Codice Civile art. 1594 - Sublocazione o cessione della locazione.

Gian Andrea Chiesi

Sublocazione o cessione della locazione.

[I]. Il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli [1624, 1649, 1804], ma non può cedere il contratto senza il consenso del locatore [1406, 1588 2] (1).

[II]. Trattandosi di cosa mobile, la sublocazione deve essere autorizzata dal locatore o consentita dagli usi.

(1) V. artt. 2 e 36 l. 27 luglio 1978, n. 392.

Inquadramento

L'art. 1594 c.c. si occupa di due istituti diversi tra loro, entrambi interferenti sulla posizione soggettiva del conduttore: questi, infatti, può – salvo patto contrario – sublocare la cosa locatagli, mentre non può, senza il consenso del locatore, cedere il contratto.

Tale diversità di disciplina rinviene la propria ratio nella considerazione per cui, nel caso di sublocazione, il conduttore rimane obbligato verso il locatore mentre, nella diversa ipotesi di cessione del contratto, si determina una modifica dal lato soggettivo del rapporto e, quindi, il locatore potrebbe avere interesse a rifiutarla. I due istituti, dunque, sono diversi tra loro, giacché nel primo caso si ha l'insorgenza di un nuovo rapporto negoziale, benché collegato al primo, del quale condivide la causa, stante il contemporaneo godimento dello stesso bene, realizzato indirettamente dal sublocatore e, direttamente, dal subconduttore, mentre nel secondo, quale applicazione specifica, nel campo delle locazioni, degli artt. 1406 ss. c.c., si assiste ad una successione a titolo particolare nel contratto.

La norma – normalmente ritenuta di natura dispositiva – peraltro, è destinata a trovare applicazione per le sole locazioni soggette alla regolamentazione codicistica vigendo, per quelle ad uso abitativo e diverso, le regole fissate, rispettivamente dagli artt. 2 e 36 della l. n. 392/1978: in particolare, l'art. 2 citato trova applicazione anche in ordine ai contratti di locazione conclusi nella vigenza della l. n. 431/1998, non rientrando tra le norme oggetto di abrogazione da parte dell'art. 14 della citata l. n. 431, né potendosi ritenere lo stesso abrogato per incompatibilità, non formando gli istituti della sublocazione e della cessione del contratto oggetto di disciplina nella nuova normativa.

È stato peraltro osservato (Bova, 360; Gabrielli, Padovini, 696) che il vero problema di coordinamento consiste nella diversità di forma – rispettivamente, libera e scritta – richiesta dalla l. n. 392 e dalla l. n. 431 per la conclusione di contratti di locazione ad uso abitativo e, conseguentemente, necessaria per la conclusione di una valida sublocazione o cessione: questione esegeticamente risolta estendendo alle sublocazioni o cessioni concluse sotto la vigenza della l. n. 431/1998 – pur sempre nella ricorrenza delle condizioni contemplate dall'art. 2 – il requisito della forma scritta ad substantiam richiesta da tale ultima normativa nonché, per quelle concluse successivamente all'1° gennaio 2005, l'obbligo della registrazione del contratto.

Conforme è la posizione della giurisprudenza, sia pure pronunziatasi in tema di cessione del contratto concluso con la Pubblica Amministrazione: atteso che la cessione del contratto costituisce un negozio trilatero che richiede il consenso di tutte le parti interessate, e quindi anche del contraente ceduto (per il quale è essenziale conoscere il momento di efficacia della sostituzione ai fini della liberazione del contraente cedente), qualora quello trasferito sia un contratto con la P.A., la cessione, anche quando sia stata autorizzata preventivamente dal soggetto pubblico, non si perfeziona nei suoi confronti fino a quando non le sia stata notificata oppure essa non l'abbia accettata in forma scritta, dovendosi escludere – per i principi che regolano la forma dei contratti in cui interviene la pubblica amministrazione – ogni spazio di efficacia per eventuali comportamenti taciti concludenti (Cass. III, n. 3547/2004).

Rispetto alla disciplina codicistica, peraltro, mentre in caso di cessione del contratto l'art. 2, comma 1, della l. n. 329/1978 risulta pienamente conforme alle prescrizioni contenute nell'art. 1594, comma 1, c.c., con un chiaro richiamo alle prescrizioni contenute agli artt. 1406 ss. c.c., diversamente è da dirsi in relazione alla sublocazione giacché, diversamente dal richiamato art. 1594 c.c. nonché dal successivo art. 36 della l. n. 392 citata (per quanto concerne le locazioni ad uso diverso), l'art. 2 – come detto, tuttora in vigore – detta una disciplina del tutto innovativa, vietando, salvo patto contrario, la sublocazione totale dell'immobile a fini abitativi, in caso di mancanza di accordo tra le parti e, al contrario, consentendone, sempre salvo patto contrario e previa comunicazione al locatore, solamente la sublocazione parziale.

La sublocazione: cenni generali

Il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli; ove si tratti di cosa mobile, la sublocazione deve essere invece autorizzata dal locatore o consentita dagli usi.

A differenza della locazione (e della cessione del contratto), il nostro ordinamento non conosce una definizione legislativa della sublocazione, con la conseguenza che ne discende per cui il suo significato e valore vanno desunti direttamente dalla realtà di una prassi negoziale che affonda anch'essa le proprie radici in una antichissima tradizione storica: “si tratta di ipotesi particolare di subcontratto, in virtù del quale il conduttore si impegna a sua volta ad assicurare ad altri, in tutto o in parte, il godimento diretto della cosa locatagli, in cambio di un corrispettivo. Viene così attribuito al subconduttore, e cioè ad un soggetto che risulta del tutto estraneo al rapporto locatizio, un diritto il cui contenuto corrisponde perfettamente a quello del diritto attribuito al conduttore (a parte ovviamente il profilo quantitativo in ipotesi di sublocazione parziale), ferma restando la permanenza in capo a quest'ultimo della titolarità dei diritti ed obblighi tutti, nessuno escluso, derivanti dal contratto stipulato con il locatore” (Zannini). La sublocazione è, dunque, quel contratto in virtù del quale un soggetto (sublocatore) trasmette il godimento del bene, a lui locato, ad un terzo (subconduttore), verso un corrispettivo (Confortini, 600).

La sub conduzione comporta la nascita di un rapporto obbligatorio derivato, la cui sorte dipende da quella del rapporto principale di conduzione.

In conseguenza di tale complessiva operazione negoziale, dunque, si costituisce un nuovo vincolo contrattuale, collegato, come evincibile dal successivo art. 1595 c.c., al primo, in virtù del quale un soggetto terzo, senza sostituirsi ad alcuna delle parti nella titolarità del rapporto originario, acquista direttamente dal conduttore (che assume quindi il ruolo di sublocatore) la facoltà di godere, totalmente o anche solo in parte, del bene.

