Obbligazioni di valore a pagamento di acconti: la Corte di Cassazione detta le linee guida per la liquidazione

14 Febbraio 2020

In tema di obbligazioni di valore, ove il danneggiante abbia corrisposto degli acconti, come deve essere liquidato il danno da ritardo?
Massima

La liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore deve, per così dire, "simulare" il vantaggio che il creditore avrebbe potuto ricavare dall'investimento della somma a lui dovuta, se gli fosse stata tempestivamente pagata. È dunque evidente che, nel caso di pagamenti in acconto, il creditore: (a) nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto, a causa della mora ha perduto la possibilità di investire e far fruttare l'intero capitale dovutogli: e dunque il danno da mora deve, per questo periodo, replicare il lucro che gli avrebbe garantito l'investimento dell'intero capitale; (b) dopo il pagamento del (primo) acconto, e per effetto di quest'ultimo, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente derivanti dall'investimento dell'intero capitale dovutogli; dopo il pagamento dell'acconto, infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua, dopo il pagamento dell'acconto. Questo essendo il criterio che deve presiedere alla liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore, ne segue che nel caso di pagamento di acconti, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio attraverso le seguenti operazioni: (a) rendere omogenei il credito risarcitorio e l'acconto (devalutandoli entrambi alla data dell'illecito, ovvero rivalutandoli entrambi alla data della liquidazione); (b) detrarre l'acconto dal credito; (c) calcolare gli interessi compensativi applicando un saggio scelto in via equitativa: (c') sull'intero capitale rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto; (c") sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto (anche in questo caso rivalutata anno per anno), per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva.

Il caso

A seguito di un sinistro stradale, il danneggiato conveniva in giudizio il conducente ed il proprietario del veicolo antagonista ed il loro assicuratore della r.c.a., per ottenere il risarcimento dei danni.

Il Tribunale accoglieva la domanda, sentenza che era appellata dalla compagnia di assicurazioni sul rilievo di avere versato somme superiori a quelle liquidate dal giudice di primo grado, avendo pagato al danneggiato vari acconti, chiedendo la restituzione dell'eccedenza.

Il giudice di Appello rideterminava il credito risarcitorio, rigettando (implicitamente) la domanda di restituzione.

La compagnia di assicurazioni proponeva ricorso in Cassazione che era accolto sul rilievo che la Corte d'appello aveva errato nel rigettare la domanda di restituzione formulata dalla ricorrente, senza prima avere calcolato gli acconti pagati dall'assicuratore, ed accertato la sussistenza o meno di un'eccedenza nei pagamenti.

In sede di rinvio, il giudice di secondo grado provvide ad eseguire il calcolo demandatole dai giudici di legittimità, adottando il seguente metodo: --a) devalutò tutti i crediti del danneggiato alla data del sinistro; --b) devalutò tutti gli acconti pagati dall'assicuratore alla data del sinistro; --c) sottrasse gli acconti devalutati (b) dai crediti devalutati (a), condannando gli eredi del resistente – nelle more del giudizio deceduto - a restituire all'assicuratore la differenza.

Gli eredi della vittima del sinistro hanno impugnato la decisione di secondo grado lamentando che la Corte di Appello avrebbe completamente omesso di tenere conto degli effetti della mora, vale a dire della svalutazione monetaria e degli effetti compensativi.

Ciò in quanto la Corte territoriale avrebbe effettuato il calcolo del credito residuo sottraendo gli acconti pagati dall'assicurazione dal credito attoreo, non tenendo conto degli interessi compensativi e della rivalutazione maturati dalla data del sinistro al pagamento degli acconti.

Accogliendo il ricorso, la Corte di Cassazione ha precisato che, ai sensi dell'art. 1219 c.c., il debitore dell'obbligo di risarcire il danno causato da un fatto illecito è in mora ex re dal giorno del fatto illecito.

È dunque evidente, secondo la Corte, che, nel caso di pagamenti in acconto, il creditore, nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto ha perduto la possibilità di investire e far fruttare l'intero capitale dovutogli mentre, dopo il pagamento del primo acconto, non può dolersi di aver perduto i frutti finanziari teoricamente derivanti dall'investimento dell'intero capitale dovutogli (il lucro cessante si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua, dopo il pagamento dell'acconto).

