Codice Civile art. 1587 - Obbligazioni principali del conduttore.

Gian Andrea Chiesi

Obbligazioni principali del conduttore.

[I]. Il conduttore deve:

1) prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia [1176 1] nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze (1);

2) dare il corrispettivo nei termini convenuti (2).

(1) V. art. 80 l. 27 luglio 1978, n. 392.

(2) V. art. 5 l. n. 392, cit.

Inquadramento

La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo: come ampiamente chiarito nel commento all'art. 1571 c.c., si assiste, dunque, ad uno scambio, protratto nel tempo, tra la concessione in godimento di una cosa ed il pagamento di un corrispettivo (il c.d. canone o pigione), i cui predicati – come detto – portano a discorrerne in termini di contratto a) consensuale, b) ad effetti meramente obbligatori, c) a prestazioni corrispettive, d) oneroso e e) di durata (ovvero, seguendo le definizioni codicistiche, ad esecuzione continuativa o periodica).

Mentre gli artt. 1575-1586 c.c. individuano le obbligazioni del locatore, volte a garantire al conduttore il pieno e pacifico godimento del bene, l'art. 1587 c.c. individua le due obbligazioni principali del conduttore, consistenti 1) nell'obbligo di prendere in consegna la cosa locata, osservando la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze e 2) nell'obbligo di dare il corrispettivo. Ad esse, poi, si sommano le obbligazioni (ulteriori) previste dagli artt. 1588-1591 c.c., consistenti 3) nell'obbligo di custodia della cosa locata – con conseguente responsabilità del conduttore per il suo perimento, deterioramento o danneggiamento – e 4) nell'obbligo di (tempestiva) riconsegna.

Si è osservato, in dottrina (Provera, 264), che, in realtà, più che di obbligazioni principali del conduttore dovrebbe discutersi di obbligazioni generali”, siccome trasversali a tutte le locazioni: ed in tale ottica esse sono state contrapposte alle obbligazioni c.d. essenziali, il cui inadempimento è causa di responsabilità contrattuale del conduttore. I due caratteri possono sovrapporsi o meno: così, l'obbligazione di pagamento del canone è generale ed essenziale, mentre quella di prendere in consegna la cosa locata è solo generale ma non essenziale. D'altra parte, a conferma ulteriore della bontà di tale conclusione si evidenzia (Provera, 266; Mirabelli, 466) che la violazione degli obblighi previsti nella norma in esame non determina ipso iure la risoluzione del contratto, essendo a tal fine necessario integrare tutti i requisiti necessari a configurare la fattispecie di cui all'art. 1453 c.c., con particolare riferimento alla gravità dell'inadempimento.

La soluzione prospettata è, nella sostanza, accolta in giurisprudenza, laddove in tema di locazione ad uso non abitativo si evidenzia (Trib. Roma, 29 ottobre 2019) che, laddove il conduttore sia moroso nel pagamento del canone, non può ritenersi automaticamente sussistente la gravità dell'inadempimento in virtù del solo fatto che questo ha ad oggetto una delle obbligazioni principali del conduttore (art. 1587, n. 2, c.c.), dovendosene, invece, accertare la gravità in concreto, con la conseguenza che la domanda di risoluzione non dovrà essere accolta qualora l'inadempimento possa essere valutato come di scarsa importanza per il concorso di determinate circostanze, che lo rendano inidoneo a ledere in modo rilevante l'interesse contrattuale del locatore.

La presa in consegna del bene locato

L'art. 1575, n. 1) c.c. prevede, a carico del locatore, l'obbligo, primario, di consegnare al conduttore il bene oggetto di locazione: si tratta – probabilmente – dell'essenza del contratto di locazione, in quanto l'obbligo in questione è funzionale alla realizzazione della causa del contratto, consistente nell'immissione del conduttore nel godimento del bene verso il pagamento del canone.

Chiarisce bene il concetto Cass. III, n. 766/1970, per la quale, perfezionandosi la locazione con l'accordo delle parti, la consegna della cosa non rientra nella fase formativa del rapporto, ma costituisce il primo ed ineliminabile obbligo del locatore, che condiziona la nascita degli obblighi e delle responsabilità ulteriori nonché il consolidarsi della posizione del conduttore quale titolare di un diritto personale di godimento.

A tale obbligo corrisponde quello, a carico del conduttore, di prendere in consegna il medesimo bene, alla luce di quanto previsto dall'art. 1587, n. 1) c.c.: dalla corrispondenza di dette obbligazioni a carico delle parti emerge la natura commutativa del contratto di locazione, non dipendendo le prestazioni dal caso o dal rischio.

La consegna si sostanzia, dunque, nel compimento delle attività necessarie perché il godimento possa essere esercitato secondo le previsioni contrattuali e che, in via esemplificativa, possono individuarsi nella consegna materiale o da mano a mano del bene mobile, nella consegna simbolica (quale la dazione delle chiavi del bene immobile), nel c.d. constitutum possessorium o nella traditio brevi manu (Mirabelli, 358): tale eterogeneità di modi con cui viene messo a disposizione il bene in favore del conduttore da parte del locatore ha, dunque, portato a discorrere della consegna in esame in termini di prestazione atipica di fare, quale strumento di attuazione della trasmissione del godimento del bene locato. Consegue, “a valle” da quanto precede che: 1) la consegna rappresenta un adempimento in senso tecnico ovvero un atto non negoziale ovvero, ancora, un atto dovuto; 2) risultano, per l'effetto irrilevanti la capacità ovvero eventuali vizi della volontà del solvens (v. l'art. 1191 c.c.), come l'accettazione del conduttore; 3) i criteri per stabilire se la prestazione di consegna sia stata esattamente compiuta non possono essere fissati in astratto, ma vanno determinati in concreto, in riferimento allo specifico contenuto del contratto ed alla varietà di aspetti che il godimento locativo può assumere (Mirabelli, 357; Gabrielli, Padovini, 232).

L'obbligo di consegna coinvolge, pur nel silenzio delle norme dettate in materia di locazione e salvo che ciò sia espressamente escluso dal contratto, anche accessori e pertinenze del bene locato, secondo il principio, dettato dall'art. 818 c.c. per cui accessorium sequitur principale.

Conforme è la posizione della dottrina (Trifone, 481) per la quale l'obbligo in esame si estende anche agli accessori ed alle pertinenze indispensabili per l'uso del bene locato.

Analoga è la posizione della giurisprudenza, per cui vanno consegnati, in uno con il bene locato, anche gli accessori e le pertinenze dello stesso, normalmente necessari in relazione all'uso convenuto, salvo patto contrario (v. anche Cass. III, n. 2938/1975 e, più recentemente, Cass. II, n. 2976/2019, per cui il contratto di locazione immobiliare, se non diversamente convenuto, include anche le pertinenze, con la conseguenza che la specifica esclusione del rapporto pertinenziale tra due porzioni immobiliari ad opera dell'originario proprietario di entrambe non consente di affermare la sussistenza del relativo vincolo, pur ove possa apparire ragionevole l'utilità della cosa accessoria rispetto a quella principale): sicché, ad esempio, qualora una cantina risulti pertinenza di un appartamento, si dovrà ritenerla compresa nell'oggetto del contratto di locazione, ancorché ad essa non sia stato fatto cenno alcuno (Cass. III, n. 1231/1965). Analogamente, in applicazione di tali principi Cass. III, n. 16801/2015 chiarisce che, la domanda di rilascio dell'immobile locato include anche quella diretta al rilascio delle pertinenze, sicché quest'ultima non costituisce domanda nuova e può essere proposta, per la prima volta, anche in appello.

In dottrina (Trifone, 1984, 464), però, si suggerisce un criterio parzialmente diverso, di natura sostanzialmente empirica e casistica, nel senso che si ritiene che con la cosa principale dovrebbero essere consegnate – sì – anche le pertinenze, salvo che, in considerazione dell'uso pattuito, esse debbano considerarsi escluse.