Chiarisce, in proposito, la recente Cass. III, n. 6390/2018 che il contratto locatizio è per legge correlato al contratto di sublocazione, come si evince proprio dall'art. 1595 c.c.: in particolare, il comma 3 della predetta disposizione costruisce proprio un rapporto di dipendenza tra i due contratti, diretto non soltanto a tutelare il locatore, bensì anche il subconduttore nel contratto collegato a quello di locazione. Il collegamento tra i contratti, che risiede nella identità (totale o parziale) dell'oggetto, impone che il locatore non possa essere privato, quando vi ha diritto, della restituzione dell'oggetto attraverso la stipulazione da parte del conduttore di un contratto di sublocazione; peraltro, a sua volta il subconduttore deve in tal caso restare “senza pregiudizio” nel suo rapporto con il sublocatore. Ciò significa che il contratto di sublocazione è collegato al contratto di locazione ma non da esso “assorbito” e asservito, vale a dire avvinto al punto che le parti del rapporto “principale” possano essere stesse governare pure l'esecuzione, e – soprattutto – prima ancora il contenuto dell'accordo correlato, ovvero anche apportare un “pregiudizio” al subconduttore nel subcontratto che non si limiti a coincidere con quanto spetta nel contratto principale al locatore: al di là di questa coincidenza, che incardina il collegamento, rimane invece integro per il resto il rapporto sublocatore-subconduttore come dalle parti di tale rapporto – e solo da esse – disciplinato nel regolamento negoziale. Nel medesimo senso Cass. III, n. 260/2006 (nonché Cass. III, n. 10742/2002), per cui la sublocazione costituisce un caso di collegamento negoziale finalizzato ad un unico regolamento di reciproci interessi tra due contratti, legislativamente fissato (e perciò tipico), e comportante dipendenza unilaterale del contratto derivato da quello fondamentale, nonché Cass. III, n. 4645/1995, per la quale in ipotesi di sublocazione si ha la nascita di un ulteriore rapporto, le cui sorti dipendono da quello principale che, comunque, permane (piuttosto, come chiarito, la sublocazione non può sopravvivere al contratto principale – o contratto base – di modo che non può configurarsi la cessione dei contratti di sublocazione una volta venuto meno il rapporto principale di locazione. V. Cass. sez. III, n. 13657/2014. Analogamente Cass. III, n. 11324/1998 ha osservato che la sentenza pronunciata per qualsiasi ragione – nullità, risoluzione, scadenza della locazione, rinuncia del conduttore/sublocatore al contratto in corso – nei confronti del conduttore esplica nei confronti del subconduttore, ancorché rimasto estraneo al giudizio e quindi non menzionato nel titolo esecutivo, non solo gli effetti della cosa giudicata sostanziale, ma anche l'efficacia del titolo esecutivo per il rilascio, in applicazione del principio resoluto jure dantis resolvitur et ius accipientis – così anche Cass. III, n. 5053/1994). Sotto altro profilo, il collegamento tra i due contratti si manifesta nella considerazione per cui la sublocazione, quale contratto derivato, comporta, in capo al subconduttore, gli stessi diritti e doveri del conduttore (Cass. III, n. 10742/2002).

Più in generale, l'autonomia del subcontratto rispetto a quello principale non impedisce che, tra i due, si producano notevoli interferenze: come si avrà, infatti, modo di chiarire nel relativo commento, l'art. 1595 c.c. accorda al locatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore, un'azione diretta contro il subconduttore per esigere il corrispettivo della sublocazione da lui ancora dovuto al momento della domanda giudiziale e per costringerlo ad adempiere ogni altro obbligo derivante dal contratto di sublocazione; il subconduttore, peraltro, non può opporre al locatore pagamenti anticipati, tranne quelli conformi agli usi locali. Si è detto, poi, che, senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, la nullità o la risoluzione del contratto principale ha effetto anche nei confronti del subconduttore, e così la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore spieghi la propria efficacia anche contro di lui. Sicché il locatore può direttamente agire nei confronti del subconduttore per ottenere la restituzione della cosa, senza che questi possa opporgli eccezioni fondate sul rapporto derivato: se è vero che la risoluzione (o la nullità) del contratto principale di per sé non implica l'automatico venir meno di quello derivato, trattandosi di rapporti tra loro distinti, è pur vero che essa, privando il subconduttore della detenzione della cosa, e quindi di ogni possibilità di continuare a esercitarne il godimento, finisce indirettamente per determinare l'estinzione del contratto in parola.

L'esplicato collegamento non priva, però, di autonomia i due contratti nel senso che, se è vero che il contratto di sublocazione è avvinto da un collegamento di dipendenza unilaterale al contratto locatizio, che assume il ruolo di contratto fondamentale a fronte di quello, proprio del contratto di sublocazione, di contratto derivato, è altrettanto vero che il collegamento negoziale, che sia legislativamente istituito come nel caso in esame, ovvero che discenda direttamente dalla volontà delle parti coinvolte (e sia, cioè, atipico), non dà luogo ad un unico contratto, bensì ad una pluralità coordinata di contratti, che quindi, laddove non incide direttamente l'interesse economico-giuridico che li ha connessi, rimangono entità negoziali autonome.

Il che, detto in altri termini, vuol significare che l'autonomia negoziale delle parti del contratto locatizio non si può estendere fino a disciplinare il regolamento negoziale del contratto derivato (Cass. III, n. 6390/2018, cit.): la legge non prevede, cioè, che locatore e sublocatore possano, con accordi stipulati esclusivamente tra di loro, modificare il contenuto di un contratto di sublocazione che ha per oggetto lo stesso immobile, essendo l'effetto del contratto locatizio sul subconduttore circoscritto dall'art. 1595 c.c., che in nessuno dei suoi commi conferisce al contratto principale un globale effetto di “governo” del contratto collegato, tale da attribuire alle parti del contratto principale un'autonomia negoziale relativa anche al contratto collegato, autonomia che venga così “sottratta” al subconduttore, l'unico dei tre soggetti che, non accordandosi nell'ambito del rapporto principale cui è estraneo, potrebbe infatti ricevere “pregiudizio” da un accordo locatore-sublocatore attinente al contenuto del contratto di sublocazione: e ciò pure nel caso in cui tale contenuto non possa definirsi novativo, perché comunque verrebbe lesa la sua autonomia negoziale. Quel che rileva a tal fine, dunque, non è il contenuto del regolamento negoziale, ma la titolarità dell'autonomia negoziale: titolarità che, al di fuori di quanto è riconducibile all'identificazione normativa dell'ambito del collegamento – concentrata nell'art. 1595 c.c. –, permane in capo alle parti di quello che è un vero e proprio contratto, pur se collegato ad un altro (v. anche Cass. III, n. 11240/2003; Cass. III, n. 8844/2001). Tale autonomia, peraltro, spiega effetti anche in altra direzione nel senso che, conservando la sublocazione la propria causa, tra i debiti del subconduttore verso il sublocatore e quelli di quest'ultimo verso il locatore concernenti il canone opera la compensazione legale (c.d. propria) e non si fa luogo a semplice accertamento delle rispettive posizioni attive e passive (Cass. III, n. 260/2006).

Il regime della sublocazione varia, poi, a seconda della natura del bene locato, mobile o immobile, produttivo o meno, ad uso abitativo o diverso.

Si è anzi osservato, in dottrina (Provera, 340), come la normativa speciale legittimi ampiamente la sublocazione, comportando, sostanzialmente, una diminuzione delle prerogative del locatore, indebolendo la base personalista del contratto (la l. n. 392/1978 prevede, infatti, che la sublocazione possa avvenire anche contro la volontà del proprietario della res locata, senza che ciò produca effetti sulla permanenza del rapporto tra le parti originarie del contratto), in contrasto proprio con l'art. 1594 c.c. che, al contrario, si muove nell'ottica di salvaguardare l'interesse del locatore a porre in essere un rapporto basato su referenti di ordine personalistico con il conduttore.

In linea generale, però, si conviene circa l'applicabilità, alla sublocazione, delle norme previste per il contratto di locazione.

La previsione ha carattere dispositivo, nel senso che le parti possono escludere la facoltà di sublocazione (v. infra).

Segue. La sublocazione totale e parziale

La sublocazione può essere totale o parziale: essa è parziale quando, oltre all'ipotesi in cui sia trasferito il godimento solo di una parte del bene locato, a) si ceda, dietro corrispettivo, ad un terzo, il diritto di godere dell'immobile insieme al conduttore ovvero b) si stabilisca un'alternanza tra conduttore e terzo nel godimento dell'immobile, secondo una scansione temporale.

