Rinvio alla Consulta sul differimento degli effetti dell’estinzione societaria ai fini accertativi
12 Novembre 2019
Massima
La CTP di Benevento ha rinviato alla Corte Costituzionale la questione di legittimità in ordine al differimento quinquennale degli effetti dell'estinzione societaria ai soli fini della validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione relativi a tributi e contributi, sanzioni e interessi, ex art. 28, d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175. La scelta di differire l'efficacia dell'estinzione della società con riguardo ai soli rapporti con l'Amministrazione finanziaria, facendo rivivere per un così rilevante lasso di tempo un soggetto ormai estinto, si risolve, secondo la CTP, in un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri creditori sociali, per i quali l'estinzione di una società coincide con la sua cancellazione dal registro delle imprese. Ma soprattutto, secondo i giudici di merito, appare evidente l'eccesso di delega in cui sarebbe incorso il legislatore delegato. Il caso
La Commissione Tributaria Provinciale di Benevento, con l'Ordinanza n. 142 del 13 marzo 2019, ha rinviato alla Corte Costituzionale la questione di legittimità in ordine al differimento quinquennale degli effetti dell'estinzione societaria ai soli fini della validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione relativi a tributi e contributi, sanzioni e interessi, ex art. 28, d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175. Nel caso di specie, l'ex amministratore ed ex liquidatore di una Società a responsabilità limitata, in proprio e quale ex socio unico, impugnava gli avvisi di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate, in relazione agli anni di imposta 2013 e 2014, aveva accertato, a carico della società, una maggiore IRES, IRAP e IVA oltre sanzioni e interessi. Deduceva, in particolare, il ricorrente la nullità della notifica degli avvisi impugnati, evidenziando che i citati atti impositivi, emessi in epoca successiva alla cancellazione della società nel registro delle imprese (e dunque nei confronti di un soggetto giuridico ormai inesistente), avrebbero dovuto dare atto di tale circostanza e specificare il destinatario della richiesta di pagamento e la relativa motivazione. Osservava, inoltre, che la norma di cui all'art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175/2014, secondo cui, ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società, ex art. 2495 c.c., ha effetto solo una volta trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, presentava svariati profili di illegittimità costituzionale, sia per violazione dell'art. 3 della Costituzione, sia per eccesso di delega. Il contribuente, per quanto di interesse, chiedeva, pertanto alla Commissione Tributaria di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma in questione. La questione
A parere della Commissione la decisione del giudizio imponeva in effetti la previa rimessione degli atti alla Consulta, in ordine alla soluzione della questione della legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175/2014, per violazione del principio di uguaglianza e disparità di trattamento tra l'amministrazione finanziaria e tutti gli altri creditori sociali e per il mancato rispetto dei limiti fissati dalla legge di delega n. 23 del 2014. Con riferimento alla rilevanza della questione, i giudici di merito evidenziano dunque che la costante giurisprudenza di legittimità aveva statuito, con riferimento al regime precedente all'entrata in vigore della citata disposizione, la nullità dell'avviso di accertamento notificato a una società estinta successivamente alla cancellazione dal registro delle imprese, laddove, poi, l'art. 28 d.lgs. n. 175/2014 sospende invece, per il periodo di cinque anni decorrenti dalla richiesta di cancellazione e ai soli fini dell'efficacia e validità degli atti di liquidazione accertamento e riscossione dei tributi, l'efficacia dell'estinzione della società. E nel caso di specie, l'avviso di accertamento oggetto di impugnazione era stato per l'appunto notificato successivamente alla cancellazione della società dal registro delle imprese, sicchè lo stesso, pienamente valido ed efficace in forza della su menzionata disposizione, avrebbe dovuto invece ritenersi nullo in forza del regime previgente. Né, secondo la CTP, poteva ritenersi che la questione prospettata fosse manifestamente infondata, dovendosi evidenziare che la scelta di differire l'efficacia dell'estinzione della società con riguardo ai soli rapporti con