Compravendita di partecipazioni sociali ed autonomia delle clausole di garanzia
03 Ottobre 2019
Massima
Nel contratto di acquisto di compartecipazioni societarie, qualora il giudice di merito abbia accertato che al negozio siano stati collegati dei patti autonomi di garanzia aventi ad oggetto le passività del patrimonio sociale, c.d. business warranties, che non attengono però all'oggetto immediato del negozio, consistente nell'acquisizione della partecipazione sociale, bensì al suo oggetto mediato, rappresentato dalla quota parte del patrimonio sociale che essa rappresenta, tali contratti costituiscono un'autonoma regolamentazione della garanzia e, in caso di inadempimento, deve riconoscersi all'acquirente il diritto a conseguire un indennizzo, e non la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di acquisto delle azioni a causa del difetto di qualità della cosa venduta, secondo la disciplina di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c.
Il caso
Con contratto stipulato in data 28 luglio 2000, i soci cedevano a terzi le partecipazioni sociali rappresentanti l'intero capitale sociale di una società per azioni. Nel contratto venivano inserite, oltre ad una clausola compromissoria che prevedeva il deferimento a un collegio arbitrale della risoluzione di eventuali controversie, alcune clausola di garanzia in ordine alla consistenza del patrimonio sociale. In particolare, veniva pattuito che i venditori sarebbero stati obbligati a pagare al compratore la «percentuale rilevante» (determinata contrattualmente) di ogni passività delle società comunque esistente ad una determinata data e non risultante dai bilanci ovvero di qualsiasi passività derivante da atti e/o operazioni poste in essere dalle società entro la medesima data o da circostanze o situazioni di fatto esistenti a tale data e non risultanti dai bilanci. Successivamente all'emergere di passività non rappresentate nel bilancio, la società acquirente instaurava un giudizio arbitrale al fine di sentire accertare la violazione da parte dei convenuti delle garanzie da essi prestate nel contratto di acquisizione e la condanna dei medesimi al pagamento della complessiva somma di €. 6.401.007,30. Con lodo sottoscritto in data 14 novembre 2008, il collegio arbitrale accertava la violazione delle clausole di garanzia e condannava i convenuti, in solido tra loro, al pagamento della complessiva somma di €. 6.401.007,30 oltre accessori. In particolare, il collegio arbitrale rigettava l'eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti ai sensi dell'art. 1495 c.c. per avere la società acquirente le partecipazioni denunciato vizi e/o difetti della cosa oggetto di compravendita oltre il termine di un anno previsto da tale norma e ciò, per quanto qui di interesse, sulla base della considerazione che l'equiparazione della prestazione di una garanzia alla promessa di determinate qualità della cosa compravenduta appare «difficilmente conciliabile con l'assunto dal quale si prendono le mosse, ossia la netta differenza esistente, sotto il profilo giuridico, tra il bene oggetto della compravendita - le azioni o quote di partecipazione - ed il patrimonio sociale». La corte di appello di Milano, investita del relativo gravame, rigettava l'appello evidenziando che le cosiddette business warranties, lungi dal rappresentare il veicolo attraverso il quale i venditori promettono qualità essenziali dell'oggetto della compravendita di azioni, costituiscono patti autonomi rispetto a quest'ultima, in quanto non attengono all'oggetto immediato del negozio, ovvero la partecipazione sociale, ma alla consistenza o al valore del patrimonio: in questo modo, la Corte ha, quindi, escluso la applicabilità alle stesse della disciplina di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c. Le questioni giuridiche e le soluzioni
L'oggetto del contratto di compravendita delle partecipazioni sociali Nel percorso di individuazione delle garanzie «realizzabili» nella compravendita di partecipazioni sociali occorre muovere dall'esame dell'oggetto di un simile contratto e, in particolare, dall'esame della possibilità che la consistenza del patrimonio sociale possa in qualche modo avere una diretta incidenza sulle vicende che interessano il negozio di cessione (per una analisi di tutti gli orientamenti, anche sotto il profilo storico, cfr., L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, 129 ss.; nonché, da ultimo, G. Romano, Le garanzie nella compravendita delle partecipazioni, 173 ss.). Un primo e più risalente