Così, sono stati ricondotti alla sublocazione parziale il contratto con cui il conduttore consente ad un terzo di godere dell'intero immobile unitamente a sé (Cass. III, n. 969/1954) ovvero quello con cui è consentito al terzo di goderne per determinate ore e giorni (Cass. III, n. 1490/1949).

Interessante osservare che, diversamente dal caso di sublocazione totale, il fenomeno della sublocazione parziale trova una perfetta coincidenza di disciplina tra norme del codice civile e quelle della l. n. 392/1978, nel senso che essa è consentita dall'art. 2, comma 2, della legge sull'equo canone, salvo patto contrario (si rinvia al relativo commento per il necessario approfondimento).

Segue. I limiti oggettivi della sublocazione

Derivando (nei termini innanzi illustrati) il contratto di sublocazione dal contratto di locazione, la legittimazione del conduttore alla sublocazione discende dall'efficacia del contratto di locazione, presupponendone la vigenza.

Ma non solo: nel senso che, trattandosi – come detto – di una facoltà disponibile, la sublocazione subisce anche gli effetti dell'eventuale divieto previsto in contratto.

Secondo Cass. III, n. 1757/1970, la clausola contenente il divieto di sublocazione non è vessatoria, non necessita, pertanto, di essere specificamente approvata per iscritto (v. anche Cass. III, n. 337/1979) e può essere attivata giudizialmente soltanto dal locatore (Cass. III, n. 1238/1965).

la migliore dottrina (Mirabelli, 582; Di Marzio, Falabella, 1492) è del medesimo avviso, negando che si possa discutere, nella specie, di vessatorietà.

Tale divieto pattizio di sublocazione è violato ogni qualvolta venga trasferito a terzi, da parte del conduttore, il godimento (anche parziale) della res locata, indipendentemente dal titolo che tra conduttore e terzo possa legittimare il trasferimento (quindi, ad esempio, anche nel caso che il conduttore conferisca il godimento dell'immobile locato ad una società di cui faccia o venga a far parte, pur continuando ad espletare la stessa attività oggetto della sua precedente impresa individuale nell'immobile ove opera, come imprenditore, anche il terzo).

L'eventuale divieto di sublocare implica, altresì, il divieto di cessione (Cass. III, n. 2655/1950).

In dottrina, si discute se il divieto in questione, ove convenuto, concerna solo la sublocazione ovvero sia estensibile a qualsivoglia contratto, anche atipico, contemplante l'immissione nel godimento parziale dell'immobile, verso il pagamento di un corrispettivo (favorevoli a tale conclusione Dogliotti, Figone, 267; contrari, Gabrielli, Padovini, 668).

Problematica, al riguardo, è la questione concernente la sorte della sublocazione conclusa dal conduttore, nonostante il divieto del locatore.

Escluso che si verta in ipotesi di nullità del subcontratto o di sua inefficacia, giacché il contratto – fino alla risoluzione del contratto principale – spiega i suoi effetti tra sublocatore e subconduttore, il sublocatore ha comunque l'obbligo di far conseguire al subconduttore il godimento del bene, pena la risoluzione del subcontratto per inadempimento ed il risarcimento del danno (Provera, 342). Ponendosi dal lato del locatore, invece, la violazione del divieto implica un inadempimento del conduttore, con il conseguente diritto del primo ad ottenere la risoluzione del contratto la quale, però, salvo la pattuizione di una clausola risolutiva espressa, non opera ipso iure, ma implica una valutazione dell'inadempienza ai sensi dell'art. 1455 c.c. e, dunque, secondo un ordinario parametro di gravità (Mirabelli, 585; Tabet, 615).

Anche la giurisprudenza maggioritaria è del medesimo avviso della dottrina, essendosi osservato (Cass. III, n. 16111/2010) che la violazione del divieto di sublocazione dell'immobile, pur costituendo inadempimento, non è di per sé sufficiente, in difetto di una valutazione legale tipica della gravità dell'inadempimento a giustificare la risoluzione del contratto di locazione, ove non rivesta il carattere di gravità richiesto dall'art. 1455 c.c., da valutarsi con riferimento all'interesse dell'altra parte ed alle circostanze del caso concreto (v. anche Cass. III, n. 17348/2011). Nel medesimo senso, meno recentemente, Cass. III, n. 1757/1970, per cui la violazione del divieto di sublocazione totale importa la risoluzione del contratto, costituendo un comportamento tale da integrare gli estremi di gravità richiesti dall'art. 1455 c.c., gravità da valutare anche in relazione alle ragioni alla base del divieto. Ed infatti, la pronuncia di risoluzione del contratto presuppone la verifica della gravità dell'inadempimento, in rapporto all'interesse perseguito dall'altra parte, costituente elemento fondamentale di valutazione, pur se privo di connotazioni economiche, da apprezzarsi alla luce di tutte le circostanze caso concreto: né tale interesse può essere considerato di non scarsa importanza per il fatto stesso che il divieto era stato pattuito (come invece ritenuto da Cass. III, n. 146/1945), giacché non ogni comportamento contrattualmente vietato integra solo per questo inadempimento grave e poiché non necessariamente il divieto di sublocazione manifesta il cosiddetto intuitus personae (il quale non costituisce una connotazione del tipo negoziale della locazione), posto che la clausola ben può corrispondere all'interesse del locatore di evitare, ad esempio, un uso particolarmente intenso dell'immobile; nel qual caso occorre accertare se quello (o altro eventuale) interesse sia stato concretamente leso dalla violazione del patto da parte del conduttore (così Cass., III, n. 15763/2000). Occorre, dunque, una valutazione del caso concreto: ad esempio, il divieto di sublocazione, previsto da una clausola del contratto di locazione, non può ritenersi violato per il solo fatto che il conduttore abbia ospitato, sebbene per un cospicuo periodo di tempo un prossimo congiunto, costituendo tale circostanza un mero indizio, privo di rilievo probatorio ai fini della prova dell'inadempimento, se non accompagnato da ulteriori circostanze idonee a dimostrare che il conduttore avesse accordato agli ospiti le facoltà proprie del subconduttore (Cass. III, n. 9931/2012; Cass. III, n. 9931/2012; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano, 10 marzo 2015). Del pari, non ricade nel concetto di sublocazione l'attività di affittacamere che, pur differenziandosi da quella alberghiera per le modeste dimensioni dell'attività imprenditoriale, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (Cass. III, n. 22665/2010). Più in generale Cass. III, n. 14343/2009 ha chiarito che i controlli insiti nell'ordinamento positivo relativi all'esplicazione dell'autonomia negoziale, coincidenti con la meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente e con la liceità della causa, devono essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali previsti a garanzia degli specifici interessi, ivi compreso quello contemplato dall'art. 2 Cost. (che tutela i diritti inviolabili dell'uomo e impone l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà) con la conseguenza che è nulla la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome configgente proprio con l'adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l'ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all'interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l'esplicazione di rapporti di amicizia.

In senso contrario, invece, Cass. III, n. 10157/1995, la quale ha ritenuto che la violazione del divieto pattizio di sublocazione costituisce, ex se, motivo di risoluzione, indipendentemente da qualsivoglia valutazione circa la gravità dell'inadempimento, dovendo il giudice solo accertare se fosse stato convenuto o meno tale divieto.

È interessante osservare, infine, che – onde facilitare il compito all'interprete – l'art. 21 della l. n. 253/1950 (norma che pacificamente si ritiene non abrogata dalla legge sull'equo canone) prevede una presunzione legale di sublocazione nei casi in cui l'immobile sia occupato da persone “che non sono al servizio o ospiti del conduttore, né a questo legati da vincoli di parentela o affinità entro il quarto grado e salvo che non si tratti di ospiti transitori”.