Quanto, poi, al criterio da adoperare al fine di considerare un bene pertinenziale rispetto ad un altro, vanno seguiti i principi generali sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità: sicché va in linea generale affermato che perché il vincolo pertinenziale, tra due beni autonomi e distinti, siano essi mobili o immobili, possa costituirsi e il relativo regime possa funzionare, occorre che il proprietario della cosa principale abbia la piena disponibilità anche della cosa accessoria e che la destinazione pertinenziale, specie quando essa derivi da un atto non negoziale, sia attuale ed effettiva e non meramente potenziale, dovendo risultare da un comportamento oggettivamente valutabile (Cass. I, n. 5262/1993). In particolare, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale avuto riguardo alle c.d. pertinenze “urbane” e, in specie, ai beni mobili posti ad ornamento di edifici, è necessaria la presenza del requisito oggettivo dell'idoneità del bene a svolgere la funzione di servizio od ornamento rispetto ad un altro, ponendosi in collegamento funzionale o strumentale con questo, nonché del requisito soggettivo dell'effettiva volontà dell'avente diritto di destinare durevolmente il bene accessorio a servizio od ornamento del bene principale; sicché, di regola, va esclusa la natura di pertinenza delle suppellettili, degli arredi e dei mobili che riguardino esclusivamente la persona del titolare del diritto reale sulla cosa principale e non la cosa in sé considerata. (v. Cass. VI/II, n. 12731/2019: nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza di tale vincolo tra un immobile e due specchiere affermando che queste ultime costituivano beni mobili non inseriti stabilmente nella struttura muraria dell'edificio e che l'atto di trasferimento dell'immobile aveva consapevolmente escluso che la vendita riguardasse anche le specchiere).

L'art. 1575, n. 1) c.c. impone al locatore, inoltre, di consegnare la cosa locata in buono stato di manutenzione, anche se si tratta di una previsione derogabile; tale obbligo non contempla, invece, quello di apportare alla cosa stessa le modifiche e aggiunte occorrenti per renderla idonea alla destinazione pattuita né, tantomeno, quella di assicurare al conduttore la possibilità di apportarvele egli stesso, pur potendo le parti accordarsi in tal senso.

La conclusione è confermata dalla granitica giurisprudenza di legittimità, la quale osserva che l'art. 1575 c.c. non impone invece al locatore alcun obbligo di apportare alla cosa da locare le modifiche necessarie per renderla idonea allo scopo cui intende destinarlo il conduttore (neppure se imposte da disposizioni di legge o dall'autorità e sopravvenute alla consegna. Così Cass. III, n. 24987/2014; Cass. III, n. 2458/2009; v. anche, per la giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 3 novembre 2009, per cui in applicazione dell'art. 1575, n. 2 c.c., il locatore non è tenuto all'adeguamento degli impianti esistenti nell'immobile alla normativa vigente, a meno che non si verifichino guasti sopravvenuti che richiedano interventi di riparazione e/o manutentivi ordinari o straordinari, posto che al momento della stipula del contratto, pur se successiva all'entrata in vigore della normativa di riferimento, il locatore non ha assunto alcun impegno circa l'effettuazione di lavori di modifica di detti impianti), a meno che quell'obbligo non venga concordato con patto espresso, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore. In particolare, tale obbligo non può discendere da quello, espressamente posto dalla norma a carico del locatore, di mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto, giacché questo consiste nel provvedere a tutte le riparazioni necessarie a conservare la res nelle condizioni in cui si trovava al momento della conclusione del contratto in relazione alla destinazione considerata. Sicché il locatore non è di regola tenuto a compiere successive modificazioni e trasformazioni, non previste dal contratto, attinenti alla specifica idoneità dell'immobile all'esercizio di una determinata attività industriale o commerciale, per la quale è stato locato, anche se l'esecuzione delle opere di modificazione o trasformazione sia imposta da disposizioni di legge o dell'autorità sopravvenute alla consegna; né il locatore è tenuto a rimborsare al conduttore le spese sostenute per la realizzazione di tali opere, salva l'operatività degli artt. 1592 e 1593 c.c. in tema di miglioramenti e addizioni (Trib. Torre Annunziata, 17 gennaio 2014). Conseguentemente è stato chiarito che, salvo diversa pattuizione, l'inidoneità della cosa locata rispetto all'uso pattuito non legittima il conduttore a chiedere al locatore un adeguamento della cosa stessa attraverso una sua ristrutturazione (Cass. III, n. 3341/2001). Peraltro, nell'ipotesi di consegna di cosa che risulti inidonea a realizzare l'interesse del conduttore, una responsabilità del locatore non è configurabile, neppure in astratto, quando risulti che il conduttore conoscesse la possibile inidoneità della cosa e, ciononostante, ne abbia accettato il rischio economico (Cass. III, n. 14659/2002).

Grava, d'altronde, sul conduttore l'onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività ripromessasi (Cass. III, n. 3441/2002).

L'obbligo, gravante sul conduttore, di prendere in consegna la res locata è stato variamente ricostruito dalla dottrina: mentre taluni (Mirabelli, 470) l'hanno ricondotto all'istituto della mora credendi, ravvisando un obbligo di condotta autonomo del conduttore sebbene correlato all'interesse del locatore alla custodia e successiva restituzione del bene (Provera, 268), altri (Tabet, 1972, 438) hanno negato in nuce l'esistenza di un obbligo in senso proprio ritenendo, piuttosto, di versarsi in presenza di un obbligo di natura strumentale rispetto a quello primario di custodire, conservare e restituire il bene locato

Segue. L'inadempimento del locatore all'obbligo di consegna

In caso di inadempimento dell'obbligo in esame da parte del locatore, il conduttore può ricorrere all'esecuzione in forma specifica ex artt. 2930 c.c. e 605 ss. c.p.c., sempre che non preferisca chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno (Mirabelli, 374). L'adempimento coatto risulta, però, di difficile attuazione allorché la consegna non consista nella classica dazione (traditio), ma in un comportamento e, soprattutto, nello svolgimento di una attività giuridica: in queste ipotesi, infatti, occorre distinguere quei casi in cui “l'attività non soltanto ha contenuto giuridico e non materiale, ma va esplicata nei confronti di terzi, da quelli in cui consiste in una attività negoziale nei confronti dello stesso conduttore [...]. Il primo gruppo di casi sembra che non possa essere compreso né nella previsione contenuta nel successivo art. 2931 c.c., che prevede l'esecuzione in forma specifica di obblighi di fare, ma che si deve ritenere riferirsi esclusivamente allo svolgimento di attività materiali e fungibili; il secondo gruppo, invece, potrebbe rientrare nella previsione contenuta nel primo comma dell'art. 2932 c.c., sì che non sembra che possa essere escluso che sia ammissibile la pretesa di ottenere una sentenza che produca gli effetti del negozio non posto in essere” (così Mirabelli, 374).

Non può egli, al contrario, quale titolare di un diritto di credito verso il locatore, procedere al diretto impossessamento del bene, restando in caso contrario soggetto all'azione di spoglio da parte del locatore (Cass. II, n. 4021/1983).

La mancata consegna dell'immobile locato da parte del locatore esclude, inoltre, l'obbligo del conduttore di pagare il canone (Cass. III, n. 9666/2020): l'obbligo di pagamento del canone ha il suo necessario presupposto nell'avvenuta consegna del bene da parte del locatore, atteso che il sinallagma contrattuale comporta un ineludibile rapporto di condizionamento fra l'adempimento dell'obbligazione del locatore di «consegnare al conduttore la cosa locata» (art. 1575, n. 1 c.c.) e l'obbligazione del conduttore di «prendere in consegna la cosa» e dare il corrispettivo nei termini convenuti» (art. 1587, nn. 1 e 2 c.c.). Una simile soluzione, peraltro appare in linea con la giurisprudenza (cfr. infra) che, pur orientata a negare la legittimità della sospensione o dell'autoriduzione del canone a fronte di una residua utilità del bene, è pacifica nell'affermare che la sospensione è comunque legittima qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti.

