Inadempimento dell'obbligo informativo e violazione del diritto all'autodeterminazione: un ritorno al danno in re ipsa?

Raffaella Caminiti
21 Agosto 2019

L'omessa o insufficiente informazione preventiva sul trattamento sanitario da eseguire e sui rischi ad esso connessi comporta, di per sé, la risarcibilità di un danno da violazione del diritto all'autodeterminazione del paziente?
Massima

La risarcibilità del danno da violazione del diritto all'autodeterminazione, in relazione al danno-conseguenza costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso, non esige una specifica prova, ma sussiste in ragione della sola accertata violazione dell'obbligo informativo.

Il caso

Un uomo conveniva in giudizio l'Azienda socio-sanitaria territoriale di cui fa parte l'ospedale ove era stato sottoposto a intervento di cardiochirurgia valvolare, senza ricevere adeguata informazione sul rischio embolico. A causa della complicanza verificatasi, l'attore presentava un quadro di emiparesi, ascritto causalmente all'atto medico-chirurgico, con importanti ripercussioni sulla sua vita personale e professionale. Chiedeva, dunque, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti, compresi quelli derivanti dalla violazione del diritto al consenso informato.

Costituitasi in giudizio l'Azienda contestava le avverse domande e ne chiedeva il rigetto, per essere stato il paziente sottoposto a un corretto iter clinico e per essergli stata fornita una completa informazione ai fini della prestazione del consenso informato; in ogni caso, contestava il quantum risarcitorio.

La questione

L'omessa o insufficiente informazione preventiva sul trattamento sanitario da eseguire e sui rischi ad esso connessi comporta, di per sé, la risarcibilità di un danno da violazione del diritto all'autodeterminazione del paziente?

Le soluzioni giuridiche

Il Giudice ha condannato l'Azienda convenuta a corrispondere all'attore l'importo di euro 10.000,00, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla violazione degli obblighi inerenti al consenso informato del paziente, rigettando le domande risarcitorie aventi ad oggetto le altre voci di danno.

Richiamati preliminarmente i principi informatori in materia di responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, recependo le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, il giudice rileva che il paziente era stato colto da ictus cerebrale connesso causalmente all'operazione, di carattere routinario, per effetto di embolia gassosa.

Esclusi l'inadeguatezza della scelta terapeutica ed errori nella fase preoperatoria, è stata accertata la configurabilità di una complicanza incolpevole della procedura cardiochirurgica cui è stato sottoposto il paziente, con conseguente reiezione sul punto della domanda attorea.

Per quanto qui maggiormente rileva, con riferimento alla dedotta mancata informazione sul rischio embolico, derivante da un consenso all'atto medico-chirurgico inadeguato, il giudice ha ritenuto inidonea a provare l'assolvimento del relativo obbligo l'allegazione della convenuta, secondo cui al paziente erano state fornite oralmente informazioni in aggiunta a quelle contenute nel modulo prodotto in giudizio (estremamente generico), mentre l'opuscolo informativo risultava postumo rispetto all'epoca dell'intervento.

Neppure la professione del paziente (medico ginecologo) - si osserva nella sentenza - rendeva «superflua l'informazione accurata e completa sull'intervento e sulle sue possibili complicazioni», tenuto conto della diversa specializzazione sanitaria dell'attore, che non può far presumere, salvo prova contraria, la conoscenza da parte sua delle peculiarità di un intervento cardiochirurgico.

Premesso che «il dovere di informazione e l'obbligo principale di prestazione sono volti alla tutela di beni giuridici diversi, poiché diverse sono le lesioni che rispettivamente derivano dall'uno e dall'altro», la sentenza evoca la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la manifestazione del consenso informato alla prestazione sanitaria costituisce esercizio di un diritto soggettivo del paziente all'autodeterminazione, che - sebbene connesso - va tenuto nettamente distinto, sul piano del contenuto sostanziale, dal diritto alla salute (Cass. civ. sez. III, 13 ottobre 2017, n.24074).

Per la risarcibilità di quest'ultimo danno il paziente deve allegare e dimostrare che - laddove adeguatamente informato - avrebbe rifiutato quel determinato intervento, anche se tecnicamente corretto.

Esclusa la prova, nella fattispecie, di un nesso di causalità tra l'inadempimento dell'obbligo informativo e il danno alla salute, nel valutare la risarcibilità del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione in sè considerato, il giudice richiama l'ordinanza della Corte di cassazione secondo cui il danno-evento è rappresentato dalla stessa esecuzione dell'intervento senza la previa acquisizione del consenso del paziente, mentre il danno-conseguenza è costituito dall'effetto pregiudizievole che detta omissione ha determinato sulla sfera personale di quest'ultimo (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, n. 11749).