In conseguenza, la giurisprudenza ha dunque affermato che, in detti casi, si verifica un'inversione dell'onere della prova a favore del locatore, giustificata dalla generale difficoltà di prova della sublocazione (v., ex multis, Cass. III, n. 5190/1993), mentre la presunzione non s'applica ove risulti che l'immobile sia stato occupato sin dall'inizio da persona ivi trasferitasi con il conduttore. Del pari Cass. VI-3, n. 19486/2013, per cui la presunzione di sublocazione prevista dall'art. 21 della l. n. 253/1950 non può ritenersi abrogata in seguito all'entrata in vigore della legge n. 392/1978, ed è quindi applicabile anche con riferimento alla disciplina della sublocazione di immobile adibito ad abitazione dettata dall'art. 2 di tale ultima legge.

Segue. La sublocazione dei beni mobili

Il comma 2 dell'art. 1594 c.c. disciplina, poi, un'ipotesi particolare di sublocazione e, precisamente, quella avente ad oggetto una cosa mobile: in tal caso, analogamente rispetto a quanto prescritto dal comma 1 per la diversa ipotesi di cessione del contratto di locazione, occorre che la sublocazione sia autorizzata dal locatore ovvero sia consentita dagli usi. In maniera simmetricamente opposta rispetto a quanto sin qui osservato, tenuto conto della diversa natura del bene (mobile) oggetto di godimento e nella ricorrenza di interessi che non attengono solo alla conservazione del bene medesimo, quanto, piuttosto, alla sua funzione sociale, torna ad essere attuale il principio della necessaria autorizzazione del locatore.

Quanto, invece, ai beni mobili registrati, nel silenzio della norma si sono sviluppati, in dottrina, due orientamenti: a) secondo una prima impostazione (Tabet, 588), dovrebbe trovare pacifica applicazione la disciplina dettata dall'art. 1594, comma 2, c.c., con la conseguenza che il regime di relativa sublocazione sarebbe soggetto alla necessaria autorizzazione del locatore ovvero alla previsione di essa secondo gli usi locali; b) un diverso orientamento (riconducibile a Trifone, 501), esclude una tale interpretazione (estensiva o analogica che sia) della norma, osservando come nel caso dei beni mobili tout court la ratio sottesa alla necessità di un'autorizzazione del locatore (ovvero di una previsione secondo gli usi locali) va rinvenuta nella facile deteriorabilità o sottraibilità dei beni mobili, con conseguente maggiore rilevanza dell'intuitus personae.

Il consenso (o l'autorizzazione) del locatore alla sublocazione (o alla cessione, v. infra) può anche trarsi da fatti concludenti (con onere della prova pur sempre a carico del conduttore) e deve essere successivo alla stipula del contratto principale (di locazione).

Segue. La disciplina della sublocazione: l'art. 1595 c.c. (cenni)

L'art. 1595 c.c. completa la disciplina della sublocazione, accordando al locatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore, un'azione diretta contro il subconduttore per esigere il corrispettivo della sublocazione da lui ancora dovuto al momento della domanda giudiziale e per costringerlo ad adempiere ogni altro obbligo derivante dal contratto di sublocazione; il subconduttore, peraltro, non può opporre al locatore pagamenti anticipati, tranne quelli conformi agli usi locali; ancora, senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, la nullità o la risoluzione del contratto principale ha effetto anche nei confronti del subconduttore, e così la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore spieghi la propria efficacia anche contro di lui: sicché il locatore può direttamente agire nei confronti del subconduttore per ottenere la restituzione della cosa, senza che questi possa opporgli eccezioni fondate sul rapporto derivato: se è vero che la risoluzione (o la nullità) del contratto principale di per sé non implica l'automatico venir meno di quello derivato, trattandosi di rapporti tra loro distinti, è pur vero che essa, privando il subconduttore della detenzione della cosa, e quindi di ogni possibilità di continuare a esercitarne il godimento, finisce indirettamente per determinare l'estinzione del contratto in parola.

Si tratta, dunque, di una norma che, in virtù della natura di subcontratto che va riconosciuta alla sublocazione, è volta a rafforzare la posizione del locatore, in ordine tanto alla tutela processuale, quanto a quella di carattere sostanziale di cui egli gode.

La ratio di tale disposizione è stata rinvenuta nella necessità di garantire al locatore un secondo soggetto debitore, cui non è legato da alcuno vincolo negoziale e, dunque, al di fuori dello schema della solidarietà (Tabet, 622).

Schematicamente – salvo il doveroso approfondimento che sarà svolto nel commento all'art. 1595 c.c. – può evidenziarsi che: 1) il locatore, senza pregiudizio dei suoi diritti verso il conduttore, ha un'azione diretta contro il subconduttore per 1.a) esigere il prezzo della sublocazione, di cui questi sia ancora debitore al momento della domanda giudiziale, e 1.b) costringerlo ad adempiere tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione (v. l'art. 1595, comma 1, c.c.). Il legislatore ha dunque previsto per la sublocazione – in considerazione della particolare natura del bene, che coinvolge interessi meritevoli di protezione, e che comporta la deroga al principio enunciato e, di conseguenza, il necessario contrappeso costituito dalle garanzie poste dall'art. 1595 c.c.una disciplina che, coinvolgendo il terzo, per quanto di ragione, nel rapporto obbligatorio principale, dispone una disciplina eccezionale rispetto all'autonomia del subcontratto rispetto al contratto base, derogando al principio di relatività degli effetti del contratto (v. l'art. 1372 c.c.); 2) il subconduttore convenuto in giudizio dal locatore principale può opporre a quest'ultimo tutte le eccezioni relative al rapporto fra subconduttore e sublocatore, salvo che per quanto concerne i c.d. pagamenti anticipati, espressione che va intesa nel senso di pagamenti per il godimento futuro del bene, oppure quelli effettuati prima della scadenza del termine (in sintesi, dunque, non esigibili). È escluso, invece che il subconduttore possa opporre al locatore eccezioni inerenti al rapporto principale, salvo che per la nullità radicale (v. l'art. 1595, comma 2, c.c.); 3) il terzo comma dell'art. 1595 c.c. detta, infine, due regole, espressive del principio generale resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis: 3.a) la prima, in virtù della quale la nullità, la risoluzione o comunque il venir meno del contratto di locazione determina la caducazione anche del rapporto di sublocazione. Carattere problematico riveste, in tale contesto, la sorte della sublocazione nel caso di scioglimento della locazione principale per atto negoziale del conduttore/sublocatore: ed infatti, poiché l'art. 1595, comma 3, c.c. contempla le sole ipotesi di nullità e risoluzione della locazione principale, o tale elencazione si ritiene tassativa ovvero essa ha carattere esemplificativo e, dunque, può estendersi fino a ricomprendere il caso supra considerato. A tale questione consegue, poi, quella relativo alla possibilità che, a fronte dell'inefficacia della locazione principale e del successivo rilascio della cosa da parte del subconduttore, costui possa avanzare una pretesa risarcitoria in confronto del conduttore-sublocatore in qualsiasi ipotesi fra quelle poc'anzi ricordate, oppure soltanto in alcune di esse (su entrambi gli argomenti si rinvia, per il relativo approfondimento, al commento all'art. 1595 c.c.,); 3.b) la seconda, alla cui stregua la sentenza pronunciata, per qualsiasi ragione (nullità, risoluzione, scadenza della locazione, rinuncia del conduttore-sublocatore al contratto in corso) tra locatore e conduttore fa stato anche nei confronti del subconduttore. Tale previsione è complessivamente ispirata ad una maggiore tutela del diritto del locatore nei confronti del subconduttore: essa attribuisce solo al locatore il diritto sostanziale alla restituzione del bene da parte del subconduttore, ma non conferisce analoga facoltà al sublocatore, che non può, quindi, pretendere dal subconduttore la restituzione del bene a seguito della risoluzione del contratto di locazione. In tal caso, avendo l'obbligo della restituzione della cosa locata natura contrattuale, il conduttore-sublocatore può esimersi dalla conseguente responsabilità, che ha come presupposto il dolo o la colpa, provando che l'inadempimento o il ritardo nella riconsegna sono dovuti ad impossibilita della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, e di aver fatto il possibile per ottenere il rilascio della cosa con i mezzi consentitigli. Ne consegue che il terzo detentore dell'immobile per il quale il locatore ha ottenuto, nei confronti del conduttore, una sentenza di condanna al rilascio, può opporsi o all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., se sostiene di detenere l'immobile in virtù di un titolo autonomo e perciò non pregiudicato da quella sentenza, o ai sensi dell'art. 404, comma 2, c.p.c. se invece sostiene che il suo titolo derivi da quello del conduttore e che la sentenza è frutto di collusione tra il locatore ed il conduttore in suo danno.