orientamento - richiamando talvolta la nozione di negozio indiretto, talaltra a quella di oggetto mediato del contratto - attribuiva automatica rilevanza alla consistenza del patrimonio sociale a prescindere da qualsiasi garanzia prestata dal cedente al cessionario (Cass., 9 settembre 2004, n. 18181). In particolare, si argomentava dalla circostanza che il trasferimento della quota altro non è che un modo per trasferire la proprietà dei beni societari e che le azioni (ma anche le quote) costituiscono «beni di secondo grado», non del tutto distinti e separati dai beni compresi nel patrimonio sociale e, in quanto tali, rappresentativi delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all'esercizio dell'attività sociale (F. Galgano, Vendita (diritto privato), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 485; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2059; Cass., 20 febbraio 2004, n. 3370; Trib. Milano, 27 giugno 1988, in Soc., 1988, 1164). In altre parole, se la società appartiene ai soci, questi ultimi, ancorché indirettamente, sono proprietari del patrimonio o dell'azienda della prima, con la conseguenza che la cessione delle partecipazioni costituisce soltanto uno strumento formale per conseguire l'acquisto dell'azienda o di una parte notevole di essa. Sempre nel solco di questo orientamento, altri autori facevano leva sulla distinzione tra oggetto immediato del contratto, rappresentato dalla partecipazione sociale, e oggetto mediato, costituito dal patrimonio netto della società. Ora, posto che il valore dell'oggetto immediato e, dunque, il corrispettivo per la cessione della partecipazione sociale, viene determinato sulla base del valore del patrimonio netto della società, diviene inevitabile che, al fine di valutare l'esistenza di vizi o la mancanza di qualità essenziali, occorra riferirsi all'oggetto mediato pattuito nel negozio (F. Galgano, Vendita (diritto privato), 485). In questa prospettiva, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati estranei all'oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, ancorché le parti non abbiano fatto alcun cenno ad essi. Secondo un simile indirizzo, in entrambe le sue declinazioni possibili, una volta ammessa la automatica rilevanza della consistenza del patrimonio sociale sul rapporto sinallagmatico derivante dalla compravendita delle partecipazioni sociali, diviene possibile applicare, nei casi di emersione di differenze tra l'effettiva consistenza quantitativa o qualitativa del patrimonio sociale ed il corrispettivo della compravendita, i rimedi previsti per la vendita, costituendo quelle differenze altrettanti vizi della cosa compravenduta ovvero mancanze di qualità essenziali o promesse della medesima. L'orientamento, tuttavia, non appare condivisibile. Infatti - a prescindere dalla considerazione che esso sembra «legato» alla ipotesi di cessione dell'intero capitale sociale della società target ovvero del pacchetto di maggioranza di essa, non riuscendo, invece, a spiegare il fenomeno della vendita di partecipazioni di minoranza (L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, 135), laddove è difficile affermare che l'acquirente sia stato mosso dalla finalità di acquisire, più che le azioni o la quota, l'azienda ovvero i suoi beni - osta ad una ricostruzione nei termini sopra descritti del contratto la personalità giuridica di cui sono dotate le società di capitali. Grazie allo schermo della personalità giuridica, infatti, i beni facenti parte del patrimonio sociale costituiscono l'oggetto della proprietà esclusiva della società e non già dei soci i quali non vantano nessuna prerogativa su di essi. In definitiva, perché i soci possano efficacemente disporre dell'azienda, bisognerebbe necessariamente postulare l'appartenenza di questa ai primi ipotizzando una contitolarità dei soci medesimi sul patrimonio sociale. Ma una ricostruzione che tenga seriamente conto della personalità giuridica attribuita alla società e della conseguente titolarità in capo a questa dei rapporti costituenti il patrimonio sociale inevitabilmente conduce ad affermare la carenza di legittimazione da parte dei soci stessi a disporre dell'azienda sociale (C. D'Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente, 35 e, spec., 36). In questo ordine di concetti, il contratto che trasferisce la titolarità della partecipazione ha ad oggetto esclusivamente quest'ultima, mentre il patrimonio aziendale rimane di esclusiva titolarità della società, autonomo soggetto di diritto, senza che possa discutersi di un suo trasferimento se non in senso puramente economico (M. Speranzin, Le partecipazioni come oggetto di trasferimento: garanzie legali e convenzionali, 379; Id., Vendita della partecipazione di «controllo» e garanzie contrattuali, 8 ss.; C. D'Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente, 32; A. Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, 163; G. Romano, Le garanzie nella compravendita delle partecipazioni, 177). Il precipitato di una simile conclusione è costituito dal fatto che la garanzia (legale) che il venditore presta all'acquirente ha ad oggetto solo e soltanto la partecipazione sociale in sé considerata e non il patrimonio sociale: il compratore potrà far valere la garanzia legale qualora non possa divenire titolare del diritto rappresentato dalla quota o questo risulti irregolare o viziato, ma non quando, al contrario, la partecipazione sociale, pur correttamente trasferita, risulti di valore diverso da quello creduto e ciò in conseguenza di minusvalenze ovvero di insussistenze di patrimonio. Nel solco di questo indirizzo si è mossa la giurisprudenza la quale è giunta ad affermare che le carenze o i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione di tale contratto solo se sono state fornite a tale riguardo dal cedente specifiche garanzie contrattuali, anche se non vi è bisogno che esse vengano così espressamente qualificate, sufficiente essendo che il rilascio della garanzia si evinca inequivocamente dal contratto (Cass., 29 agosto 1995, n. 9067; Cass., 19 luglio 2007, n. 16031; Cass, 13 dicembre 2006, n. 26690; Cass, 28 marzo 1996, n. 2843). La consistenza del patrimonio sociale e, dunque, il suo valore non attiene, al contrario, all'oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti che, in difetto di apposite pattuizioni, non possono assumere automatico rilievo sul piano della validità o dell'efficacia del contratto.
Le garanzie contrattuali Sebbene l'orientamento sopra esposto in ordine alla individuazione dell'oggetto del contratto di compravendita di partecipazioni sociali risulti corretto, appare del tutto evidente come esso apra un vuoto di tutela per il compratore che veda il valore della partecipazione sociale diminuito (e talvolta azzerato) per effetto di passività non in precedenza conosciute (né conoscibili). Al fine di colmare tale vuoto, la prassi contrattuale si è orientata per l'inserimento di clausole con le quali il venditore, per un verso, rappresenta e dichiara come vera e reale una determinata situazione patrimoniale della società e, per altro, garantisce determinate caratteristiche del patrimonio sociale, obbligandosi al pagamento di un indennizzo al verificarsi degli eventi garantiti. Queste clausole assumono, dunque, la funzione di offrire una protezione contrattuale a quel compratore che, pur avendo usato la massima diligenza possibile nel corso delle trattative, potrebbe al momento dell'acquisto non essere pienamente informato sulla reale situazione patrimoniale della società. Una prima distinzione va operata tra clausole di rappresentazione e clausole di garanzia. Con la prima tipologia di clausole - dette representation o declarations - il venditore esprime determinate dichiarazioni in merito all'effettivo stato del patrimonio sociale o dell'azienda al momento della conclusione del contratto o in relazione alla gestione precedente dell'impresa (M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 195) e ciò al fine di definire il quadro di riferimento per la determinazione del prezzo. Con le clausole di garanzia - anche denominate warranties - le parti del contratto di cessione delle partecipazioni sociali stabiliscono che, ove si verifichino determinati eventi, sussisterà l'obbligo del cedente di corrispondere un determinato indennizzo. In questa prospettiva, queste clausole svolgono la funzione di garantire una determinata consistenza patrimoniale e finanziaria della società, una determinata prospettiva reddituale ovvero l'inesistenza di ulteriori passività rispetto a quelle indicate in bilancio. Le due tipologie di clausole, la cui distinzione non è sempre agevole anche perché normalmente le prime costituiscono la premessa logico-giuridica delle seconde, si distinguono in relazione al fatto che il contenuto della dichiarazione è ricognitivo della realtà, materiale o giuridica, già esistente ed assolve ad una funzione di accertamento, mentre il contenuto della garanzia è volto ad assicurare che la situazione descritta sia effettivamente quella dichiarata e che tale rimanga