Rileva questa ordinanza che, tra le conseguenze pregiudizievoli, quella rappresentata «dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, patite dal paziente in ragione dello svolgimento dell'intervento medico sulla sua persona, durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza», si risolve in una sequenza causale normale secondo l'«id quod plerumque accidit» e non necessita di una specifica prova, salva la possibilità di contestazione della controparte e di allegazione e dimostrazione, da parte del paziente, di fatti a sé ancora più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori (Cass. civ., 5 luglio 2017, n. 16503).

Il paziente perde, difatti, la possibilità di esercitare consapevolmente una serie di scelte tra cui quella di non sottoporsi al trattamento sanitario o quella di non sottoporvisi immediatamente o, ancora, quella di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura per la sua effettuazione.

Oltre a privare il paziente della libertà di «autodeterminarsi circa la sua persona fisica», la perduta possibilità di esercitare queste opzioni determina una sofferenza psichica connessa a tale privazione, poiché gli è stato precluso di «beneficiare dell'apporto positivo che la loro fruizione avrebbe avuto sul grado di predisposizione psichica a subire l'intervento e le sue conseguenze», e ,al contempo, «proietta ex post il paziente stesso nella situazione di turbamento psichico derivante dalla constatazione degli effetti negativi dell'intervento eseguito senza il suo consenso informato, allorchè egli si domanda se non fosse stato possibile scegliere altre soluzioni, compresa quella di non sottoporvisi» (cfr. Cass. civ., 12 giugno 2015, n. 12505)».

Applicando questi principi alla fattispecie concreta, osserva il giudice che sebbene l'attore si sia limitato a reclamare, in maniera apodittica, il danno da violazione del diritto all'autodeterminazione, «deve comunque ritenersi la risarcibilità di tale danno in relazione al danno-conseguenza costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso che deve ritenersi sussistente in ragione della sola accertata violazione dell'obbligo informativo».

Questo pregiudizio è stato liquidato in via equitativa, tenuto conto, da una parte, della peculiare rilevanza della sofferenza del paziente «che non si è potuto responsabilmente autodeterminare ad un intervento che ha provocato conseguenze tanto importanti rispetto alla propria integrità psicofisica» e, dall'altra, «la circostanza che tale sofferenza è stata verosimilmente contenuta dalla constatazione che l'intervento era correttamente motivato (…) da un quadro di cardiopatia valvolare in fase di progressivo scompenso».

Osservazioni

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, in caso di omessa o insufficiente informazione preventiva sul trattamento sanitario da eseguire e sui rischi ad esso connessi, non è predicabile un danno in re ipsa, costituendo il pregiudizio derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona (qual è, per l'appunto, il diritto del paziente ad autodeterminarsi) un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi né domandi il ristoro, con esclusione di qualsivoglia automatismo risarcitorio.

In adesione all'orientamento espresso dalla Corte di cassazione con ordinanza n. 11749/2018 cit. (v., inoltre, Cass. civ., n. 10608/2018 cit. ) per la sentenza in commento il danno da lesione del diritto alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente non esige una specifica prova, configurandosi come normale effetto pregiudizievole - secondo l'«id quod plerumque accidit» - del deficit informativo.

Tale impostazione appare, di fatto, in contrasto con quanto statuito dalle Sezioni Unite con le note sentenze di S. Martino, secondo cui il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente inviolabili, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato; inoltre, la gravità dell'offesa costituisce requisito per la risarcibilità del danno (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972-26975).

Questi principi sono stati più volte ripresi dalla Suprema Corte, la quale ha affermato che, nel caso di inadempimento dell'obbligo di informazione circa un intervento, necessario e correttamente eseguito, che non abbia causato danno alla salute del paziente, il risarcimento del danno al diritto all'autodeterminazione, in via equitativa, è subordinato all'allegazione e prova (fondata anche su presunzioni) di pregiudizi di carattere non patrimoniale di apprezzabile gravità, derivanti dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sè considerato, ovvero che il paziente abbia subìto le inaspettate conseguenze senza la necessaria consapevolezza, sempre che tali pregiudizi superino la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e non consistano in meri disagi o fastidi (Cass. civ. sez. III, 4 maggio 2018, n.10608; Cass. civ., sez. III, 22 agosto 2018, n.20885 ).

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