Segue. Il persistente obbligo di custodia della res locata gravante sul proprietario

L'obbligo di consegna gravante sul locatore ed il corrispondente obbligo di custodia originantesi, in conseguenza, nella sfera giuridica del conduttore, non implica il venir meno, in capo al locatore-proprietario, dell'obbligo di custodia del bene e della corrispondente responsabilità nei confronti dei terzi, permanendo in capo a lui un effettivo potere di controllo sull'immobile locato, finalizzato alla vigilanza sullo stato di conservazione e di efficienza delle strutture edilizie e degli impianti.

Al proprietario dell'immobile locato sono dunque riconducibili, in via esclusiva, i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità (Cass. III, n. 7526/2018; Cass. III, n. 21788/2015; Cass. II, n. 13881/2010): ove si verta in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., infatti, occorre anzitutto compiere una verifica finalizzata a identificare il soggetto in concreto investito della custodia, e perciò tenuto a risarcire i danni causati ai sensi della suddetta norma e, nell'ipotesi di cosa concessa in locazione, criterio decisivo ai fini del riparto di responsabilità ex art. 2051 c.c. tra conduttore e locatore è pur sempre la disponibilità giuridica e di fatto del bene, con la conseguenza che dell'evento rispondono, alternativamente, l'uno o l'altro secondo il rispettivo ambito di disponibilità (v. Cass. III, n. 3385/2005). Sicché, come ben chiarito da Cass. III, n. 16231/2005, con riferimento alla locazione di immobile, che comporta il trasferimento della disponibilità della cosa locata e delle sue pertinenze, pur configurandosi ordinariamente l'obbligo di custodia del bene locato in capo al conduttore, dal quale deriva altresì la responsabilità a suo carico – salva quella solidale con altri soggetti ai quali la custodia faccia capo in quanto aventi pari titolo o titoli diversi che importino la coesistenza di poteri di gestione e di ingerenza sul bene – ai sensi del suddetto art. 2051 c.c. per i danni arrecati a terzi dalle parti ed accessori del bene locato, tuttavia rimane in capo al proprietario la responsabilità per i danni arrecati dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, delle quali conserva la disponibilità giuridica e, quindi, la custodia. Ciò non toglie, peraltro, che la riconducibilità del vizio alle anomale iniziative del conduttore può assumere rilievo qualora essa sia dimostrata dal proprietario ai fini della rivalsa o quale caso fortuito, idoneo ad esonerare il locatore da responsabilità, ma solo nei limiti, tipici del "fatto del terzo" ex art. 2051 c.c., in cui tale riconducibilità, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo (Cass. III, n. 30729/2019).

È, poi, certamente possibile una responsabilità concorrente di proprietario e conduttore: Cass. III, n. 23945/2009, affrontando il caso di danni derivati a terzi dall'incendio sviluppatosi in un immobile condotto in locazione, osserva che la responsabilità per danno cagionato da cose in custodia prevista dall'art. 2051 c.c. si configura a carico sia del proprietario che del conduttore allorché nessuno dei due sia stato in grado di dimostrare che la causa autonoma del danno subito dal terzo è da ravvisare nella violazione, da parte dell'altro, dello specifico dovere di vigilanza diretto ad evitare lo sviluppo nell'immobile dell'agente dannoso; ne consegue che, ove sia rimasta ignota la causa dello sviluppo dell'incendio, la responsabilità civile per i danni conseguenti ridonda non a carico del terzo, bensì del proprietario e del conduttore, potendo la presunzione di responsabilità del custode essere superata solo con la prova del caso fortuito (v. anche Cass. III, n. 11815/2016, per cui è corretta l'attribuzione della responsabilità sia in capo al conduttore che in capo al proprietario allorché nessuno dei due sia stato in grado di dimostrare che la causa autonoma ed esclusiva del danno subito dal terzo sia da ravvisare nella violazione, da parte dell'altro, dello specifico dovere di vigilanza o custodia su di lui gravante).

L'uso del bene locato secondo la destinazione contrattualmente pattuita: la diligenza del buon padre di famiglia

L'art. 1587, n. 1), c.c. stabilisce, ancora, che il conduttore, nell'utilizzare il bene in corrispondenza alla destinazione contrattualmente pattuita o a quella che può ragionevolmente desumersi dalle circostanze, deve rispettare i canoni di diligenza del buon padre di famiglia: si tratta, all'evidenza, di una specificazione del principio generale in tema di adempimento delle obbligazioni, fissato dall'art. 1176 c.c.

Parte della dottrina (Tabet, 459) ritiene che quella di diligenza consista in un'autonoma obbligazione principale del conduttore, la cui violazione comporta l'inadempimento di una delle obbligazioni corrispettive, specificandosi ulteriormente come si tratta di un obbligo essenziale connaturato alla locazione (Provera, 271), la cui violazione può condurre alla risoluzione; per un diverso orientamento (Provera, 270), invece, l'obbligo di diligenza nell'uso della cosa locata rappresenta una specificazione di quanto previsto in via generale, dall'art. 1176 c.c.

Quanto al contenuto di questo obbligo, esso fa riferimento all'impegno che grava per legge sul conduttore di non alterare la destinazione della cosa apportando alla stessa innovazioni, nel duplice senso a) di non alterarne le caratteristiche strutturali, in modo tale che essa non possa più essere utilizzata come prima e b) di non alterarne la destinazione, utilizzandolo in modo diverso da quello convenuto con il locatore e contrario alla volontà di questi (v. anche Cass. III, n. 14850/2013): la violazione di detto obbligo (ovvero l'abuso del conduttore nel godimento del bene locato), non postula necessariamente, dunque, il concreto verificarsi di danni materiali, con conseguente alterazione degli elementi strutturali del bene in modo da renderlo diverso da quello originario, potendo essa sostanziarsi in innovazioni e modifiche strutturali che non incidano direttamente sulla cosa locata in sé, ma si traducano, in ogni caso, in condotte abusive e lesive di concreti interessi del locatore, idonee ad alterare l'equilibrio economico-giuridico del contratto in danno del locatore stesso, con conseguente configurabilità di una gravità dell'inadempimento del conduttore in ordine al predetto obbligo e la correlata legittimità della declaratoria di risoluzione giudiziale del contratto locatizio. Ne consegue che il diritto di godimento del conduttore non è, pertanto, illimitato, ma va esercitato entro l'ambito delle singole e specifiche facoltà che risultano in modo espresso dalle condizioni pattizie o che, comunque, si desumono, anche in modo indiretto, dalle circostanze esistenti al momento della stipula della convenzione contrattuale (Cass. III, n. 10838/2007). Sicché, in sostanza, può concludersi nel senso che la norma è volta ad evitare ogni forma di abuso, da parte del conduttore, nel godimento della cosa locata (Cass. III, n. 17066/2014).