anche dopo la dichiarazione resa (L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, 186). In particolare, le clausole di garanzia (che in questa sede interessano) costituiscono patti contrattuali che ricollegano al solo mancato verificarsi dell'evento conforme all'interesse della parte garantita il sorgere dell'eventuale obbligazione di indennizzo (M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 197; Id., M. Speranzin, Vendita della partecipazione di «controllo» e garanzie contrattuali, 66; G. Romano, Le garanzie nella compravendita delle partecipazioni, 185). In questo modo, il garante assume il rischio del verificarsi (o del non verificarsi), di un determinato evento, a prescindere da un giudizio di imputabilità o meno di una certa condotta e, dunque, senza possibilità di invocare la prova liberatoria di cui all'art. 1218 c.c. (tanto è vero che, talvolta, proprio in ragione di tale struttura, le clausole di garanzia sono avvicinate a vere e proprie clausole di tipo assicurativo: così, A. Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, 318. Di funzione in senso ampio assicurativa discorre C. d'Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente, 197). In questo ordine di concetti, tali garanzie, da distinguere - a seconda della tecnica redazionale - in sintetiche o analitiche, possono salvaguardare il cessionario da generiche differenze negative, determinate da eventuali minusvalenze attive o plusvalenze passive rispetto alle risultanze di bilancio ad una certa data, ovvero possono riguardare specificatamente determinate poste patrimoniali inserite in bilancio ovvero ancora gli sviluppi negativi derivanti da operazioni in essere al momento della cessione: le possibili opzioni negoziali sono innumerevoli e dipendono dal contenuto degli accordi (V. Sangiovanni, Compravendita di partecipazione sociale e garanzia del venditore, 207 ss.; L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, 226 ss.; A. Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, 351 ss.; M. Speranzin, Vendita della partecipazione di «controllo» e garanzie contrattuali, 91 ss.; Id., Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 198 ss.).
La natura giuridica delle clausole di garanzia Come si è già in precedenza evidenziato, la dottrina e la giurisprudenza sono sostanzialmente univoche nell'escludere l'immediata ed automatica rilevanza del patrimonio sociale nel contratto di compravendita di partecipazioni sociali, con la conseguenza che solo apposite clausole di garanzie inserite in quel contratto possono fare emergere a livello negoziale la consistenza patrimoniale. L'aspetto sul quale, tuttavia, il dibattito si era spostato - e sul quale interviene la decisione qui in commento - afferisce alla natura giuridica delle garanzie aventi ad oggetto la consistenza del patrimonio sociale. Secondo un primo orientamento, le business warranties importano una promessa di qualità della cosa venduta (la partecipazione sociale, appunto) ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1497 c.c. (una simile ricostruzione risale a T. Ascarelli, In tema di vendita di azioni e responsabilità degli amministratori, in Foro it., 1953, I, 1639 ss.): così, il cedente, garantendo una determinata consistenza patrimoniale della società, fa assurgere tale consistenza al rango di una «qualità» della cosa venduta la cui mancanza configura una causa di risoluzione del contratto sulla base proprio del disposto di cui all'art. 1497 c.c. Si è, quindi, affermato che, garantendo una determinata consistenza patrimoniale, il venditore afferma sussistere rispetto alle azioni il coefficiente obiettivo di valore che può essere ricompreso nel concetto di qualità del bene compravenduto (Così, Cass., 10 febbraio 1967, n. 338 che costituisce l'arresto giurisprudenziale che ha inaugurato l'indirizzo in argomento; nel medesimo senso, ex plurimis, Cass., 12 giugno 2008, n. 15706; Cass., 13 dicembre 2006, n. 26690, cit.; Cass., 20 febbraio 2004, n. 3370, cit.; nella giurisprudenza di merito, Trib. Larino 17 gennaio 2014, in Pluris; Trib. Milano 8 novembre 2011, in Soc., 2012, 94; Trib. Milano 18 marzo 2006, in Corr. merito, 2006, 1133). Si precisa, inoltre, che le garanzie esplicite possano anche non essere «espressamente qualificate» come tali nel contratto, essendo sufficiente che la volontà conforme delle parti si evinca in modo «inequivocabile» dal negozio: si pensi, ad esempio, a delle clausole (non denominate «garanzie») con cui le parti ancorino l'ammontare del prezzo al valore totale