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di obbligazioni di valore, ove il danneggiante abbia corrisposto degli acconti, come deve essere liquidato il danno da ritardo?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, il risarcimento del danno forma l'oggetto di una obbligazione di valore, che, pur non producendo interessi ex art. 1224 c.c., può provocare al creditore un pregiudizio da lucro cessante costituito dalla perduta possibilità di investire la somma dovutagli e ricavarne un lucro finanziario.

L'obbligazione di risarcire il danno è una tipica obbligazione di valore avendo la funzione, non di consegnare una determinata somma, ma quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato, seppure elargendo, per equivalente, una somma di denaro.

Pacifici, e da tempo, sono i principi che disciplinano gli effetti del ritardato adempimento d'una obbligazione di valore, e cioè: --a) alle obbligazioni di valore sono inapplicabili sia l'art. 1277 c.c., sia l'art. 1224 c.c.; --b) l'obbligazione di valore deve essere monetizzata dal giudice con riferimento alla data di liquidazione, attraverso la rivalutazione monetaria che va disposta anche d'ufficio, in quanto la rivalutazione non rappresenta un accessorio del credito (al contrario degli interessi legali per le obbligazioni di valuta), ma costituisce una componente intrinseca del danno e, per l'esattezza, il danno causato dal decorso del tempo; --c) una volta attualizzato l'importo dovuto dal debitore moroso, spetta altresì al creditore il risarcimento dell'ulteriore pregiudizio rappresentato dalla perduta possibilità di disporre tempestivamente della somma dovutagli, investirla e ricavarne un lucro finanziario.

Quest'ultimo tipo di pregiudizio va liquidato in via equitativa, anche sotto forma di interessi (c.d. interessi compensativi), con la precisazione che: --a) la base di calcolo di tali interessi non è rappresentata dal credito rivalutato, ma dal credito originario (cioè espresso in moneta dell'epoca in cui sorse l'obbligazione) rivalutato anno per anno, ovvero rivalutato in base ad un indice di rivalutazione medio; --b) il saggio di suddetti interessi non deve necessariamente essere quello legale.

La rivalutazione monetaria e gli interessi compensativi costituiscono, dunque, una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi, ove non espressamente esclusi, devono ritenersi compresi nell'originario petitum della domanda risarcitoria (Cass. civ., n. 8259/1997).

Ne consegue che al creditore spettano sia la rivalutazione (per compensare il valore intrinseco del bene perduto) che il lucro cessante (per compensare il mancato uso del bene perduto) utilizzando la tecnica di un tasso di interesse da determinare equitativamente (come per prima ebbe a chiarire la celebre Cass. civ., Sez. Un., n. 1712/1995; Cass. civ., n. 5234/2006; Cass. civ., n. 10884/2007; Cass. civ., Sez. Un., n. 26008/2008).

Per effettuare queste operazioni, seguendo un orientamento ormai consolidato si farà ricorso a due diversi tassi ove sia necessario calcolare entrambi gli accessori.

Dove il credito non sia stato già conteggiato già con rivalutazione (per liquidazione all'attualità) si fa ricorso agli indici FOI, indici nazionali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, pubblicati dallo ISTAT.

Per calcolare il lucro cessante, invece, si fa ricorso al tasso degli interessi legali (in difetto di allegazioni diverse da parte appellante circa un maggior rendimento del danaro dallo stesso comunemente impiegato).

Ogni calcolo, comunque, deve tener conto che la data di decorrenza di rivalutazione ed interessi è quella del fatto illecito (non essendo necessaria la messa in mora del debitore) e che, inoltre, le operazioni di liquidazione devono essere attualizzate al momento in cui si procede alla determinazione delle somme dovute al danneggiato e, quindi, anche da parte del giudice di appello ove sia ancora in contestazione la quantificazione del danno (Cass. n. 13666/2003).

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione prosegue un trend giurisprudenziale in via di consolidamento ad avviso del quale in materia di risarcimento del danno da fatto illecito, la liquidazione del danno da ritardato adempimento di un'obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva (Cass. civ., n. 21764/2019; Cass. civ., n. 6619/2018; Cass. civ., n. 1103/2018; Cass. civ., n. 9950/2017).

Peraltro, costituisce principio indiscusso che l'eventuale somma da pagare in restituzione, a seguito del nuovo conteggio, dovrà essere maggiorata solo degli interessi maturati a partire dalla data dei pagamenti ricevuti (Cass. civ., n. 21699/2011).

