Responsabilità tributaria dei soci di società estinta e rilevanza della distribuzione del riparto
26 Settembre 2019
Massima
In ordine alle obbligazioni tributarie, il limite di responsabilità di cui all'art. 2495 c.c. non incide sulla legittimazione processuale, ma può influire sull'interesse ad agire dei creditori sociali, rapportabile, in via astratta, a quanto riscosso a seguito della liquidazione. La circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto non è comunque dirimente ai fini dell'interesse ad agire del Fisco creditore, laddove anche la possibilità di sopravvenienze attive, o la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci. Il caso
La Corte di Cassazione, con la Sentenza in commento, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di responsabilità tributaria dei soci in caso di estinzione della società, analizzando anche gli effetti della distribuzione del riparto. Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate aveva emesso, nei confronti di una società in liquidazione, un avviso di accertamento per l'anno d'imposta 2005, per una indebita detrazione Iva, in quanto relativa ad una operazione oggettivamente inesistente. La società era poi cessata per l'intervenuta cancellazione dal registro delle imprese e, in sede di riparto finale, non era stata ripartita alcuna somma tra i soci per mancanza di attivo. L'intervenuta estinzione della società comportava peraltro l'inesistenza della procura ad litem rilasciata al procuratore costituito, perché proveniente da soggetto ormai inesistente. Ne derivava, per contro, l'ammissibilità dell'atto di intervento, regolarmente notificato all'Agenzia delle entrate, dagli ex soci della società estinta.
La questione
La questione su cui, prendendo spunto dalla sentenza in commento, si intende appuntare l'attenzione, è quella della successione dei soci nella responsabilità tributaria della società. Sulla questione, ricorda la pronuncia in esame, le Sezioni Unite, con le sentenze nn. 6070 e 6072 del 12 marzo 2013, hanno ritenuto che in una simile evenienza si realizza una forma di "successione" da parte degli ex soci rispetto ai rapporti creditori e debitori già facenti capo alla società. In ordine alle obbligazioni tributarie, per l'orientamento ormai prevalente, il limite di responsabilità di cui all'art. 2495 c.c. non incide del resto sulla legittimazione processuale, ma, in ipotesi, può influire sull'interesse ad agire dei creditori sociali, rapportabile, in via astratta, a quanto riscosso a seguito della liquidazione (cfr., Cass. n. 9094/2017, in questo portale con nota di Pari; Cass. n. 15035/2017, in questo portale, con nota di Fico), con la precisazione, peraltro, che la circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto, non è dirimente ai fini dell'interesse ad agire del Fisco creditore (v. anche Cass. n. 1713/2018; Cass. n. 9672/2018; Cass. n. 14446/2018 e, da ultimo, Cass. n. 897/2019). Anche la mera possibilità di sopravvenienze attive o, semplicemente, la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono quindi di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci.
Le soluzioni giuridiche
La cancellazione della società dal registro delle imprese, pur provocando l'estinzione della società, non determina l'estinzione dei debiti, verificandosi un fenomeno di tipo successorio, in cui la responsabilità dei soci è però astrattamente limitata a quanto conseguito nella distribuzione dell'attivo risultante dal bilancio di liquidazione, con onere della prova in merito all'effettiva percezione a carico dell'Agenzia (cfr., Cass., ord. n. 733/2019). Se il suaccennato limite di responsabilità dovesse comunque rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò, come detto, si rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire (anche se si deve considerare che il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell'escussione di garanzie). Con l'estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non si estinguono quindi i debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo. La ratio della normativa risiede nell'intento d'impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, espropriare il creditore del suo diritto. E questo risultato, ai fini fiscali, viene raggiunto riconoscendo che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati (art. 36 d.P.R. n. 602/1973). L'art. 36 d.P.R. n. 602/1973 prevede, infatti, tre categorie di soggetti che possono essere chiamati in causa dal Fisco in caso di cancellazione delle società dal registro delle imprese: a) i liquidatori; b) gli amministratori; c) i soci. La responsabilità dei liquidatori e degli amministratori è però collegata ad un comportamento illecito “proprio”. Per quanto concerne invece la responsabilità dei soci, essa trae