Omicidio di mafia: risarcimento del danno ai superstiti in applicazione delle tabelle milanesi

04 Febbraio 2020

Il danno non patrimoniale per la morte di un congiunto, vittima di un agguato mafioso, può essere risarcito applicando le tabelle milanesi, parametro di liquidazione equitativa che garantisce uniformità di trattamento..
Massima

Il danno non patrimoniale per la morte di un congiunto, vittima di un agguato mafioso, può essere risarcito applicando le tabelle milanesi, parametro di liquidazione equitativa che garantisce uniformità di trattamento, aggiornate all'attualità e tenendo conto della durata della vita dei familiari superstiti.

Il caso

Nella Palermo degli anni '80 imperversa la guerra di mafia: tra le molte vittime anche un giovane agente di polizia, barbaramente assassinato.

Molti anni dopo, la Corte d'assise di Palermo condanna, insieme ad altri esponenti dell'organizzazione mafiosa denominata “cosa nostra”, l'esecutore materiale del delitto. La sentenza passa in giudicato nel 2005 e nel 2014 la sorella della vittima, anche quale erede dei genitori, chiede il risarcimento dal danno non patrimoniale. Il procedimento è promosso ex art. 702 bis c.p.c. poiché, quanto ai fatti materiali, si invoca l'autorità del giudicato penale.

Il Tribunale di Palermo liquida in favore dell'attrice, in proprio, la somma di euro 133.768,41, e, quale erede dei genitori, rispettivamente la somma di euro 274.539,22 per il danno sofferto dal padre della vittima ed euro 351.544,12, per il danno sofferto dalla madre, oltre interessi. La differenza di liquidazione tra i genitori è dovuta al fatto che il padre è deceduto dopo cinque anni dal fatto, mentre la madre è vissuta sino al 2012, patendo quindi le sofferenze più a lungo. L'attrice appella la sentenza, lamentando la inadeguata personalizzazione del danno, dal momento che oltre alla sofferenza per la morte del giovane, l'intera famiglia ha subìto lo stravolgimento della vita familiare: hanno abbandonato la città di Palermo per paura di ulteriori vendette criminali; la madre si è ammalata e la figlia ha dovuto accudirla rinunciando a formarsi una propria famiglia; i genitori hanno perduto la speranza di avere nipoti. Inoltre, osserva l'appellante, non è stato risarcito il danno “da perdita della vita”, maturato direttamente in capo alla giovane vittima e pervenuto nel patrimonio della sorella iure hereditatis.

La questione

La prima questione sul tappeto è il quantum della liquidazione del danno subìto iure proprio dai familiari della vittima, come conseguenza della sua morte. Si tratta di danno non patrimoniale, a liquidazione equitativa, da operarsi secondo parametri che garantiscano uniformità di trattamento; il primo giudice ha applicato le tabelle milanesi, ma poiché le tabelle sono periodicamente aggiornate e prevedono, per il caso morte del congiunto, un parametro risarcitorio compreso tra un minimo e un massimo, la Corte territoriale deve stabilire se si applichino le tabelle temporalmente più vicine all'epoca della liquidazione, ed inoltre se, in un caso simile, debbano applicarsi i parametri massimi ovvero, come richiede l'appellante, si debba partire dai massimi e andare oltre. La seconda questione è relativa al danno da perdita del bene vita: quando la vittima (diretta) muore, subisce un danno e cioè la privazione del bene vita? E se così è, i suoi familiari ereditano il diritto al risarcimento?

Le soluzioni giuridiche

Anche i giudici di secondo grado applicano le tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale.

La Corte di Cassazione nel 2011 ha segnato un punto di svolta in tema di liquidazione equitativa del danno, indicando la strada per garantire uniformità di trattamento sul tutto il territorio nazionale, tramite l'applicazione delle tabelle milanesi; in quella occasione la Suprema Corte ha osservato che poiché l'equità è uno strumento di eguaglianza, non è possibile appagarsi di una uniformità solo locale e quindi fare riferimento alla media delle liquidazioni decise nell'ambito di un determinato ufficio giudiziario (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12408).

La maggior parte dei giudici di merito si è adeguata a queste indicazioni, anche se vi è una contesa tra il Tribunale di Milano e il Tribunale di Roma, che elabora proprie tabelle (Trib. Roma, 9 aprile 2018; Trib. Roma, sez. X, 16 ottobre 2017, n. 19388) (Per un maggior approfondimento vedi anche D.SPERA, Roma – Milano ancora più distanti: le due Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale a confronto, in Ridare.it).

Tuttavia la questione non è in discussione nel giudizio di appello davanti alla Corte palermitana, e le tabelle milanesi sono state ritenute, nella concreta fattispecie e senza alcuna contestazione dalle parti, «regole integratrici del concetto di equità̀, atte a circoscrivere la discrezionalità̀ dell'organo giudicante e ad evitare (o quantomeno ridurre), al di là delle diversità̀ delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali, ingiustificate disparità di trattamento, contrastanti con l'art. 3 Cost.» (si veda da ultimo Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 2019, n. 1533)

La questione controversa è il quantum: l'appellante reclama una liquidazione più elevata tenendo conto dei parametri tabellari più aggiornati (2018) e della gravità del fatto che ha causato profonde sofferenze e pregiudizi molteplici.

La Corte territoriale osserva che per pervenire a una valutazione del danno quanto più informata ad equità, debba farsi applicazione delle tabelle aggiornate, anche se intervenute dopo la instaurazione del giudizio, richiamando un precedente della Corte di Cassazione ove si afferma che «il giudice (anche d'appello) ha l'obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione» (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2012, n. 7272).

Ciò premesso, il giudice d'appello utilizza, per la madre e la sorella, il parametro massimo delle tabelle, trattandosi di un fatto gravissimo, idoneo a sconvolgere la vita delle persone e a causare sofferenze atroci; per il padre, che ha avuto una vita più breve, si utilizza il parametro medio perché il tempo del dolore patito ha comunque la sua rilevanza. I giudici d'appello liquidano pertanto le seguenti somme, già rivalutate e comprensive degli interessi calcolati anno per anno sulla somma devalutata alla data del fatto (cui si dovranno aggiungere quelli decorrenti dalla sentenza al soddisfo): euro 286.669,64 per la sorella, in proprio; euro 660.177,55 per la sorella quale erede della madre, ed euro 495.133,17 per la sorella quale erede del padre.

La Corte d'appello si attiene al principio che il risarcimento del danno deve -nei limiti del possibile- ristorare il pregiudizio subìto e quindi parametra il danno alla intensità della sofferenza e agli ulteriori pregiudizi esistenziali patiti per effetto della morte del congiunto.

L'appellante chiede che la personalizzazione del danno vada oltre i massimi ed espone le ragioni per le quali il suo caso è da ritenersi fuori dall'ordinario: il fratello è una vittima di mafia e la famiglia ha avuto paura che la vendetta nei confronti del poliziotto onesto e “scomodo”, potesse estendersi anche a loro: da qui lo stravolgimento della loro vita, il trasferimento, la solitudine. La Corte, tuttavia, ritiene che nella stessa applicazione dei parametri massimi e medi e comunque in una valutazione di gran lunga superiore a quella operata dal primo giudice si possa ritenere soddisfatta l'esigenza di personalizzazione anche con riferimento alla «natura dolosa dell'illecito e la particolare efferatezza del gesto criminale».

La seconda questione è facilmente risolta con riferimento al principio enunciato dalle sezioni unite, in virtù del quale il danno da perdita della vita non è risarcibile quando il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, per l'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene, o comunque per la mancanza di utilità̀ di uno spazio di vita brevissimo (Cass. civ., Sez. Un., 22 luglio 2015, n.15350). Il giovane agente è stato raggiunto a breve distanza da quattro proiettili alla testa e uno al torace, ed è morto sul colpo, sicché si ritiene che non abbia maturato il diritto al risarcimento del danno tanatologico.

Osservazioni

La liquidazione del danno non patrimoniale si muove tra due opposte esigenze, che non sempre è facile conciliare: da un lato occorre garantire parità di trattamento e prevedibilità della decisione, per cui a parità di lesioni tutti i danneggiati dovrebbero ricevere un uguale risarcimento; dall'altro il criterio adottato non può essere rigido, ma deve consentire al giudice di adattare il risarcimento al caso concreto e cioè di personalizzare il danno.

Nel valutare la gravità di una lesione psicofisica soccorrono alcuni criteri oggettivi, ad esempio i giorni di inabilità temporanea o le percentuali invalidanti. È più difficile dare una graduazione al dolore ed ai pregiudizi derivati dalla perdita del familiare e trovare una giusta personalizzazione che consenta di valorizzare «l'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale» (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2019, n. 2788; Cass. civ., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350; Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2017, n. 21939). A questo fine le tabelle milanesi, per la voce risarcimento del danno da perdita di un familiare, prevedono più casi (a seconda del grado di parentela) e individuano una forcella di valori con la possibilità di un aumento personalizzato fino ad un massimo predeterminato.

Ma è possibile andare oltre i massimi se il caso di specie presenta particolarità di eccezionale rilievo?

In questa vicenda, nella difficile operazione di individuare e liquidare tutte le voci di danno, senza dar luogo ad alcuna duplicazione (Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2018, n. 23469), avrebbe forse meritato un capitolo a parte quel particolare danno- conseguenza che deriva dall'essere colpiti da un fatto criminale premeditato da parte di una organizzazione nota per le vendette trasversali, e cioè la paura, concretamente fondata, che l'evento si ripeta. Il fatto -dice l'appellante- ha stravolto le abitudini di vita della famiglia che si è allontanata da Palermo, insanguinata all'epoca dalla seconda guerra di mafia, e ha perduto le proprie radici e le relazioni sociali. Ma, in definitiva, la liquidazione operata al massimo dei parametri costituisce di per sé, dice la Corte, una operazione che assorbe anche questa peculiarità, anzi tutte le peculiarità quali «l'efferatezza del delitto, la giovane età̀ della vittima, la convivenza tra la vittima e i superstiti, la solitudine familiare conseguente al trasferimento a Sutera, l'assenza di parenti, l'assenza di nipoti, il movente particolarmente abbietto del delitto con conseguente difficile elaborazione del lutto».