La cessione del contratto

Il secondo istituto disciplinato dal comma 1 dell'art. 1594 c.c. è quello della cessione del contratto di locazione, la cui regolamentazione è costruita in senso diametralmente opposto a quella della sublocazione: il conduttore, cioè, ha, salvo divieto, la facoltà di sublocare il bene a terzi, mentre non può, in difetto di consenso del locatore, cedere il contratto di locazione.

In mancanza di consenso del locatore alla cessione, il negozio non può ritenersi perfezionato e, pertanto, il cessionario eventualmente immesso nel godimento dell'immobile risulta passivamente legittimato rispetto all'azione di rivendica ex art. 948 c.c., ovvero personale di restituzione, proposta dal locatore a fronte dell'abusiva occupazione dell'immobile; sotto altro profilo, invece, le azioni relative alla prosecuzione o estinzione del rapporto di locazione vanno proposte contro il conduttore originario, unico legittimato passivo (Cass. II, n. 741/2002). Il consenso del contraente ceduto, costituendo elemento essenziale del negozio di cessione del contratto – il quale richiede la necessaria partecipazione del cedente, del cessionario e del ceduto – può essere, peraltro, anche successivo all'accordo tra cedente e cessionario purché nel momento di tale adesione non sia venuto meno l'accordo originario al quale essa vuole aggiungersi per perfezionare il contratto, e permangano, inoltre, tutte le condizioni della cessione, che deve avere per oggetto la complessiva posizione attiva e passiva del contraente ceduto (Cass. III, n. 5244/2004). La natura trilaterale della cessione implica, quale conseguenza, che, nel giudizio in cui si controverte dell'avvenuto perfezionamento della cessione medesima, va ravvisata un'ipotesi di litisconsorzio necessario tra cedente, ceduto e cessionario (Cass. III, n. 12454/1997). Il principio appena esposto è stato ulteriormente precisato (sia pure con riferimento all'art. 36 della l. n. 382/1978), nel senso che sussiste litisconsorzio necessario tra cedente, cessionario e ceduto soltanto quando siano in questione l'avvenuta conclusione, validità ed efficacia del contratto di cessione, ma non quando si controverta unicamente delle vicende del rapporto, potendo in questo caso il locatore esperire separate e distinte azioni nei riguardi dei soggetti tra loro obbligati in solido (così Cass. III, n. 13706/2017).

Conforme è la posizione della dottrina (Tabet, 588), per la quale la cessione del contratto di locazione si perfeziona, pertanto, mediante sostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità del rapporto.

Come anticipato in apertura, tale diversità di disciplina rinviene la propria ratio nella considerazione per cui, nel caso di sublocazione, il conduttore rimane obbligato verso il locatore, mentre nella diversa ipotesi di cessione del contratto si determina una modifica soggettiva del rapporto obbligatorio con conseguente possibile interesse del locatore a rifiutare l'operazione negoziale: detto in altri termini, a differenza della sublocazione, che determina l'instaurarsi di un nuovo rapporto dipendente da quello “principale” a monte e realizza una vicenda derivativo-costitutiva, la cessione del contratto di locazione, quale specifica applicazione dell'art. 1406 c.c., determina, al contrario, un trasferimento della posizione contrattuale, realizzando una vicenda successoria (a titolo particolare).

Chiarisce Cass. III, n. 861/1989 che, mentre nell'ipotesi di sublocazione si ha la nascita di un nuovo rapporto, la cui sorte dipende da quella del rapporto principale, nel caso di cessione del contratto di locazione, per il perfezionarsi del quale è necessaria la partecipazione di tutti e tre i soggetti interessati, si instaura un rapporto diretto tra il terzo cessionario (che subentra al conduttore originario) ed il locatore, in quanto oggetto della cessione del contratto di locazione è la complessiva posizione contrattuale di un soggetto nei confronti dell'altro. Ne consegue che ove il conduttore ceda il godimento solo di una parte dell'immobile goduto in locazione, non è configurabile la cessione del contratto di locazione ma una sublocazione parziale del bene (Cass. III, n. 6295/1980).

Segue. Il consenso del locatore

Molto si è indugiato sulla natura, funzione e forma del consenso del contraente ceduto (nella specie, il locatore).

In dottrina si è discusso se il consenso del locatore sia necessario al perfezionamento della cessione ovvero se esso integri un elemento di efficacia della cessione nei suoi confronti, nel senso che esso rappresenti un atto di adesione ad un contratto già perfezionatosi tra cedente e cessionario: prevale pacificamente, tuttavia, la prima soluzione (Coco, 967). È stato altresì osservato (Gabrielli, Padovini, 686) che il consenso alla cessione include, in rapporto di contenitore a contenuto, anche (ove necessario) quello alla sublocazione e che, ove esso sia coevo alla stipulazione del contratto di locazione (e, dunque, preventivo alla conclusione della cessione), la sostituzione, in applicazione dell'art. 1407, comma 1, c.c., non produce effetti nei confronti del locatore, finché la cessione non gli sia notificata (salva l'ipotesi di cessione all'ordine, ex art. 1407, comma 2, c.c.).

Il consenso può essere verbale o scritto e può essere provato per testimoni da parte degli interessati ex art. 2721 c.c.

Sicché, al di fuori dell'ipotesi specifica contemplata dall'art. 36 della l. n. 392/1978, la cessione del contratto operata dal conduttore, a seguito della quale il rapporto locatizio prosegue tra il locatore ceduto ed il terzo cessionario quale nuovo conduttore, produce effetto nei confronti del locatore dal momento in cui quest'ultimo, venutone a conoscenza, presti il suo consenso anche tramite comportamento concludente che dimostri la sua adesione al sinallagma contrattuale e alla continuazione del godimento della cosa locata da parte del cessionario (Cass. III, n. 6601/1987). In giurisprudenza si è sostenuto che il consenso del locatore alla cessione rilevi anche se reso tacitamente o per facta concludentia, come nel caso in cui il ceduto, venuto a conoscenza della cessione, abbia consentito il godimento del bene da parte del cessionario ed abbia accettato gli effetti della cessione, riscuotendo il canone da quest'ultimo (Cass.III, n. 6055/1991; Cass. III, n. 6601/1987): questo principio, però, non trova applicazione in caso di locazione di durata ultranovennale, rispetto alla quale Cass. III, n. 3725/1991 osserva che il consenso del contraente ceduto esige l'atto scritto, a pena di nullità (exart. 1350, n. 8 c.c.). Non integra, invece, gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo dell'obbligo di pagare il canone, pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento (Cass. III, n. 8389/1999). Allorché, invece, il consenso alla cessione sia successivo, occorre che, nel momento di tale adesione, non sia venuto meno l'accordo originario, permanendo, altresì, tutte le condizioni della cessione, che deve avere per oggetto la complessiva posizione attiva e passiva del contraente ceduto (Cass. III, n. 6349/2001).