Secondo un Autore (Mirabelli, 508), l'obbligo di diligenza si sostanzierebbe nell'obbligo di non mutare la destinazione economica del bene e nell'obbligo di custodia, a sua volta estrinsecatesi negli obblighi strumentali di: a) vigilare sull'integrità e sull'incolumità della cosa; b) predisporre le opportune cautele per la conservazione; c) provvedere alle riparazioni urgenti di sua competenza; d) dare prontamente avviso al locatore della necessità di provvedere alle riparazioni che sono a suo carico (oltre a provvedere agli avvisi di cui all'art. 1586 c.c.). Rientra, infatti, nell'essenza stessa della locazione il prevedere solo alcune determinate facoltà di godimento del bene, da utilizzarsi entro gli specifici limiti previsti contrattualmente, e non una generica potestà di disposizione secondo un illimitato placito del conduttore: sicché, un contratto di locazione che attribuisse al conduttore ogni facoltà di utilizzo del bene locato (o che lasci desumere implicitamente tale circostanza) dovrebbe considerarsi nullo ai sensi dell'art. 1346 c.c., oppure dovrebbe verificarsene la natura di negozio simulato (Provera, 274).

Tale obbligo è sempre operante nel corso della locazione e consente al locatore di esigerne in ogni tempo l'osservanza, anche agendo direttamente nei confronti del conduttore per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento.

Concorda con tale soluzione la giurisprudenza, tanto di legittimità (Cass. III, n. 11345/2010; Cass. III, n. 3343/2001), quanto di merito (Trib. Salerno 3 novembre 2014): l'obbligo del conduttore di osservare nell'uso della cosa locata la diligenza del buon padre di famiglia, a norma dell'art. 1587, n. 1) c.c., con il conseguente divieto di effettuare innovazioni che ne mutino la destinazione e la natura, è sempre operante nel corso della locazione e ciò indipendentemente dall'altro obbligo, sancito dall'art. 1590 c.c., di restituire, al termine del rapporto, la cosa locata nello stato in è stata consegnata. Ciò implica che l'obbligo di prendere in consegna la cosa e di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato dal contratto o desumibile da altre circostanze e l'obbligo di rispondere della perdita e del deterioramento della cosa avvenute nel corso della locazione consentono al locatore di agire nel corso del rapporto per ottenere il rispetto di una conduzione diligente del bene locato, ma non possono legittimare una azione dopo la riconsegna dell'immobile per ottenere la condanna del conduttore al risarcimento del danno corrispondente alla spesa necessaria per ripristinare le migliori condizioni di manutenzione dell'immobile realizzate dal conduttore nel corso della locazione (Cass. III, n. 10562/2007). D'altra parte, il diritto del locatore a che la cosa concessa venga conservata nello stato in cui si trovava all'atto della dazione deve esser garantito non solo nel tempo della restituzione finale, ma anche durante il corso del rapporto locatizio, non essendo ammissibili modifiche nel periodo intermedio (Cass. III, n. 2275/1988). Sicché, qualora il conduttore, nel corso del rapporto, si renda inadempiente al suddetto obbligo, il locatore potrà agire sia per la risoluzione del contratto, sia per la riduzione in pristino o l'esecuzione delle necessarie opere di manutenzione, al fine di ottenere una conduzione diligente dell'immobile locato, sempre salvo risarcimento dei danni, senza necessità di attendere la cessazione del rapporto (Cass. III, n. 10562/2007; Cass. III, n. 7412/1991). Del pari, Cass. III, n. 5747/1988, per la quale l'obbligo di restituire la cosa locata nel medesimo stato di quando la si è ricevuta (ex art. 1590 c.c.), non implica la facoltà del conduttore di modificare quello stato di fatto salvo l'obbligo di ripristinarlo al termine del rapporto, essendo ciò incompatibile con l'art. 1587, n. 1)c.c., che gli impone l'obbligo di osservare nell'uso della cosa secondo la destinazione prestabilita la diligenza del buon padre di famiglia, ed è sempre operante anche nel corso del rapporto: sicché, il mutamento della res locata, specie qualora ne alteri gli elementi strutturali, può costituire causa legittima di risoluzione del contratto, ove il giudice di merito reputi che le modifiche apportate sostanzino un abuso.

La casistica giurisprudenziale relativa all'inadempimento del conduttore rispetto all'osservanza dell'obbligo diligenza impostogli ex art. 1587 c.c. è varia: 1) la trasformazione del fondo rustico destinato alla coltivazione, e concesso in affitto a tale specifico fine, in discarica abusiva di rifiuti speciali non pericolosi integra un inadempimento degli obblighi del conduttore, previsti sia dall'art. 1587 c.c., in quanto si risolve in una utilizzazione del fondo incompatibile con la coltivazione dello stesso, coltivazione a cui il conduttore era tenuto sia ai sensi del menzionato art. 1587 c.c., sia del contratto di affitto sottoscritto (Trib. Salerno 4 gennaio 2018); 2) la realizzazione da parte della conduttrice, di svariate opere edilizie abusive all'interno del complesso immobiliare concesso in locazione, a causa delle quali siano notificata ai proprietari ordinanza di demolizione ex l. n. 47/1985, costituisce grave violazione del contratto di locazione, essendo obbligo del conduttore osservare, nell'uso della cosa da effettuarsi secondo la sua destinazione, la diligenza del buon padre e di restituire la stessa nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta (Trib. Nola 21 giugno 2007); 3) costituisce una giusta causa di risoluzione la condotta del conduttore che consenta l'esercizio del meretricio nell'immobile locato ad uso albergo (Cass. III, n. 24206/2006); 4) rientra nell'obbligo di diligenza gravante sul conduttore l'esecuzione delle opere di piccola manutenzione a lui spettanti (Cass. III, n. 4068/1986); 4) rientra, altresì, nel suddetto obbligo il consentire al locatore l'ispezione periodica del bene, anche al fine di controllarne lo stato di manutenzione (Cass. III, n. 5868/1984).

Nel caso in cui la cosa sia destinata a più usi, consentiti dal contratto e ciascuno con una regolamentazione giuridica diversa, il giudice deve stabilire quale sia l'uso prevalente, ricorrendo al criterio della prevalenza negoziale (Cass. III, n. 2792/1999). Si dovrà procedere ad un giudizio di valenza condotto secondo parametri oggettivi, mentre l'originaria destinazione potrà esser ricavata, oltre che da un'espressa pattuizione contrattuale, anche dall'esame obiettivo delle circostanze, in virtù dell'art. 1362 c.c.

Non esiste, invece, a carico del conduttore, un tendenziale obbligo di uso della cosa locata.

Conforme è la posizione della giurisprudenza, per la quale, salvo il caso in cui la locazione abbia ad oggetto una cosa produttiva o tale per cui l'uso sia necessario alla sua conservazione, non sussiste a carico del conduttore uno specifico obbligo di uso o un corrispondente divieto di non uso: sicché, il non uso della res locata non costituisce inadempienza contrattuale (Cass. III, n. 10938/1991).

Allo stesso modo si pone la dottrina, la quale esclude che il non uso della cosa da parte del conduttore possa integrare gli estremi di un inadempimento, del pari escludendo la possibilità, da parte del locatore, di esigerne l'utilizzo, salvo una diversa convenzione tra le parti ovvero che dalla mancanza di uso derivi danno alla cosa o agli interessi del locatore (Mirabelli, 524; Tabet, 438).

Ove il conduttore alteri, sia pure in parte, lo stato della cosa locata, spetta comunque al giudice di merito apprezzare l'importanza dell'inadempimento ai fini dell'eventuale risoluzione, dando rilevanza, più che all'entità oggettiva dell'inadempimento, alla sua incidenza nell'interesse della controparte (Cass. III, n. 9622/1999). Diversamente, però, qualora le parti abbiano convenzionalmente stabilito il divieto di ogni forma di innovazione, mediante la pattuizione di una clausola risolutiva espressa ed il locatore si sia avvalso di tale clausola, il giudice non è tenuto ad effettuare alcuna ulteriore indagine sulla gravità dell'inadempimento (Cass. III, n. 3343/2001). Peraltro, non osta allo scioglimento del vincolo negoziale la circostanza che il locatore, pur dopo la dichiarazione di cui all'art. 1456, comma 2, c.c., abbia continuato a percepire il canone di locazione nella misura dovuta, non potendosi ravvisare in tale comportamento un indice univoco di tacita acquiescenza alla violazione, idoneo ad escludere la possibilità di avvalersi della clausola, stante la sussistenza dell'obbligo del conduttore, ex art. 1591 c.c., di corrispondere il corrispettivo della locazione in caso di mora nella restituzione del bene (Cass. III, n. 13525/2000).

