Il danno morale, autonoma voce di danno, deve essere liquidato in aggiunta al danno biologico psichico

Giovanni Gea
04 Settembre 2019

Il danno morale ed il danno biologico di natura psichica rappresentano la medesima voce di danno e, laddove sviluppati da persona psichicamente fragile, vanno liquidati in misura minore?
Massima

Il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus sulla vita quotidiana (c.d. danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile è il pregiudizio che può incidere, in concreto, su entrambi tali aspetti essenziali della persona, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati nella loro consistenza e nella loro derivazione causale dalla condotta umana colpevole

Il caso

La madre di una bimba nata con la sindrome di Down otteneva dal Tribunale di Camerino la condanna, in via solidale, del ginecologo e della struttura sanitaria, ove lo stesso svolgeva la professione, al risarcimento del danno morale, del danno biologico di natura psichica e del danno patrimoniale subiti in conseguenza della nascita indesiderata.

La sentenza del Tribunale, impugnata dal ginecologo e dalla struttura sanitaria, veniva confermata in punto an debeatur dalla Corte d'Appello di Ancona sull'assunto che le inascoltate insistenti richieste della madre di effettuare test clinici sulla nascitura fossero sintomatiche dell'intento di abortire nel caso in cui fosse stata riscontrata una grave anomalia nel feto.

La Corte d'Appello, tuttavia, riformava in pejus la sentenza del Tribunalein punto quantum debeatur sull'assunto che il danno morale non fosse dovuto poiché assorbito nel danno biologico di natura psichica e che quest'ultimo, come anche il danno patrimoniale, fossero dovuti nella minore misura di 1/3 di quanto accertato in primo grado in quanto i restanti 2/3 non andavano ricollegati all'evento lesivo imputabile al ginecologo e, dunque, alla nascita indesiderata, bensì alla fragilità psichica della madre.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello, la madre proponeva ricorso per cassazione.

La questione

Il danno morale ed il danno biologico di natura psichica rappresentano la medesima voce di danno e, laddove sviluppati da persona psichicamente fragile, vanno liquidati in misura minore?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, a fronte della doglianza della ricorrente per il mancato riconoscimento del danno morale, richiamando il proprio precedente orientamento (Cass. civ., sez. III, sent. 17 gennaio 2018, n. 901; Cass. civ., sez. III, ord. 27 marzo 2018, n. 7513) ribadisce il principio a mente del quale, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (“danno morale”), quanto il suo impatto modificativo in pejus sulla vita quotidiana (“danno dinamico-relazionale”), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile - alla luce dell'insegnamento del giudice delle leggi (Corte Cost., sent.16 ottobre 2014, n. 235) e del legislatore (l. 4 agosto 2017, n. 124) - è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti.

Conseguentemente, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del "danno dinamico-relazionale", atteso che con quest'ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale).

Non costituisce, invece, duplicazione la congiunta attribuzione del "danno biologico" e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale (“danno morale”), perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).

Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l'esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

Quanto, invece, alla doglianza della ricorrente per la riduzione di 2/3 del danno biologico e del danno patrimoniale, la Corte di Cassazione, richiamando il proprio precedente orientamento (Cass. civ., sez. III, ord. 29 settembre 2017, n. 22801; Cass. civ., sez. III, sent. 11 giugno 2009, n. 13530) ribadisce il principio a mente del quale, in materia di responsabilità civile, il nesso di causalità va indagato alla luce del criterio del “più probabile che non” ossia della “causalità adeguata” sicché, qualora le condizioni ambientali o i fattori naturali, che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile all'uomo, siano sufficienti a determinare l'evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell'evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale.

Qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile, per intero, di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo un criterio di normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile.

Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale, non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi a un ragionamento probatorio semplificato, tale da condurre ipso facto ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio.

In tal modo, ai fini della configurabilità del nesso causale tra un fatto illecito ed un danno di natura psichica non è necessario che quest'ultimo si prospetti come conseguenza certa ed inequivoca dell'evento traumatico, ma è sufficiente che la derivazione causale del primo dal secondo possa affermarsi in base ad un criterio di elevata probabilità, e che non sia stato provato l'intervento di un fattore successivo tale da disconnettere la sequenza causale così accertata.

Nel caso di specie, la ricorrente è risultata menomata nella sua sfera psichica in ragione dell'evento lesivo riconducibile all'operato del medico e che, per più fattori non autonomamente concorrenti, tale lesione non le ha permesso di rielaborare psicologicamente il fallimento dato da una nascita indesiderata, di reggere la lunghezza e complessità di un accertamento giudiziale di un evento lesivo interferente nella sua vita personale di donna, moglie e madre, e di sopportare il peso di una vita sociale compressa e dedicata esclusivamente a una figlia diversamente abile che non sarà mai in grado di diventare autonoma.

Lo stesso evento avrebbe potuto non incidere psichicamente su una persona con diverse storia e tenuta psichica, o incidere in misura minore.

Ma quella accertata è, giustappunto, la misura del “proprio” danno alla persona eziologicamente collegato all'evento lesivo sicché la Corte d'Appello non avrebbe dovuto ridurre il risarcimento in base alle diverse concause concomitanti o successive che potrebbero averlo ipoteticamente determinato ma che, tuttavia, non risulta provato abbiano avuto una incidenza autonoma ed indipendente sul danno complessivamente subito dalla madre.

Analogo discorso vale per l'errata riduzione del danno patrimoniale consistente nelle spese da affrontare per le cure e il mantenimento della figlia diversamente abile e affetta da gravi patologie trattandosi di danno riconducile alla nascita indesiderata.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte conferma il proprio orientamento secondo il quale “danno morale” e “danno dinamico-relazionale” sono danni differenti e, qualora provati, vanno liquidati autonomamente.

Infatti, il primo incide sul rapporto che il soggetto ha con se stesso (sfera interiore) mentre il secondo sul rapporto che il soggetto ha con la realtà esterna (sfera esteriore).

Ciò significa che, nell'accertamento e quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di merito deve tenere conto di tutte le conseguenze pregiudizievoli subite dal danneggiato sia con riferimento alla sua sfera interiore sia con riferimento alla sua sfera esteriore.

L'ontologica differenza tra danno morale e danno dinamico-relazionale è stata definitivamente chiarita dal legislatore con la riforma degli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni.

In particolare, il legislatore, dopo aver chiarito che per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, ha previsto che al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione progressiva della liquidazione.

Da quanto precede, è evidente che la volontà normativa è quella di distinguere strutturalmente il danno morale dal danno dinamico-relazionale che altro non è se non il danno biologico.

Pertanto, costituisce, certamente, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno dinamico-relazionale, appartenendo tali "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.), mentre una differente ed autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute.

Infatti, il "danno dinamico-relazionale" attiene a pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale.

La liquidazione finalisticamente unitaria del danno non patrimoniale (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale, nella sua duplice e distinta accezione di danno emergente e di lucro cessante) avrà pertanto la funzione di attribuire al danneggiato una somma di denaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subìto tanto sotto l'aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell'alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7766; Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901; Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513).

Occorre precisare, però, che la misura “standard” del risarcimento del danno biologico prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit, ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità ovvero lesione non potrebbe non subire, non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Quanto, poi, all'aspetto dell'incidenza eziologica di più cause concorrenti, la Suprema Corte precisa che, laddove la fragilità psichica del danneggiato non sia sufficiente, di per sé, a cagionare il danno ma sia necessario il comportamento imputabile all'uomo, l'autore dell'azione dannosa risponde per intero avendo posto in essere quell'antecedente dotato in concreto di efficienza causale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.