Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 38 - Diritto di prelazione.

Mauro Di Marzio

Diritto di prelazione.

Nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario.

Nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.

Il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, con atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli (1) .

Ove il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell'avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare.

Nel caso in cui l'immobile risulti locato a più persone, la comunicazione di cui al primo comma deve essere effettuata a ciascuna di esse.

Il diritto di prelazione può essere esercitato congiuntamente da tutti i conduttori, ovvero, qualora taluno vi rinunci, dai rimanenti o dal rimanente conduttore.

L'avente titolo che, entro trenta giorni dalla notificazione di cui al primo comma, non abbia comunicato agli altri aventi diritto la sua intenzione di avvalersi della prelazione, si considera avere rinunciato alla prelazione medesima.

Le norme del presente articolo non si applicano nelle ipotesi previste dall'articolo 732 del codice civile, per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nella ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado.

(1) Vedi l'articolo 10 del D.L. 18 gennaio 1992, n. 9, convertito in legge 28 febbraio 1992, n. 217.

Inquadramento

La disposizione in commento, applicabile esclusivamente alle locazioni ad «uso diverso», come è testimoniato dalla sua collocazione nel capo secondo del titolo primo della legge dell'«equo canone», dedicato alla «locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione» (con la precisazione che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme in tema di prelazione in quanto non applicabili alle locazioni abitative, come chiarito da Cass. III, n. 3990/1999), va letta alla luce del combinato disposto degli artt. 41 e 35 della l. n. 392/1978.

L'art. 41 stabilisce che il citato art. 38 unitamente agli artt. 39 e 40 della stessa legge, non si applica ai rapporti di locazione di cui all'art. 35 della l. n. 392/1978, che si riferisce ai rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori nonché destinati all'esercizio di attività professionali, ad attività di carattere transitorio, ed agli immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.

L'istituto della prelazione, dunque, trova applicazione con riguardo alle sole locazioni non transitorie di immobili adibiti ad una delle attività appresso indicate: 1) industriali, commerciali e artigianali; 2) di interesse turistico comprese tra quelle di cui all'art. 2 della l. 12 marzo 1968, n. 326, sempre che tali immobili, non complementari né interni, siano destinati al contatto diretto col pubblico (Cass. III, n. 6818/2001). Se, poi, l'immobile sia destinato ad uso promiscuo, occorrerà fare applicazione del consueto principio della prevalenza (Cass. III, n. 9454/2000).

Sembra ancora da ritenere che la prelazione non si applichi alle locazioni stagionali, analogamente a quanto ritenuto dalla Suprema Corte per l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale (su cui v. Cass. III, n. 12076/2002).

Vale inoltre osservare che ai contratti di locazione di cui all'art. 42 della l. n. 392/1978 non si applica l'art. 38 in esame.

Ratio dell'istituto

L'istituto della prelazione così introdotta è posto, secondo l'opinione prevalente, a tutela dell'avviamento commerciale (Triola, 131, che sintetizza le diverse opinioni), ossia della capacità dell'impresa di produrre utili: capacità che, nel caso considerato, discende dalla sua particolare ubicazione sul territorio e della conseguente attitudine a mantenere stabile il rapporto con la clientela.

In proposito, la Corte costituzionale ha sottolineato come il legislatore abbia stabilito, per le locazioni di immobili urbani non destinati ad abitazione, un complesso di agevolazioni che vanno dalla durata del rapporto (art. 27) alla sublocazione, alla cessione e successione nel contratto (artt. 36 e 37), con ulteriori distinzioni volte ad agevolare rispetto agli altri quei conduttori che svolgano attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori ed ha attribuito ad essi, oltre alla indennità per la perdita dell'avviamento ed al diritto di prelazione in caso di nuova locazione ... anche il diritto di prelazione e riscatto in caso di vendita dell'immobile locato. Sono stati espressamente esclusi dal beneficio i conduttori di immobili destinati all'esercizio di attività professionali e quelli la cui attività, pur caratterizzata dal rapporto con il pubblico, sia transitoria o svolta in locali interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti e negli altri immobili indicati nell'art. 35 della legge. Scopo delle anzidette disposizioni è la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate, tutelate mediante il mantenimento della clientela, che costituisce una componente essenziale dell'avviamento commerciale. Tale intento del legislatore si desume chiaramente dalla esclusione di quelle attività per le quali non può parlarsi di avviamento in senso tecnico, cioè come fenomeno che accede all'impresa esercitata, ma inerisce soprattutto all'ubicazione dell'immobile (Corte cost., n. 128/1983, e, sulla scia, Corte cost., n. 300/1983).

Il legislatore, in particolare, per gli immobili ad uso diverso, ha ritenuto meritevole di speciale tutela quelle aziende, generalmente di piccola o media dimensione, che nel contatto diretto «con il pubblico degli utenti e dei consumatori» trovano la fonte e la ragione prevalenti del loro avviamento. La conservazione di esso costituisce l'oggetto specifico della tutela legislativa. Ciò – ha ancora osservato il giudice delle leggi – non intacca il limite della ragionevolezza in dipendenza della attribuzione di un duplice beneficio a tutela di uno stesso interesse: difatti l'indennità per la perdita dell'avviamento ed il diritto di prelazione, pur se collegati dal fine comune, mirando entrambi alla tutela dell'avviamento, adempiono tuttavia a funzioni diverse. I due benefici non si sommano in quanto, in caso di vendita dell'immobile, opera la prelazione ma non l'indennità di avviamento. Inoltre, l'indennità di avviamento ha contenuto riparatorio del danno subito dal locatario per la perdita dell'avviamento stesso, del quale potrebbe beneficiare il locatore subentrando al conduttore nella medesima attività o lucrando sulla locazione dell'immobile a terzi, che trarrebbero vantaggio dall'avviamento dovuto all'attività del precedente conduttore. Il diritto di prelazione, invece, solo mediatamente tutela il personale interesse del conduttore, essendo volto a soddisfare esigenze sociali, quale è la conservazione delle aziende (Corte cost., n. 128/1983).

La prelazione, nella sua finalità di tutela dell'avviamento, si colloca dunque al fianco dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 della l. n. 392/1978, tutela apprestata tanto in corso del rapporto, quanto alla sua conclusione.

Il parallelismo tra prelazione ed indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, per quanto qui rileva, comporta che la prelazione spetta nei medesimi casi in sussiste il diritto all'indennità, con l'ulteriore conseguenza che, per quanto attiene all'individuazione delle singole attività protette, è necessaria rinviare allo scrutinio delle fattispecie compiuta sub artt. 34 e 35.

Può qui, però, rammentarsi, con particolare riguardo alla prelazione, come sia stato anche di recente ribadito che, in caso di trasferimento a titolo oneroso di immobile locato per uso diverso da quello abitativo, il diritto di prelazione spetta se nell'immobile sia stata svolta un'attività comportante diretto contatto con il pubblico. Tale condizione si verifica quando i destinatari possono accedere ai luoghi in cui essa è esercitata e l'imprenditore vi svolge un'attività rivolta a una generalità indistinta di persone e che, per potersi realizzare, richiede che il pubblico abbia accesso in quei luoghi. Ciò posto, nel caso di specie, si ritenevano sussistenti i requisiti necessari per l'esercizio del diritto di prelazione, in quanto dal quadro probatorio era emerso che sul terreno oggetto di contesa, nonostante la destinazione del medesimo alla mera custodia o alla mera riparazione di imbarcazioni, veniva altresì svolta una attività di noleggio e rimessaggio comportante necessariamente contatti diretti con il pubblico (App. Genova 9 febbraio 2018).

Titolarità del diritto di prelazione dal lato attivo

Il diritto di prelazione spetta naturalmente al conduttore e, quindi, occorre che la locazione sia in atto (Trib. Milano 21 giugno 1993).

Il diritto di prelazione e il diritto di riscatto di cui agli art. 38 e 39 della l. 27 luglio 1978, n. 392 non competono dunque alla parte conduttrice una volta che siano cessati gli effetti del contratto di locazione, risultando irrilevante al riguardo la sua eventuale posizione successiva di detentrice di fatto dell'immobile già oggetto della locazione (Cass. III, n. 27666/2008).