Il pagamento del canone.

Il corrispettivo per il godimento del bene locato prende il nome di “canone” o “pigione” e, ai sensi dell'art. 1587, n. 2) c.c. deve essere corrisposto dal conduttore al locatore nei termini convenuti: esso viene ricompreso tra i frutti civili dall'art. 820 c.c.

In considerazione di tale ultima precisazione, posto che i frutti si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto (v. l'art. 821 c.c.), si è sostenuto, in dottrina (Tabet, 1982, 297), che il corrispettivo, dovendo essere ragguagliato alla durata del godimento, non può che avere ad oggetto una cosa suscettibile di frazionamento (anche se non necessariamente una somma di denaro), con la conseguente esclusione della prestazione di dare una cosa infungibile ed unitariamente valutata, ovvero di fare o non fare. DI avviso contrario altra parte della dottrina, per cui le parti potrebbero accordarsi anche nel senso di esigere un fare o un non fare o la dazione di un bene fungibile (Guarino, 66; Tabet, 226).

La giurisprudenza, al contrario, fornisce una nozione decisamente ampia di “corrispettivo”: Cass. III, n. 1909/1965 ritiene che esso possa consistere in qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, anche se di misura modesta, perche ove tale utilità economica mancasse o fosse irrisoria il contratto risulterebbe stipulato nello esclusivo interesse di chi riceve la cosa e sarebbe, quindi, qualificabile come concessione gratuita di uso o come precario, o come contratto atipico, ma non come locazione (Cass. III, n. 627/1962), mentre Cass. III, n. 385/1965 ricomprende in tale nozione anche la prestazione di un'opera o un servizio (Cass. n. 385/1965); adde Cass. III, n. 424/1962, per cui il corrispettivo, oltre che in un canone periodico, anche in un'utilità corrisposta una tantum in relazione alla prevista durata del contratto.

L'obbligazione di pagamento dei canoni di locazione costituisce un debito di valuta e, come tale, non è suscettibile di automatica rivalutazione per effetto del processo inflattivo della moneta; pertanto, spetta al creditore di allegare e dimostrare il maggior danno derivato dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora e non compensato dalla corresponsione degli interessi legali ex art. 1224, comma 2, c.c. (Cass. VI, n. 14158/2020).

Si è detto che il corrispettivo può consistere anche nella prestazione di un servizio: ipotesi peculiare è quella in cui il godimento di un immobile venga concesso quale corrispettivo di una prestazione di lavoro.

Le ipotesi enucleate in giurisprudenza sono, in realtà, due: a) il corrispettivo di un rapporto di lavoro è costituito, in tutto o in parte, dalla messa a disposizione del lavoratore, da parte dei datore di lavoro, di un alloggio: in tal caso (v. supra, a proposito della concessione in godimento al portiere dello stabile condominiale dell'alloggio), la possibilità dei lavoratore di risiedere in un appartamento adiacente, o compreso nel complesso dei locali da custodire, costituisce non soltanto una comodità per il lavoratore, ma anche un modo per perseguire in modo appropriato e continuativo la funzione stessa dei contratto e in definitiva determina un vantaggio anche per il datore di lavoro; b) nella pratica può tuttavia verificarsi anche un rapporto diverso, e per un certo aspetto opposto e, cioè, che in un rapporto di locazione il proprietario corrisponda all'inquilino una somma per una attività da quest'ultimo prestata: questa richiesta di prestazioni può essere saltuaria, ma può anche assumere aspetto continuativo o addirittura assumere il carattere di un obbligo che l'inquilino deve adempiere come corrispettivo per il godimento dell'alloggio. In tale ultimo caso, dunque, si verifica una situazione opposta a quella precedente: nella prima il godimento dei locali costituiva parte della retribuzione del lavoratore, nella seconda l'attività del conduttore costituisce parte del canone della locazione (Cass. III, n. 4937/1977; Cass. III, n. 943/1963; Cass. III, n. 4897/1988). La distinzione tra le due ipotesi consiste nella diversa importanza delle prestazioni nella economia generale del contratto: nel caso della locazione oggetto principale del contratto è il godimento dell'immobile e la prestazione dei conduttore è solo una parte dei corrispettivo dovuto; nel caso dei rapporto di lavoro oggetto principale è la prestazione di lavoro e il godimento dell'alloggio è solo una parte della retribuzione (Cass., sez.lav., n. 12871/1998).

Trattandosi dell'oggetto del contratto – sicché la determinazione del corrispettivo del godimento della cosa è requisito essenziale per la valida costituzione del rapporto locatizio – il canone deve infine considerarsi esistente anche quando, sebbene non fissato nel suo preciso ammontare, sia semplicemente determinabile (Cass. n. 4897/1988; Cass. n. 4937/1977), potendo essere stabilito anche in epoca successiva alla stregua di elementi predisposti all'atto della stipulazione, senza bisogno di un ulteriore consenso da parte dei contraenti, come nella ipotesi delle pigioni a riferimento, o quando le parti rimettano la fissazione dell'estaglio a un terzo con effetto vincolante (Cass. III, n. 4039/1957).

Questione particolarmente dibattuta, infine, è stata quella concernente l'ammissibilità di un canone cd. a scalare o a misura crescente o, ancora, a scaletta, problematica affrontata ex professo n tema di locazioni di immobili ad uso non abitativo.

Nel passato Cass. III, n. 6896/1987 aveva affermato che la clausola contrattuale avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone – in misura fissa o differenziata, anno per anno, a partire dal primo dopo la stipulazione di un contratto di durata legale – dovesse ritenersi illegittima, alla luce dell'originaria formulazione dell'art. 32 della l. n. 392/1978, norma che, nel porre rigidi limiti cronologici e quantitativi alla convenzione di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria (aggiornamento biennale a partire dal primo giorno del quarto anno dall'inizio della locazione con riferimento al 75 per cento delle variazioni ISTAT del biennio precedente), tende a conservare un attenuato sistema di blocco dei canoni. Il principio ha, però, subìto un primo colpo di senso contrario a seguito di Cass. III, n. 8377/1992 che, pur reputando in astratto nulla tale pattuizione, cionondimeno faceva salva l'ipotesi in cui le maggiorazioni fossero collegate sinallagmaticamente all'ampliamento della controprestazione. A questa hanno fatto però seguito una serie di decisioni conformi le quali, ribaltando l'originaria impostazione di senso contrario, hanno affermato il principio per cui la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ovvero prevede variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati (del tutto diversi e indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere d'acquisto della moneta), deve ritenersi legittima ex artt. 32 e 79 della legge sull'equo canone, salvo che non costituisca un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria (v., ex multis, Cass. III, n. 4474/1993; Cass. III, n. 5360/1996; Cass. III, n. 10500/2006; Cass. III, n. 5349/2009; Cass. III, n. 11608/2010; Cass. III, n. 10834/2011; Cass. III, n. 22908/2016; Cass. III, n. 15348/2017; Cass. III, n. 23986/2019. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 8 novembre 2018; Trib. Milano, 9 ottobre 2018; Trib. Livorno, 28 settembre 2018; Trib. Modena, 6 marzo 2015). Il medesimo principio è stato applicato, da ultimo, da Trib. Milano, 4 marzo 2013 anche in relazione alle locazioni ad uso abitativo.

Segue. L'autoriduzione del canone di locazione e la sospensione del pagamento.

