Il franchisor è tenuto a rispondere civilmente dei reati commessi dal franchisee?

Caterina A. Davelli
06 Novembre 2019

La responsabilità civile per reati commessi dal legale rappresentante di una ditta affiliata (franchisee) con contratto commerciale ad altra impresa (franchisor) si estende anche a quest'ultima?
Massima

La responsabilità civile per i reati commessi dal titolare di un asilo (affiliato in franchising) nei confronti dei bambini che lo frequentano, non può ritenersi estesa all'impresa commerciale alla quale l'asilo risulta affiliato tramite contratto di affiliazione commerciale (franchising).

Il caso

I genitori di un minore svolgono domanda di risarcimento del danno – anche nella loro qualità di genitori - per le lesioni patite dal loro figlio in seguito a maltrattamenti subìti durante il tempo in cui frequentava l'asilo. Per tali lesioni i responsabili dell'asilo erano stati sottoposti a procedimento penale.

La questione

La responsabilità civile per reati commessi dal legale rappresentante di una ditta affiliata (franchisee) con contratto commerciale ad altra impresa (franchisor) si estende anche a quest'ultima?

Le soluzioni giuridiche

L'estensore del provvedimento in commento esordisce illustrando il motivo per il quale alla fattispecie non può ritenersi applicabile l'art. 2049 c.c., norma che prevede una responsabilità dei padroni e dei committenti per il fatto illecito commesso dai loro domestici e/o commessi nell'esercizio delle incombenze alle quali sono adibiti, né altre forme di responsabilità aquiliana.

Nella parte motiva si chiarisce che tale responsabilità - c.d. institoria - per essere configurata necessita di un rapporto di preposizione tra il soggetto materialmente responsabile dell'illecito ed il padrone/committente; fattispecie che non può ritenersi sussistere nel caso in esame (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 1991 n. 8668; Cass. civ., sez. III, 15 giugno 2016 n. 12283; Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2016 n. 10757).

Viene altresì evidenziato come debba essere anche esclusa una culpa in vigilando nei confronti dell'affiliante in considerazione del fatto che, nonostante i diversi controlli da questi effettuati nei confronti dell'affiliato secondo gli obblighi contrattualmente assunti, l'emersione dei reati era stata possibile soltanto tramite l'impiego di strumenti di indagine di Polizia Giudiziaria utilizzabili unicamente all'interno di un procedimento penale ed indisponibili ad un soggetto privato quale il franchisor.

A questo punto il giudice, per disattendere la tesi attorea relativa all'applicabilità del principio di apparenza collegato all'utilizzo del marchio, illustra la normativa riguardante la disciplina del contratto di affiliazione commerciale.

Si tratta della l. 6 maggio 2004 n. 129 che disciplina il c.d. di franchising, nato dalla prassi anglosassone e che rappresenta lo schema attraverso il quale un piccolo o medio imprenditore viene inserito in una rete distributiva già presente nel territorio, costituita da una pluralità di affiliati, di una realtà imprenditoriale ramificata e caratterizzata dalla uniformità.

Tale legge prevede che i soggetti giuridici parti del contratto di affiliazione siano economicamente e giuridicamente indipendenti e di conseguenza l'affiliante (franchisor) non può essere qualificato come padrone o committente dell'affiliato (franchisee).

Infine, viene evidenziato come, nel caso di specie, nel contratto di franchising riguardante la fattispecie non fosse soltanto stabilita la completa autonomia dell'affiliato ma - con clausola specificamente approvata per iscritto – fosse previsto un sollievo di responsabilità nei confronti dell'affiliante anche in via sussidiaria.

Osservazioni

Si evince dall'esposizione in fatto della sentenza che gli attori per fondare in diritto la loro pretesa, si sono riferiti all'art. 2043 c.c.

L'estensore della sentenza qui annotata, nell'indicare la norma giuridica applicabile al caso, ha ravvisato nell'art. 2049 c.c. quella che più specificatamente avrebbe potuto essere invocata per regolare la fattispecie.

Tuttavia, ne ha escluso l'applicabilità in assenza del rapporto di preposizione tra il soggetto materialmente responsabile del fatto illecito ed il padrone/committente che dovrebbe rispondere in sua vece, rapporto inesistente tra i soggetti che abbiano stipulato il contratto atipico di franchising come previsto dalla l. 6 maggio 2004 n.129.

La giurisprudenza si è occupata del problema della responsabilità del franchisor (Pret. Milano, 21 luglio 1992, in I Contratti, 1993, 173 e segg.; App. Napoli, sez. III, 3 marzo 2005, in I Contratti, n.12/2005, 1133 e segg. con nota di Alberto Venezia).

In particolare la Corte di Appello di Napoli ha ritenuto sussistente la responsabilità extracontrattuale del franchisor in solido con il franchisee per fatto del franchisee commesso ai danni di un cliente in applicazione, da un lato, del principio di apparenza (convinzione di trattare con un affiliato che gode della stessa reputazione e correttezza commerciale del franchisor in ragione della sua notorietà nel settore nonché della presumibile serietà e capacità economica) e dall'altro sulla presunta identità tra franchisor e franchisee.

Secondo tale principio, si crea nel cliente consumatore l'affidamento che si tratti di un unico soggetto, ovvero di due soggetti con identici standard qualitativi e di correttezza commerciale.

Quando tale affidamento risulta incolpevole la sua ingiustificata lesione deve ricevere protezione attraverso la tutela aquiliana.

Dal principio di apparenza deriverebbe, altresì, un obbligo di controllo da parte del franchisor su ogni membro della rete. Dalla violazione colposa di tale obbligo, discenderebbe una responsabilità solidale del franchisor per fatto del franchisee.

La sentenza della Corte partenopea è stata oggetto di interessante commento. In esso si evidenzia la non condivisibilità della motivazione del provvedimento che prescinde dai limiti connaturali all'applicazione del principio di apparenza e costruisce una sorta di responsabilità oggettiva del franchisor per fatto del franchisee che non trova fondamento alcuno nel nostro ordinamento né tanto meno nella legge istitutiva del franchising nella quale non è rinvenibile un obbligo di controllo da parte del franchisor nei confronti del franchisee.

Le motivazioni della sentenza qui annotata appaiono condivisibili. Certo è che, tenuto conto dei precedenti giurisprudenziali non conformi, sarà interessante verificare quale sarà l'orientamento futuro dei giudici di merito e di legittimità.

Guida all'approfondimento

ALBERTO VENEZIA, Responsabilità del franchisor nei confronti dei terzi per comportamenti del franchisee, in I Contratti, n. 12/2005, pag. 1133 e ss.

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