La prelazione non spetta neppure nell'ipotesi in cui il conduttore mantenga legittimamente la detenzione della cosa locata, come nel caso dell'esercizio dello ius retentionis spettante sino alla corresponsione dell'indennità di avviamento. Anche in tal caso, infatti, la posizione del mero detentore di un immobile non può in alcun modo ritenersi omogenea od equiparabile a quella del legittimo conduttore, così che, cessati, per scadenza contrattuale, gli effetti del detto negozio, nessun diritto di prelazione e di riscatto compete al soggetto che permanga, de facto, nella detenzione non qualificata dell'immobile (Cass. III, n. 10174/1997). Dunque, una volta cessata la locazione il locatore può trasferire il bene, senza che al conduttore spetti la prelazione.

La situazione muta, però, in caso di alienazione effettuata dopo la cessazione de iure del contratto, ma in forza di un preliminare stipulato in corso di rapporto. Difatti, nella ipotesi considerata è stata riconosciuta la sussistenza del diritto di riscatto, che è succedaneo al diritto di prelazione. E cioè, la circostanza che la vendita dell'immobile al terzo sia stata perfezionata dopo la cessazione de iure del contratto di locazione non esclude la configurabilità del diritto di riscatto in capo al conduttore che non abbia ricevuto dal locatore la denuntiatio prevista dal precedente art. 38, qualora il trasferimento della proprietà sia avvenuto in esecuzione di un contratto preliminare stipulato prima della scadenza della locazione (Cass. III, n. 5502/2008).

Occorre ancora che il conduttore abbia la titolarità dell'attività imprenditoriale svolta nell'immobile locato (Cass. III, n. 6410/1987), con la precisazione che occorre aver riguardo all'attività effettivamente svolta, in applicazione dei consueti principi stabiliti dall'art. 80 della l. n. 392/1978. Dunque, ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione rileva la destinazione effettiva dell'immobile locato, ove lo stesso venga successivamente utilizzato per lo svolgimento di attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori e non quella diversa originariamente pattuita, ove il proprietario non abbia tempestivamente esperito a norma dell'art. 80 della l. n. 392/1978 l'azione di risoluzione del contratto a seguito del mutamento di uso da parte del conduttore (Cass. III, n. 3645/1981; Cass. III, n. 699/2010).

Deve trattarsi di attività esercitata, inoltre, con le prescritte autorizzazioni, poiché il presupposto della tutela apprestata dal complesso delle disposizioni protettive dell'avviamento risiede nella liceità dell'attività commerciale: ne consegue che non può essere riconosciuto il diritto di riscatto al conduttore che svolga nell'unità immobiliare un'attività senza la prescritta autorizzazione amministrativa in quanto si fornirebbe altrimenti copertura a situazioni abusive, frustrando l'applicazione di norme imperative che regolano le attività economiche, e lo stesso scopo premiale della disciplina (Cass. III, n. 11908/2002).

L'impresa familiare

In caso di locazione stipulata dal titolare dell'impresa familiare nella qualità di suo rappresentante occorre che l'esercizio della prelazione sia deliberato a maggioranza dei familiari che partecipano all'impresa.

Qualora, poi, sempre nel quadro dell'impresa familiare, il contratto di locazione sia stato stipulato, quale conduttore, da uno dei coniugi, mentre l'altro coniuge sia titolare dell'impresa, ciò non preclude al conduttore l'esercizio del diritto di prelazione e del conseguente diritto di riscatto (Cass. III, n. 1699/1993). Si osserva in detta pronuncia: «La questione di diritto ... consiste ... nel decidere se il diritto di prelazione e di riscatto spetti o meno, ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, al conduttore di un immobile adibito ad attività alberghiera nella ipotesi in cui detta attività sia esercitata sotto forma di una impresa familiare e di quest'ultima il conduttore non sia titolare o contitolare ma soltanto compartecipe. La questione risulta essere stata correttamente decisa in senso positivo. Analoga soluzione è stata da questa Corte sanzionata nella diversa ipotesi di esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore ... il quale rivesta altresì la posizione di contitolare dell'impresa, o di consocio, se la impresa sia gestita da una società di fatto o da una società di persone, a nulla rilevando la circostanza che gli altri consoci siano soggetti estranei alla titolarità del rapporto di locazione (v. Cass. III, n. 6410/1987). Le ragioni addotte al sostegno della pronuncia summenzionata soccorrono anche per la corretta impostazione della questione ora in esame. Già la Corte costituzionale ha posto in evidenza che l'attribuzione del diritto di prelazione e di riscatto ai conduttori di immobili adibiti ad attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, in caso di vendita degli immobili stessi, mira ad uno scopo di tutela, anche nel pubblico interesse, delle aziende, generalmente di piccola o media dimensioni, mediante il mantenimento della loro clientela, componente essenziale dell'avviamento commerciale, fenomeno che accede alla impresa in ragione soprattutto della ubicazione dell'immobile ove viene esercitata; ed ha ulteriormente precisato che il diritto di prelazione solo mediatamente tutela il personale interesse del conduttore, essendo volto a soddisfare esigenze sociali quale è la conservazione delle aziende. Anche la dottrina, del resto, ha ravvisato a fondamento della c.d. prelazione urbana, come di quella agraria prevista dall'art. 8 della l. n. 590/1965, una ratio peculiare, intesa a favorire la immedesimazione della proprietà nella impresa e con ciò la formazione e la continuità di imprese stabili ed efficienti sotto il profilo tecnico ed economico, a prescindere dalla considerazione se l'attività imprenditoriale svolta, quale categoria giuridica tutelanda, trovi un suo centro soggettivo di imputazione individuale o collettivo. Ma una volta riscontrato che alla attribuzione del diritto prelazione è sottesa una esigenza pubblicistica di tutela della impresa nelle sue connotazioni oggettive fattuali e non certo di salvaguardia dei meri interessi privatistici ed egoistici dell'imprenditore, perde di mordente l'accertamento se il conduttore dell'immobile che intenda esercitare il diritto in questione rivesta nell'ambito dell'impresa familiare la posizione di suo titolare e cioè di imprenditore o di coimprenditore, oppure quella di semplice partecipe del gruppo, con assunzione di rischi limitati alla eventuale realizzazione di utili e di incrementi ma non estesi ... alla sopportazione di eventuali perdite».

Non varrebbe opporre – osserva la Suprema Corte – che, nell'ambito dell'istituto della impresa familiare di cui all'art. 230-bis c.c., deve essere tenuto distinto l'aspetto interno, relativo alla regolamentazione dei diritti e delle facoltà di ciascun componente del gruppo nei confronti degli altri, dall'aspetto esterno, nel quale campeggia la figura del familiare-imprenditore, il quale assume in proprio, quale effettivo gestore della impresa, i diritti e le obbligazioni nascenti dai rapporti con i terzi, e nei loro confronti risponde illimitatamente e solidalmente anche con i suoi beni personali. La distinzione tra i due aspetti non rileva in quanto non è in discussione la legittimazione all'esercizio del diritto di prelazione sull'azienda, in caso di suo trasferimento o di divisione ereditaria ai sensi del comma 5 dell'art. 230-bis c.c., bensì la legittimazione all'esercizio dei diritti di prelazione e di riscatto da far valere nei confronti del venditore dell'immobile locato o nei confronti del terzo acquirente di esso ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 372/1978. E questi ultimi diritti sono chiaramente ricondotti dal legislatore nel novero di quelli spettanti al conduttore dell'immobile, in collegamento immediato con questa sua specifica posizione contrattuale, ancorché condizionatamente all'esercizio da parte dello stesso di una attività produttiva o commerciale svolta a contatto diretto con il pubblico; mentre non sono certo classificabili nell'ambito delle prerogative riservate al titolare dell'impresa familiare ed effettivo gestore della azienda insediata nell'immobile locato a prescindere dall'essere egli, o meno, il titolare del relativo contratto locatizio (Cass. III, n. 1699/1993).

