Danno parentale per morte da esposizione a polveri di amianto: la formido mortis rileva quale diritto, iure proprio, dei familiari

16 Settembre 2019

Quali misure di sicurezza avrebbe dovuto adottare il datore di lavoro per non incorrere in responsabilità ex art. 2087 c.c. e/o ex art. 2050 c.c.? Quali indici personalizzanti possono concorrere alla quantificazione del danno non patrimoniale?
Massima

Il datore di lavoro è tenuto a rispondere dei danni alla salute cagionati ai lavoratori con l'esposizione alle polveri di amianto, anche quando, pur avendo rispettato le norme preventive vigenti all'epoca dell'esecuzione dell'attività lavorativa, non abbia adottato le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia, assolvendo così all'obbligo di garantire la salubrità dell'ambiente di lavoro.

Il caso

Tizio, durante lo svolgimento della propria attività lavorativa, quale dipendente della società Alfa, era stato esposto all'inalazione di fibre di amianto. Tale esposizione aveva determinato l'insorgenza della malattia tipica dell'esposizione ad amianto (asbestosi pleurica) e la successiva morte, dopo un calvario durato 13 anni, per «verosimile carcinoma polmonare/mesotelioma pleurico». La moglie Tizia e i figli Caio, Caia e Sempronia citano la società Alfa per il risarcimento del danno non patrimoniale patito per la perdita del rapporto parentale, nonché per la lesione dello stesso rapporto dovuta alla compromissione delle abitudini di vita durante il periodo di malattia del congiunto.

La società Alfa si costituisce in giudizio ed eccepisce, preliminarmente, la prescrizione e comunque l'inammissibilità dell'azione per avere Tizio sottoscritto, prima della morte, un verbale di conciliazione a fronte di una corresponsione di una somma di denaro con rinuncia a ulteriori pretese in dipendenza della patologia contratta. Nel merito eccepisce l'infondatezza delle domande e in via riconvenzionale chiede la restituzione delle somme versate a Tizio in esecuzione della conciliazione. Il Tribunale di Palermo accoglie la domanda risarcitoria degli attori per il danno non patrimoniale e rigetta la domanda riconvenzionale di Alfa. Gli attori notificano la sentenza alla società Alfa che non propone appello. La sentenza acquisisce autorità di res iudicata.

La questione

Sono principalmente due le questioni giuridiche affrontate nel caso in esame.

  • Quali misure di sicurezza avrebbe dovuto adottare il datore di lavoro per non incorrere in responsabilità ex art. 2087 c.c. e/o ex art. 2050 c.c.?
  • Quali indici personalizzanti possono concorrere alla quantificazione del danno non patrimoniale?
Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Palermo in merito alla prima delle questioni, riprendendo la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 11128/2015, ha affermato che i dirigenti dell'azienda erano tenuti ad «attuare le misure disicurezza e di igiene e fornire ai lavoratori i mezzi necessari di protezione, oltre cherenderli edotti dei rischi specifici a cui sono esposti». E che, al fine di salvaguardare la salute degli stessi lavoratori, la società avrebbe dovuto intervenire «anche a costo diinterrompere l'attività produttiva» e comunque adottando, oltre alle cautele previste dalla normativa allora vigente, «le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia». Ciò, perché all'epoca in cui si svolse la prestazione lavorativa, la pericolosità della lavorazione dell'amianto era fatto ampiamente noto “sia nella letteratura scientifica che a livello normativo”.

Fatte queste premesse, il Tribunale di Palermo ha verificato, nello specifico, che il lavoratore era adibito a mansioni che lo esponevano alle fibre di amianto senza alcuna protezione individuale (ad es. mascherine) ed ambientale (es. aspiratori e sistemi di ventilazione).

Quanto al nesso causale, l'istruttoria espletata anche tramite CTU ha evidenziato una correlazione causale tra la esposizione a polveri di asbesto e la genesi della neoplasia maligna polmonare che ha condotto alla morte.

Il Tribunale di Palermo ha inoltre evidenziato che l'azione in esame è stata intrapresa dagli attori al “solo” scopo di ottenere il risarcimento del danno “iure proprio”, subìto in conseguenza del decesso del proprio congiunto.

E che pertanto, rispetto alla eccepita prescrizione, l'azione deve ritenersi tempestiva, dovendosi il dies quo farsi decorrere dalla data del decesso.

Inoltre, secondo il Tribunale di Palermo la rinuncia del de cuius in sede transattiva ad ogni ulteriore pretesa non ha nulla a che vedere con il diritto “iure proprio” azionato dai congiunti superstiti. Sulla base delle stesse considerazioni è stata respinta anche la domanda riconvenzionale per la restituzione delle somme già versate al lavoratore.

Il Tribunale, infine, in sede di quantificazione del danno, ha dato particolare rilievo anche al lungo calvario patito dal lavoratore che ha leso il rapporto parentale (prima che questo fosse “perso” con il decesso) e sconvolto le abitudini di vita dei congiunti.

Un rilievo in sede di quantificazione del danno è stato attribuito anche alla consapevolezza dei congiunti che la malattia avrebbe di lì a poco portato alla morte il loro familiare.

La decisione in commento conferma l'indirizzo giurisprudenziale ormai consolidatosi secondo cui il datore di lavoro è tenuto a rispondere dei danni alla salute cagionati ai lavoratori con l'esposizione alle polveri di amianto, «anche quando, pur avendo rispettato le norme preventive vigenti all'epoca dell'esecuzione dell'attività lavorativa, non abbia adottato le ulteriori misure preventive necessarie per ridurre il rischio concreto prevedibile di contrazione della malattia, assolvendo così all'obbligo di garantire la salubrità dell'ambiente di lavoro».

Con riferimento, invece, alle eccezioni processuali sollevate dalla società Alfa, la sentenza del Tribunale di Palermo afferma l'assoluta autonomia della domanda risarcitoria dei familiari del lavoratore, che non può essere pregiudicata da un accordo transattivo raggiunto dal loro congiunto.

Il ragionamento del Giudice, anche alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali della S.C. in tema di danno, offre la possibilità di chiarire ulteriormente quali poste di danno i congiunti possano far valere in sede giudiziaria.

Orbene, se è vero che la categoria del danno non patrimoniale sia onnicomprensiva di tutti i danni che non abbiano una connotazione patrimoniale, in sede di quantificazione monetaria tale categoria può - e anzi deve - essere riempita di contenuto da tutti gli elementi che connotano la fattispecie concreta.

Posto che nel caso di specie i congiunti hanno lamentato tanto la perdita del legame parentale conseguente al decesso, quanto la “lesione” del legame per lo sconvolgimento delle abitudini di vita dovute alla malattia ed anche alla morte, in sede di quantificazione ha avuto rilievo anche la lucida consapevolezza della imminente fine del congiunto.

Tale aspetto del danno non patrimoniale che i congiunti hanno fatto valere iure proprio, va tenuto distinto dalla formido mortis, che insieme al danno biologico terminale, costituisce il danno c.d. patito «da chi, cosciente e consapevole, percepisca la morte imminente», (Cass. civ., sez. III,5 luglio 2019, n. 18056; si veda anche Cass. civ., 13 dicembre 2018 n. 32372) e che, una volta entrato nella sua sfera giuridica, si trasmetterà agli eredi.

Osservazioni

La sentenza in commento sotto il profilo della responsabilità del datore di lavoro, si colloca nel solco della giurisprudenza (ex multis: Cass. civ., 16 marzo 2015, n. 11128), ormai consolidata, che ritiene, in materia di esposizione alle polveri di amianto, il diritto alla salute dei lavoratori oggetto di una tutela particolarmente accentuata, che non può essere garantita solo attraverso il formalistico rispetto delle prescrizioni legislative, ma attraverso una attenzione che ne assicuri, in concreto e con le più ampie tutele, la effettiva salvaguardia (sul punto, si rinvia a SPERA D., SPERA F., Danno da amianto, in Ridare.it; Redazione scientifica, Cantieri navali ed esposizione all'amianto: la responsabilità è del Ministero della difesa, in Ridare.it; Redazione Scientifica, Danno differenziale del macroleso deceduto a causa delle lesioni da esposizione all'amianto: criteri di liquidazione, in Ridare.it).

Ciò detto, sono molteplici gli spunti argomentativi offerti dalla motivazione della sentenza in commento.

Un primo aspetto problematico riguarda il dies a quo per il decorso del termine di prescrizione dell'azione dei familiari per il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del congiunto.

La sentenza del Tribunale di Palermo lo colloca a partire dal momento del decesso.

Tuttavia, il risarcimento del danno non patrimoniale tiene conto, almeno sotto il profilo della quantificazione, anche di fatti verificatisi antecedentemente all'evento della morte, tra cui il lungo calvario durato oltre 13 anni.

Già questo aspetto apre una prima questione di non semplice soluzione.

Se la responsabilità del datore di lavoro fosse stata inquadrata univocamente ex art. 2050 c.c., e quindi con un termine di prescrizione quinquennale, il lungo calvario durato oltre 13 anni (quindi ben oltre i 5 anni del termine di prescrizione) sarebbe stato “valutabile” in sede di quantificazione?

