Omesso consenso informato: va risarcita anche la moglie del paziente rimasto impotente

07 Agosto 2019

Spetta anche alla moglie il risarcimento del danno nel caso in cui il marito sia rimasto impotente a seguito di un intervento chirurgico dei cui rischi non era stato informato?
Massima

In tema di omessa acquisizione del consenso medico informato, qualora risulti accertato, con riferimento alla sottoposizione di uno tra due coniugi ad intervento chirurgico, un peggioramento della salute inerente la sfera sessuale, rientrante nel rischio dell'intervento, sebbene non imputabile a cattiva esecuzione dello stesso, l'altro coniuge che risenta in via immediata o riflessa del danno, in quanto incidente sulla sfera relazionale e sulla vita di coppia, ha diritto al risarcimento del danno che sia conseguenza della condotta di violazione della regola del consenso informato in danno del paziente.

Il caso

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26728/2018, è stata chiamata ad intervenire dopo che il Tribunale di Pisa e la Corte d'Appello di Firenze avevano rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dal Sig. A.B. e quella avanzata dalla moglie di quest'ultimo, Sig.ra M.G..

Il predetto Sig. A.B. aveva convenuto in giudizio l'andrologo C.B.F. e l'urologo G.M., nonché l'Università degli Studi di Pisa e l'Azienda Ospedaliera Pisana, a seguito di un intervento di fallo-plastica additiva, cui avevano preso parte i predetti professionisti e che aveva comportato un pregiudizio all'integrità fisica valutato nella misura del 25% di danno biologico permanente, in considerazione della definitiva “impotentia coeundi”, senza che il Sig. A.B. avesse mai prestato il proprio consenso informato in relazione ai rischi di un simile intervento.

La domanda avanzata dalla Sig.ra M.G., moglie dell'attore, intervenuta nel giudizio di primo grado, consisteva nella richiesta di risarcimento per il danno derivato alla propria sfera sessuale in qualità di coniuge, oltre al danno morale derivato, come effetto riflesso, dal fatto illecito del terzo responsabile.

Il Tribunale di Pisa, come anticipato, accertava la responsabilità contrattuale dell'Azienda Ospedaliera e dell'urologo G.M. solo con riferimento all'omesso consenso informato e li condannava in solido a risarcire al solo attore i danni non già derivatigli a seguito dell'intervento, eseguito secondo le tecniche dell'arte, bensì collegati alla mancata acquisizione del consenso informato; rigettava la domanda dell'attore nei confronti dell'andrologo C.B.F. e dell'Università degli Studi di Pisa. Rigettava altresì la domanda proposta dalla moglie del Sig. A.B.

La Corte d'Appello di Firenze rigettava l'appello proposto dagli attori.

La questione

Spetta anche alla moglie il risarcimento del danno nel caso in cui il marito sia rimasto impotente a seguito di un intervento chirurgico dei cui rischi non era stato informato?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Pisa aveva rigettato la domanda proposta dalla moglie del danneggiato, intervenuta volontariamente, stante la ratio della responsabilità da omesso consenso informato, coinvolgente, ad avviso del Giudice di prime cure, diritti esclusivamente personali afferenti al coniuge che si è sottoposto all'intervento chirurgico.

La Corte d'Appello aveva totalmente omesso di pronunciarsi in relazione al motivo proposto sul punto dai ricorrenti.

La Corte di Cassazione censura la sentenza di secondo grado proprio con riguardo a tale omissione ed, enunciando un nuovo principio di diritto, afferma che la mancata informazione del paziente circa il rischio, poi verificatosi, che l'intervento, pur eseguito correttamente, provochi un pregiudizio incidente sulla sfera sessuale di un individuo, ha effetto non indirettamente, bensì “in via immediata e riflessa” sul coniuge che, pertanto, deve essere risarcito. Quest'ultimo risulta infatti privato, al pari del paziente, di un aspetto fondamentale del rapporto di coppia e della vita di relazione, peraltro connesso ai diritti e agli obblighi di cui all'art. 143 comma 2 c.c. (ndr: la Corte, erroneamente, cita l'art. 142 c.c.).

La Suprema Corte, pertanto, rinvia alla Corte d'Appello affinché quest'ultima si pronunci sulla domanda della moglie del danneggiato alla luce del nuovo principio di diritto.