dell'azienda, con impegno del venditore ad effettuare finanziamenti per ricostituire il capitale sociale qualora i debiti sociali dovessero risultare maggiori rispetto a quelli rappresentati (Cass., 13 dicembre 2006, n. 26690, sul punto, G. Buset, Vendita di partecipazioni sociali di «controllo» e garanzie patrimoniali: rassegna critica, 361). Il principale inconveniente di una simile ricostruzione consiste, tuttavia, nel rendere applicabile alle clausole di garanzia i termini di decadenza e (soprattutto) di prescrizione di cui all'art. 1495 c.c. (L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, 218 secondo il quale detta applicazione ha un «impatto devastante») che, tuttavia, appaiono non pienamente confacenti alla realtà dei contratti di trasferimento delle partecipazioni societarie, potendo le sopravvenienze passive o gli altri eventi «garantiti» manifestarsi anche molto tempo dopo la stipulazione del relativo contratto. Né, una volta ritenuta applicabile la disciplina indicata, le parti potrebbero in qualche modo sottrarvisi: infatti, solo il termine di decadenza è modificabile dalle parti (art. 1495 comma 1 c.c.), mentre il termine annuale di prescrizione costituisce norma inderogabile sottratta alla disponibilità delle parti (art. 2936 c.c.). Proprio in ragione degli inconvenienti connessi ad una simile impostazione, la dottrina (F. Bonelli, Giurisprudenza e dottrina sulle acquisizioni, 29; C. D'Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente, 162 ss.; M. Speranzin, Vendita della partecipazione di «controllo» e garanzie contrattuali, 92 ss.; M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 198 ss.; A. Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, 298; L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, 218 ss.) e la giurisprudenza (App. Milano, 9 luglio 2013, n. 2801 in DeJure; App. Roma, 5 marzo 2011, in Giur. comm., 2012, II, 1008; Trib. Milano, 3 settembre 2013, in Soc., 2013, 1254; Trib. Milano, 26 agosto 2011, n. 10733, in Soc., 2012, 145) e, in particolare, la giurisprudenza arbitrale (Coll. arb., 22 luglio 1994, in Riv. arb., 1996, 789; Coll. arb., 16.7.1998, in Resp. comunic. impr., 1999, II, 241; Coll. arb., 7.4.2000, in Contr. e impr., 2000, 959; si veda, per una analisi della giurisprudenza arbitrale, C. Confortini, Clausole di rappresentazione e garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, 578, nt. 74) hanno seguito un percorso di superamento del descritto orientamento, superamento che ha, poi, trovato cristallizzazione in una importante pronunzia della giurisprudenza di legittimità del 2014 (confermata dalla decisione in commento) che ha statuito che, in tema di cessione di partecipazioni, le clausole con le quali il venditore assuma l'impegno di tenere indenne l'acquirente dal rischio connesso al verificarsi, successivamente alla conclusione del contratto, di perdite o di sopravvenienze passive della società hanno a oggetto obbligazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del contratto, che sono volte a garantire l'esito economico dell'operazione; pertanto, non rientrando tali pattuizioni nella garanzia legale relativa alla mancanza delle qualità promesse ai sensi dell'art. 1497 c.c., trova applicazione la prescrizione ordinaria decennale e non quella di cui all'art. 1495 c.c., richiamato dall'art. 1497 c.c. (Cass., 24 luglio 2014, n. 16963). In particolare, si è osservato (M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 199; G. Romano, Le garanzie nella compravendita delle partecipazioni, 196) che il patrimonio sociale non può assurgere, neppure a mezzo di apposite garanzie, a livello di oggetto del contratto, attuando la vendita il trasferimento dell'insieme delle facoltà e dei diritti che le quote conferiscono al suo titolare ovvero i diritti di partecipazione all'attività di gestione dell'impresa. Da ciò consegue che le clausole in esame non concernono l'inadempimento o l'inesatto adempimento dell'obbligazione di trasferimento delle quote sociali che forma oggetto del contratto di vendita, le quali effettivamente e correttamente vengono trasferite in capo all'acquirente. Conseguentemente, è impossibile qualificare come qualità promesse delle quote o delle azioni le caratteristiche e la consistenza del patrimonio sociale senza incorrere in una contraddizione logica (G. Buset, Vendita di partecipazioni sociali di «controllo» e garanzie patrimoniali: rassegna critica, 362). Le clausole di garanzia hanno, in questa prospettiva, non già la funzione di assicurare l'effetto traslativo