La Cassazione sul principio di affidamento in materia di attività medico-chirurgica in équipe e limite della manifesta inaffidabilità del terzo

Antonio Bana
29 Ottobre 2019

Con la sentenza in esame, la Cassazione aderisce all'orientamento della più recente giurisprudenza (ex multis, Cass. civ., sez. IV, 20 aprile 2017 n. 27314), la quale riconosceva validità, anche in ambito sanitario, al principio di affidamento, che consente ad ogni membro di un'équipe medico-chirurgica di confidare nel corretto e diligente operato degli altri membri del gruppo.
Massima

In tema di colpa professionale, in caso di intervento chirurgico in équipe, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.

Il caso

Tre chirurghi dell'Ospedale Policlinico di Monza, con incarichi di primario, aiuto anziano e aiuto giovane, eseguivano, in data 19 dicembre 2011, un intervento di rimozione della colecisti in laparoscopia, al quale seguivano complicanze che rendevano necessari tre interventi d'urgenza, eseguiti il 21 e il 28 dicembre 2011 e il 2 gennaio 2012. Il Tribunale di Monza giudicava il primo intervento adeguato alle patologie sofferte dalla paziente, ritenendo che le complicanze insorte ne rappresentassero una possibile conseguenza fisiologica, non dovuta ad errori esecutivi; ritenevano, invece, inadeguati i successivi due interventi, in quanto i medici non avevano tenuto conto delle condizioni cliniche compromesse della paziente, e giudicavano l'ultimo intervento eseguito con modalità gravemente imperite. I giudici di prime cure condannavano quindi a titolo di omicidio colposo il primo operatore, il quale aveva personalmente gestito la situazione, e l'aiuto anziano, che ne aveva condiviso le scelte; assolvevano invece l'aiuto giovane, per il ruolo marginale dallo stesso svolto. La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado, seppur circoscrivendo la responsabilità degli imputati al terzo e al quarto intervento. Ricorreva per Cassazione l'aiuto anziano, deducendo tre motivi: vizio motivazionale relativamente alla verifica dell'operato di ciascun sanitario, ai fini della individuazione delle responsabilità individuali, in quanto non venivano correttamente apprezzate le dichiarazioni del primario, che aveva asserito di aver riservato a sé le scelte e l'esecuzione materiale degli interventi; inosservanza e non corretta applicazione delle norme concorsuali, in quanto gli errori esecutivi dell'aiuto giovane venivano addossati all'aiuto anziano, adombrando una responsabilità del secondo per omessa vigilanza, che non veniva meglio specificata; inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., in quanto mancava la prova dell'efficacia causale dell'operato del ricorrente rispetto al decesso della paziente. Con successiva memoria il ricorrente faceva inoltre valere che la sentenza impugnata non motivava in ordine alla conformità del suo operato alle linee guida di settore, nonché in ordine al trattamento sanzionatorio. La Corte di Cassazione ha accolto i motivi della prima memoria e annullato con rinvio la sentenza impugnata.

La questione

Fulcro della sentenza in esame è il tema della responsabilità del sanitario per attività svolta in équipe operatoria, ovvero all'interno di un'organizzazione complessa, coinvolgente professionisti gerarchicamente ordinati e con specializzazioni differenti che operino in un unico contesto spazio-temporale; vieni quindi in oggetto una nozione in senso stretto di équipe, che si contrappone a una nozione in senso lato, intesa come cooperazione multidisciplinare non contestuale. Anche nel caso di attività medico-chirurgica svolta in gruppo, occorre verificare che l'azione o l'omissione dell'agente abbia avuto efficacia causale rispetto all'evento lesivo e, una volta provato il nesso causale, che l'evento fosse in concreto rimproverabile all'agente. Più nello specifico, nel caso di attività medica svolta in équipe, occorrerà accertare se ed entro quali limiti il sanitario possa essere chiamato a rispondere del contegno colposo tenuto da altro membro del gruppo, e ciò comporterà di vagliare l'operatività del principio di affidamento, che consente al titolare di una posizione di garanzia di confidare che un altro garante, che si trovi ad agire in sinergia con lui al fine di proteggere un determinato bene, assolverà diligentemente al proprio dovere.

