficio anagrafe, posto che era ampiamente riconoscibile dal contesto della frase, senza che si dovesse far ricorso a «intuizioni o congetture».

Mentre in passato per ottenere il risarcimento del danno da diffamazione (la quale si perfeziona quando un soggetto comunicando con più persone, offende la reputazione di un altrui soggetto determinato o determinabile agevolmente) era necessario specificare le generalità della vittima o, riportare elementi sufficienti tali da consentire agli altri di individuarla, con una recente sentenza (n. 25420 del 26 ottobre 2017)la Corte di Cassazione ha affermato che in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato. L'individuazione della vittima deve avvenire, in assenza di una esplicita indicazione nominativa, attraverso gli elementi della fattispecie concreta (quali le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva diverse da quella della cui illiceità si tratta, se la situazione di fatto sia tale da consentire al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia è riferita.

Nel caso esaminato, sebbene l'imputato non avesse riportato su Facebook il nome del funzionario dell'anagrafe, quest'ultimo era desumibile dal contesto, dalla bacheca del Social Network dedicata proprio al Comune in cui il soggetto passivo lavorava nonché dal ruolo ricoperto da parte del funzionario.

In linea con quanto affermato da precedenti provvedimenti in tema di diffamazione tramite l'utilizzo di Social Network, i giudici del Tribunale di Pavia affermano che: la diffamazione a mezzo social network tramite messaggi pubblicati sulla “bacheca” di un iscritto è ben visibile e può diventare incontrollabile, pertanto l'autore dell'illecito è obbligato a risarcire il danno morale causato alla vittima.

L'utilizzo di “Facebook” integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 c.p. comma 3, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato di soggetti; l'aggravante dell'uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell'idoneità del mezzo utilizzato di coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa.

La sentenza de qua ha richiamato l'orientamento della Corte di Cassazione del 2004, in tema di diffamazione mediante lo strumento del Social network, secondo cui “la condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza, da un lato, la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo realizzato, a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica”; dall'altro lato, l'utilizzo di Facebook integra una delle modalità mediante le quali gruppi di soggetti raccontano le proprie esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per lo strumento utilizzato, si estende ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione.

A tal fine per i giudici rileva la considerazione dell'incremento della potenzialità lesiva delle aggressioni alla reputazione qualora queste siano veicolate attraverso i mezzi di comunicazione di massa, stampa, radiotelevisione, Internet nell'esercizio dei diritti di cronaca, critica e satira. Difatti se l'offesa è arrecata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità la pena è aggravata poiché il soggetto attivo del reato si avvale di uno strumento in grado di raggiungere un numero indeterminato di persone.

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