Il richiamo alla disciplina dettata dall'art. 230-bis c.c. può essere d'altra parte utile in punto di accertamento dell'interesse all'esercizio dei diritti ex art. 38 e 39 della l. n. 392/1978 da parte del familiare compartecipe della impresa familiare: «A questi sono, infatti, riconosciuti: a) il diritto di beneficiare proporzionatamente al lavoro svolto, oltre che agli utili dell'impresa, agli incrementi dell'azienda anche in ordine dell'avviamento; b) il diritto di prendere parte alle decisioni inerenti, tra l'altro, alla gestione straordinaria agli indirizzi produttive e alla cessazione dell'impresa. Ove si tengano presenti sia l'innegabile collegamento tra tutela dell'avviamento commerciale ed attribuzione del diritto di acquisto preferenziale in caso di vendita dell'immobile locato, sia il carattere di atto di gestione straordinaria che riveste l'acquisto stesso della proprietà dell'immobile ove viene svolta l'attività di impresa, sembra lecito affermare che in ordine alle decisioni attinenti all'esercizio del diritto di prelazione il familiare titolare del contratto di locazione non si presenti nelle vesti di mero prestatore di attività lavorativa passivamente inserito in una impresa facente capo ad altro familiare, quanto piuttosto in quelle di esercente di un'attività imprenditoriale svolta in collaborazione con altri e dotato a titolo personale, sia pure a vantaggio del gruppo familiare oltre che proprio, di legittimazione e di interesse ad incrementare e comunque ad evitare la dispersione di valori, quale la conservazione della clientela e la salvaguardia dell'avviamento, a detta attività inerenti o e per essa essenziali. In conclusione, non pare possibile che la mera forma di organizzazione della impresa possa fare schermo all'attribuzione dei diritti di prelazione e di riscatto secondo la disciplina dettata dalla l. n. 392/1978» (Cass. III, n. 1699/1993).

Esercizio dell'attività in forma associata

Con riguardo alla questione della titolarità del diritto di prelazione nel caso di esercizio in forma associata dell'attività imprenditoriale svolta nell'immobile locato, merita rammentare una pronuncia con la quale è stato affermato che il diritto di prelazione spetta al conduttore anche se lo stesso vi eserciti l'attività imprenditoriale come contitolare, o consocio in società di persone, con soggetti estranei alla titolarità del rapporto locativo.

Ancorché il dato testuale della norma faccia espresso cenno soltanto al singolare della figura del conduttore quale avente diritto alla prelazione, non può ritenersi che si renda necessario l'unicità o esclusività dell'esercizio da parte del conduttore di quelle attività la cui azienda sia allocata nell'immobile, non trovando la debita riferibilità al conduttore dell'attività privilegiata dalla legge alcun apprezzabile ostacolo alla sua positiva considerazione ove la relativa esplicazione avvenga in forma di contitolarità della correlativa impresa – assuma o no questa le forme tipiche della società di persone (cioè di centri di riferimento ed imputazione delle attività sociali non diverse dalle stesse persone dei soci) – con persone o soggetti non titolari del rapporto locativo (Cass. III, n. 6410/1987).

In tale direzione, infatti, depone la ratio della normativa della prelazione urbana, che anima parimenti la disciplina della successione nel contratto, ex art. 37 della l. n. 392/1978, la quale, nell'ipotesi di immobile adibito all'uso di più professionisti, artigiani o commercianti, di cui uno solo sia titolare del contratto, prevede, per la morte od il recesso del titolare, la successione degli altri, privilegiando in tal modo la continuazione delle attività. Tuttavia, occorre al riguardo precisare che la detta disciplina, che appare latamente comprensiva di attività anche autonome degli occupanti l'immobile locato, non può condurre ad una identica considerazione anche per la prelazione in caso di vendita, trovando proprio nella sua specifica ed eccezionale previsione un limite intrinseco alla sua dilatata applicazione specie in fattispecie di già limitative del diritto di proprietà, la cui interpretazione costituzionalmente corretta è consentita solo in termini restrittivi. D'altro canto si deve riflettere che, ferma l'esigenza della riferibilità al titolare del contratto della attività per cui l'immobile viene utilizzato, non è dato rinvenire alcuno specifico segno negativo nella circostanza che quelle attività trovino espressione in forme societarie o comunque di contitolarità dell'impresa con soggetti estranei al rapporto locativo, non essendovi dubbio che anche in tali ipotesi l'attività privilegiata dalla legge faccia capo anche al titolare del rapporto locativo che quale associato all'esercizio la fa propria, così concretando, ai fini dell'esercizio della prelazione che solo a lui è spettante, il debito requisito legale (Cass. III, n. 6410/1987).

Il diritto di prelazione, in definitiva, viene meno nel caso che l'attività imprenditoriale sia svolta da una società, attesa, in tal caso, l'alterità tra la persona del conduttore della titolarità dell'attività svolta nell'immobile locato (per il caso di contratto di locazione sottoscritto da un amministratore unico e dal socio di una società a responsabilità limitata, che esercitava dell'immobile l'attività di vendita di materassi, «senza spendere il nome di detta società», v. Cass. III, n. 5009/1996; per il caso di contratto di locazione sottoscritto dal socio accomandatario di una società in accomandita semplice, v. Cass. III, n. 1956/1991; nel senso della spettanza della prelazione al conduttore, sia pure come contitolare o consocio di una società di persone cui partecipino anche soggetti estranei alla titolarità del rapporto locativo, v., ancora, Cass. III, n. 13291/2001; Cass. III, n. 11363/1993).

La cessione del contratto

In caso di cessione del contratto ex art. 36 della l. n. 392/1978 il diritto di prelazione spetta al cessionario. In detta ipotesi, difatti, si determina la sostituzione del cessionario nei diritti e negli obblighi del cedente, sicché l'originario conduttore risulta del tutto estraneo al rapporto locatizio che, pur restando assoggettato al medesimo regime giuridico, viene ad instaurarsi, con il consenso del locatore, direttamente tra il cessionario ed il locatore. Ne consegue che il cessionario, quale unico conduttore del rapporto locativo e titolare di un rapporto diretto con l'azienda, ben può esercitare la prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978, che tutela l'interesse commerciale in atto e la continuità del relativo esercizio; rimanendo, ove si ritenesse diversamente, configurata una preclusione non espressamente contemplata dalla norma, risolventesi in una ingiustificata discriminazione nei confronti di un soggetto esercente attività privilegiata (Cass. III, n. 3996/2003).

Per altro verso, il cessionario del contratto di locazione e insieme dell'azienda, il quale sia subentrato all'originario conduttore dopo la inutile scadenza del termine a quest'ultimo concesso per l'esercizio del diritto di prelazione, subisce la decadenza già verificatasi nei confronti del cedente, e non ha quindi diritto ad una nuova denuntiatio e ad un nuovo termine per l'esercizio della prelazione (Cass. III, n. 9095/1990).

La Suprema Corte ha, inoltre, affermato che, qualora nel periodo intermedio tra la denuntiatio e la trascrizione della compravendita stipulata dal locatore con il terzo il conduttore sublochi l'immobile ovvero ceda il contratto di locazione ad altri con la contestuale cessione o locazione dell'azienda, il diritto di riscatto spetta al precedente conduttore, quale «avente diritto alla prelazione», e non al conduttore subentrato, che tale diritto non aveva (Cass. III, n. 2073/1989).

La soluzione è stata oggetto di critiche, le quali si compendiano nell'osservazione che, aderendo alla tesi sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, la possibilità di acquisire la proprietà dell'immobile verrebbe riconosciuta a chi non è più titolare del rapporto di locazione e negata a chi, invece, in tale titolarità è subentrato a tutti gli effetti (Triola, 143).

La sublocazione

Quanto alla sublocazione, è stato parimenti ritenuto che il diritto di prelazione spetti al subconduttore.