Le soluzioni giuridiche

Come anticipato, la Corte accoglie le censure del ricorrente. La Cassazione rileva in primo luogo una carenza di motivazione riguardo al ruolo svolto dall'aiuto anziano all'interno dell'équipe: le dichiarazioni del primario sono state valutate in modo parziale e incompleto, non riconoscendo il giusto peso alle ammissioni dello stesso di aver riservato a sé le scelte in ordine agli interventi.

La Cassazione rileva, poi, una carenza motivazionale in relazione al nesso causale tra la condotta del singolo ricorrente e la morte della paziente: anche nei casi di cooperazione multidisciplinare nell'attività medico-chirurgica, infatti, «l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta ed al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare una responsabilità di gruppo in base a un ragionamento aprioristico». Una volta accertato che la condotta del sanitario è causa (o concausa) dell'evento lesivo, occorrerà verificare che tale evento è altresì rimproverabile all'agente; tale accertamento dovrà svolgersi, stabilisce la Corte, utilizzando «i criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di colpa», senza che si configurino, quindi, eccezioni alle regole generali. Si passa, quindi, al punto nodale della sentenza, che riguarda il riconoscimento dell'operatività del principio di affidamento nel caso di operazioni chirurgiche svolte in équipe: i giudici di legittimità affermano, infatti, che «in relazione alle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti» trova applicazione il principio di affidamento, in base al quale «può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica», non valendo, invece, l'opposto principio per cui «ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio»: richiamando la dottrina, che distingue tra doveri “comuni” e doveri “divisi”, la Corte esclude che il sanitario possa essere chiamato a rispondere di un errore che ricada nell'ambito della competenza specialistica di un collega, mentre ammette (implicitamente) la possibilità di configurare la responsabilità di un membro dell'équipe per aver omesso di correggere un errore di altri, qualora tale errore fosse riconoscibile e ricadesse su una materia oggetto di conoscenza da parte di tutti i professionisti operanti nel medesimo settore; ne deriva che l'aiuto anziano non può essere automaticamente investito di un dovere di controllo sull'operato dell'aiuto giovane, e, di conseguenza, al primo non possono essere illimitatamente addebitati gli errori del collega meno esperto; tali errori, al contrario, potrebbero essere addebitati all'aiuto anziano solo qualora sia provato che essi erano “evidenti e non settoriali”. Ad avviso della Corte, è il principio di affidamento che consente di ritenere il dovere di diligenza in capo a ogni membro dell'équipe conforme al principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall'art. 27 della Costituzione.