Nella sentenza in commento, la Corte richiama il precedente costituito da Cass. civ., sez. I, sent., 10 maggio 2005, n. 9801, relativo al caso di una donna che, soltanto dopo aver contratto matrimonio, era venuta a conoscenza della incapacità “coeundi” del marito, determinata da una malformazione di cui l'uomo era pienamente consapevole.

La Corte aveva ritenuto che, laddove informata, la ricorrente avrebbe rifiutato il matrimonio ed aveva riconosciuto che era stato leso il suo diritto alla sessualità, inteso come diritto fondamentale della persona, con violazione, da parte del marito, dell'obbligo di lealtà.

Va rilevato che più di recente, la Corte, con la sentenza 2369/2018, è intervenuta sul danno da violazione del consenso informato, affermando che il paziente debba essere risarcito qualora risulti che lo stesso, se correttamente informato dei possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili di un intervento chirurgico, avrebbe rifiutato di sottoporvisi ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo all'operazione con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze e sofferenze.

Osservazioni

La Suprema Corte enuncia un nuovo principio di diritto in relazione al peculiare caso della sussistenza di un danno risarcibile in capo al coniuge di un paziente privato della capacità “coeundi” a causa di un intervento chirurgico correttamente eseguito ma dei cui rischi non era stato compiutamente informato.

In precedenza, la Corte aveva già affrontato il tema del danno da violazione del consenso informato, ma in relazione alla posizione del solo paziente. Tale danno era stato ritenuto risarcibile in via autonoma rispetto al danno alla salute. In particolare, la Cassazione aveva valorizzato il diritto all'autodeterminazione del paziente stesso, che deve essere informato di tutti i rischi, in modo tale da poter decidere di rifiutare l'intervento o di sottoporvisi con la possibilità però, in tal caso, laddove il rischio si realizzi, di affrontarne le conseguenze e le relative sofferenze con consapevolezza, maggiore serenità e migliore predisposizione d'animo (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2369).

Nella sentenza 9801/2005, citata nella pronuncia in commento, la Suprema Corte, trattando una fattispecie molto diversa, estranea all'ambito della responsabilità sanitaria, aveva dato rilevanza al pregiudizio alla vita sessuale determinato da un'assenza di informazione e quindi di consapevolezza proprio in relazione ad un caso di “impotentia coeundi” (assenza di informazione causata, qui, da un comportamento del futuro marito della donna, che le aveva taciuto la propria malformazione).

Dalla combinazione dei principi sanciti da questi due precedenti non può che derivare che quanto stabilito con riguardo alla posizione del paziente debba essere applicato anche al coniuge, la cui vita sessuale venga di riflesso, ma immediatamente e direttamente, compromessa e che sia stato privato, al pari del partner, di un'informazione relativa a possibili conseguenze incidenti su un aspetto fondamentale della vita sessuale e relazionale di coppia. Sia perché il danno è lo stesso – per l'appunto, la compromissione della vita sessuale di coppia – sia perché analogo è anche il fondamento del risarcimento: la violazione del diritto all'autodeterminazione. Se, infatti, i coniugi avessero conosciuto i rischi connessi all'operazione, con ogni probabilità avrebbero congiuntamente deciso di rifiutarlo o – entrambi – sarebbero stati più preparati ad affrontarne le conseguenze nel caso in cui si fossero determinati ad effettuare comunque l'intervento.

Ci si può chiedere su quali norme si fondi il nuovo principio di diritto enunciato nella pronuncia in commento e quale natura abbia, quindi, il diritto risarcitorio riconosciuto in capo alla moglie del danneggiato. Quello patito da quest'ultima costituisce senz'altro un danno non patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 c.c., norma che deve certamente applicarsi in un caso, come quello in esame, nel quale sia stato violato un diritto fondamentale della persona (il diritto alla sessualità), in quanto tale costituzionalmente garantito e tutelato: vengono in rilievo, in particolare, i diritti inviolabili dell'individuo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, tra le quali rientra la coppia (art. 2 Cost.), il diritto alla salute, nel suo significato più ampio (art. 32 Cost.) e i diritti della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.).

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