Inumana detenzione: il diritto all'indennizzo si prescrive in dieci anni

23 Gennaio 2020

Il rimedio previsto dalla legge per chi sia stato detenuto in condizioni inumane ha natura risarcitoria o indennitaria? E, conseguentemente, la prescrizione del relativo diritto è quinquennale o decennale?
Massima

Il diritto ad una somma di denaro pari a otto Euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all'art. 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, previsto dall'art. 35-ter ord. pen., comma 3, si prescrive in dieci anni, che decorrono dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni. Coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, se non sono incorsi nelle decadenze previste dall'art. 2 d.l. n. 92 del 2014 convertito in l. n. 117/2014, hanno anch'essi diritto all'indennizzo ex art. 35-ter ord. pen., comma 3, il cui termine di prescrizione in questo caso non opera prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto legge.

Il caso

Un ex detenuto ricorre in Cassazione, nei confronti del Ministero della Giustizia, contro il decreto con cui il Tribunale di Cagliari aveva rigettato la sua domanda di risarcimento dei danni subiti a causa della detenzione in diverse carceri italiane, in condizioni inumane, dal 10 febbraio 1980 all'1.6.2000 – domanda che era stata proposta sulla base del nuovo art. 35-ter ord. pen., introdotto con il d.l. 92/2014, convertito in l. 117/2014.

Il Tribunale aveva accolto l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero, secondo il quale, trattandosi di diritto al risarcimento del danno, dovesse applicarsi il termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2947 c.c.

La questione

Il rimedio previsto dalla legge per chi sia stato detenuto in condizioni inumane ha natura risarcitoria o indennitaria? E, conseguentemente, la prescrizione del relativo diritto è quinquennale o decennale?

Le soluzioni giuridiche

La Corte, nell'accogliere il ricorso, tratta congiuntamente i motivi in esso dedotti, nei quali si evidenziava che il Tribunale avesse errato nell'accogliere l'eccezione di prescrizione proposta dal Ministero, in quanto:

- non si era tenuto conto dell'incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza (quest'ultima prevista dalla disposizione transitoria di cui all'art. 2 del d.l. n. 92/2014);

- il Tribunale aveva ritenuto che il rimedio azionato avesse natura risarcitoria e non indennitaria, e che, pertanto, fosse applicabile la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 c.c.

La Corte fonda il proprio pronunciamento sul principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite in Cass. civ., Sez. Un., sent., 8 maggio 2018, n. 11018 (già richiamato da un'altra pronuncia molto recente: Cass. civ., sez. I, sent.,2 luglio 2018, n. 17275, resa in un caso analogo a quello in esame) e afferma che il Tribunale di Cagliari, con il provvedimento impugnato, abbia applicato regole di giudizio opposte a quelle dettate, appunto, dalle Sezioni Unite, avendo lo stesso statuito che:

- il rimedio evocato ha natura risarcitoria e non indennitaria;

- la prescrizione, conseguentemente, è di cinque anni;

- la prescrizione decorre giorno per giorno, anche anteriormente all'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 92/2014.

Viceversa, le Sezioni Unite hanno stabilito che:

- il rimedio previsto dal d.l. 92/2014, che ha introdotto, all'interno della legge sull'ordinamento penitenziario (l. 354/1975), l'art. 35-ter: costituisce un istituto del tutto innovativo; ha natura indennitaria;

- si tratta di un istituto applicabile retroattivamente anche a situazioni pregresse;

- data la natura indennitaria e non risarcitoria del rimedio, il relativo diritto è soggetto a prescrizione decennale;

- gli istituti della prescrizione e della decadenza non sono, in via generale, tra loro incompatibili;

- nell'ambito della disciplina transitoria dettata dall'art. 2 del d.l. 92/2014 – in relazione alle situazioni di chi a) alla data di entrata in vigore della legge, abbia cessato di espiare la pena detentiva o non si trovi più in stato di custodia cautelare in carcere; b) sia attualmente detenuto o internato e abbia già presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto dell'art. 3 CEDU – la prescrizione decorre dall'entrata in vigore della legge;

- in tal caso – ossia quando si applichi la disciplina transitoria – la prescrizione rimane assorbita dalla decadenza in tutti i casi in cui il diritto venga meno perché non azionato nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge stessa, previsto dal d.l. 92/2014.