l'Amministrazione finanziaria, facendo rivivere per un così rilevante lasso di tempo un soggetto ormai estinto, si risolve in un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri creditori sociali, per i quali l'estinzione di una società coincide con la sua cancellazione dal registro delle imprese, restando irrilevante l'esistenza di eventuali debiti societari, rapporti non definiti o procedimenti ancora pendenti. Ma, soprattutto, secondo i giudici di merito, appariva evidente l'eccesso di delega in cui era incorso il legislatore delegato, laddove, l'art. 7 della legge di delegazione n. 23/2014, espressamente richiamato dal d.lgs. n. 175/2014, faceva riferimento «alla revisione degli adempimenti, con particolare riferimento a quelli superflui o che diano luogo, in tutto o in parte, a duplicazioni anche in riferimento alla struttura delle addizionali regionali e comunali, ovvero a quelli che risultino di scarsa utilità per l'amministrazione finanziaria ai fini dell'attività di controllo e di accertamento o comunque non conformi al principio di proporzionalità». La scelta di rendere inefficace nei confronti dell'Amministrazione finanziaria l'intervenuta estinzione di un soggetto giuridico, secondo il giudice rimettente, non può farsi rientrare tra le misure finalizzate all'eliminazione degli adempimenti superflui, o di scarsa utilità, mirando piuttosto ad ampliare il raggio di azione dell'Amministrazione finanziaria. Le soluzioni giuridiche
Dubbi analoghi a quelli espressi dalla Commissione Tributaria Provinciale erano stati sollevati anche dalla Corte di Cassazione (Sez. V, sentenza n. 6743 del 2 aprile 2015), che tuttavia nell'occasione aveva omesso di sollevare la questione di legittimità costituzionale in ragione della ritenuta inapplicabilità, ratione temporis, del comma 4 dell'art. 28 d.lgs. n. 175/2014 alla fattispecie di causa. In particolare, la Suprema Corte aveva infatti evidenziato che la conclusione di inapplicabilità, ratione temporis, del comma 4 del d.lgs. n. 175 del 2014, art. 28 impediva di esaminare, in quanto irrilevanti, tutte le altre questioni che sarebbero derivate dall'applicazione dell'indicato ius superveniens, tra cui, ad esempio: a) la eventuale sussistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra gli «enti creditori» indicati nella disposizione, aventi titolo a richiedere tributi o contributi (e, correlativamente, sanzioni ed interessi), da un lato, e tutti gli altri creditori sociali, dall'altro (tenuto altresì conto che l'art. 1 della legge di delegazione n. 23 del 2014, richiedeva espressamente il rispetto dell'art. 3 Cost.); b) la possibile mancata osservanza, da parte del legislatore delegato, della suddetta legge di delegazione, in quanto di tale legge il d.lgs. n. 175/2014 richiamava a proprio fondamento gli articoli 1 (relativo al rispetto sia degli artt. 3 e 53 Cost., sia del diritto dell'Unione europea, sia della legge n. 212/2000) e 7 (relativo all'eliminazione e revisione degli adempimenti dell'amministrazione finanziaria superflui, o che diano luogo a duplicazioni, o di scarsa utilità ai fini dell'attività di controllo o di accertamento, o comunque non conformi al principio di proporzionalità; nonchè revisione delle funzioni dei centri di assistenza fiscale, i quali debbono fornire adeguate garanzie di idoneità tecnico-organizzative), articoli che, da un lato, sembravano non consentire di introdurre (sia pure temporaneamente, per alcuni rapporti e nei soli confronti di determinati enti, anche diversi dall'«amministrazione finanziaria») una disciplina degli effetti estintivi della società nuova e differenziata a seconda dei creditori e, dall'altro, rendevano difficile far rientrare la notificazione di un atto impositivo o di riscossione ad una società estinta tra gli «adempimenti superflui», passibili di «revisione» e di eliminazione, menzionati dalla suddetta legge di delegazione. Ne' la norma in questione appariva prestarsi, per il chiaro tenore letterale, ad interpretazioni costituzionalmente orientate. Tanto premesso, la CTP, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 28 d.lgs. n. 175/2014, per violazione degli articoli 3 e 76 Cost. Osservazioni