La Suprema Corte, in particolare, ha affermato che detto diritto compete al subconduttore e non al conduttore quando il secondo non abbia più alcun interesse nella gestione dell'azienda per averla definitivamente ceduta al primo e quando il subconduttore abbia assunto legittimamente tale qualifica secondo la normativa vigente all'epoca del subentro mediante regolare comunicazione al locatore.

Muovendo dalla mancanza di un dato letterale univoco da cui trarre la soluzione al quesito dell'applicabilità della prelazione al subconduttore, si è in proposito ritenuta risolutiva la valutazione della ratio delle norme di cui trattasi. È stato richiamato l'orientamento della Corte costituzionale, secondo cui scopo delle disposizioni relative al diritto di prelazione, oltre di quelle attinenti all'indennità di avviamento, è la conservazione anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate, tutelate mediante il mantenimento della clientela, che costituisce una componente essenziale dell'avviamento commerciale (v. le in precedenza citate Corte cost., n. 128/1983 e Corte cost., n. 300/1983). L'incidenza di tale ragione giustificatrice consente di affermare che la prelazione compete a colui che effettivamente svolge nell'immobile locato l'impresa la quale trova la fonte prevalente dell'avviamento nel contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori in un determinato luogo. Ne consegue che, nel caso di sublocazione, la prelazione può spettare anche al subconduttore che viene quindi ad essere compreso nell'ampia previsione normativa. La medesima ragione giustificatrice ha del resto considerato la Suprema Corte con riguardo all'indennità per la perdita dell'avviamento, stabilendo che, nel caso di sublocazione, l'indennità spetta esclusivamente al subconduttore (Cass. III, n. 2617/1986). Per la connessione, evidenziata dalla Corte costituzionale, tra i due istituti dell'indennità di avviamento e della prelazione, deve dunque anche per quest'ultima pervenirsi alla conclusione che essa possa spettare al subconduttore (Cass. III, n. 1261/1990).

È stato, tuttavia, precisato, come si premetteva, che, nel sistema della legge, la prelazione può operare in favore del subconduttore solo quando il conduttore non abbia più alcun interesse nella gestione dell'azienda per averla definitivamente ceduta al subconduttore e quando il subconduttore abbia assunto legittimamente tale qualifica secondo la disciplina vigente all'epoca del subentro mediante regolare comunicazione al locatore: «Viene cioè in considerazione, anzitutto, la duplice ipotesi – espressa nel paradigma dell'art. 36 – della sublocazione dell'immobile realizzata unitamente alla cessione dell'azienda, e della sublocazione realizzata unitamente all'affitto dell'azienda: in quest'ultimo caso deve riconoscersi al conduttore il diritto di prelazione, poiché egli rimane proprietario dell'azienda e, alla cessazione dell'affitto, riacquista la disponibilità di essa e quindi il relativo avviamento, mentre con la cessione dell'azienda il diritto di prelazione non può essere riconosciuto al conduttore nei cui confronti non opera più la tutela normativa che invece spetta al subconduttore. È, inoltre, essenziale, ai fini dell'operatività della prelazione in favore del subconduttore, che questo abbia assunto legittimamente tale qualifica con la regolare comunicazione al locatore» (Cass. III, n. 1261/1990).

Il menzionato principio è stato ribadito in giurisprudenza (Cass. III, n. 6271/1997; Cass. III, n. 692/1994; Cass. III, n. 1956/1991).

Tuttavia, tale approdo ermeneutico non trova consenziente l'unanime dottrina, la quale osserva che, al riconoscimento al subconduttore della prelazione in relazione ad alienazioni programmate dal locatore principale oppone decisivo ostacolo la regola di principio enunciata dall'art. 1372, comma 2, c.c.; se è vero che l'attribuzione del diritto di prelazione è effetto del contratto di locazione tale effetto non può prodursi nei confronti di soggetto diverso dai contraenti, quale è il subconduttore (Gabrielli, Padovini, 778).

Il conduttore fallito

È stato, altresì, escluso che la prelazione spetti al conduttore fallito ovvero, in sostituzione di questo, al curatore del fallimento, sulla considerazione che l'uno perde la capacità di agire in ordine ai rapporti caduti nel fallimento e l'altro opera in vista della liquidazione del compendio fallimentare in funzione della soddisfazione dei creditori (Trib. Milano 24 gennaio 1984). Osserva detta pronuncia: «La domanda di riscatto è infondata e non può essere accolta. La compravendita dell'immobile condotto in locazione dalla D.M. Srl è avvenuta il 22 dicembre 1980. La D.M. Srl era stata dichiarata fallita con sentenza 3 dicembre 1980. A partire dalla data di dichiarazione di fallimento la società aveva perso il potere di disposizione sui beni propri e rapporti giuridici. La locatrice volendo alienare l'immobile non certo poteva ritenersi tenuta ad inviare alla società fallita che aveva perso la capacità di agire la comunicazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978. E neppure poteva ritenersi tenuta ad inviarla al curatore del fallimento dato che il diritto di prelazione e successivo riscatto ex artt. 38 e 39 è evidentemente finalizzato alla tutela dell'esercizio dell'attività che viene svolta dell'immobile e non assolve certo a questo scopo quando l'attività economica è in liquidazione al fine di soddisfare concorsualmente i creditori, per quanto possibile, attraverso la procedura di cui al r.d. n. 267/1942 (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”). Il fatto poi che non vi sia un'espressa esclusione del diritto di cui all'art. 38 come avviene invece per quello di cui all'art. 40 per il conduttore fallito, non potrebbe essere certo indicativo di una diversa volontà della legge di mantenere il diritto di prelazione e riscatto sulla vendita dell'immobile condotto in locazione dal fallito, data l'evidente inconciliabilità del fine della tutela dell'attività degli artt. 38 e 39 con la cessazione dell'attività stessa».

La pubblica amministrazione conduttrice

Sulla base del combinato disposto degli artt. 35, 41 e 42 della l. n. 392/1978, deve ritenersi che non spetti il diritto di prelazione e riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 con riferimento ai rapporti nei quali sia conduttore la pubblica amministrazione, a prescindere dal fatto che l'attività svolta nell'immobile locato comporti o meno contatti diretti con il pubblico degli utenti: «Per l'art. 42, alle locazioni con la pubblica amministrazione si applica, fra gli altri, l'art. 41; questa ultima disposizione al secondo comma nega il diritto di prelazione per le locazioni di cui all'art. 35, che a sua volta esclude l'indennità di avviamento per le locazioni relative ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contratti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. La tesi della ricorrente per la quale dal gioco dei rinvii dovrebbe desumersi che la prelazione per le locazioni con la pubblica amministrazione resterebbe esclusa soltanto se manchi il rapporto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, appare infondata per le seguenti ragioni: a) il limite posto dalla disposizione dell'art. 35 opera all'interno della categoria delle locazioni di immobili ex art. 27 (industriali, commerciali, artigianali, turistiche ecc.) ed è quindi incongruo applicarlo alle locazioni con la pubblica amministrazione in genere, che hanno tutt'altra destinazione; b) di conseguenza il rinvio operato dall'art. 42, comma 2 (inapplicabilità della prelazione alle locazioni ex art. 35), può significare soltanto che alle locazioni con la pubblica amministrazione non si applica in nessun caso il diritto di prelazione» (Cass. III, n. 1661/1990).

Conduttore esercente un'attività professionale in forma di impresa

Se è vero che la prelazione non spetta nel caso di svolgimento di un'attività professionale, può accadere che il suo esercizio in forma organizzata dia luogo ad un'attività imprenditoriale quando tale aspetto prevalga su quello professionale.

È stato in tal senso affermato che, ove l'immobile locato sia destinato ad attività organizzata, la qualificazione dell'attività stessa come non meramente professionale, ma commerciale, con la conseguente spettanza del diritto di prelazione dell'art. 38 della l. n. 392/1978, esige il riscontro di un'organizzazione d'impresa che non s'esaurisca in sostrato strumentale delle prestazioni personali e, correlativamente, il riscontro di un'esorbitanza di tali prestazioni dall'opera intellettuale in senso stretto, per trasmodare in coordinamento dei fattori produttivi indirizzato all'offerta di un servizio autonomamente rilevante.