Evidentemente, con particolare riferimento alle malattie lungo latenti, che determinano un lungo calvario, posto che le azioni risarcitorie - sia dei congiunti che degli eredi - sono avviate solo dopo la morte del de cuius, il termine di prescrizione quinquennale potrebbe determinare un deficit di tutela risarcitoria. A tal proposito, non soccorre nemmeno la considerazione che i familiari (iure proprio per il solo danno esistenziale) e lo stesso lungodegente debbano necessariamente avviare una azione prima della morte del malato lungo latente. Sebbene possano farlo (e in molti casi avviene), si tratterebbe comunque di un risarcimento parziale, che preluderebbe in seguito ad ulteriori azioni risarcitorie.

In ogni caso, in tema di decorrenza del dies a quo deve considerarsi superata la tesi oggettiva che ha riguardo esclusivamente alla condotta ma occorre tenere conto, sulla scia dell'orientamento introdotto dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 581) che «Nel caso di danni a decorso occulto (danni lungolatenti) la prescrizione inizia a decorrere quando il danneggiato con l'uso dell'ordinaria diligenza, possa avvedersi:

a) dell'esistenza del danno;

b) della sua riconducibilità causale al fatto illecito del terzo» (Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 2014 n. 22507).

Un altro spunto di riflessione che offre la sentenza riguarda gli elementi concreti che i familiari (che in questo caso sono anche eredi) possono far valere in giudizio ai fini della quantificazione (e personalizzazione) del danno non patrimoniale.

Una persona, che abbia contratto una patologia per fatti di cui è responsabile (contrattualmente o per illecito aquiliano) un terzo, può ottenere, mentre è in vita, il risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea o permanente.

Ma, di fatto, non può richiedere il danno di «chi, cosciente e consapevole, percepisca la morte imminente». E ciò non perché non sia il titolare di tale posta di danno, ma perché senza che si verifichi l'evento della morte, la formido mortis non può essere neppure “valutata e quantificata”, non essendo ancora conosciuti la durata temporale di tale consapevolezza e l'intensità del timor mortis che, fino alla fine, potrebbe mutare (al netto delle difficoltà che implica una simile valutazione).

Nella prassi costante, infatti, il danno patito da chi, cosciente e consapevole, percepisca la morte imminente viene risarcito agli eredi (che spesso sono i familiari) nello stesso giudizio in cui invocano la perdita del legame familiare.

La singolarità del caso in commento, in cui il de cuius aveva rinunciato in vita ad ogni ulteriore pretesa risarcitoria, offre uno spazio di riflessione per riconsiderare la materia.

Il de cuius, pur essendo il “titolare formale del diritto” al risarcimento del danno c.d. catastrofale - così definito prima che la Cassazione denunciasse l'atecnicità delle espressioni usate dagli operatori del diritto (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2019, n. 18056; si veda anche Cass. civ, 13 dicembre 2018 n. 32372) e la ridefinisse come il danno chi, cosciente e consapevole, percepisca la morte imminente - non può, nei fatti, mai farlo valere in giudizio.

Tale diritto, entrando nella sfera giuridica del de cuius, si trasferisce agli eredi, che ne diventano, sebbene iure hereditario, i titolari “effettivi”, in quanto gli unici che possano effettivamente farlo valere in giudizio.

Tuttavia, il de cuius, mentre è in vita, ha il potere di rinunciare ad ogni pretesa risarcitoria (a seguito di transazione o per semplice rinuncia) e, così facendo, può privare i suoi eredi del potere di agire in giudizio.

Nel caso di specie, in effetti, gli eredi non hanno potuto richiedere né il danno biologico terminale né il danno da formido mortis, in quanto tali domande sarebbero state dichiarate inammissibili per la presenza dell'accordo transattivo stipulato dal de cuius, anche in ordine ad alcuni diritti di cui era titolare ma che non avrebbe mai potuto, nei fatti, far valere in giudizio.

Tuttavia, la sentenza in commento, in sede di quantificazione, con una motivazione sintetica ma innovativa, ha in qualche modo “recuperato” la formido mortis, valorizzandola da un diverso angolo prospettico.

Non dunque la “paura per la propria morte”, risarcibile solo iure hereditario - e non risarcibile nel caso in commento - ma lucida coscienza della ineluttabilità della fine del congiunto che, pur non costituendo una autonoma voce di danno, ha concorso, nel caso di specie, alla quantificazione del danno non patrimoniale dei congiunti.

Guida all'approfondimento

SPERA D., SPERA F., Danno da amianto, in Ridare.it;

REDAZIONE SCIENTIFICA, Cantieri navali ed esposizione all'amianto: la responsabilità è del Ministero della difesa, in Ridare.it;

REDAZIONE SCIENTIFICA, Danno differenziale del macroleso deceduto a causa delle lesioni da esposizione all'amianto: criteri di liquidazione, in Ridare.it.

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