Il d.lgs. n. 175/2014, all'art. 28, comma 4, ha dunque disposto la “sopravvivenza”, ai soli fini fiscali, della società estinta, per la durata di un quinquennio dalla avvenuta cancellazione (purché “richiesta” in data successiva al 13 dicembre 2014). La ratio della fictio iuris così introdotta sembra consistere nella possibilità data al Fisco di coltivare la propria pretesa creditoria e ottenere la “certezza legale del tributo” dovuto dalla società cancellata. Con due Circolari (la n. 31/E del 30 dicembre 2014 e la n. 6 del 19 febbraio 2015), l'Agenzia delle Entrate aveva peraltro sostenuto la tesi della applicabilità dell'art. 28 in via “retroattiva”, vale a dire anche alle cancellazioni di società “richieste” prima della sua entrata in vigore (13 dicembre 2014). Questa tesi, tuttavia, non ha trovato seguito nella giurisprudenza, che ha rilevato come la norma, infatti, opera su un piano sostanziale e non “procedurale” (cfr., Cass. 2 aprile 2015, n. 6743; Cass. 11 marzo 2016, n. 4788; Cass. 8 settembre 2016, n. 17791). Non è ancora del tutto chiaro invece se l'art. 28, comma 4, sia applicabile anche alle ipotesi di cancellazioni disposte d'ufficio (art. 2490, comma 6, c.c. e art. 223-septiesdecies disp. att. c.c.). Ma, dato che, di fatto, anche in questo casi la cancellazione è riconducibile a una scelta discrezionale (seppur conseguente ad un comportamento inerte), sembra ragionevole far rientrare anche tali ipotesi nelle previsioni dell'art. 28, comma 4, che ha come presupposto quello appunto della volontarietà della cancellazione. In tutti i casi, comunque, una volta scaduto il quinquennio, la società “muore” a tutti gli effetti, anche fiscali e quindi l'Amministrazione finanziaria dovrà rivolgere la propria pretesa nei confronti degli ex soci, ferma restando la validità degli avvisi in precedenza notificati alla società. Con riguardo alle cancellazioni anteriori al d.lgs. n. 175/14 (che, come detto, non ha valenza retroattiva), l'Amministrazione finanziaria dovrà dirigere la pretesa nei confronti degli ex soci e degli ex liquidatori, secondo il rispettivo titolo di responsabilità e nei limiti previsti dagli artt. 2495 c.c. e 36, d.P.R. n. 602/1973. In conclusione, nell'uno e nell'altro caso (responsabilità società “tenuta in vita” o dei soci), con l'estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non si estinguono comunque i debiti ancora insoddisfatti che alla stessa società facevano capo. La ratio della normativa risiede nell'intento d'impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, espropriare il creditore del suo diritto. E questo risultato, ai fini fiscali, per le cancellazioni ante d.lgs. n. 175/14, viene raggiunto riconoscendo che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati (art. 36 d.P.R. n. 602/1973). L'art. 36 d.P.R. n. 602/1973 prevede infatti tre categorie di soggetti che possono essere chiamati in causa dal Fisco in caso di cancellazione delle società dal registro delle imprese: a) i liquidatori; b) gli amministratori; c) i soci. La responsabilità dei liquidatori e degli amministratori è però collegata ad un comportamento illecito “proprio” dei liquidatori o degli amministratori, ribadito più volte dalla Suprema Corte. Per quanto concerne invece la responsabilità dei soci, essa trae origine non da un fatto proprio dei soci, ma dall'indebito arricchimento dagli stessi realizzato per effetto delle assegnazioni di denaro e altri beni sociali loro fatte dagli amministratori nel corso degli ultimi due periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione, ovvero dai liquidatori nella fase della liquidazione. E perciò trova però un limite quantitativo nel valore dei beni da essi ricevuti e dell'indebito arricchimento come rilevabile dal bilancio finale di liquidazione. Tale responsabilità non ha quindi carattere sanzionatorio, ma riguarda direttamente l'obbligazione tributaria della società rimasta inadempiuta nei periodi innanzi indicati. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 6070, depositata il 12 marzo 2013, hanno a tal proposito in particolare affermato che escludere la successione dei soci nei debiti pregressi porterebbe alla conclusione che la volontaria estinzione dell'ente collettivo imponga un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori, che non potrebbero agire nemmeno nei confronti dei soci. Pertanto, perché tale circostanza non si verifichi è necessario escludere che la cancellazione dal registro determini la “sparizione” dei debiti insoddisfatti, dovendosi necessariamente concludere che si assiste ad un trasferimento di questi in capo ai successori (soci), fatti salvi i limiti di responsabilità sopra citati. In definitiva, il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell'ente collettivo fa infatti emergere il sostrato personale, che ne è comunque alla base e rende perciò plausibile la responsabilità dei soci, anche considerato il carattere strumentale del soggetto società. |