L’esecuzione del debito erariale e la specialità del regime prescrizionale dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile

Ilvio Pannullo
21 Novembre 2019

Il termine quinquennale per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale si riferisce solo al giudizio di accertamento della responsabilità amministrativa o si estende anche all'azione esperita per il recupero del debito erariale già accertato?
Massima

La specialità del regime prescrizionale applicabile ai casi di responsabilità amministrativo-contabile va interpretata con riferimento all'inizio del giudizio di responsabilità e va declinata in relazione alla qualificazione della domanda proposta, non potendo valere a superare la disciplina ordinaria relativa agli effetti della sentenza di condanna passata in giudicato che ha definito il singolo giudizio, per la quale si applica l'art. 2953 c.c. ossia il termine di prescrizione decennale.

Il caso

Tizia, dipendente dell'impresa “Poste Italiane s.p.a.” (di qui, “Poste”), per fatti di rilevanza anche penale, era condannata dalla Corte dei conti con sentenza passata in giudicato.

La sentenza definitiva, avente valore di titolo esecutivo, era eseguita da Poste -in qualità di Amministrazione di appartenenza di Tizia, danneggiata dalla sua condotta illecita- mediante rateizzazione del debito erariale da estinguersi con pari ritenute mensili a valere sull'assegno pensionistico alla medesima corrisposto.

Interrotto il piano di rientro, Poste notificava a Tizia il titolo esecutivo e il precetto per l'esecuzione forzata del credito residuo, oggetto di puntuale opposizione da parte di Tizia.

Il Tribunale accoglieva l'opposizione e dichiarava prescritto il credito erariale non ritenendo che la condotta inizialmente tenuta da Tizia potesse essere qualificata come un comportamento concludente di acquiescenza rispetto al diritto vantato da Poste e negando così l'esistenza di atti interruttivi del decorso del termine prescrizionale; la Corte distrettuale respingeva l'impugnazione di Poste.

Avverso detta sentenza Poste proponeva ricorso per Cassazione e Tizia resisteva con controricorso e memorie.

La questione

Il punto è il seguente: il termine quinquennale per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale si riferisce solo al giudizio di accertamento della responsabilità amministrativa o si estende anche all'azione esperita per il recupero del debito erariale già accertato?

Le soluzioni giuridiche

Oggetto della sentenza in commento è l'interpretazione del regime speciale disciplinante la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale.

La vicenda prende le mosse dalla sentenza di condanna di Tizia emessa dalla Corte dei conti e passata in giudicato, che, correttamente, viene eseguita da Poste in quanto Ente pubblico danneggiato dall'azione illecita definitivamente accertata.

L'esecuzione del titolo giudiziale esecutivo viene, in principio, assicurata attraverso un piano di rientro a norma del quale il debito erariale era rateizzato ed estinto con ritenute mensili a valere sull'assegno pensionistico corrisposto a Tizia, che, in un primo momento, mai vi si oppone. In seguito, tuttavia, il piano di rientro viene da questa volontariamente interrotto così costringendo Poste alla riscossione di quanto ancora dovuto mediante esecuzione forzata.

Ebbene, nel giudizio di opposizione, il Tribunale in prime cure e la Corte distrettuale in sede di gravame, non ritenendo che la condotta inizialmente tenuta da Tizia dovesse essere qualificata come un comportamento concludente di acquiescenza rispetto al diritto vantato da Poste in virtù di una sentenza di condanna definitiva emessa dal Giudice contabile, negava l'esistenza di atti interruttivi del decorso del termine prescrizionale, giudicando necessario sul punto una condotta espressa e volontaria da parte di Tizia.

La sentenza del Tribunale, pertanto, dichiarava prescritto il diritto di Poste a vedersi pagato il residuo credito portato dal titolo giudiziale esecutivo e la Corte di appello, nel confermare la sentenza impugnata, interpretava l'art. 1, comma 2, l. n. 20/1994 -secondo cui il diritto al risarcimento del danno erariale si prescrizione «in ogni caso» in cinque anni dalla data del fatto o dalla scoperta (se occultato)- ritenendolo applicabile non solo all'azione di accertamento (della responsabilità) ma anche al successivo recupero derivante dall'esecuzione della sentenza definitiva.

La Suprema Corte, cassando la decisione del Giudice distrettuale, richiama invece la propria giurisprudenza sulla disciplina della prescrizione con riguardo all'azione di risarcimento del danno da atto amministrativo dichiarato giudizialmente illegittimo, assoggettata non già al termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 2947 c.c., bensì al termine decennale della actio iudicati ex art. 2953 c.c., a condizione però che il danno sia direttamente riferibile a tale illegittimità, il che si verifica -come nel caso in commento- quando la lesione della posizione giuridica accertata dal giudice costituisce l'oggetto della domanda risarcitoria

Osservazioni

La sentenza in commento è degna di nota per la chiarezza con cui risolve la questione -assai spinosa nella pratica giudiziaria- riguardante lo speciale regime prescrizionale disciplinante l'azione di responsabilità amministrativa e l'altrettanto noto problema -di altissimo interesse pubblico- riguardante l'attività volta al recupero dei crediti derivanti dalle sentenze di condanna della Corte dei conti.