origine non da un fatto proprio dei soci, ma dall'indebito arricchimento dagli stessi realizzato per effetto delle assegnazioni di denaro e altri beni sociali loro fatte dagli amministratori nel corso degli ultimi due periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione, ovvero dai liquidatori nella fase della liquidazione. E perciò trova però un limite quantitativo nel valore dei beni da essi ricevuti e dell'indebito arricchimento come (astrattamente) rilevabile dal bilancio finale di liquidazione. Tale responsabilità non ha quindi carattere sanzionatorio, ma riguarda direttamente l'obbligazione tributaria della società rimasta inadempiuta nei periodi innanzi indicati. Secondo il disposto dell'art. 2280 c.c. (statuito per le società di persone, ma applicabile anche alle società di capitali per il richiamo operato dall'art. 2452 c.c.), infatti, "i liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli". Come detto, del resto, escludere la successione dei soci nei debiti pregressi porterebbe alla conclusione che la volontaria estinzione dell'ente collettivo impone un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori, che non potrebbero agire nemmeno nei confronti dei soci. Pertanto, perché tale circostanza non si verifichi, è necessario escludere che la cancellazione dal registro determini la “sparizione” dei debiti insoddisfatti, assistendosi ad un trasferimento di questi in capo ai successori (soci), fatti salvi i limiti di responsabilità sopra citati. E, del resto, anche laddove dal bilancio finale di liquidazione emerga ufficialmente che non c'è stato riparto a favore dei soci, l'Amministrazione Finanziaria potrebbe contestare che vi sia stata comunque una distribuzione occulta tra gli stessi soci. Per quanto riguarda infatti la presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati dalla società, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale deve ritenersi legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, non ricorrendo il divieto di presunzione di secondo grado in quanto il fatto noto non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Pertanto, una volta accertato il conseguimento di redditi occulti da parte della società, consegue la presunzione di distribuzione degli utili ai soci. Ai soci non sarà dunque sufficiente dire di non aver ricevuto nulla dalla liquidazione della società, potendo l'Amministrazione far valere la prova critica dell'id quod plerumque accidit. Starà poi al giudice valutare quale sia l'ipotesi più “verosimile”, motivando però in ordine a tale giudizio.
Osservazioni
Da un punto di vista processuale, peraltro, in caso di estinzione della società, perchè cancellata dal registro delle imprese, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente ai soci (cfr., Cass. ord. n. 28738/2018). E a seguito della cancellazione si determina il sopravvenuto difetto di legittimazione processuale del liquidatore, in quanto il fenomeno successorio che si verifica con l'estinzione della società di capitali (che viene privata della capacità di stare in giudizio), determina il trasferimento, ex art. 110 c.p.c., delle obbligazioni della società direttamente ai singoli soci, che, come detto, ne rispondono solo in quanto risultino attributari di diritti e beni in base al bilancio finale di liquidazione e soltanto nei limiti di quanto riscosso (tranne la prova della distribuzione occulta). Pertanto, in pendenza di lite, anche la legittimazione processuale viene acquistata dai soci, i quali soltanto e nei cui confronti soltanto possono rispettivamente proporre e debbono essere proposte le eventuali impugnazioni (cfr. Cass., n. 9110/2012, che ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti del socio, nel giudizio in cui era stata originariamente parte la società poi cancellata), rimanendo esclusa una concorrente legittimazione processuale dell'ex liquidatore, rimasto privo, a seguito della estinzione della società, del potere di rappresentanza (e dunque anche del potere di conferimento della procura ad litem, che, se rilasciata, deve ritenersi affetta da nullità: cfr Cass. ord. n. 22863/2011). In conclusione, cessata la capacità processuale della società, qualora l'evento estintivo della persona giuridica sia stato portato ritualmente a conoscenza della controparte o del Giudice tributario, il giudizio deve essere interrotto, dando così modo ai soggetti legittimati di riassumere nei termini di legge. Se poi l'evento estintivo non viene dichiarato dal difensore della società: a) la notificazione della sentenza fatta all'originario procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione però del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, comma 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. da parte del notificante. |