Attenzione particolare merita la facoltà, riconosciuta al conduttore, di agire per la riduzione del corrispettivo del godimento della cosa locata, quando questo – come innanzi esposto – diminuisca in maniera apprezzabile: la questione, in particolare, concerne la possibilità che il conduttore, anziché svolgere una specifica domanda in tal senso, proceda unilateralmente (e stragiudizialmente) alla riduzione del canone di locazione (si rinvia, per l'approfondimento della tematica, al commento agli artt. 1578 e 1584 c.c.).

Negativa è la risposta della ormai costante giurisprudenza di legittimità, la quale – anzi – individua in un simile comportamento del conduttore un atto arbitrario, concretizzante l'ipotesi di grave inadempimento del conduttore medesimo, idoneo ad esser sotteso alla risoluzione del contratto su istanza del locatore.

In questa prospettiva, dunque, è stato chiarito che l'azione di riduzione del corrispettivo ha natura costitutiva (Cass. III, n. 14737/2005) – viene da aggiungere – c.d. necessaria.

Invero, già con riguardo alla legislazione vincolistica, Cass. S.U., n. 5384/1984, a composizione del contrasto che si era determinato in proposito, aveva stabilito che, in mancanza di accertamento giudiziale del canone legale, l'autoriduzione costituisse un fatto arbitrario ed illegittimo, determinante il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale. Tale principio è rimasto poi fermo anche successivamente all'introduzione della l. n. 392/1978 (c.d. legge sull'equo canone): in tal senso è chiara, ad esempio, Cass. III, n. 9955/1997, per cui la modifica unilaterale dell'entità del canone di locazione già corrisposto costituisce grave inadempimento comportante la risoluzione del contratto; ed infatti, la c.d. autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell'art. 1578, comma 1, c.c., per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata, giacché tale norma non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluta al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti (Cass. III, n. 4913/2018; Cass. III, n. 7636/2016; Cass. III, n. 26540/2014; Cass. III, n. 10639/2012; Cass. III, n. 10271/2002. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 4 novembre 2019, Trib. Trani, 17 settembre 2018; Trib. Cagliari, 31 maggio 2018; Trib. Pisa, 3 maggio 2017). Nel medesimo senso, ancora, Cass. III, n. 12253/1998, per cui la cosiddetta autoriduzione del canone in relazione alla sua pretesa esorbitanza rispetto all'importo inderogabilmente fissato per legge costituisce fatto arbitrario che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico convenzionale, restando nei poteri del giudice la valutazione dell'importanza dello squilibrio a fini risolutori: peraltro, il deposito dei canoni locativi su un libretto bancario o postale, non consegnato né messo a disposizione del locatore, non integra offerta non formale idonea ad escludere l'inadempimento del conduttore.

Il principio così esposto vale, peraltro, tanto per le locazioni ad uso abitativo, quanto per quelle ad uso diverso.

La soluzione innanzi proposta non è stata, però, sempre seguita dalla giurisprudenza, che – sia pure con riferimento alla legislazione pre-vincolistica – aveva più volte riconosciuto la legittimità dell'autoriduzione, senza il preventivo ricorso all'accertamento giudiziale della misura del canone, ponendo altresì a carico del locatore l'onere di provare la liceità della misura del canone richiesto (Cass. III, n. 791/1965; Cass. III, n. 2506/1969; Cass. III, n. 1414/1971): in particolare, secondo questo orientamento, il conduttore che procedeva all'autoriduzione operava comunque sempre a suo rischio e pericolo, in quanto l'accertamento successivo, in sede giudiziaria, della infondatezza della sua pretesa poteva condurre alla risoluzione del rapporto per inadempimento (Cass. III, n. 889/1967).

La natura (costitutiva) dell'azione in commento pone poi, un ulteriore problema di carattere pratico: producendo essa effetti ex nunc, infatti, ci si chiede se la riduzione del canone possa essere invocata successivamente alla risoluzione del contratto.

Invero, una volta che il rapporto negoziale sia venuto meno, per qualsiasi causa, il rimedio in questione non appare utilmente esperibile, mancando l'oggetto stesso dell'intervento richiesto e, di conseguenza, un interesse attuale che sorregga la legittimazione attiva del ricorrente; “semmai, vi è la possibilità che quanto prestato dal conduttore, in esecuzione del contratto, possa qualificarsi come tipico esempio di indebito oggettivo, dovendosi ammettere che, indipendentemente dalla causa che abbia fatto venire meno il vincolo negoziale, l'azione accordata per ottenere la restituzione dei versamenti privi di giustificazione causale sia unicamente quella di ripetizione. Sul piano processuale, la circostanza che al conduttore, una volta intervenuta la risoluzione del contratto, sia disconosciuta la facoltà di agire in riduzione del canone, dovendosi privilegiare, sempre che ne ricorrano i presupposti, la diversa azione di ripetizione, non è priva di conseguenze in ordine al contenuto dell'onere probatorio a carico dell'istante. Invero, affinché la misura del corrispettivo possa essere rideterminata, chi acquista il godimento dell'immobile è tenuto a dare prova che, al momento della consegna, il bene locato fosse affetto da vizi da lui ignorati senza colpa e, comunque, tali da ridurne l'idoneità all'uso pattuito, a prescindere dall'imputabilità al locatore. Nel mentre, per la ripetizione di indebito oggettivo, l'attore deve provare, oltre al fatto materiale del pagamento eseguito, l'inesistenza o la successiva caducazione del titolo che giustifichi l'attribuzione patrimoniale [...]. Peraltro, solo in caso di contestazione del locatore, il conduttore che agisca in ripetizione delle somme versate oltre la misura dovuta non può limitarsi a produrre il contratto (di locazione), in cui sia indicato l'ammontare della relativa prestazione, ma ha l'onere di dimostrare anche l'effettiva corresponsione [...]” (Ballerini, 1122). Minoritaria, invece, è quella dottrina (Cistaro, 267) che sostiene che al conduttore dovrebbe essere riconosciuta la possibilità di agire per ottenere un'efficacia retroattiva della domanda di riduzione del corrispettivo, con l'applicazione del minor ai canoni già pagati, assumendo come tale la veste giuridica di risarcimento del danno.

Analoga alla posizione della dottrina maggioritaria è la conclusione raggiunta in giurisprudenza, per cui la domanda relativa alla riduzione del canone, proposta dopo che il rapporto locatizio sia stato risolto, è inammissibile, in quanto, nell'ipotesi di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, nonché di qualsiasi altra causa, la quale faccia venir meno il vincolo originariamente esistente, l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella più propriamente di ripetizione di indebito oggettivo (così Trib. Trieste, 26 maggio 2009).

Esistono, tuttavia, alcune eccezioni al principio innanzi esposto: a) anzitutto il caso previsto dall'ultimo comma dell'art. 45 della l. n. 392/1978. Tale norma, nel disporre che, ove penda giudizio sulla determinazione dell'equo canone, il conduttore “è obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato”, attribuisce al conduttore medesimo espressamente la facoltà di limitare il versamento del corrispettivo, per tutta la durata del giudizio stesso, alla misura che reputa dovuta, anche se – al fine di evitare la sanzione risolutoria per inadempienza da morosità – quella misura deve essere ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua, atteso che l'autoriduzione del canone di locazione costituisce una forma di autotutela riconosciuta al conduttore nell'ambito del giudizio di determinazione dell'equo canone, concretando, al di fuori di questo ambito, inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori; b) quindi, l'ipotesi in cui la controprestazione del locatore venga completamente meno, ovvero nell'ipotesi di suo inesatto adempimento, tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell'immobile: caso in cui è consentita non tanto l'autoriduzione quanto – piuttosto – la sospensione (totale o parziale) del pagamento del canone.