non essendo ad esso essenziali in quanto l'effetto traslativo si realizza indipendentemente da esse (G. Iorio, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, 153), ma quella di assicurare la corrispondenza del «valore» sottostante alla partecipazione compravenduta a quello effettivamente pattuito tra le parti (sotto forma di determinazione del prezzo). In altre parole, con le clausole di garanzia, il venditore si obbliga a indennizzare il compratore, ove la consistenza patrimoniale si riveli diversa da quella considerata dalle parti con il contratto di cessione, ma la consistenza patrimoniale della società garantita non può integrare una qualità promessa dei beni venduti (le partecipazioni sociali), tenuto conto che, ai sensi dell'art. 1497 c.c., tali sono quelle che attengono alla struttura materiale, alla funzionalità o anche alla mancanza di attributi giuridici della cosa venduta. Al contrario, il valore della partecipazione non può costituire una qualità del bene non dipendendo da una caratteristica intrinseca del medesimo. Consegue ad una simile impostazione che l'assunzione, da parte del venditore, dell'impegno a tenere indenne l'acquirente rispetto al rischio connesso alle sopravvenienze passive costituisce l'oggetto di una obbligazione che nasce da un patto accessorio al contratto di compravendita: esso non può essere qualificato come una garanzia in senso proprio, ma come obbligazione autonoma, come tale non riconducibile allo schema degli effetti naturali della vendita di cui all'art. 1490 c.c. (T. Dalla Massara, Garanzie convenzionali in tema di cessione di partecipazioni: una proposta ricostruttiva, 1184). Si precisa, peraltro, che la natura accessoria delle clausole non importa che il contratto cui afferiscono perda la sua tipicità, rimanendo sempre qualificabile come contratto di compravendita (M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 204). In altre parole, le clausole di garanzia prevedono prestazioni accessorie rispetto al trasferimento del diritto oggetto del contratto, che sono volte a garantire l'esito economico dell'operazione: questo è l'approdo cui giunge la richiamata Cass., 24 luglio 2014, n. 16963 e che ha trovato una importante conferma nella sentenza in commento. L'autonomia dei patti di garanzia rispetto al contratto di compravendita cui accedono rende inapplicabile i termini di decadenza e di prescrizione di cui al combinato disposto degli artt. 1497 e 1495 c.c. Al contrario, l'individuazione del termine di decadenza entro il quale il compratore dovrà, una volta conosciuta la passività non dichiarata (e, dunque, l'evento garantito), far valere la garanzia è rimesso alla autonomia contrattuale, mentre il termine di prescrizione dovrà necessariamente essere quello ordinario decennale. Osservazioni
La giurisprudenza successiva al 2014 è stata in qualche modo oscillante tra il «recupero» dell'indirizzo secondo il quale le clausole di garanzia in ordine alla consistenza patrimoniale importano l'applicabilità delle norme sulla vendita ed il suo completo superamento. L'idea che le clausole di garanzia possano essere inquadrate nell'ambito applicativo dell'art. 1497 c.c. è stata, infatti, ripresa, più o meno consapevolmente, da una parte della giurisprudenza (ad es., Cass., 6 novembre 2014, n. 23649). Altra parte della giurisprudenza, invece, ha osservato che, in presenza di clausole con le quali il venditore, da un lato, abbia garantito una determinata consistenza patrimoniale della società le cui partecipazioni sono state oggetto del trasferimento (e l'esattezza dei dati inseriti in bilancio) e, dall'altro lato, si sia fatto espressamente e direttamente carico di tutte le eventuali differenze, per sopravvenienze passive o insussistenze dell'attivo dichiarato, la sola esistenza di sopravvenienze o insussistenze di attivo è idonea ad attivare le garanzie prestate e, conseguentemente, l'obbligo di indennizzo, indipendentemente da eventuali condotte decettive del venditore e dalla circostanza che l'acquirente abbia subìto un esborso. In tal caso, le clausole di garanzia relative al patrimonio sociale e le connesse clausole di indennizzo hanno un oggetto diverso da quello delle garanzie previste dagli artt. 1490 e 1497 c.c. (Trib. Roma, 5 ottobre 2015, in Giur. comm., 2017, II, 400). Come già evidenziato, consegue dalle conclusioni ora raggiunte che le parti possono, attraverso l'utilizzo della loro autonomia negoziale, regolare come meglio credono anche i profili attinenti i termini entro i quali far valere le