In caso di cessione (autorizzata) del contratto di locazione, l'eventuale risarcimento del danno arrecato alla cosa locata andrà addebitato in via solidale al cedente ed al cessionario, tra i quali poi la responsabilità verrà ripartita secondo il criterio dell'imputabilità, salvo che per i deterioramenti per i quali non sia possibile accertare a chi siano imputabili, che andranno ripartiti in parti uguali (Cass. III, n. 10485/2004).

Segue. Il divieto di cessione.

Analogamente a quanto esposto in tema di sublocazione, la contravvenzione al divieto di cessione costituisce un inadempimento del conduttore, idoneo a giustificare la risoluzione del contratto.

È chiaro, in giurisprudenza, che le conseguenze previste per il caso di violazione del divieto di sublocare, valgono anche per il divieto di cessione del contratto (Cass. III, n. 3111/1955): sicché, la cessione dell'immobile locato in violazione di clausola contrattuale di divieto di cessione del contratto a qualunque titolo, concretizza un'inadempienza che dà luogo alla risoluzione del contratto (App. Bologna, 2 novembre 2005). I gravi motivi, tali da legittimare l'opposizione del locatore alla cessione, possono essere costituiti anche da ragioni di ordine economico o morale, quali il mancato pagamento del canone (Trib. Milano, 22 settembre 1988).

Solo legittimato a far valere la violazione del divieto di cessione è il locatore e non anche il cessionario, attesa l'inefficacia della cessione del contratto per mancanza del consenso del ceduto (Cass. III, n. 2198/1982).

Segue. La cessione del contratto ad opera del locatore.

Discussa è, poi, l'ipotesi di cessione del contratto ad opera del locatore, fattispecie non contemplata dalla disposizione in commento ma astrattamente non preclusa.

La posizione contraria a tale possibilità (Mirabelli, 575), fondata sulla considerazione per cui si tratterebbe di un mero caso di scuola (la norma in commento, peraltro, fa riferimento alla sola cessione del contratto da parte del conduttore, essendo effettivamente di difficile attuazione pratica una cessione del contratto locativo da parte del locatore, scissa da un parallelo trasferimento del bene locato), cede il passo alla soluzione positiva, accolta anche in giurisprudenza, la quale poggia sulla considerazione per cui si tratterebbe di un'operazione negoziale non vietata da alcuna norma e soggetta alla ordinaria disciplina degli artt. 1406 ss. c.c. (Catelani, 317; Tabet, 588).

La recente Cass. III, n. 18536/2018, favorevole alla configurabilità della cessione dal lato attivo, evidenzia che la modifica della persona dell'originario locatore con altro soggetto attivo realizza una semplice cessione del credito e non necessita, dunque, del consenso del conduttore-ceduto. In particolare, già Cass. III, n. 674/2005 aveva chiarito che, in mancanza di una contraria volontà dei contraenti, la vendita dell'immobile locato determina la surrogazione, nel rapporto di locazione, del terzo acquirente che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore – locatore senza necessità del consenso del conduttore, con la conseguenza che quest'ultimo è tenuto, di regola, a pagare i canoni all'acquirente, nuovo locatore, dalla data in cui riceve la comunicazione della vendita dell'immobile in una qualsiasi forma idonea, in applicazione analogica dell'art. 1264 c.c. in tema di cessione dei crediti. Orbene, ciò premesso, se la ratio della disciplina della cessione del contratto dal lato passivo è quella dì consentire al locatore di potersi opporre alla cessione o alla sublocazione, in quanto, essendo la locazione un contratto a prestazioni corrispettive, assume rilievo determinante la figura del conduttore: per questo è richiesto il consenso del locatore alla cessione della locazione e/o alla sublocazione, osserva la Corte come tale ratio non ricorre nel caso di cessione del contratto di locazione dal cd. lato attivo, che realizza una semplice cessione del credito, costituito dal pagamento dei canoni di locazione (con conseguente applicazione in via analogica del disposto di cui all'art. 1260 c.c.): il conduttore, invero, conserva integra la sua posizione nel rapporto contrattuale (rimanendo inalterati gli oneri e i doveri accessori nascenti dal contratto a carico del cessionario) e versa in una posizione di indifferenza giuridica rispetto al soggetto al quale deve pagare il canone di locazione. Che non sia necessario il consenso del conduttore ceduto si desume anzi, a contrariis, dalla stessa lettera dell'art. 1594 c.c.: se, in considerazione dell'intuitu personae che caratterizza il contratto di locazione, il conduttore non ha facoltà di cedere il contratto senza il consenso del locatore, ragionando a contrario, quest'ultimo ha facoltà di cedere il contratto ad altro soggetto, senza il consenso del conduttore, proprio perché al conduttore è giuridicamente indifferente chi sia il soggetto attivo del rapporto contrattuale destinatario del pagamento dei canoni (cosi come al locatore è giuridicamente indifferente che il conduttore eserciti il godimento della cosa direttamente ovvero sublocandola a terzi).

In dottrina la decisione è condivisa, osservandosi (Olivero, 523) come “la non necessità del consenso del conduttore ceduto è sganciata dalle vicende della proprietà ed è tratta: 1) postulando l'indifferenza dell'ente pubblico “perché la posizione giuridica di quest'ultimo non ha subito alcuna modifica per effetto dell'avvenuta cessione del contratto di locazione”; 2) predicando una diversa disciplina della cessione del contratto di locazione a seconda che sia ceduto il lato passivo o quello attivo “che realizza una semplice cessione del credito costituito dal pagamento dei canoni di locazione”; 3) argomentando a contrariis dalla lettera dell'art. 1594 c.c. rubricato “sublocazione o cessione della locazione”. Come si può vedere, senza più parlare di vendita (o donazione), tutti e tre gli argomenti s'incentrano sulla semplice cessione della locazione; e nessuno dei tre – a mio avviso – persuade davvero, ferma restando la bontà della decisione finale. Se si parte dal fondo, e cioè dall'art. 1594 c.c., ci si avvede intanto che la norma considera la cessione (e la sublocazione) dal lato del conduttore, e “non” anche la cessione dal lato del locatore, che sarebbe la sola che qui interessa. Tant'è che la Cassazione deve appunto ragionare a rovescio a partire dall'espresso divieto per il conduttore di cedere il contratto “senza il consenso del locatore” per arrivare a dire che quest'ultimo può viceversa cedere il contratto “senza il consenso del conduttore proprio perché” – e qui l'argomento a contrariis rifluisce in quello dell'irrilevanza – “al conduttore è giuridicamente indifferente chi sia il soggetto attivo del rapporto contrattuale destinatario del pagamento dei canoni”....ciò che richiede il consenso del locatore-ceduto come appunto ribadisce l'art. 1594 cit.) e la cessione del contratto dal lato attivo, da locatore a locatore, che viene “retrocessa”, per così dire, a mera cessione di crediti (i canoni). Del resto – aggiunge ancora la Cassazione battendo di nuovo su un tasto già suonato – “il conduttore conserva integra la sua posizione nel rapporto contrattuale [...] e versa in una posizione di indifferenza giuridica rispetto al soggetto al quale deve pagare il canone”. Vedremo che non è proprio così o che comunque questa indifferenza non va troppo generalizzata; ma intanto – per quanto sia piuttosto evidente – occorre mettere a fuoco il senso della cesura tracciata dai giudici tra lato “attivo” e “passivo” della locazione. Tirando questa riga il risultato...è di affidare il caso di specie all'operatività degli artt. 1260 ss. c.c....mentre l'art. 1260 c.c. – com'è altrettanto noto – autorizza la cessione dei crediti “anche senza il consenso del debitore” quasi a marcare un'irriducibile antitesi tra le due cessioni”.

Sublocazione e cessione del contratto di locazione nella disciplina della l. n. 392/1978: le locazioni ad uso abitativo

Come chiarito in precedenza, gli istituti della sublocazione e della cessione del contratto, come disciplinati dall'art. 1594 c.c., trovano applicazione limitatamente ai casi di locazioni disciplinate dal codice civile, giacché, per quanto attiene alle locazioni ad uso abitativo (attualmente ricadenti sotto l'ambito di operatività della l. n. 431/1998) nonché a quelle ad uso diverso (ancora rientranti nell'orbita della legge sull'equo canone), trovano applicazione, rispettivamente gli artt. 2 e 36 della l. n. 329/1978.

Pur rinviando, per il dovuto approfondimento, al commento a tali previsioni, alcune anticipazioni al riguardo meritano di essere svolte anche in questa sede, per completezza espositiva.

Muovendo dalle locazioni ad uso abitativo, il comma 1 dell'art. 2 si occupa della sublocazione totale e della cessione (totale, non essendo contemplata quella parziale) del contratto che, pur nella loro differenza sostanziale, sono soggette al medesimo regime quoad effectum, stante la diffidenza mostrata dal Legislatore per il fenomeno della sublocazione, facilmente utilizzabile per finalità speculative sia da parte del conduttore – mediante il percepimento, dal subconduttore, di un canone maggiore rispetto a quello dovuto al locatore – che ad opera del locatore – che potrebbe così eludere la disciplina vincolistica in tema di durata del contratto, mediante la stipulazione, “a monte” di locazioni per interposta persona e la successiva stipulazione, “a valle” di sublocazioni con il conduttore effettivo. In entrambi i casi, dunque, ai fini del perfezionamento della fattispecie occorre il consenso del locatore. Rispetto alla disciplina codicistica, dunque, mentre in caso di cessione del contratto l'art. 2, comma 1, della l. n. 392/1978 risulta conforme alle prescrizioni contenute nell'art. 1594, comma 1, c.c., con un chiaro richiamo alle prescrizioni contenute agli artt. 1406 ss. c.c. diversamente è da dirsi in relazione alla sublocazione giacché, diversamente dal richiamato art. 1594 c.c. – per cui il conduttore, salvo patto contrario, ha facoltà di sublocare la cosa locatagli – nonché dal successivo art. 36 della legge sull'equo canone, per quanto concerne le locazioni ad uso diverso, l'art. 2 detta una disciplina del tutto innovativa, vietando, salvo patto contrario, la sublocazione totale dell'immobile a fini abitativi, in caso di mancanza di accordo tra le parti e consentendone, sempre salvo patto contrario e previa comunicazione al locatore, solamente la sublocazione parziale.

Rinviando a quanto già esposto in precedenza (v. supra) in relazione a natura, forma e funzione di tale consenso in ipotesi di cessione del contratto di locazione a latere conductoris, con riferimento alla sublocazione si discute se il consenso del locatore possa essere espresso, una tantum, al momento della sottoscrizione del contratto (così Gabrielli, Padovini, 671), ovvero occorra che esso intervenga volta per volta, con riferimento allo specifico contratto di sublocazione concluso dal conduttore (Dogliotti, Figone, 271), fungendo detto consenso da clausola di gradimento del locatore (Confortini, 603; Tabet, 590).

Se, come detto, l'istituto della cessione (delle locazioni ad uso abitativo) regolamentata dalla legge sull'equo canone appare sovrapponibile a quello contemplato, in via ordinaria, dal codice civile (e, dunque, non appare necessario soffermarsi ulteriormente al riguardo), per la sublocazione occorrono, invece, alcune precisazioni.

Muovendo dalla sublocazione totale, va anzitutto osservato come non ricade sotto l'ambito applicativo dell'art. 2, comma 1, l'ipotesi di cessione in comodato dell'immobile locato, caratterizzata dalla gratuità anche laddove sia previsto un modico rimborso spese a carico del comodatario, qualificato in giurisprudenza quale onere più che corrispettivo (Cass. III, n. 4976/1997). In proposito, però, è stato chiarito che il contratto con cui il locatario di immobile ceda ad altri il godimento di una porzione del bene, ancorché senza prefissione di scadenza, non va qualificato in termini di comodato ma di sublocazione parziale, ove il cessionario non si limiti a concorrere nelle eventuali spese riferibili all'uso del bene (riscaldamento, pulizia, ecc..), ma versi un corrispettivo, che si traduca per il cedente in un risparmio sui propri esborsi di locatario, mediante proporzionale recupero del canone dovuto al locatore, restando perciò esclusa la sussistenza di una causa gratuita, sia pure con l'imposizione di oneri modali, ed emergendo, piuttosto, la previsione di reciproche prestazioni legate da vincolo di corrispettività (Cass. III, n. 1935/1983).

Quale conseguenza della natura innovativa della disciplina della sublocazione dettata dalla legge sull'equo canone, inoltre la giurisprudenza ha ritenuto abrogate, per incompatibilità, tutte le disposizioni della legge 23 maggio 1950, n. 253, regolanti diversamente la materia (Cass. III, n. 1682/1999; Cass. III, n. 5923/1993), salvo, come già innanzi esposto, l'art. 21, che fissa una presunzione (legale) di sublocazione nel caso di immobile occupato da persone che non sono al servizio del conduttore (per tali dovendosi intendere coloro che a questi sono legati da lavoro domestico), o che non sono a questo legale da vincoli di parentela o di affinità entro il quarto grado o da convivenza more uxorio (Cass. III, n. 1036/1948; Cass. III, n. 1992/1957; Cass. III, n. 626/1961), salvo che si tratti di ospiti con carattere transitorio (Cass. III, n. 19486/2013): tanto, ancorché la l. n. 392/1978 contempli analoga presunzione all'art. 59, n. 7 (che, analogamente, può essere superata solo con la dimostrazione specifica e concreta di un rapporto di ospitalità di natura esclusivamente transitoria.), in quanto strumentale solo ai fini dell'azione di recesso dai rapporti di locazione in regime transitorio, mentre la ratio dell'art. 21, consistente nell'agevolare la posizione del locatore, è comune ai contratti soggetti al regime ordinario (Cass. III, n. 9931/2012; Cass. III, n. 5190/1993).

Nulla è previsto – diversamente dall'art. 38 della l. n. 253/1950in merito alla estensione, alla sublocazione, della disciplina dettata dalla l. n. 392/1978 per la locazione da cui essa trae origine: la l. sull'equo canone, infatti, limita il richiamo espresso solo a talune previsioni (ad esempio, l'art. 12 in tema di determinazione del canone c.d. equo, oggi peraltro abrogato).

Facendo, dunque, perno sul mancato richiamo alla sublocazione negli artt. 1-11 e 26,, nonché sulla previsione che la comunicazione al locatore debba contenere anche l'indicazione della durata della sublocazione, in dottrina (Potenza, Chirico, Annunziata, 43) è stata sostenuta la tesi contraria a tale estensione: sennonché, l'orientamento prevalente (Gabrielli, Padovini, 673; Confortini, 601) è nel senso opposto, dovendo la sublocazione essere comunque rivolta a soddisfare le medesime esigenze abitative primarie del conduttore sottese alla locazione “a monte” e non essendovi, dunque, ragione alcuna per un diverso trattamento tra le due ipotesi.