Osservazioni

Elaborato dalla dottrina tedesca a partire dagli anni '50, il principio di affidamento - in base al quale il garante che agisca a tutela di un bene protetto può confidare nel corretto operato dei co-garanti – costituisce, in ambito colposo, il più significativo corollario del principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall'art. 27 della Costituzione. La sua applicabilità in ambito medico è discussa: l'orientamento più rigoroso teorizza, in capo a ogni sanitario che agisca in équipe, un dovere di assiduo controllo sull'operato altrui (principio di non affidamento); una simile lettura, oltre che incompatibile con le istanze personalistiche, risulta controproducente rispetto all'obiettivo di tutela dei pazienti, in quanto impedisce ad ogni membro dell'équipe di concentrarsi a dovere sugli specifici compiti assegnatigli. L'orientamento più liberale riconosce invece validità al principio di affidamento, affermando che ogni membro dell'équipe risponda – in caso di esito infausto dell'intervento – solo nei limiti dei propri doveri di perizia e diligenza, e, quindi, solo nei limiti delle proprie specifiche competenze. Il principio di affidamento trova in ogni caso un limite nella concreta percezione, da parte del singolo operatore, dell'inaffidabilità del terzo; tale limite vige anche in ambito medico-chirurgico, comportando, in capo a ciascun membro dell'équipe, un dovere di controllo sull'operato altrui, che si spinge fino alla correzione degli errori dei terzi, qualora gli stessi siano evidenti e non settoriali, emendabili con le conoscenze scientifiche del professionista medio: si tratta, anche in questo caso, di attivare speciali doveri di diligenza, qualora l'inaffidabilità dell'altro operatore sia percepita o percepibile. Per quanto attiene all'oggetto della sentenza in esame – la responsabilità di un aiuto anziano – occorre puntualizzare che l'onere di diligenza non viene meno nel caso di soggetto in posizione subordinata: qualora questi si accorga dell'errore del primario, è tenuto a manifestare il proprio dissenso sulle scelte terapeutiche. Per quanto attiene, invece, alla figura del capo-équipe, si segnala che il principio di affidamento opera in senso inverso a quanto appena esposto: sul primario gravano obblighi di controllo dell'operato altrui, che non potranno essere neutralizzati mediante un indiscriminato richiamo al principio di affidamento; lo stesso, infatti, varrà a escludere la responsabilità del primario solo qualora fosse in concreto percepibile che il subordinato era meritevole di particolare fiducia. Il principio di affidamento consente di perimetrare la responsabilità del sanitario che operi all'interno di un'équipe, rendendo tale forma di responsabilità compatibile con il principio personalistico della responsabilità penale espresso dalla Costituzione, e assicurando al medico di poter operare in serenità, concentrando la propria attenzione sugli specifici compiti allo stesso affidati in base alla propria specializzazione; d'altra parte, il limite della manifesta inaffidabilità del terzo, imponendo al sanitario di attivarsi qualora riscontri la grave imperizia di un collega, realizza quella esigenza di garanzia della salute del paziente - a cui la normativa in materia di attività medico-chirurgica mira - che verrebbe sacrificata qualora il principio di affidamento si spingesse fino a escludere la responsabilità del sanitario che abbia tenuto un atteggiamento sciatto e indifferente rispetto al bene giuridico tutelato.

Guida all'approfondimento

L. CORNACCHIA, Responsabilità penale da attività sanitaria in équipe, in Riv. it. medicina legale (dal 2012 riv. it. medicina legale e dir. sanitario), fasc.3, 2013, pag. 1219;

G. D'ANCA, Profili problematici della responsabilità penale del medico per attività in équipe: successione nella posizione di garanzia e principio di affidamento, nota a Cassazione penale, 23 gennaio 2018, n.22007, sez. IV, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), fasc.2, 2019, pag. 0671B;

P. DELLA NOCE, La responsabilità del medico nell'ambito dell'operazione chirurgica in équipe, nota a Cassazione penale, 12 febbraio 2019, n.30626, sez. IV, in Diritto & Giustizia, fasc.130, 2019, pag. 11;

G. FORTUNATO, Ancora sui rapporti tra il principio di affidamento ed équipe medica, osservazioni su Cass., sez. IV, sent. 30 marzo 2016 (dep. 5 maggio 2016), n.18780, Pres. D'Isa, Rel. Menichetti, Ric. Tassis e Valenti, in Dir. pen. cont., 5/2017;

L. RISICATO, L'attività medica di équipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco. L'obbligo di vigilare come regola cautelare, Torino, 2013;

L. A. TERRIZZI, Linee guida e saperi scientifici “interferenti”: la Cassazione continua a non applicare la legge Gelli-Bianco, nota a Cass., Sez. IV, 12 gennaio 2018 (dep. 5 aprile 2018), n.15178, Pres. Blaiotta, Est. Bruno, in Dir. pen. cont., fasc. 7/2018.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario