Codice Civile art. 1572 - Locazioni e anticipazioni eccedenti l'ordinaria amministrazione.Locazioni e anticipazioni eccedenti l'ordinaria amministrazione. [I]. Il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni è atto eccedente l'ordinaria amministrazione [1350 n. 8, 2643 n. 8]. [II]. Sono altresì atti eccedenti l'ordinaria amministrazione le anticipazioni del corrispettivo della locazione per una durata superiore a un anno [1605] (1). (1) V. art. 2-ter d.l. 19 giugno 1974, n. 236, conv., con modif., nella l. 12 agosto 1974, n. 351. InquadramentoLa locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo: come ampiamente chiarito nel commento all'art. 1571 c.c., si assiste, dunque, ad uno scambio, protratto nel tempo, tra la concessione in godimento di una cosa ed il pagamento di un corrispettivo (il cd. canone o pigione), i cui predicati – come detto – portano a discorrerne in termini di contratto a) consensuale, b) ad effetti meramente obbligatori, c) a prestazioni corrispettive, d) oneroso e e) di durata (ovvero, seguendo le definizioni codicistiche, ad esecuzione continuativa o periodica). La protrazione “per un dato tempo” (v. l'art. 1571 c.c.) del rapporto rappresenta, cioè, una condizione essenziale affinché il contratto possa realizzare la sua stessa funzione: dalla riconduzione della locazione a tale categoria di contratti conseguono, poi, alcuni effetti, quali 1) la non retroattività degli eventi che producono scioglimento del vincolo rispetto all'esecuzione già avvenuta, 2) la risolubilità per eccessiva onerosità sopravvenuta, 3) la sospensione della controprestazione nel caso di non esecuzione parziale della prestazione per causa non imputabile, 4) la decorrenza della prescrizione, nell'ipotesi di prestazione reiterata, dalle singole scadenze, 5) l'applicabilità della rinnovazione tacita e della proroga. Sulla configurazione in tal senso del contratto di locazione è chiara anche la giurisprudenza (Cass. III, n. 3019/1996), la quale ha evidenziato che la locazione ha natura di contratto ad esecuzione continuata, non concretandosi il contratto locatizio nella mera corresponsione del canone, ma integrandosi anche nel godimento del bene (protrattosi nel tempo), rivelandosi inconferente a tale riguardo la circostanza che i canoni vengano corrisposti quando ormai è stata pronunziata la risoluzione della locazione. Gli artt. 1572, 1573 e 1574 c.c., unitamente agli artt. 1 e 27 della l. n. 392/1978, nonché artt. 1, 2 e 5 della l. n. 431/1998, delineano il quadro complessivo di durata delle locazioni (ad uso abitativo e non), secondo una disciplina che può essere riassunta nei termini che seguono: a) ricadono sotto l'ambito di operatività della l. n. 431/1998, in combinato disposto con le previsioni non abrogate della l. n. 392/1978 e le norme del codice civile, i contratti conclusi ex artt. 1, comma 3, 2, commi 1 e 3, nonché 5, commi 1, 2 e 3 della l. n. 431/1998; b) ricadono sotto l'ambito di operatività della l. n. 431/1998, in combinato disposto con le sole norme del codice civile, le locazioni relative ad immobili storici e vincolati ex lege n. 1089/1939, nonché rientranti nelle categorie catastati A/1, A/8 e A/9; c) ricadono sotto l'ambito di operatività delle norme del codice civile, in combinato disposto con le previsioni di leggi speciali diverse dalla n. 431 e dalla n. 392, le locazioni relative ad alloggi turistici destinati ad uso turnario di godimento, di natura non reale e di durata non inferiore a tre anni, nonché quelle aventi ad oggetto alloggi di edilizia residenziale pubblica; d) ricadono sotto l'ambito di operatività delle sole norme del codice civile le altre locazioni ad uso abitativo, diverse da quelle in precedenza enumerate; e) rinvengono la propria regolamentazione nell'art. 27 della l. n. 392/1978 le locazioni industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico, quali agenzie di viaggio e turismo, impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno ed altri organismi di promozione turistica e simili (c.d. ad uso diverso); f) le locazioni (di qualunque tipo, abitativo o non) di durata ultranovennale sono considerate atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. L'art. 1573 c.c. prevede, poi, con una disposizione di chiusura, che, salvo diverse norme di legge, la locazione non possa stipularsi per un tempo eccedente i trenta anni: con la conseguenza che, ove stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo, la durata del rapporto è ridotta ex lege al termine suddetto. Locazione di durata infra ed ultranovennaleL'art. 1572, comma 1, c.c. dispone che il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni è atto eccedente l'ordinaria amministrazione: la norma, sì come formulata, non consente di qualificare diversamente tali tipologie di locazioni, sicché se ne è tratta la conclusione per cui si versa in presenza di una determinazione ex lege della natura dell'atto, che prescinde dal suo contenuto concreto (Mirabelli, 271; Tabet, 1982, 1006). Non altrettanto è da dirsi, invece, in relazione alle locazioni di durata infranovennale, nel senso che non è detto che ogni altro rapporto locatizio, diverso da quello considerato dall'art. 1572 c.c., debba essere necessariamente considerato atto di ordinaria amministrazione, dovendosi piuttosto, ai fini di detta qualificazione, avere riguardo alle clausole contrattuali che – in relazione alla rilevanza economica, all'entità degli interessi coinvolti ed al rapporto con la consistenza economica dei dipendenti – vengono ad incidere sul patrimonio di un soggetto, senza che rilevi, peraltro, l'incidenza indiretta del contratto, in relazione alla sua durata, rispetto ad altre forme di sfruttamento del bene, quale la vendita o la locazione a terzi (Cass. III, n. 402/1982). Così, ad esempio, Cass. I, n. 15484/2004 ha osservato che in tema di concordato preventivo, la valutazione in ordine al carattere di ordinaria o straordinaria amministrazione dell'atto posto in essere dal debitore senza autorizzazione del giudice delegato (nella specie, un contratto di locazione infranovennale di un bene immobile, rientrante nell'attivo concordatario), ai fini della eventuale dichiarazione di inefficacia dell'atto stesso ai sensi dell'art. 167 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 94 d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), deve essere compiuta dal giudice di merito con riferimento all'interesse della massa dei creditori – preso in considerazione, appunto, dall'art. 167 citato – non già dell'imprenditore insolvente, essendo possibile che atti astrattamente qualificabili di ordinaria amministrazione se compiuti nel normale esercizio di un'impresa in bonis possano, invece, assumere un diverso connotato se compiuti nell'ambito di una procedura concordataria laddove gli stessi dovessero investire interessi del ceto creditorio o incidere negativamente sulla procedura concorsuale perché, ad esempio, sottraggono beni alla disponibilità della stessa ovvero ostacolano o ritardano la procedura di liquidazione nel caso di concordato con cessione dei beni (in tal senso la pronunzia citata è perfettamente coerente con la giurisprudenza per cui dopo la presentazione di una domanda di concordato con riserva, ai sensi dell'art. 161, comma 7, l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 46 d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), l'imprenditore può compiere senza necessità di autorizzazione del tribunale gli atti di gestione dell'impresa finalizzati alla conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio, secondo il medesimo criterio previsto dall'art. 167 l. fall.; sicché la distinzione tra atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione resta incentrata sulla sua idoneità a pregiudicare i valori dell'attivo compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, tenuto conto esclusivamente dell'interesse di questi ultimi e non dell'imprenditore insolvente, essendo quindi possibile che atti astrattamente qualificabili dì ordinaria amministrazione se compiuti nel normale esercizio dell'impresa possano, invece, assumere un diverso connotato nell'ambito di una procedura concorsuale; v. Cass. I, n. 14713/2019). Analogamente Cass. I, n. 13261/2019, per cui la locazione infranovennale di un immobile senza l'autorizzazione del Tribunale, nel corso della procedura di concordato preventivo, non costituisce di per sé atto di straordinaria amministrazione, tale da giustificare senz'altro la revoca dell'ammissione alla procedura ai sensi dell'art. 173 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 106 d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), in quanto nell'attività di impresa, che presuppone necessariamente il compimento di atti dispositivi e non meramente conservativi, la distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione non si fonda sulla natura conservativa o meno dell'atto, ma sulla sua relazione con la gestione normale del tipo di impresa e con le relative dimensioni. La riconduzione agli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione implica che il contratto di locazione di durata superiore ai nove anni va a) concluso in forma scritta (v. l'art. 1350, n. 8, c.c.) e b) trascritto (v. gli artt. 1599, comma 3, 2643, n. 8 e 2644 c.c.). La medesima forma scritta è inoltre richiesta per il contratto preliminare di locazione ultranovennale, secondo la regola – evincibile dall'art. 1351 c.c. – per cui il contratto preliminare è nullo, se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo (sulla ammissibilità di un contratto preliminare di locazione si rinvia al commento all'art. 1571 c.c.). Al contrario, per tutte le altre locazioni e, in specie, quelle relative ai beni mobili, il principio è quello della libertà della forma, sebbene tale regola generale debba essere attualmente conciliata con la disciplina speciale rappresentata, per le locazioni ad uso abitativo, dall'art. 1, comma 4 della l. n. 431/1998 e, per tutti i contratti costitutivi di diritti personali di godimento di durata superiore ai 30 giorni, dall'art. 1, comma 346 della l. n. 311/2004: tali disposizioni (applicabili solo ai contratti stipulati dopo l'entrata in vigore delle citate norme, giusta il principio tempus regit actum, non derogato da alcune speciale disposizione transitoria. Così Cass. III, n. 22828/2022) prevedono rispettivamente, per le locazioni ad uso abitativo, la necessità (a pena di nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d'ufficio, v. Cass. S.U., n. 18214/2015) della forma scritta ad substantiam e, più in generale, per i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, la necessità (nella ricorrenza dei citati presupposti e sempre a pena di nullità) della registrazione (ciò che evidentemente presuppone la redazione in forma scritta). Ulteriore deroga al principio della libertà delle forme è rappresentato, poi, dalla conclusione di contratti di locazione con la Pubblica Amministrazione: in tal caso, in applicazione del principio generale per cui, anche quando agisce iure privatorum, la pubblica amministrazione “parla” attraverso atti aventi la forma scritta (v. gli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923), il contratto di locazione concluso con la stessa, indipendentemente dalla destinazione dell'immobile (abitativa o meno), dalla durata del rapporto (infra ovvero ultranovennale) e dalla posizione assunta dall'amministrazione (locatrice ovvero conduttrice) va redatto in forma scritta, pena nullità dello stesso, rilevabile d'ufficio (Cass. III, n. 12253/2016; Cass. III, n. 20387/2016; Cass. III, n. 19410/2016). Tornando alla disciplina dell'art. 1572 c.c., si ritiene, in dottrina, che la mancanza di forma scritta in ogni caso consenta, mediante l'applicazione, alternativamente, degli artt. 1419 e 1424 c.c. (e nella ricorrenza, ovviamente, dei relativi presupposti disciplinari), la conservazione del negozio, mediante sua conversione in un contratto di locazione di durata infranovennale (Mirabelli, 212): “il caso della locazione ultranovennale conclusa senza il rispetto del vincolo formale prescritto dall'art. 1350, n. 8) c.c., sembra presentare un'affinità con la fattispecie ipotizzata dall'art. 1419 c.c. La locazione infranovennale non è infatti un contratto qualitativamente diverso rispetto alla locazione ultranovennale, giacché la diversità tra i contratti opera soltanto sul piano quantitativo. La locazione è contratto di durata, in cui la quantità della prestazione tipica, consistente nell'assicurare il godimento di una cosa determinata, è funzione del tempo. Pertanto, la quantità della prestazione è funzione dell'arco di tempo per cui il locatore rinuncia al godimento diretto di un bene proprio. Il contratto ultranovennale immobiliare non rivestito della forma scritta è, allora, colpito da nullità parziale, perché soltanto una certa quantità del contratto viola il precetto formale dell'art. 1350, n. 8, c.c.” (Gabrielli, Padovini, 124). Quanto, invece, alla trascrizione, richiesta in considerazione della rilevanza economico-sociale della locazione ultranovennale, essa impone che il contratto venga stipulato, ex art. 2657 c.c., nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata: la trascrizione, tuttavia, non è presupposto di validità del contratto quanto, piuttosto, di sua opponibilità all'acquirente della cosa locata, ex art. 1599, comma 3, c.c., all'aggiudicatario della medesima, ex art. 2923 c.c., al creditore pignorante ex art. 2915 c.c.; essa, inoltre, rileva quale criterio per la risoluzione del conflitto tra più titolari del medesimo diritto personale godimento, ex art. 1380 c.c. Si trova, così, affermato, in giurisprudenza, che: a) la locazione ultranovennale non trascritta non è opponibile, ancorché il contratto sia regolarmente registrato, al curatore fallimentare del locatore in ragione dell'effetto di spossessamento e di pignoramento generale dei beni del debitore derivante dalla dichiarazione di fallimento, che determina il subentro ope legis del curatore nel contratto nei soli limiti in cui lo stesso sia opponibile alla massa dei creditori: sicché il curatore, ferma l'opponibilità della data certa del contratto registrato anteriormente al fallimento, alla scadenza del novennio dalla stipulazione può farne valere l'inefficacia per il periodo eccedente tale limite temporale (Cass. I, n. 5792/2014; Cass. I, n. 3016/2008); b) la locazione ultranovennale non trascritta non è opponibile all'aggiudicatario di un immobile in sede di espropriazione forzata, atteso che il disposto dell'art. 2923 c.c., diversamente da quello di cui all'art. 1599 stesso codice (dettato in tema di vendita volontaria), non prevede la possibilità che l'acquirente assuma, nei confronti dell'alienante, l'obbligo di rispettare la locazione, tale possibilità essendo del tutto inconciliabile con lo scopo della procedura esecutiva, che è quello di realizzare il prezzo più alto nell'interesse tanto del debitore quanto dei creditori procedenti (Cass. III, n. 111/2003). Cass. III, n. 14012/1991 ritiene, invece, che la trascrizione non sarebbe necessaria per (l'opponibilità de)i contratti di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, compiutamente disciplinati dagli artt. 27-29 della l. n. 392/1978, che ne fissa la durata normale in dodici anni, salva l'ipotesi eccezionale di diniego della rinnovazione alla scadenza dei primi sei anni: tali contratti, infatti, sarebbero opponibili al terzo acquirente dell'immobile indipendentemente dalla trascrizione, purché abbiano data certa anteriore alla alienazione, a norma della perdurante disciplina generale del (solo) primo comma dell'art. 1599 c.c. Per la valida conclusione di un contratto di locazione ultranovennale pacificamente occorre, infine, la piena capacità di agire, tanto del locatore quanto del conduttore, come si evince dalla lettura, a contrario, dagli artt. 320,374,424 e 394 c.c. i quali, nel caso di locazioni ultranovennali che vedono coinvolti minori (anche emancipati), interdetti o inabilitati, impongono l'autorizzazione del giudice tutelare rispettivamente in favore dei genitori, del tutore o del curatore; in virtù del richiamo all'art. 374 c.c., contenuto nell'art. 411 c.c., inoltre, si deve ritenere che analoga autorizzazione sia necessaria in caso di soggetto sottoposto a procedura di amministrazione di sostegno. Una tesi dottrinaria del tutto minoritaria ritiene, invece, che il requisito della capacità di agire concerna il solo locatore, quale unico soggetto sul quale grava il vincolo dell'obbligazione novennale, con conseguente indisponibilità del bene, laddove a carico del conduttore vi sarebbe solo l'obbligo di pagamento del canone, dal quale questi potrebbe liberarsi mediante esercizio del diritto di recesso per gravi motivi (Cosentino, Vitucci, 34). Ad ogni buon conto l'eventuale assenza di capacità di agire in uno al difetto di autorizzazione da parte del giudice tutelare implica, secondo la regola generale dettata dall'art. 1425 c.c., l'annullabilità del contratto nella sua interezza (e non solo per la durata di esso eccedente il novennio), non ritenendosi applicabile, in via analogica, l'art. 1573 c.c. trattandosi di norma di riconosciuto carattere eccezionale (Mirabelli, 271; Tabet, 1006; Visco, 16). Consegue, inoltre, alla qualifica di un contratto di locazione in termini di atto di straordinaria amministrazione, l'inapplicabilità della presunzione di pari poteri gestori in ipotesi di locazione avente ad oggetto un bene in comunione (in virtù del quale ciascuno dei comunisti può procedere alla locazione della cosa comune ed agire per la cessazione o la risoluzione del contratto e la consegna del bene locato, anche nell'interesse degli altri partecipanti alla comunione, trattandosi di atti di utile gestione rientranti nell'ambito dell'ordinaria amministrazione della cosa comune, per i quali è da presumere, salvo prova contraria, che il singolo comunista abbia agito anche con il consenso degli altri, v. Cass. II, n. 4005/1995; Cass. II, n. 1309/1987), occorrendo all'uopo, al contrario, l'unanimità dei consensi dei comunisti (v. l'art. 1108 c.c.), consacrata in un atto avente forma scritta ad substantiam (così, in motivazione, Cass., 24489/2017). L'eventuale mancanza di poteri o di autorizzazione rileva, però, nei soli rapporti interni fra i comproprietari, sì da non poter essere eccepita alla parte conduttrice che ha fatto affidamento sulle dichiarazioni o sui comportamenti di chi appariva agire per tutti (Cass. III, n. 1986/2016); peraltro, in tale evenienza di comprovata gestione non rappresentativa del bene comune, Cass. S.U., n. 11135/2012 ha anche evidenziato che, rientrando la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari nell'ambito della gestione di affari, è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 c.c., sicché il comproprietario non locatore può ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705, comma 2, c.c., applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 c.c., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla rispettiva quota di proprietà indivisa. Va da ultimo evidenziato il recente arresto di Cass. III, n. 25854/2020, secondo cui i contratti di locazione ultranovennali sono soggetti, qualora ne ricorrano gli estremi, all'azione revocatoria giacché, pur non essendo traslativi del bene, ne limitano, anche indirettamente, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, in tal modo pregiudicando le ragioni del creditore. Segue. Un caso particolare di locazione ultranovennale: la concessione in godimento a terzi del lastrico condominiale per l’istallazione di impianti tecnologici. La tematica della durata del contratto di locazione si intreccia con quella (risolta dalle Sezioni Unite) della natura del diritto con cui si conceda ad un terzo il godimento del lastrico solare comune, per ivi procedere all'istallazione di impianti tecnologici. Chiarisce Cass. S.U. n. 8434/2020 che il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda cedere in godimento ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, o altro impianto tecnologico, con il diritto di mantenere la disponibilità ed il godimento dell'impianto ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere perseguito sia attraverso un contratto ad effetti reali, sia attraverso un contratto ad effetti personali, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito, investendo una questione di interpretazione contrattuale. In particolare: a) qualora le parti abbiano inteso attribuire all'accordo con cui il proprietario di un lastrico solare conceda in godimento ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, o altro impianto tecnologico - con il diritto di mantenere la disponibilità ed il godimento dell'impianto ed asportare il medesimo alla fine del rapporto - effetti reali, lo schema negoziale di riferimento è quello del contratto costitutivo di un diritto di superficie, il quale richiede l'approvazione di tutti i condomini ed attribuisce all'acquirente la proprietà superficiaria dell'impianto installato sul lastrico solare, può essere costituito per un tempo determinato e può prevedere una deroga convenzionale alla regola che all'estinzione del diritto per scadenza del termine il proprietario del suolo diventi proprietario della costruzione; b) qualora, al contrario, le parti abbiano inteso attribuire all'accordo suddetto effetti obbligatori, lo schema negoziale di riferimento è quello del contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale, con rinuncia del concedente agli effetti dell'accessione, con il quale il proprietario di un'area concede ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa, di godere e disporre dell'opera edificata per l'intera durata del rapporto e di asportare tale opera al termine del rapporto. Tale contratto è soggetto alla disciplina dettata, oltre che dai patti negoziali, dalle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, dalle norme sulla locazione, tra cui quelle dettate dagli artt. 1599 c.c. e 2643, n. 8, c.c. e, ove stipulato da un condominio per consentire a terzi l'installazione del ripetitore sul lastrico solare del fabbricato condominiale, richiede l'approvazione di tutti i condomini solo se la relativa durata sia convenuta per più di nove anni. Segue. La determinazione della durata Risulta, allora, di fondamentale importanza, ai fini dell'applicazione dell'art. 1572 c.c., individuare il criterio sulla cui base determinare la durata del vincolo contrattuale: tanto più in considerazione del meccanismo di rinnovazione tacita del rapporto contemplata dalla legislazione speciale. Cass. III, n. 30619/2018 ha recentemente chiarito (sia pure con riferimento ai contratti di locazione ad uso non abitativo contemplati dall'art. 27 della l. n. 392/1978) che la rinuncia del locatore alla facoltà di diniego di rinnovo alla prima scadenza non determina la trasformazione del contratto in ultranovennale, con conseguente applicazione della relativa disciplina formale, essendo necessario, allo scopo, che entrambe le parti siano vincolate a tale durata. Sennonché di senso diametralmente opposto è tutta la (costante) giurisprudenza antecedente a tale pronunzia: così, ad esempio, Cass. III, n. 10779/1993 affermava che la stipulazione di una locazione di immobile per uso diverso dall'abitazione, disciplinata dagli artt. 27 ss. della l. n. 392/1978, configura un atto di straordinaria amministrazione solo quando raggiunga una durata ultranovennale per effetto della preventiva rinuncia del locatore alla facoltà di diniego della rinnovazione del rapporto accordatagli dagli artt. 28 e 29 stessa legge; analogamente Cass. III, n. 3757/1985, per cui il contratto di locazione o di affitto ultranovennale, ivi incluso quello che raggiunga tale durata per effetto di preventiva rinuncia del locatore alla facoltà di diniego della rinnovazione del rapporto accordatogli dall'art. 28, comma 2 della l. n. 392/1978, configura un atto di straordinaria amministrazione, idoneo ad alterare, in senso peggiorativo, la garanzia patrimoniale offerta dal locatore ai creditori, e, pertanto, è soggetto all'azione revocatoria, a seguito di sopravvenuto fallimento del locatore medesimo, ai sensi e nei casi contemplati dall'art. 67 l.fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), (nell'occasione, la Corte ha altresì osservato che tale principio non resta escluso dalle disposizioni dell'art. 80 del citato decreto, in tema di prosecuzione del rapporto di locazione nonostante il fallimento del locatore, con subingresso nel contratto del curatore, le quali rimangono applicabili quando la locazione non superi i nove anni, ovvero li superi, ma non sia revocabile in difetto dei requisiti fissati dal predetto art. 67). Ad ogni modo, la dottrina evidenzia come si possano individuare due ipotesi di locazioni ultranovennali, aggiuntive rispetto a quelle in cui la durata del rapporto testualmente supera il novennio: 1) la prima, concerne la locazione sottoposta, quanto alla durata, ad un termine finale incertus quando, ipotesi prospettata, ad esempio, dall'art. 1607 c.c., secondo cui “la locazione di una casa per abitazione può essere convenuta per tutta la durata della vita dell'inquilino e per due anni successivi alla sua morte”: “in proposito, sembra unanime, ed è certo da condividersi, l'opinione secondo cui la locazione a termine incerto deve considerarsi ultranovennale, giacché ciò che conta è la potenziale durata del vincolo” (Di Marzio, Falabella, 130); 2) la seconda ipotesi è quella di una locazione infranovennale con la quale sia riconosciuta al conduttore un'opzione, ex art. 1331 c.c., di rinnovo del rapporto per un periodo ulteriore che, cumulato a quello iniziale, renda la locazione ultranovennale (c.d. clausola di riconduzione tacita): “in tal caso è pur vero che l'opzione non determina la formazione del vincolo contrattuale, attribuendo invece ad una delle parti il diritto potestativo di determinarne l'insorgenza, ma va nondimeno sottolineato che l'altra parte rimane fin da subito assoggettata alla durata ultranovennale” (Di Marzio, Falabella, 130). Tali soluzioni hanno trovato riscontro anche in giurisprudenza: a) Trib. Milano, 23 giugno 1967 ha ritenuto illegittimo il rifiuto del conservatore di trascrivere un contratto di locazione stipulato per tutta la vita dell'inquilino, nel caso in cui al contratto medesimo era stata apposta la condizione risolutiva del matrimonio della figlia del locatore, la quale non aveva però trovato pretendenti; b) Cass. III, n. 3654/1968 specifica che per la validità del contratto di locazione immobiliare stipulato per una durata inferiore al novennio, ancorché, in virtù della pattuita clausola di rinnovo, esso possa, a richiesta del conduttore, protrarsi per una durata ultranovennale, non occorre la forma scritta di cui all'art. 1350, n. 8) c.c. Analogo alla clausola di riconduzione tacita è il cd. patto di rispetto e, cioè, la clausola apposta al contratto di locazione in virtù del quale è riconosciuto al conduttore il diritto potestativo di prolungarne la scadenza per un periodo di tempo ulteriore rispetto alla scadenza convenzionale e, comunque, contenuto entro il limite del trentennio fissato dal'art. 1573 c.c. (Cass. III, n. 2900/1956). Dubbie sono, invece, le ipotesi in cui, per effetto del meccanismo di proroga tacita del rapporto, la durata complessiva di questo (proroga inclusa, quindi) superi i nove anni (ipotesi connessa a quella, prospettata in apertura, di preventiva rinunzia del locatore alla disdetta): si ritiene comunemente che ciò a cui debba guardarsi sia l'iniziale previsione di durata del rapporto, giacché “la rinnovazione non si pone quale evento ineluttabile, bensì quale sviluppo riconducibile alla volontà delle parti, le quali abbiano scelto di non intimare disdetta” (Di Marzio, Falabella, 131). Conforme è l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 1137/1956; Cass. III, n. 599/1982) per cui ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 320, comma 3 c.c., locazioni ultranovennali sono soltanto quelle stipulate inizialmente per un periodo superiore ai nove anni, e non anche quelle convenute per un tempo inferiore, ma suscettibili di protrarsi per un tale periodo in virtù di clausola di tacito rinnovo od in conseguenza della soggezione a proroga legale, poiché, per la qualificazione del contratto, occorre aver riguardo alla volontà originaria delle parti, e non alla potenziale maggior durata del medesimo, sia per tacito rinnovo, sia per una proroga derivante dalla volontà della legge, che si sovrapponga d'imperio alla volontà dei contraenti. Precisa ulteriormente, a tale riguardo, Cass. III, n. 12959/2001che la disdetta di un contratto di locazione successiva alla rinnovazione tacita già verificatasi, ai sensi dell'art. 1597 cod. civ., non può incidere sulla tacita riconduzione ormai prodottasi, e quindi può valere soltanto ad impedire un'altra rinnovazione tacita alla scadenza del contratto. Le anticipazioni del corrispettivoDalla definizione contenuta nell'art. 1571 c.c. si coglie che la locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo: tale corrispettivo prende il nome di “canone” o “pigione” e, ai sensi dell'art. 1587, n. 2) c.c. deve essere corrisposto dal conduttore al locatore nei termini convenuti: esso viene ricompreso tra i frutti civili dall'art. 820 c.c. La giurisprudenza fornisce una nozione decisamente ampia di “corrispettivo”: Cass. III, n. 1909/1965 ritiene che esso possa consistere in qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, anche se di misura modesta, perche ove tale utilità economica mancasse o fosse irrisoria il contratto risulterebbe stipulato nello esclusivo interesse di chi riceve la cosa e sarebbe, quindi, qualificabile come concessione gratuita di uso o come precario, o come contratto atipico, ma non come locazione (Cass. III, n. 627/1962), mentre Cass. III, n. 385/1965 ricomprende in tale nozione anche la prestazione di un'opera o un servizio (Cass. III, n. 385/1965); adde Cass. III, n. 424/1962, per cui il corrispettivo, oltre che in un canone periodico, anche in un'utilità corrisposta una tantum in relazione alla prevista durata del contratto. Orbene, il pagamento, come noto, non rappresenta un atto negoziale, ma costituisce, piuttosto, un fatto: come tale, richiede (anche se si tratta del canone di locazione) unicamente la capacità di intendere e di volere, non anche la capacità di agire; sennonché il comma 2 dell'art. 1571 c.c., derogando a tale principio, precisa che le anticipazioni del corrispettivo della locazione per una durata superiore a un anno vanno qualificate in termini di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. La dottrina (Mirabelli, 187) rinviene la ratio di tale previsione, da un lato, nella implicita rinunzia al beneficio del termine (v. l'art. 1182 c.c.) che il conduttore/debitore compie con tale pagamento anticipato e, dall'altro, nell'importanza dell'esborso. Non sembra comunque potersi ricomprendere nell'ammontare dell'anticipazione prevista dalla disposizione in commento l'eventuale versamento, ad opera del conduttore, del deposito cauzionale (v. l'art. 11 della l. n. 392/1978): questo, infatti, lungi dal rappresentare una forma di pagamento anticipato del canone, consiste in una somma di denaro versata a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni proprie del conduttore e in particolare a garanzia di eventuali danni cagionati alla cosa locata; esso non svolge, dunque, la funzione di corrispettivo per il godimento del bene ed ha la natura giuridica del deposito irregolare. Tali conclusioni sono pacifiche in giurisprudenza, ove è stato chiarito che la funzione specifica del deposito è quella di garantire preventivamente il locatore dagli inadempimenti del conduttore (Cass. III, n. 538/1997). 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