L'orientamento testé richiamato segna il definitivo superamento di quel formante di legittimità per il quale quando, prima della liquidazione definitiva del danno da fatto illecito, il responsabile abbia versato un acconto al danneggiato, tale pagamento va sottratto dal credito risarcitorio non secondo i criteri dettati all'art. 1194 c.c., bensì devalutando alla data dell'evento dannoso sia il credito risarcitorio che l'acconto versato, poi detraendo quest'ultimo dal primo e calcolando sulla differenza il danno da ritardato adempimento (cd. interessi compensativi (Cass. civ., n. 6357/2011).

In tal modo, il danno da mora verrebbe sottostimato, poiché successivamente al sinistro è l'intero capitale a produrre interessi compensativi, di modo che per tale periodo di tempo si dovrebbero perciò conteggiare sull'intero credito risarcitorio e non sulla somma che residua a seguito della detrazione dell'acconto.

Osservazioni

In tema di obbligazioni risarcitorie il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi compensativi, atti appunto a remunerare il danno che si presume abbia subito a causa del ritardato pagamento del dovuto, il ritardo nell'adempimento è infatti fonte di un danno ulteriore e diverso rispetto a quello già subito dal creditore in via primaria, identificabile nell'impossibilità per il danneggiato di disporre della somma dovutagli e di impiegarla in modo remunerativo.

Alle obbligazioni c.d. di valore, qual è l'obbligo di risarcire il danno aquiliano, non si applicano le norme dettate per le obbligazioni pecuniarie, altrimenti dette di valuta: non quelle sull'imputazione (art. 1194 c.c.), né quelle sulla mora (art. 1224 c.c.); né quelle sull'anatocismo (art. 1283 c.c.).

Ciò non vuol dire che il ritardato adempimento dell'obbligo di risarcimento del danno è senza conseguenze: se così fosse, non avrebbe senso alcuno l'art. 1219 c.c., a norma del quale il debitore dell'obbligazione di risarcimento del danno è in mora ex re dal giorno dell'illecito.

Le conseguenze della mora sulle obbligazioni di valore, non espressamente disciplinate dalla legge, sono state da tempo stabilite dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha fissato al riguardo i seguenti principi: --a) il debitore tenuto al risarcimento del danno ha l'obbligo di pagare al creditore l'equivalente monetario del bene perduto, espresso in moneta dell'epoca della liquidazione, il che si ottiene con la rivalutazione del credito, salvo che il giudice ovviamente l'abbia già liquidato in moneta attuale; --b) il debitore tenuto al risarcimento del danno è tenuto altresì, dal giorno della mora, a pagare al creditore il lucro cessante finanziario, ovvero i frutti che il denaro dovutogli a titolo di risarcimento avrebbe potuto produrre in caso di tempestivo adempimento (e dunque dal giorno dell'illecito, ex art. 1219 c.c.); --c) il danno sub b) si può liquidare anche (ma non solo) applicando un saggio di interessi (c.d. compensativi), equitativamente scelto dal giudice, su un capitale costituito dal credito risarcitorio devalutato all'epoca del fatto, e rivalutato anno per anno (tutti questi principi sono stabiliti da Cass. civ., Sez. Un., n. 1712/1995).

La ratio sottesa dai suddetti principi sta in ciò: che la mora nelle obbligazioni di valore produce al creditore un danno ulteriore, che diventa una componente del credito risarcitorio, e la liquidazione del quale deve avvenire, per così dire, simulando quel che il creditore avrebbe potuto ricavare dall'investimento della somma a lui dovuta, se gli fosse stata tempestivamente pagata.

È in base a tali principi che deve risolversi il problema dell'imputazione degli acconti pagati dal debitore prima della liquidazione definitiva.

Se, infatti, il pagamento degli interessi compensativi ha lo scopo di compensare il creditore per la perduta possibilità di investire la somma dovutagli e farla fruttare, ne discende che, nel caso di pagamenti in acconto, il creditore: --a) nel periodo compreso tra il danno e il pagamento dell'acconto, a causa della mora debendi ha perduto la possibilità di investire e far fruttare l'intero importo dovutogli: e dunque il danno da mora deve, per questo periodo, replicare il lucro che il creditore avrebbe teoricamente potuto ottenere dall'investimento dell'intero credito risarcitorio; --b) dopo il pagamento dell'acconto, il creditore non può più dolersi di avere perduto i frutti finanziari teoricamente ottenibili dall'investimento dell'intero capitale dovutogli; dopo il pagamento dell'acconto, infatti, il lucro cessante del creditore si riduce alla perduta possibilità di investire e far fruttare il capitale che residua dopo il pagamento dell'acconto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.