La Suprema Corte ha rammentato:

a) che il limite segnato negli artt. 35 e 41 della l. n. 392/1978 all'applicabilità dell'istituto della prelazione urbana agli immobili destinati all'esercizio di attività professionali non riguarda le attività ausiliari di informazione, consulenza ed assistenza per la convergente considerazione che esse costituiscono delle imprese di «servizi» e cioè delle imprese nelle quali i risultati dell'opera dei professionisti si presentano strumentalizzati da fattori di diversa provenienza e risultano fusi nella realizzazione di un prodotto e di un'utilità «nuova» propria dell'impresa di servizio;

b) che se è indubitabile che l'opera del professionista possa assumere il valore di uno degli elementi di un'attività organizzata in forma d'impresa (art. 2228 c.c.) è però necessario, perché ciò si verifichi, che il professionista svolga al contempo un'assorbente e distinta attività che si contraddistingue da quella professionale per il diverso ruolo che acquista il sostrato organizzativo che cessa di essere solo strumentale: e cioè che l'apporto del professionista non risulti circoscritto alle prestazioni di opera intellettuale ma importi una prevalente opera di organizzazione di fattori produttivi che si affiancano all'attività tecnica ai fini della produzione del servizio;

c) che la configurabilità di un'attività imprenditoriale va quindi correlata eziologicamente alla prevalenza dell'attività di organizzazione di fattori tecnici su quelli forniti con l'opera intellettuale dal professionista risultando così caratterizzata dal prioritario riscontro della cessazione della funzione solo strumentale dell'apparato tecnico-organizzativo;

d) che del tutto irrilevante, in tal senso, è perciò la presenza di una organizzazione dell'attività, quale che sia la sua dimensione, in ragione della sua naturale funzione di mezzo al fine dell'opera professionale (Cass. III, n. 12623/1999; Cass. III, n. 8291/1992).

Facendo applicazione dei principi menzionati, la Suprema Corte è pervenuta alla medesima conclusione della mancanza di elementi tali da attribuire all'attività dei professionisti addetti ad un centro di analisi cliniche una funzione strumentale dell'organizzazione imprenditoriale: «Quanto al particolare rigore della normativa in tema di istituzioni sanitarie e private che erogano prestazioni di laboratori di analisi chimico-cliniche e di diagnostica esso va posto in relazione alla estrema delicatezza della materia trattata ed al grande interesse che vi rivolge il legislatore e non al preciso intento dello stesso di attribuire a tali laboratori un carattere di imprenditorialità» (così Cass. III, n. 12623/1999).

Pluralità di conduttori

Una disciplina particolare detta l'art. 38 della l. n. 392/1978 per l'ipotesi che l'immobile locato abbia più di un conduttore. Nel caso in cui l'immobile risulti locato a più persone:

i) la comunicazione di cui al comma 1 deve essere effettuata a ciascuna di esse;

ii) il diritto di prelazione può essere esercitato congiuntamente da tutti i conduttori, ovvero, qualora taluno vi rinunci, dai rimanenti o dal rimanente conduttore;

iii) l'avente titolo che, entro trenta giorni dalla notificazione di cui al comma 1, non abbia comunicato agli altri aventi diritto la sua intenzione di avvalersi della prelazione, si considera avere rinunciato alla prelazione medesima.

La disciplina in questione è applicabile sia un rapporto originariamente costituitosi con più conduttori che a quello in cui questi siano subentrati al conduttore originario per cessione o per successione (Triola, 162). Altri osservano che è da respingere la tesi secondo cui sarebbe sufficiente a far sorgere l'obbligo la presenza di più conduttori di fatto aventi diritto alla successione in caso di morte o di recesso del titolare del contratto ai sensi dell'art. 37, commi 3 e 4, della l. n. 392/1978: la lettera dell'art. 38, comma 5, difatti, non consente tale soluzione, ivi parlandosi di immobile che deve «risultare» locato a più persone; inoltre, non si vede come potrebbe il locatore e essere costretto a fare la comunicazione a conduttori di fatto, di cui, proprio perché tali, egli sino a quel momento ignora persino l'esistenza (Cosentino, Vitucci, 485).

È pacifico in dottrina che il termine per l'esercizio della prelazione decorre dall'ultima notifica effettuata ai singoli aventi diritto, mentre ciascuno di essi deve effettuare la comunicazione rivolta agli altri conduttori entro il termine computato a partire dalla notifica ricevuta (Triola, 162). Quest'ultima comunicazione da conduttore a conduttore non è assoggettata a formalità, sicché è da escludere la necessità della notifica mezzo di ufficiale giudiziario e finanche l'uso della forma scritta (Triola, 162). Per altro verso, date le drastiche conseguenze dell'omessa comunicazione, e cioè l'insorgere di una presunzione iuris et de iure di rinuncia, sarà onere di ciascun interessato di fare in modo che la comunicazione abbia il massimo di certezza di data (Cosentino, Vitucci, 485).

La prelazione può essere esercitata congiuntamente, cioè mediante un unico atto risalente a tutti i conduttori, ma anche con singoli atti separati, nel rispetto del termine previsto.

La disposizione sulla presunzione di rinuncia per il decorso del termine di cui all'art. 38, comma 7, della l. n. 392/1978 è posta a tutela dei conduttori, sicché nulla può eccepire il locatore se essi consentano l'esercizio della prelazione al conduttore che abbia omesso la comunicazione tempestiva.

Locazione stipulata dopo il preliminare di compravendita

Il diritto di prelazione del conduttore sussiste ogni qual volta la vendita avvenga in costanza di locazione, quantunque in esecuzione di un preliminare di vendita stipulato prima della locazione.

In tal senso, la Suprema Corte ha affermato che il contratto preliminare di vendita stipulato prima della locazione con un soggetto a questa estraneo non è idoneo a sopprimere il diritto di prelazione derivante al conduttore dal rapporto locativo successivamente venuto ad esistenza (Cass. III, n. 8288/2008).

La pronuncia svolge a sostegno della soluzione accolta gli argomenti che seguono: «Il giudice a quo ha ritenuto l'insussistenza del diritto di prelazione vantato dalla O., costituente presupposto imprescindibile della dedotta responsabilità della locatrice e del terzo acquirente. Ha infatti rilevato che il contratto preliminare dedotto in lite fu anteriore alla stipula della locazione, mentre la struttura della norma dell'art. 38 della l. n. 392/1978 presupponeva necessariamente l'attualità del rapporto locativo; che, pertanto, dalla insussistenza del diritto di prelazione in capo alla O., derivava l'infondatezza della pretesa risarcitoria. Ha altresì aggiunto che detta pretesa non poteva comunque trovare accoglimento anche nella ipotesi di sussistenza del citato diritto di prelazione, per intervenuta prescrizione, essendo trascorsi più di cinque anni tra l'originaria citazione e la rinnovazione di essa e dovendosi escludere l'ipotesi di obbligazione solidale. La ricorrente, con il primo mezzo di gravame, lamenta la violazione dell'art. 38 citato. Afferma che stipula di un preliminare di vendita avvenuta prima dell'inizio della locazione non può escludere il diritto di prelazione previsto dal suddetto art. 38, essendo il preliminare un negozio avente effetti obbligatori soltanto tra gli stipulanti. Osserva che la sentenza n. 4516/1990 della Corte di Cassazione, citata dal giudice a quo a sostegno della sua decisione, riguarda fattispecie diversa da quella dedotta nel presente giudizio. La censura merita accoglimento. In effetti il richiamo giurisprudenziale effettuato dalla Corte di Torino non è in termini, poiché la sentenza così citata si riferiva alla fattispecie della stipulazione di un contratto preliminare di compravendita avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 392/1978, e quindi in presenza di una legittima attività negoziale del locatore in un momento in cui il diritto di prelazione del conduttore non era previsto dalla legge. Nella fattispecie, invece, il preliminare è stato stipulato nella vigenza della legge citata che, all'art. 38, ha conferito al conduttore il diritto di prelazione, non eludibile da un negozio a contenuto obbligatorio non opponibile al locatore. La ratio legis della norma in questione consiste nella salvaguardia dell'interesse, che ha riflessi di indubbia natura pubblicistica, a garantire la prosecuzione dell'attività svolta nell'immobile locato per tutto il tempo del rapporto locativo. Ne deriva che, riguardo al trasferimento in proprietà del bene durante il rapporto di locazione, l'interesse del conduttore a divenirne proprietario prevale sull'interesse del terzo, promissario acquirente. Del resto, il promittente venditore di bene non locato può ben evitare l'insorgenza del diritto di prelazione ex art. 38, astenendosi dal concedere il bene in locazione. Ma, una volta che sia sorto tale rapporto, a nulla rileva l'avvenuta stipula del preliminare, dovendosi aver riguardo all'effettivo trasferimento dell'immobile nel corso della locazione. Pertanto, il giudice del rinvio dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui il preliminare di vendita stipulato prima della locazione con un soggetto a questa estraneo non è idoneo a sopprimere il diritto di prelazione derivante al conduttore dal rapporto locativo successivamente venuto ad esistenza».