A tal proposito giova rilevare come il Codice di giustizia contabile (approvato con il d.lgs. n. 174/2016 - di seguito “c.g.c.”) abbia rivisitato la materia della esecuzione delle sentenze di condanna, già regolata dal d.P.R. n. 260/1998, ora parzialmente abrogato, disciplinando l'attività esecutiva agli artt. 212-216 c.g.c. pur se limitatamente alle sentenze pubblicate dal 7/10/2016, data di entrata in vigore del codice.

Va innanzitutto sottolineato che il c.g.c., al fine di eliminare i rilevanti fenomeni di mancate riscossioni registrati nel recente passato -che si riflettono negativamente sull'efficacia deterrente della giurisdizione di responsabilità amministrativa- e di rimarcare l'importanza e l'essenzialità dell'attività esecutiva, ha confermato la responsabilizzazione dell'Amministrazione creditrice nell'esecuzione dei provvedimenti del giudice contabile sancendo, espressamente, la sussistenza di«ogni ipotesi di responsabilità […] configurabile in ragione della mancata attuazione del recupero dei crediti derivanti dalle sentenze di condanna della Corte dei conti». [indicare la fonte]

Pur non trovando applicazione al caso in commento, il cit. art. 214 c.g.c. offre un'utilissima chiave interpretativa per comprendere la necessità di una scrupolosa osservanza degli obblighi di recupero da parte degli enti creditori. Nella sentenza in commento, invece, si assiste ad un'incomprensibile sottovalutazione della meritoria attività di recupero in via amministrativa posta in essere dall'ente creditore da parte dei giudici di merito, richiamati solo dalla Suprema Corte, all'applicazione della giurisprudenza di legittimità in materia di actio iudicati e alla pacifica valenza interruttiva delle singole trattenute mensilmente effettuate da Poste.

Come noto, infatti, la titolarità del potere-dovere di procedere all'esecuzione è di spettanza dell'Amministrazione creditrice individuata nel provvedimento giudiziale che, ricevuto il titolo giudiziale esecutivo da parte della competente Procura erariale, tramite l'Ufficio designato ex lege alla riscossione, deve avviare immediatamente l'azione di recupero del credito nei confronti del condannato, potendosi avvalere di tre strumenti: il recupero in via amministrativa (da eseguirsi -come nel caso in commento- mediante ritenute, nei limiti di legge, sulle somme dovute all'agente pubblico in base al rapporto di impiego o di servizio, compresi il trattamento di fine rapporto e quello di quiescenza comunque denominati) che si attua mediante semplice richiesta all'ente erogatore del trattamento oggetto della ritenuta, con possibilità di richiedere l'iscrizione di ipoteca sui beni del debitore; l'esecuzione forzata di cui al Libro III del c.p.c.; l'iscrizione a ruolo ai sensi della normativa concernente, rispettivamente, la riscossione dei crediti dello Stato e degli Enti territoriali.

La scelta tra le varie possibilità offerte va compiuta individuando quella più proficua in ragione dell'entità del credito, della situazione patrimoniale del debitore, dell'esigenza di garantire la celerità del procedimento e di ogni altro elemento o circostanza rilevante, dovendosi necessariamente seguirsi la modalità dell'esecuzione forzata solo nel caso in cui la sentenza sia stata preceduta da sequestro conservativo, realizzandosi l'automatica sua conversione in pignoramento ex art. 80 c.g.c. una volta intervenuta la sentenza di condanna esecutiva.

Ciò posto, il recupero del credito in via amministrativa, sussistendone i presupposti (trattamento economico in favore del condannato) e in presenza di una condanna non elevata, è da sempre la modalità preferibile per la maggiore semplicità e sicurezza realizzativa, comportante anche minore oneri per il debitore, il quale, tuttavia, nel caso in commento, cessa volontariamente di prestare acquiescenza alla ritenuta sul proprio assegno pensionistico, obbligando così l'ente creditore all'esecuzione forzata per la parte residua, con aggravio di oneri e spese.

A questo proposito si evidenzia che ex art. 215, comma 5, c.g.c. il debitore può essere oggi ammesso, su sua richiesta, al pagamento in forma rateale, previa predisposizione, a cura dell'Amministrazione creditrice, di un piano di rateizzazione che tenga conto dell'ammontare del credito e delle condizioni economiche e patrimoniali del debitore e salva la preventiva approvazione del P.M. contabile.

La rateizzazione potrà ricevere, di massima, approvazione positiva qualora rispetti le prescrizioni -ripartizione del pagamento delle somme fino ad un massimo di 72 rate mensili per le somme di importo non superiore ad € 60.000- contenute nel vigente art. 19 d.P.R. n. 602/1973, disposizione di cui l'art. 215, comma 6, c.g.c. mutua la previsione della decadenza dal beneficio per il mancato versamento di cinque rate anche non consecutive.

Si evidenzia, da ultimo, come l'art. 214, comma 6, c.g.c. legittimi oggi il P.M. contabile ad indirizzare all'ente esecutante istruzioni circa il tempestivo e corretto svolgimento dell'azione di recupero, mentre ex art. 214, c. 7, c.g.c. le Amministrazioni statali o ad esse equiparate si dovranno avvalere della consulenza -e, per le esecuzioni innanzi al giudice ordinario, del patrocinio- dell'Avvocatura dello Stato.

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