Nella pronuncia in commento, la Corte cassa quindi il provvedimento del Tribunale di Cagliari, con rinvio al giudice a quo in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Osservazioni

Per meglio comprendere la decisione in commento occorre, ad avviso di chi scrive, approfondire il pronunciamento delle Sezioni Unite del 2018 (Cass. civ., Sez. Un., sent., 8 maggio 2018, n. 11018), sul quale si fonda, e a cui sostanzialmente rinvia, l'ordinanza n. 26974/2019.

La pronuncia delle Sezioni Unite, peraltro, contiene un utile e chiaro riepilogo della normativa applicabile e dell'iter che ha condotto alla sua introduzione.

Nel procedimento da cui è scaturito l'intervento delle Sezioni Unite, il ricorso era stato proposto dal Ministero, che sosteneva che l'art. 35-ter ord. pen. non avesse introdotto un diritto nuovo, ma soltanto una semplificazione processuale dell'azione di risarcimento danni prevista dall'art. 2043 c.c. relativamente all'ipotesi di violazione dell'art. 3 CEDU (che, sotto la rubrica “Proibizione della tortura”, dispone che «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti»).

Le Sezioni Unite evidenziano innanzitutto che il problema della violazione dell'art. 3 CEDU era stato posto in evidenza dalla sentenza Torreggiani e altri vs Italia della Corte Europea dei diritti dell'uomo dell'8.1.2013 – resa a seguito di una serie di ricorsi i cui promotori assumevano di essere o di essere stati detenuti in celle di spazio inferiore ai 3 mq per persona, con problemi, inoltre, relativi alla possibilità di fare la doccia con acqua calda e alle condizioni di luce.

La Corte di Strasburgo:

- aveva respinto l'eccezione del mancato esperimento delle vie di ricorso interne, ritenute non effettive (il riferimento era all'unico rimedio all'epoca in vigore, costituito dal reclamo al magistrato di sorveglianza, ex artt. 35 e 69 ord. pen.);

- aveva condannato l'Italia a risarcire il “danno morale” subito dai ricorrenti;

- aveva altresì disposto: «lo Stato italiano dovrà, entro un anno, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte».

In seguito a tale condanna, e per mettere mano al problema del sovraffollamento carcerario, il Governo è intervenuto con il succitato d.l. 92/2014. Con tale provvedimento:

- è stato introdotto nell'ordinamento penitenziario l'art. 35-ter, che prevede una serie di rimedi – «a titolo di risarcimento del danno» – per chi sia o sia stato carcerato in condizioni tali da violare l'art. 3 CEDU. In particolare: a) il comma 1 prevede una riduzione della pena ancora da espiare, senza misure di tipo economico; b) il comma 2 ha ad oggetto i casi in cui la pena da espiare non sia tale da consentire il risarcimento mediante la sua riduzione e dispone, in aggiunta allo sconto di pena, per il periodo residuo, un compenso pari ad otto Euro per ogni giornata in cui sia stato subito il pregiudizio; c) il comma 3 concerne la situazione di chi abbia già terminato di scontare la pena: in tal caso è prevista solo la compensazione economica, pari sempre ad otto Euro die.

L'art. 35-ter prevede altresì che l'azione «deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere».

- Viene prevista una disciplina transitoria, contenuta nell'art. 2 del decreto, a norma del quale: a) coloro che, alla data di entrata in vigore del d.l. n. 92 del 2014, avevano terminato la carcerazione, possono proporre l'azione di cui all'art. 35-ter comma 3, «entro il termine di decadenza di sei mesi decorrenti dalla stessa data» di entrata in vigore del decreto; b)«i detenuti e gli internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo» possono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, presentare domanda ai sensi dell'art. 35-ter ord. pen., qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte della Corte.