La giurisprudenza è, invece, assestata su posizioni favorevoli a tale ultima soluzione, essendosi chiarito che, giacché il contratto di sublocazione è un contratto derivato, le norme che regolano gli obblighi del locatore regolano nella stessa maniera anche gli obblighi del sublocatore e, per converso, il subconduttore ha le stesse facoltà e gli stessi diritti del conduttore (Cass. III, n. 10742/2002).

Non può, comunque, aprioristicamente escludersi che la sublocazione sia conclusa per soddisfare esigenze transitorie del subconduttore: nel qual caso si ammette pacificamente, proprio in applicazione degli artt. 1, comma 2, e 26, della l. n. 392/1978, che le parti possano convenire una durata inferiore a quella quadriennale prevista – all'epoca – dall'art. 1, comma 1, della legge sull'equo canone (Dogliotti, Figone, 277).

Allineata alla disciplina codicistica è, invece, la sublocazione parziale dell'immobile, consentita dall'art. 2, comma 2, salvo patto contrario.

Ove la sublocazione sia consentita, il sublocatore è tenuto a comunicare, mediante raccomandata (o con mezzi equipollenti; v. Cass. VI-III, n. 17545/2018; Cass. III, n. 4067/2014; Cass. III, n. 741/2002, benché relative ad ipotesi di sublocazione di immobile ad uso diverso) al locatore originario il nominativo del subconduttore, la durata del rapporto ed i vani interessati: si tratta di un atto cd. partecipativo, la cui ratio va rinvenuta nella necessità di consentire al locatore la verifica dell'avvenuta conclusione di una sublocazione consentita o meno, che richiede la forma scritta e deve precedere l'immissione nel godimento dell'immobile.

Si ritiene, in dottrina, che il locatore potrebbe anche preventivamente rinunziare a ricevere la comunicazione (Di Marzio, Falabella, 1077).

In proposito, l'attenzione di dottrina e giurisprudenza si è concentrata sull'ipotesi di assenza o falsità di tale comunicazione, non contenendo la l. n. 329/1978 una disposizione che riproduca il testo dell'art. 23 della l. 253/1950 che, al fine di consentire l'aumento supplementare del canone previsto dal precedente art. 17 per il caso di sublocazione, prevedeva la risoluzione automatica del contratto di locazione ove il conduttore, sebbene diffidato, avesse omesso di fare la prescritta comunicazione al locatore.

Stante la natura innovativa della legge sull'equo canone rispetto alla legislazione vincolistica previgente, se ne è dedotta la avvenuta abrogazione, per incompatibilità, della normativa precedete e, in specie, proprio del richiamato art. 23, con la conseguenza per cui, qualora il locatore invochi, con riguardo a tale omissione, la risoluzione del contratto, trovano applicazione le norme ordinarie che disciplinano la risoluzione per inadempimento (Cass. III, n. 1682/1999), senza potersi il locatore avvantaggiare della presunzione di gravità che la previgente disciplina collegava ad una dichiarazione inesatta o mancante (Cass. III, n. 6940/1988).

Segue. Sublocazione e cessione nelle locazioni ad uso diverso

Per quanto attiene alle locazioni ad uso diverso soggette alla l. n. 392/1978,l'art. 36 consente al conduttore di sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore (che, tuttavia, potrà opporsi alla cessione per gravi motivi), quando venga insieme ceduta l'azienda.

In giurisprudenza, valorizzando l'elemento della automaticità dell'effetto, indipendentemente dal consenso del locatore, si è ritenuto versarsi in presenza di una sorta di cessione del contratto ex lege (Cass. III, n. 5137/2003; Cass. III, n.1966/2000; nella giurisprudenza di merito, Trib. Monza 23 aprile 2008)): la cessione del contratto di locazione contestuale alla cessione dell'azienda, come prevista dall'art. 36, è inquadrabile – precisa Cass. III, n. 9486/2007 – come un'ipotesi di cessione ex lege che si caratterizza come una disciplina speciale dettata in tema di cessione dei contratti aziendali, configurandosi, per l'effetto, come “sottospecie” della successione contemplata dall'art. 2558 c.c., nella quale, pur non essendovi nesso necessario e automatico tra cessione dell'azienda e cessione del contratto di locazione, i due negozi si inseriscono pur sempre in un'operazione economica unitaria, in cui la relazione tra gli stessi è la medesima che lega il generale al particolare. Sennonché Cass. III, n. 12016/2017 ha ulteriormente precisato che n caso di affitto di azienda relativo ad attività svolta in un immobile condotto in locazione, non si produce l'automatica successione nel contratto di locazione dell'immobile, quale effetto necessario del trasferimento dell'azienda, ma la successione è soltanto eventuale e richiede, comunque, la conclusione di un apposito negozio di sublocazione o di cessione del contratto di locazione, la cui esistenza peraltro si presume fino a prova contraria, alla stregua dei principi di cui all'art. 2558 c.c., salvo che le parti, nello stipulare il contratto di affitto di azienda, non abbiano espressamente disciplinato le sorti di quello di locazione dell'immobile, nel qual caso la predetta presunzione non opera. Recentemente, infine, Cass. III, n. 15248/2017 ha esteso l'operatività della previsione al caso in cui il trasferimento del contratto si accompagni alla cessione integrale delle quote della società di persone costituita per l'esercizio dell'attività economica nell'immobile locato, atteso che il fondamento della norma risiede nell'esigenza di assicurare al locatore, che non può opporsi al mutamento soggettivo del contratto, la conservazione della garanzia patrimoniale generica offerta dall'originaria controparte contrattuale. Sia che avvenga con negozio separato dalla cessione di azienda, sia che i due negozi siano contestuali, sia che costituisca, infine, un effetto automatico dell'art. 2558 c.c., in quanto rapporto contrattuale inerente all'azienda, a prestazioni corrispettive, non aventi carattere personale, in ogni caso la cessione della locazione è volta a sostituire un terzo in un rapporto giuridico preesistente svincolato dalle persone cedente e ceduto (Cass. III, n. 4986/2013).

Se la cessione, in tal caso, non ha bisogno del consenso del locatore, la stessa deve essergli comunque comunicata con lettera raccomandata con avviso di ritorno (o con modalità diverse, purché idonee a consentire la conoscenza della modificazione soggettiva del rapporto).

Tale comunicazione, se non costituisce requisito di validità della cessione nel rapporto tra conduttore cedente e terzo cessionario, condiziona tuttavia l'efficacia della cessione stessa nei confronti del contraente ceduto, nel senso che essa non gli è opponibile sino a quando la comunicazione non avvenga (e salva, comunque, la possibilità che il locatore vi si opponga per gravi motivi nel termine di trenta giorni): ne consegue che la conoscenza aliunde della cessione da parte del locatore non rileva, a meno che egli, avendola conosciuta, l'abbia accettata secondo la disciplina comune dettata dall'art. 1407 c.c. (Cass. VI/III, n. 17454/2018).

La norma è complessivamente volta a favorire i trasferimenti di azienda e tutelare l'avviamento commerciale, configurando il diritto del conduttore a godere dell'immobile in cui è esercitata l'attività economica come uno degli elementi dell'azienda, ad essa funzionalmente collegato (Cass. III, n. 685/2010).

Ove, al contrario, l'azienda non venga ceduta o locata unitamente al contratto di locazione, occorre il consenso del locatore, tanto nell'ipotesi in cui il conduttore voglia cedere il contratto, quanto nell'ipotesi in cui voglia sublocarlo.

Mentre nel primo caso (cessione), dunque, la disciplina è sovrapponibile a quella dell'art. 1594 c.c., nel secondo caso (sublocazione), in deroga a tale norma, la mancanza di un patto contrario non consente più al conduttore l'esercizio della facoltà di sublocazione, necessitando a tal fine del consenso del locatore (Cass. III, n. 2655/1994).

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