relative clausole. Esse, infatti, possono prevedere un termine entro il quale si deve manifestare l'evento garantito ed un termine entro il quale il compratore deve dare comunicazione di tale avveramento al venditore, manifestando così l'intenzione di volersi avvalere della clausola di garanzia. Quest'ultimo termine, peraltro, costituisce una ipotesi di decadenza contrattuale e, dunque, un onere a carico del compratore (M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 201): la scadenza del termine - che, peraltro, non può essere tale da rendere eccessivamente gravoso l'esercizio del diritto - importa la perdita del diritto alla garanzia da parte del suo titolare. Da qui l'importanza della decisione in commento che costituisce un importante sugello dell'orientamento che ravvisa nelle clausole di garanzia dei patti autonomi, ancorché accessori, rispetto al contratto di compravendita delle partecipazioni sociali. Inoltre, la decisione in commento svolge una importante puntualizzazione (spesso trascurata nelle precedenti decisioni della giurisprudenza sia di legittimità che di merito): dall'inadempimento a tali patti non può conseguire la risoluzione del contratto di acquisto delle azioni, ma soltanto il sorgere di una obbligazione indennitaria e non risarcitoria, non essendo necessaria la prova della colpa del cedente. La decisione si presenta, anche sotto aspetto, assolutamente condivisibile. Sebbene nulla osti a che le parti prevedano, come conseguenza della violazione della garanzia, la risoluzione del contratto di compravendita, qualora le parti non abbiano disciplinato le conseguenze del verificarsi dell'evento garantito, la difformità del patrimonio rispetto al contenuto di una clausola di garanzia non può determinare, ai sensi dell'art. 1455 c.c., la risoluzione dell'intero contratto di compravendita (M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, 205; G. Romano, Le garanzie nella compravendita delle partecipazioni, 197. Più possibilista, invece, G. Iorio, Vendita di partecipazioni sociali: garanzie contrattuali e termine di prescrizione, 2413, secondo il quale la violazione delle garanzie contrattuali può pregiudicare la realizzazione dell'interesse concreto che ha spinto le parti alla stipulazione del contratto di compravendita: il compratore, allora, oltre ad invocare i rimedi previsti convenzionalmente, potrebbe agire per la risoluzione del contratto). In siffatte pattuizioni, infatti, la sopravvenienza passiva è dedotta come fatto generatore dell'obbligo di corrispondere l'indennità e, quindi, il verificarsi di tale circostanza non determina un inadempimento alle obbligazioni direttamente nascenti dal contratto di compravendita. Guida all'approfondimento
F. Bonelli, Giurisprudenza e dottrina sulle acquisizioni, in F. Bonelli e M. De Andrè, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, Milano, 1990; F. Bonelli, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del venditore, in Dir. comm. intern., 2007, 321; G. Buset, Vendita di partecipazioni sociali di «controllo» e garanzie patrimoniali: rassegna critica, in Nuova giur. civ. comm., 2015; C. Confortini, Clausole di rappresentazione e garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 568; C. d'Alessandro, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente, Milano 2003; T. Dalla Massara, Garanzie convenzionali in tema di cessione di partecipazioni: una proposta ricostruttiva, in Riv. dir. civ., 2016, 1181 ss.; F. Galgano, Vendita (diritto privato), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 485; G. Iorio, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006; L. Renna, Compravendita di partecipazioni sociali, Bologna, 2015; G. Romano, Le garanzie nella compravendita delle partecipazioni, in C. D'Arrigo, L. Delli Priscoli, A.A. Perrino, G. Romano, Partecipazioni sociali e strumenti di finanziamento. Recesso e patti parasociali, Milano, 2019; V. Sangiovanni, Compravendita di partecipazione sociale e garanzia del venditore, in Not., 2016, 203 ss.; M. Speranzin, Vendita della partecipazione di «controllo» e garanzie contrattuali, Milano, 2006; M. Speranzin, Le partecipazioni come oggetto di trasferimento: garanzie legali e convenzionali, in A.A. Dolmetta e G. Presti (a cura di), S.r.l. Commentario, dedicato a Portale, Milano, 2011; M. Speranzin, Le clausole relative all'oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, in M. Irrera (a cura di), Le acquisizioni societarie, Bologna, 2011; A. Tina, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007. |