Titolarità del diritto di prelazione dal lato passivo

L'art. 38 della l. n. 392/1978 sembra manifestare incertezza di linguaggio nell'individuare il soggetto sul quale grava l'esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore, riferendosi talvolta al «locatore» (artt. 38, commi 1 e 4 l. n. 392/1978) e talaltra al «proprietario» (artt. 38, comma 3, e 39, comma 1, l. n. 392/1978): mentre è superfluo ricordare che la veste di locatore ben può essere assunta da colui il quale non vanti il diritto di proprietà della cosa.

In proposito, la Suprema Corte ha ritenuto che le disposizioni degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, ancorché espressamente riferite alla sola ipotesi tipica della locazione stipulata dal proprietario, siano estensibili ad ipotesi similari, come quella della locazione stipulata da un mandatario senza rappresentanza del proprietario e quella della locazione stipulata dall'usufruttuario dell'immobile, qualora quest'ultimo e il nudo proprietario concordino di vendere congiuntamente la nuda proprietà e l'usufrutto, incombendo in tal caso sul nudo proprietario l'onere della denuntiatio (Cass. III, n. 2080/1992). Si legge nella pronuncia: «Il legislatore, nel dettare le norme che regolano la prelazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, si è riferito esclusivamente, all'ipotesi tipica della locazione stipulata dal proprietario, senza considerare i casi, meno frequenti, ma pur sempre giuridicamente possibili, di locazioni stipulate da colui che non è il proprietario del bene, ma che, ciononostante, ha diritto di goderne, o, comunque, di amministrarlo per conto del dominus. L'art. 38 della legge citata, infatti, nel disciplinare il diritto di prelazione, indica «il locatore» quale soggetto obbligato a dare comunicazione al conduttore della sua intenzione di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, mentre nel terzo comma indica «il proprietario» come il soggetto destinatario della dichiarazione unilaterale recettizia con la quale il conduttore esercita quel diritto. Il successivo art. 39, che disciplina il succedaneo diritto di riscatto, si riferisce soltanto al «proprietario» quando stabilisce gli effetti derivanti dal mancato adempimento dell'obbligo di notificazione della denuntiatio o della comunicazione al conduttore di un prezzo di vendita dell'immobile superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dello stesso. La norma precisa, infatti, che, qualora il proprietario non provvede alla notificazione di cui all'art. 38 o il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, l'avente diritto alla prelazione può riscattare l'immobile dell'acquirente o da ogni altro successivo avente causa»

Stando alla formulazione letterale delle norme menzionate – ha dunque osservato la Suprema Corte – sembrerebbe doversi concludere che la vicenda traslativa determinata dall'esercizio del diritto di prelazione e dal succedaneo diritto di riscatto posso svolgersi soltanto nell'ambito soggettivo del rapporto di locazione. Ma la normativa in esame può e deve essere interpretata estensivamente, comprendendovi le ipotesi in cui, sussistendo e differenziandosi il soggetto-proprietario ed il soggetto-locatore dell'immobile, il primo, per la sua posizione giuridica o per un rapporto posto in essere con il secondo, sia interessato, direttamente o indirettamente al rapporto di locazione, e sia, quindi potenzialmente coinvolto nella anzidetta vicenda traslativa. Interpretazione estensiva, questa, che è in armonia con la finalità perseguita della normativa in esame, mirante allo scopo di riunire in capo al conduttore la titolarità dell'impresa da lui esercitata nell'immobile locato e la titolarità del diritto di proprietà piena sull'immobile stesso (Cass. III, n. 2080/1992).

Sicché, mentre deve sicuramente escludersi il diritto di prelazione ed il succedaneo diritto di riscatto del conduttore, nei casi di immobile locato dal terzo non proprietario, all'insaputa di questi, mancando ogni collegamento tra i due soggetti, «non altrettanto può dirsi ad avviso della Corte qualora risulti provato che il locatore sia mandatario, senza rappresentanza, del proprietario. Il mandante, pur essendo, a stretto rigore, terzo rispetto a quel rapporto in quanto non titolare delle situazioni giuridiche che lo strutturano, facenti capo al mandatario, è tuttavia interessato e in esso indirettamente coinvolto: se titolare delle situazioni giuridiche soggettive è il mandatario, in quanto locatore, gli effetti, attivi e passivi, delle stesse situazioni giuridiche ricadono, indirettamente, in virtù del rapporto di mandato, sul mandante proprietario dell'immobile locato, il quale può anche sostituirsi al mandatario nell'esercizio dei diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, sia pure con alcune limitazioni (art. 1705 c.c.). Ed allora, essendo il proprietario-mandante bensì terzo ma interessato al rapporto di locazione e, per il rapporto di mandato, in esso coinvolto, qualora egli intenda trasferire o abbia trasferito ad altri a titolo oneroso la proprietà dell'immobile locato, mette in moto il meccanismo della prelazione e del succedaneo diritto di riscatto, e, quand'anche non risulti locatore dell'immobile, ha l'onere della denuntiatio ex art. 38» (così Cass. III, n. 2080/1992).

Sempre in virtù della medesima interpretazione estensiva, è stata ricondotta alla disciplina prevista dagli artt. 38 e 39 della l. 392/1978 anche l'ipotesi in cui, essendo un soggetto nudo proprietario ed altro soggetto usufruttuario e locatore di immobile urbano destinato ad uso non abitativo, l'uno e l'altro concordino di vendere congiuntamente la nuda proprietà e l'usufrutto: «In tale ipotesi, il nudo proprietario è terzo rispetto al rapporto di locazione generato dal contratto concluso, autonomamente (art. 981 c.c.), dall'usufruttuario, ed è terzo non interessato e quindi non coinvolto nel rapporto neppure indirettamente, a differenza dell'ipotesi precedentemente prospettata. Ma è rilevante, al fine della soluzione della questione posta con il motivo di ricorso in esame, l'accordo che tali soggetti raggiungono nel momento in cui decidono la vendita congiunta dei loro diritti. Tale accordo comporta, infatti, la prospettazione, nei predetti soggetti, degli effetti giuridici che ope legis ne derivano, e cioè la consolidazione per riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona (art. 1014, n. 2, c.c.) e la continuazione del rapporto di locazione, generato dal contratto concluso dall'usufruttuario, in capo al soggetto divenuto pieno proprietario, che subentra, quindi, al primo nella titolarità, quale locatore, del rapporto stesso (art. 999 c.c.). Stante quella prospettazione, che è insita nell'accordo di vendita congiunta, il nudo proprietario e l'usufruttuario, nel momento in cui raggiungono l'accordo di vendita congiunta del bene, hanno la consapevolezza che, effettuando la vendita contemporanea dei loro rispettivi diritti, trasferiscono, in concreto, all'acquirente la proprietà piena, e provocano, automaticamente, ope legis, il duplice effetto suindicato, di consolidazione dell'usufrutto e di continuazione del rapporto locatizio in capo al nuovo proprietario. Orbene, questo duplice effetto si riverbera inevitabilmente nella sfera giuridica del conduttore, che vede così leso il suo diritto di prelazione sull'immobile locatogli. Deve quindi ritenersi, applicando i predetti criteri di interpretazione estensiva, e tenuta presente la ratio della normativa in esame, che la progettata ed effettuata vendita congiunta della nuda proprietà e dell'usufrutto produca lo stesso effetto giuridico, nei confronti del conduttore, della progettata ed effettuata vendita della piena proprietà da parte del locatore-proprietario, consistente nell'insorgere in capo al primo del diritto di prelazione e del succedaneo diritto di riscatto. In siffatta ipotesi, rileva, sostanzialmente, l'interesse concreto del conduttore tutelato dalla normativa in esame, che deve essere protetto contro facili manovre elusive e fraudolente, qualunque sia lo strumento negoziale producente il risultato del trasferimento a titolo oneroso della proprietà piena dell'immobile stesso» (così Cass. III, n. 2080/1992).