L'affermazione dei giudici palermitani si comprende meglio ove si ponga mente alla evoluzione delle tabelle milanesi, e il percorso giurisprudenziale cui si adegua l'ultima revisione del 2018.

Le tabelle milanesi, così come quelle romane, del resto, sono nate essenzialmente sulla casistica dei sinistri stradali e della responsabilità medica. Sono frutto -anche- di un monitoraggio dei precedenti, e quindi influenzate dall'ordinario andamento della casistica giudiziaria. Nel caso in esame, la danneggiata deduce non soltanto un reato doloso, ma un fatto -e i conseguenti pregiudizi- decisamente fuori dall'ordinario: essere vittima (indiretta) di un omicidio di mafia, in un contesto imbarbarito e cruento quale era quello della Palermo degli anni ‘80. Si tratterebbe quindi di una ipotesi in cui l'applicazione del principio di personalizzazione del danno, consente al giudice, con adeguata motivazione, di eccedere i parametri tabellari, perché il fatto è fuori dal comune. Ed invero è stato anche affermato dalla Corte di Cassazione, che la “personalizzazione” può anche comportare il superamento dei limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle tabelle, ma solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all'oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'id quod plerumque accidit (Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2016 n. 3505; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019 n. 28988).

Senonché, le tabelle milanesi del 2018 tengono in considerazione anche le esigenze di personalizzazione e in particolare, l'esigenza di adeguare il risarcimento alla maggiore sofferenza che di regola deriva alla vittima a seguito di un reato doloso, e ciò, si precisa nella relazione introduttiva alle tabelle, senza aderire alla tesi della natura punitiva del danno non patrimoniale.

Sembrerebbe così che, una volta recepite e applicate le nuove tabelle milanesi, superandone i massimi si liquiderebbe il danno oltre il ristoro del pregiudizio subito, operazione che potrebbe facilmente cadere sotto la scure del divieto di duplicazione delle poste risarcitorie, ovvero inoltrandosi nell'aspro terreno della funzione punitiva e deterrente del risarcimento del danno non patrimoniale, questione assai controversa.

Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno di recente operato una significativa apertura su questo tema e, delimitando l'ambito di operatività nell'ordinamento italiano dei danni punitivi, hanno affermato il principio di diritto che alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono «interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile»; tuttavia hanno affermato anche che ogni imposizione di prestazione personale esige una “intermediazione legislativa” in forza del principio di cui all'art. 23 Cost. (Cass. civ., Sez. Un., 5 luglio 2017 n. 16601).

Secondo una parte della dottrina, le tabelle giudiziali di Milano hanno avuto riconoscimento dalla Corte di cassazione proprio perché in sintonia con il principio di integrale riparazione del danno già fissato nelle decisioni di San Martino (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975): e senza una vera intermediazione legislativa, non pare possibile fissare livelli di risarcimento che eccedano il livello dell'integrale riparazione del danno. Del resto, nota lo stesso autore, se tutto il danno viene risarcito, anche l'obiettivo di deterrenza viene raggiunto e l'Italia è il paese nel quale viene riconosciuto il maggior livello di risarcimento del danno non patrimoniale in tutta l'Europa (Ponzanelli, Danni punitivi: oltre la delibazione di sentenze straniere? 2018).

Ciò nonostante la questione resta aperta, perché è pur vero che la funzione compensativa del danno è concetto che non si adatta alla perfezione ai pregiudizi non patrimoniali. È stato infatti osservato che un risarcimento inteso come un “rimettere insieme” l'unità strutturale e funzionale del bene incisa dal fatto lesivo non è neppure in astratto configurabile quando il bene soppresso o alterato sia intrinsecamente refrattario a quest'operazione e, più in generale ancora, quando il pregiudizio che si è verificato non è immediatamente riconducibile ai circuiti valutativi propri di un'economia di mercato e, dunque, non può trovare in essi componimento (SCOGNAMIGLIO, Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e la concezione polifunzionale della responsabilità civile, 2017). Il ragionamento è analogo a quello che giustifica e spiega, in tema di esecuzione o attuazione di prestazioni infungibili, la previsione normativa di misure di coercizione indiretta, per tutelare beni della vita che non si possono sostituire, coartando il comportamento di chi deve proteggerli o potrebbe danneggiarli (art. 709-ter c.p.c.;art. 614-bis c.p.c.). Ma, in questi casi, vi è una apposita previsione normativa, mentre in tema di danno non patrimoniale la previsione normativa del 2059 c.c. rimanda essa stessa ai “casi determinati dalla legge”; così le stesse sezioni unite del 2017 affermano che la “curvatura deterrente/sanzionatoria” della responsabilità civile non consente comunque ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.