Riepilogata la nuova normativa, le Sezioni Unite, nella sentenza 11018/2018, evidenziano che sul tema della prescrizione si erano già espresse le Sezioni penali, in diverse pronunce il cui comune denominatore è quello di inquadrare il rimedio previsto dall'art. 35-ter ord. pen. come un istituto del tutto innovativo. Vengono richiamate, in particolare: Cass. pen., sez. I, sent., dep. 12 gennaio 2016, n. 876; Cass. pen., sez. I, sent., dep. 27 febbraio 2017, n. 9658; Cass. pen., sez. I, sent., dep. 26 giugno 2017, n. 31475 – le ultime due avevano trattato direttamente il tema della prescrizione, e avevano già escluso che la stessa potesse decorrere da un momento antecedente all'introduzione dell'art. 35-ter – e, infine, la sentenza n. 3775 del 26 gennaio 2018 delle Sezioni Unite Penali, in cui viene affermato il seguente principio di diritto: «La prescrizione del diritto leso dalla detenzione inumana e degradante azionabile dal detenuto ai sensi dell'art. 35 ter, commi 1 e 2, ord. pen., per i pregiudizi subiti anteriormente all'entrata in vigore del D.L. n. 92/2014, decorre dal 28 giugno 2014» (data di entrata in vigore del d.l.).

Cass. civ., Sez. Un., sent., 8 maggio 2018, n. 11018 evidenzia poi che, nonostante la terminologia utilizzata dal legislatore, che parla di “risarcimento del danno”, il rimedio di cui trattasi costituisce, in realtà, un indennizzo.

Ciò in quanto il compenso in denaro previsto è forfettizzato nella misura di otto Euro per ciascuna giornata in cui è stato subito il pregiudizio.

Rileva quindi unicamente la durata del pregiudizio in questione. Viceversa, «manca il rapporto tra specificità del danno e quantificazione economica che caratterizza il risarcimento e manca ogni considerazione e valutazione del profilo soggettivo».

La natura indennitaria del rimedio, unitamente alla fonte della responsabilità – la legge – convergono, secondo le Sezioni Unite, nell'escludere l'applicabilità della regola di cui all'art. 2947 comma 1 c.c., specificamente dettata per il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito.

Conseguentemente, il termine di prescrizione applicabile è quello ordinario, e cioè quello decennale, ex art. 2946 c.c.

Ma quando matura la prescrizione? Secondo le Sezioni Unite, poiché il diritto all'indennizzo è previsto per ciascuna giornata in cui sia stato subito il pregiudizio, deve ritenersi che, “simmetricamente”, il termine di prescrizione maturi “giorno per giorno”.

Ciò nel meccanismo “a regime” (ossia in relazione a situazioni in corso o successive alla data di entrata in vigore della nuova normativa), mentre, con riguardo ai casi in cui la detenzione sia cessata prima dell'entrata in vigore della legge, il termine di prescrizione decorre da questa stessa data, ossia dal giorno in cui il nuovo rimedio è stato introdotto nell'Ordinamento.

Quanto al rapporto tra prescrizione e decadenza, le Sezioni Unite chiariscono che i due istituti non sono tra loro incompatibili.

Pertanto:

- nell'ambito della disciplina transitoria (art. 2 d.l. 92/2014), la prescrizione decorre dall'entrata in vigore della legge e la stessa resta assorbita dalla decadenza in tutti i casi in cui l'azione non sia stata proposta entro sei mesi da tale data;

- viceversa, nel meccanismo “a regime”, potrà succedere che la prescrizione maturi in corso di detenzione; in tal caso, la prescrizione prevale sulla decadenza, la quale, ai sensi dell'art. 1 del d.l., decorre dalla cessazione dello stato di detenzione. Infatti, a tale ultimo riguardo, la Corte ricorda che «la carcerazione non costituisce impedimento al decorrere del termine di prescrizione con riferimento alla pretese di natura civilistica, cfr. Cass. civ., 11 febbraio 2015, n. 2696».

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