Conforme è la posizione della giurisprudenza: 1) con riferimento alla prima circostanza, Cass. III, n. 12915/1015 (ma, nel medesimo senso, v. anche Cass. III, n. 9548/2010) evidenzia che l'art. 45, ultimo comma della l. n. 392/1978, consente al conduttore, nella pendenza del giudizio sulla determinazione dell'equo canone, di corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato, sì da assicurare, con l'autoriduzione del canone, una forma di autotutela che, se realizzata in misura ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua, non concreta morosità, mentre, al di fuori di questo ambito, integra un inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori; 2) quanto alla seconda evenienza, l'originarioorientamento, propugnato da Cass. III, n. 11783/2017 e Cass. III, n. 13887/2011, per cui la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttoreera da ritenersi, legittima soltanto qualora fosse venuta completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale idoneo a determinare uno squilibrio tra le prestazioni delle parti (v. anche Cass. III, n. 13387/2011; Cass. III, n. 74/2010; Cass. III, n. 14739/2005; Cass. III, n. 2855/2005). Del medesimo tenore, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 11 febbraio 2014, per cui al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore: la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti; inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, con la conseguenza che il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell'immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi sopravvenuti non può sospendere l'intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all'entità del mancato godimento, in applicazione analogica del disposto dell'art. 1584 c.c., ovvero la richiesta di risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse (v. anche Trib. Genova, 28 giugno 2013; Trib. Salerno, 22 ottobre 2012; Trib. Bari, 5 ottobre 2011; Trib. Roma, 20 aprile 2010; Trib. Roma, 16 aprile 2004 ), è stato integrato (recte, superato) dalle più recenti Cass. III, n. 2154/2021, Cass. III, n. 20322/2019 per cui il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento, ai sensi dell'art. 1460 c.c., non solo quando venga completamente a mancare la prestazione del locatore ma anche nell'ipotesi di suo inesatto adempimento, tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell'immobile, purché la sospensione del pagamento del canone appaia giustificata, in ossequio all'obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo all'incidenza della condotta della parte inadempiente sull'equilibrio sinallagmatico del contratto, in rapporto all'interesse della controparte.

Tale soluzione si inserisce nel solco di un orientamento (inaugurato da Cass. III, n. 16917/2019), che ritiene necessario, anche per l'applicazione dell'articolo 1460, l'intervento del giudice. Così, ad esempio, Cass. III, n. 14739/2005 affermava che "La giurisprudenza ha ripetutamente ribadito il principio secondo il quale la principale e fondamentale obbligazione del conduttore di immobili è il pagamento del canone di locazione, sì che non gli è consentito di astenersi dal corrisponderlo anche nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, nemmeno nel caso in cui egli assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. Infatti la sospensione dell'adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., è legittima soltanto quando sia giudizialmente accertato che è venuta completamente a mancare la prestazione della controparte, altrimenti costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che altera il sinallagma contrattuale e determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti per effetto di un' unilaterale ragion fattasi del conduttore, che perciò configura inadempimento colpevole all'obbligo di adempiere esattamente e puntualmente al contratto stipulato e all'obbligazione principale per il conduttore. A ciò deve aggiungersi che ... la sospensione della prestazione sinallagmatica - secondo il principio "inadimplenti non est adimplendum" - è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, il che è da escludere se il conduttore continua a godere dell'immobile, e al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assume l'inutilizzabilità del bene all'uso convenuto, perché in tal modo fa venir meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni. Dunque in tal caso, per conformare il suo comportamento a buona fede, può soltanto chiedere una riduzione del canone proporzionata all'entità del mancato godimento, in analogia al disposto dell'art. 1584 cod. civ .... ovvero può chiedere la risoluzione del contratto ...". Sennonché – si osserva a contrario “l'articolo 1460 fornisce una autotutela per l'ipotesi di esecuzione in versione negativa, ovvero inadempimento o adempimento inesatto, e la "traduzione" della norma nel caso concreto risiede, come già si è visto, nel rispetto del parametro della buona fede oggettival'articolo 1460, fattispecie di autotutela stragiudiziale, è indipendente di per sé dalla formazione di un giudicato quale è l'ordinario esito dell'esercizio di un'azione giudiziaria, non indispensabile per la sua legittimazione…l'articolo 1460 è un paradigma dell'esecuzione del contratto che ne prevede la sospensione; ma, proprio perché attiene alla fase esecutiva, non incide "alla radice", ovvero sul contratto in sé come vincolo cui le parti si sono reciprocamente avvinte spendendo la loro autonomia giuridico-negoziale (articoli 1321,1322 e 1372 c.c.). Non si è, pertanto, sul piano dell'articolo 1578, che incide direttamente sulla fonte delle obbligazioni - il contratto, appunto - apportandone la risoluzione o la riequilibrante riforma del sinallagma…Dunque, deve riconoscersi al conduttore nel contratto locatizio la completa utilizzabilità dell'articolo 1460, senza automatica necessità, per legittimarla, di adire il giudice ai sensi dell'articolo 1578. Questa è invero l'unica interpretazione corretta, nell'odierno contesto ordinamentale, dell'autotutela che l'articolo 1460 conferisce al conduttore in caso di inadempimento del locatore, autotutela non atrofizzabile dalla tipicità del contratto, in quanto - in ultima analisi - consistente sempre nell'applicazione della buona fede oggettiva nell'esecuzione contrattuale” (così, in motivazione, Cass. III, n. 16917/2019, cit.).

Segue. Pagamento del canone e sopravvenienze.

A seguito dell'emergenza epidemiologica da virus SARS-COVID 19 si è posto il problema – con precipuo riferimento alle locazioni ad uso diverso - del pagamento del canone di locazione durante i periodi in cui le attività commerciali sono rimaste inattive per effetto delle chiusure disposte dai vari provvedimenti adottati dall'esecutivo ovvero dal legislatore).

  Le soluzioni cui è finora pervenuta la giurisprudenza di merito sono state, invero, di vario tenore: a) un primo orientamento (seguito da Trib. Roma, 23 marzo 2021 e Trib. Roma, 11 novembre 2021) ha osservato che la causa del contratto di locazione, anche per le locazioni commerciali, non si estende mai alla garanzia della produttività dell'attività imprenditoriale che il conduttore si accinge a svolgere nei locali concessi. La dichiarazione, resa nel contratto, dello specifico uso che il conduttore intende fare dell'immobile locato non impone, infatti, al locatore la garanzia della effettiva possibilità di tale uso, rilevando, piuttosto per il conduttore stesso, in relazione all'obbligo di cui all'art. 80 della L. 392/78 di non modificare né alterare la destinazione dell'immobile. Per quanto concerne il locatore, invece, essa rileva nei limiti di cui all'art. 1575, n. 2, c.c., per cui il locatore deve mantenere la cosa in stato da servire all'uso convenuto (cfr. anche gli artt. 1576 e 1578 c.c.). Sostanzialmente nello stesso senso Trib. Massa, 30 settembre 2020, per cui, pur nel quadro costituzionale del principio solidaristico, il concetto di impossibilità della prestazione non ricomprende, infatti, la cd. impotenza finanziaria, per quanto determinata dalla causa di forza maggiore in cui si compendia l'emergenza sanitaria, con conseguente non riconducibilità a tali circostanze di un vis liberatoria del debitore dall'obbligazione pecuniaria di pagamento del canone, cui lo stesso è soggetto; b) una diversa impostazione (propugnata, tra gli altri, da Trib. Venezia, 14 aprile 2020) ritiene, al contrario, che, per effetto delle chiusure imposte in conseguenza dell'emergenza epidemiologica, l'utilizzazione dell'immobile per la finalità per la quale il bene era stato locato sarebbe divenuta impossibile: in particolare – osserva Trib. Venezia, 28 luglio 2020 - nel periodo di lockdown, considerato che la morosità si riferisce a mensilità nelle quali la conduttrice non ha potuto esercitare nei locali l'attività commerciale a causa delle restrizioni imposte dalla normativa sanitaria in materia di COVID-19 o l'ha potuta esercitare in maniera ridotta, pur non potendosi parlare di un'impossibilità assoluta di godimento dell'immobile, cionondimeno si sarebbe verificata una - per quanto significativa – impossibilitàtemporanea (quantomeno) parziale, dal momento che l'unità immobiliare è rimasta pur sempre nella disponibilità della conduttrice ed è stata utilizzata quantomeno con funzione di ricovero delle attrezzature e delle materie prime relative all'attività di ristorazione, con conseguente, che giustifica la riduzione della controprestazione o il recesso (cfr. gli artt. 1256,1258 e 1464 c.c.).