Anche di recente è stato ripetuto che le disposizioni degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, in tema di prelazione e riscatto in favore del conduttore di immobile urbano ad uso non abitativo, si applicano anche all'ipotesi in cui il locatore alieni la sola nuda proprietà del bene, riservandosene l'usufrutto, potendosi interpretare il riferimento al “proprietario”, contenuto nelle richiamate disposizioni, come afferente alla fattispecie della nuda proprietà, la quale non integra una situazione soggettiva diversa rispetto al diritto dominicale, ma rappresenta unicamente l'effetto di una temporanea compressione di talune facoltà connaturate a tale diritto (Cass. III, n. 1254/2019). Si osserva nella pronuncia che «la decisione impugnata rappresenta uno sviluppo coerente dei principi enunciati da questa Corte con l'arresto citato dallo stesso giudice di appello (Cass. III, n. 2080/1992). La sentenza de qua, infatti, rammenta che la disciplina di cui alla l. n. 392/1978, artt. 38 e 39, può e deve essere interpretata estensivamente, e ciò in armonia con la finalità perseguita della normativa in esame, mirante allo scopo di riunire in capo al conduttore la titolarità dell'impresa da lui esercitata nell'immobile locato e la titolarità del diritto di proprietà piena sull'immobile, proteggendo, pertanto, siffatto interesse contro facili manovre elusive e fraudolente, e ciò qualunque sia – la precisazione non è di poco conto – lo strumento negoziale producente il risultato del trasferimento a titolo oneroso della proprietà piena dell'immobile stesso (così, in motivazione, Cass. III, n. 2080/1992). Sulla base, dunque, di tali rilievi, non ha senso ipotizzare che tale interpretazione estensiva (conforme allo scopo della migliore tutela del conduttore) incontri un limite nella necessità che gli atti dispositivi della nuda proprietà e dell'usufrutto dell'immobile siano contestuali. È vero, infatti, che il citato arresto giurisprudenziale concerneva l'ipotesi di un soggetto nudo proprietario ed altro soggetto usufruttuario e locatore di immobile urbano destinato ad uso non abitativo che avevano concordato di vendere congiuntamente la nuda proprietà e l'usufrutto, sicché, in questo caso, il nudo proprietario e l'usufruttuario, nel momento in cui raggiungono l'accordo di vendita congiunta del bene, hanno la consapevolezza che, effettuando la vendita contemporanea dei loro rispettivi diritti, trasferiscono, in concreto, all'acquirente la proprietà piena, e provocano, automaticamente, ope legis, il duplice effetto di consolidazione dell'usufrutto e di continuazione del rapporto locatizio in capo al nuovo proprietario. Nondimeno, la medesima esigenza di tutela del conduttore si pone anche quanto il proprietario/locatore si limiti a trasferire la nuda proprietà del bene, riservandosene l'usufrutto, la cui successiva disposizione da parte del titolare in favore del nudo proprietario – per il sol fatto di inserire uno iato temporale tra le due operazioni – se fosse ritenuta ammissibile si trasformerebbe, di fatto, in un comodo escamotage per pregiudicare il diritto del conduttore. Né in senso contrario vale richiamarsi, come fa la ricorrente, all'art. 12 preleggi. Infatti, sebbene il criterio di interpretazione teleologica, previsto dall'art. 12 preleggi, può assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma, nel significato tecnico-giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nell'ipotesi in cui ritenga che l'effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (v. Cass. III, n. 3495/1996; in senso conforme, più di recente, Cass. III, n. 9700/2004), nel caso qui in esame, tuttavia, la lettera della legge non osta affatto alla possibilità (recte: necessità, in ragione di una migliore tutela del conduttore) di accogliere l'interpretazione che della l. n. 392/1978, artt. 38 e 39, ha proposto la Corte marchigiana. Invero, la nuda proprietà non costituisce una situazione soggettiva altra rispetto al diritto domenicale (e ciò anche in ragione del numero chiuso dei diritti reali di godimento), bensì è, notoriamente, l'effetto di una – temporanea – compressione di talune facoltà connaturate a tale diritto. Ne consegue, pertanto, che l'impiego del termine proprietario, contenuto nelle suddette norme della l. n. 392/1978, non può certo intendersi come indicativo della volontà del legislatore di riferirsi al (solo) pieno proprietario, perché ciò non sarebbe coerente con quel connotato tipico del diritto di proprietà, tradizionalmente, definito come elasticità del dominio».

Oggetto del diritto di prelazione

L'art. 38, commi 1 e 5 della l. n. 392/1978 indica come oggetto della prelazione «l'immobile locato».

Accade tuttavia in una pluralità di ipotesi che il trasferimento abbia un oggetto più ristretto o più ampio di esso, come nel caso che ne sia trasferita una quota ideale (su cui v., da ultimo, Trib. Massa 12 novembre 2018) o una porzione, ovvero che il trasferimento concerna non soltanto quell'immobile ma anche altri beni, come nei casi di vendita cumulativa e vendita in blocco.

Simili casi vanno esaminati singolarmente.

Trasferimento di una quota indivisa del bene locato

Il diritto di prelazione e il conseguente diritto di riscatto spettano al conduttore, secondo un primo indirizzo della Suprema Corte, anche nel caso di trasferimento di una quota indivisa dell'immobile locato da parte di uno dei comproprietari (Cass. III, n. 9354/1990). La giurisprudenza di vertice motiva così il proprio convincimento: «Nell'ipotesi che comproprietari dell'immobile locato siano più soggetti, per quote ideali, la potenziale posizione del conduttore è la futura acquisizione della titolarità del diritto di prelazione ad ogni oggettivazione di intento di vendita di ciascuna quota ideale di comproprietà. Finalità della normativa degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 è di unire alla titolarità dell'impresa la titolarità del diritto di proprietà sull'immobile, condotto in locazione dall'imprenditore, ove l'attività imprenditoriale viene esercitata; finalità che sussiste ... anche nella detta ipotesi. Nella situazione di comproprietà dell'immobile locato, se la vendita non è progettata unitariamente da tutti i comproprietari, l'acquisto della proprietà completa dell'immobile da parte del conduttore avverrà gradualmente, in momenti successivi: ad ogni intento, oggettivatosi con la denuntiatio, di uno o più comproprietari di vendere la o le quote ideali, diviene attuale, in relazione a queste quote, il potenziale diritto di prelazione (estendentesi, nella sua potenzialità, all'intero) spettante al conduttore, il quale, esercitato quel diritto, diviene titolare di quelle quote di comproprietà, fino a diventare unico proprietario dell'immobile quando, separatamente ed in tempi diversi, tutti i comproprietari avranno oggettivato, ciascuno con una sua denuntiatio, l'intento di vendere le rispettive quote ed in seguito ad ogni denuntiatio il conduttore avrà esercitato il diritto di prelazione. Mancata la denuntiatio e non posto, quindi, il conduttore in condizione di esercitare il diritto di prelazione, subentra il succedaneo diritto di riscatto, inteso al raggiungimento, per altra via (sostitutiva di quella resa impraticabile), dello stesso risultato acquisitivo. Fenomeno, questo, che si verifica, necessariamente, anche nella detta ipotesi, di comproprietà dell'immobile locato e di separate programmate vendite, in tempi diversi, da parte dei singoli comproprietari delle rispettive quote. Ad ogni intento di vendere, oggettivato con la denuntiatio, sorge nel conduttore il diritto di prelazione per le quote ideali in favore di terzi sorge nel conduttore il succedaneo diritto di riscatto. Si tratta di vicende separate ed autonome, verificantesi in tempi diversi; senza che il modo di svolgimento dell'una possa influire sulle altre. Sicché, qualora un comproprietario abbia proceduto alla vendita a terzi della o delle sue quote ideali senza effettuare preventivamente la dovuta denuntiatio ed il conduttore non abbia esercitato il diritto di riscatto nel termine stabilito dalla legge decadendone, ciò non preclude il sorgere, in favore del conduttore, e l'esercitabilità del diritto di prelazione e del succedaneo diritto di riscatto, in relazione alle successive programmate, ed eventualmente attuate, vendite di altre quote ideali da parte di altri comproprietari».