Questione diversa – sebbene connessa – è se, a fronte dell'emergenza epidemiologica, sussista o meno un obbligo di rinegoziazionedel canone (quantomeno limitatamente ai periodi di chiusura totale o parziale delle attività commerciali): tale La questione, invero, ha tratto linfa dalla previsione contenuta all'art. 216, comma 3, del d.l. n. 34 del 2020 (conv., con mod., dalla l. n. 77 del 2020) il quale ha previsto che “La sospensione delle attività sportive, disposta con i  decreti del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  attuativi  dei  citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25  marzo  2020,  n.  19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256,1464,1467 e 1468 del codice civile, a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell'assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito”.

  Sostanzialmente favorevole la risposta della giurisprudenza, che ritiene sussistente un vero e proprio obbligo in capo al locatore (Trib, Roma, 27 agosto 2020), fondato sul dovere di solidarietà sociale e sulla clausola generale di buona fede oggettiva che imporrebbero, a favore della parte svantaggiata, la rinegoziazione dei termini contrattuali, onde riportare l'equilibrio tra le prestazioni entro i limiti dell'alea normale (Trib. Roma,. 7 agosto 2020).

Sulla questione è invero intervenuto, con una previsione di carattere generale, anche il legislatore emergenziale che, all'art. 6-novies del d.l. n. 69 del 2021, conv. con mod., dalla l. n. 41 del 2021 (cd. Decreto Sostegni), rubricato “Percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali”) ha previsto che “Le disposizioni del presente articolo sono volte a consentire un percorso regolato di condivisione dell'impatto economico derivante dall'emergenza epidemiologica da COVID-19, a tutela delle imprese e delle controparti locatrici, nei casi in cui il locatario abbia subito una significativa diminuzione del volume d'affari, del fatturato o dei corrispettivi, derivante dalle restrizioni sanitarie, nonché dalla crisi economica di taluni comparti e dalla riduzione dei flussi turistici legati alla crisi pandemica in atto. Locatario e locatore sono tenuti a collaborare tra di loro per rideterminare il canone di locazione”.

Si è tuttavia osservato, in dottrina (Chiesi, 2021) come la norma “più che la soluzione del “dilemma” esistente circa la ricorrenza di un obbligo di rinegoziazione del canone appare, invero, una sorta di “norma-manifesto”, priva di effettivi e concreti risvolti pratici: (a) che le controparti contrattuali debbano comportarsi con correttezza e buona fede (anche) durante lo svolgimento rapporto, è regola che già si trae dagli artt. 1175 e 1375 c.c., sicché non si comprende cosa aggiunga ad essa l'imposizione – peraltro senza la previsione di un'effettiva sanzione (cfr. infra) – di un percorso condiviso e collaborativo volto a rideterminare il canone; (b) l'espressione “significativa diminuzione del volume d'affari, del fatturato o dei corrispettivi” appare fin troppo generica e, dunque, inidonea a fornire un concreto e valido parametro di riferimento cui ancorare (non solo) la “collaborazione” tra locatore e conduttore nella rideterminazione del canone (ma anche l'accertamento giudiziale circa la eventuale gravità dell'inadempimento del conduttore, nell'ottica della concessione dell'ordinanza provvisoria di rilascio). Altra questione riguarda, invece, la possibilità di valorizzare la crisi economica ai fini del legittimo recesso del conduttore dal contratto di locazione, ex art. 27, ult. comma, l. n. 392 del 1978 (cfr., da ultimo Cass. civ., sez. III, 24 settembre 2019, n. 23639) pur con l'inevitabile predicato della perdita del diritto all'avviamento commerciale, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 34 e 35 della l. n. 392 cit. (arg. da Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2000, n. 12279); (c) quid iuris, infine, ove la collaborazione auspicata dall'art. 6-novies manchi del tutto ovvero si riveli una mera apparenza priva di sostanza? Si può sostenere che tale circostanza sia destinata ad incidere (in termini, evidentemente, favorevoli) sulla valutazione dell'esistenza dei gravi motivi sottesi, ad esempio, alla mancata emissione di un'ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c.? Sotto questo profilo la norma è decisamente imperfecta se non proprio superflua, essendo pacifico che, in tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento della prestazione attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché - sotto il profilo che in questa sede interessa - di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità (cfr. Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22346)”.

Segue. Canone libero e canone predeterminato ex lege.

Nulla dice, infine, il codice in relazione alla determinazione dell'ammontare del canone, diversamente da quanto operato, per il passato e per le locazioni ad uso abitativo, dalla legislazione vincolistica e dalla l. n. 392/1978 (c.d. equo canone).

Non essendo più attuali le questioni insorte sotto la vigenza di tale legislazione speciale (stante l'avvenuta liberalizzazione del canone, operata dall'art. 2, comma 1, della l. n. 431/1998 anche per le locazioni ad uso abitativo, con la sola parziale eccezione rappresentata dai contratti ad uso abitativo di durata infraquadriennale previsti dall'art. 3, comma 3 della medesima legge), il vero problema concerne la sorte dei contratti stipulati sotto la vigenza della l. n. 392 e rinnovatisi nel regime introdotto dalla l. 431/1998, relativamente alla clausola – non conclusa ai sensi dell'art. 11 della l. n. 222/1992 – che prevedesse la corresponsione di un canone maggiore rispetto a quello equo.

In proposito, Trib. Monza, 12 maggio 2004 ha evidenziato come la pattuizione del canone in misura superiore al canone legale, eventualmente contenuta nel contratto, continua ad essere nulla anche dopo la tacita rinnovazione del rapporto in epoca successiva all'entrata in vigore della l. n. 431/1998, in virtù di quanto previsto dagli art. 79 della l. n. 392/1978 e 14, comma 5, della l. n. 431/1998 (v. anche Trib. Cagliari 15 febbraio 2006; Trib. Salerno 10 ottobre 2008). Pertanto, il conduttore, nonostante l'abrogazione degli artt. 12 e 79 della l. n. 392/1978, può esercitare l'azione, ai sensi del citato art. 79, diretta a rivendicare l'applicazione al contratto, fin dall'origine, del canone legale e la sostituzione imperativa di esso al canone convenzionale, con effetto anche relativamente al periodo successivo alla rinnovazione tacita avvenuta nella vigenza della l. n. 431/1998 (Cass. III, n. 12996/2009; Cass. III, n. 3596/2015; contra, però, v. Trib. Milano, 4 aprile 2000; Trib. Palermo, 20 febbraio 2001; Trib. Palermo, 12 luglio 2002; Trib. Firenze, 13 marzo 2008).

Questione affatto diversa concerne la possibilità che il contratto di locazione contenga una clausola che attribuisca al conduttore l'obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore.

La tematica è stata recentemente affrontata da Cass. S.U., n. 6882/2019 la quale ha escluso la nullità, per contrasto con l'art. 53 Cost. – configurabile quando l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e conto del primo – di tale clausola, qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge.

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