Secondo questa prospettiva, l'esercizio della prelazione sulla quota costituirebbe il primo passo verso il consolidamento della proprietà dell'immobile locato nelle mani del conduttore.

In senso opposto, si è osservato che la questione della sussistenza del diritto di prelazione in caso di vendita di quota, in mancanza di argomenti testuali decisivi, non può essere che risolta sulla base della ratio dell'istituto. Sotto tale profilo la soluzione negativa si impone. Ammettendo, infatti, la prelazione, l'interessato non solo non otterrebbe la disponibilità piena dell'immobile in modo da realizzare le finalità perseguite dalla legge, ma si verrebbe a trovare in comunione con soggetti sollecitati da interessi diversi dai suoi. La realizzazione delle finalità perseguite dal legislatore sarebbe solo futura e, di regola, parziale (a seguito della divisione del fondo) e potrebbe addirittura mancare, nel caso in cui le quote fossero tali da consentire agli altri comproprietari di ottenere l'attribuzione dell'intero del fondo ex art. 720 c.c. (Triola, 165).

Sicché, il diritto a prelazione in caso di vendita di quota dell'immobile locato è stato escluso dalla giurisprudenza successiva sulla considerazione della mancanza di identità tra bene venduto e bene locato (Cass. III, n. 18648/2003).

Ed infine le Sezioni Unite, in sede di composizione del contrasto, hanno aderito al più recente indirizzo, affermando che, in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, al conduttore non spettano il diritto di prelazione ed il conseguente diritto di riscatto dell'immobile, secondo la disciplina degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, qualora il locatore intenda alienare, ad un terzo ovvero al comproprietario dell'immobile locato, la quota del bene oggetto del rapporto di locazione (Cass. S.U., n. 13886/2007).

In tale prospettiva, appare stabilizzato l'orientamento secondo cui, in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, al conduttore non spettano il diritto di prelazione ed il conseguente diritto di riscatto dell'immobile, secondo la disciplina degli artt. 38 e 39 l. n. 392/1978 , qualora il locatore intenda alienare a terzi, una quota del bene oggetto del rapporto di locazione. (Cass. n. 17992/2020, che ha escluso il diritto di prelazione con riguardo ad una sola quota dell'immobile mancando l'identità tra la quota offerta nella denuntiatio e l'intero bene condotto in locazione).

Trasferimento di una porzione individuata dell'immobile locato

Dal caso della vendita di una quota ideale dell'immobile locato va distinto quello della vendita di una porzione individuata di esso.

Mentre può dubitarsi che il riconoscimento della prelazione, nella prima ipotesi, realizzi lo scopo perseguito dal legislatore, sembra invece certo che l'acquisto, da parte del conduttore, di una porzione dell'immobile locato sia pienamente in linea con la ratio dell'istituto della prelazione.

Nell'affrontare il problema con riferimento alla prelazione agraria, la Suprema Corte ha ritenuto che la finalità cui tende la prelazione del coltivatore attuazione anche in caso di alienazione di una porzione del fondo (Cass. III, n. 1907/1973).

La stessa conclusione si può considerare valida anche per quanto riguarda la prelazione urbana, in quanto si realizza una concentrazione nello stesso soggetto della titolarità dell'impresa e della proprietà di parte dell'immobile in cui la stessa viene esercitata. Si può solo aggiungere che a favore della soluzione restrittiva non si potrebbe invocare la circostanza che il legislatore non ha espressamente previsto la possibilità di esercitare la prelazione anche nel caso di alienazione di parte del fondo. Il ragionamento va, infatti, ribaltato: poiché la parte e qualitativamente uguale al tutto e poiché con l'acquisto di parte del fondo si realizzano le finalità perseguite dal legislatore, la esclusione del diritto di prelazione avrebbe avuto bisogno di una espressa previsione. Né, in senso contrario, si potrebbe invocare la eccezionalità delle norme in tema di prelazione, dal momento che nella specie non si deve parlare di applicazione analogica, ma semplicemente di interpretazione logica (Triola, 170).

Trasferimento di quota indivisa dell'edificio in cui è situato l'immobile locato

Inoltre, il diritto di prelazione del conduttore sussiste in relazione al trasferimento che abbia ad oggetto il bene locato, e, pertanto, non può essere riconosciuto, in caso di immobile in comproprietà, rispetto ad atti inerenti alla quota del singolo condomino. In proposito si è osservato quanto segue (Cass. III, n. 12088/1990). In proposito si è osservato quanto segue: «La seconda censura, nel dedurre l'ulteriore violazione della normativa sull'equo canone, assume che l'art. 38, in quanto nega il diritto di prelazione nelle ipotesi previste dall'art. 732 c.c. (alienazione da parte del coerede, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado) implicitamente lo ammette quando, come nella specie, si tratta di comunione di immobile avente per oggetto un unico edificio indiviso, in cui siano ricompresi vani locati, adibiti ad attività commerciali, qualora uno dei condomini, nell'esercizio del potere di disporre della propria quota concessogli dall'art. 1103 c.c., alieni questa agli altri comproprietari. In tale fattispecie, la determinazione del prezzo della singola porzione oggetto della locazione da attribuire al conduttore, ben può essere operata facendo ricorso ad una consulenza, qualora si instauri un giudizio contenzioso. Anche tale doglianza va disattesa, considerando che l'esercizio del diritto di prelazione previsto dall'art. 38, per sua stessa natura, comporta come effetto diretto ed immediato di operare il trasferimento al conduttore della proprietà della parte locata del bene. Nell'ipotesi invece che uno o più condomini pro indiviso di un edificio, nel quale sia ricompresa un'entità immobiliare concessa in locazione ed adibita ad uso commerciale, abbiano il potere di chiedere la divisione dell'immobile, sì da acquisire ciascuno una quota determinata e concreta del bene, non sorge per il conduttore il diritto di prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978, sulla quota indivisa, con la prospettiva di porsi nella condizione di poter divenire in seguito proprietario esclusivo del locale in cui esercita l'attività commerciale, giacché non verrebbe comunque a realizzarsi la proprietà dell'immobile locato, ma soltanto il diritto sulla quota, come prevede la norma. Né d'altra parte l'eventuale esercizio del diritto di prelazione potrebbe determinare la immediata concentrazione in uno stesso soggetto della proprietà e della titolarità dell'impresa, effetto anche questo costituente necessaria conseguenza della prelazione».

La stessa soluzione – già patrocinata nella giurisprudenza di merito (Trib. Novara 30 giugno 1983; Trib. Milano 21 febbraio 1985) – è stata successivamente ribadita con l'affermazione del principio che, in caso di vendita a terzi della quota di proprietà comprendente l'immobile locato non spetta al conduttore il diritto di prelazione, mancando l'imprescindibile presupposto dell'identità dell'immobile locato con quello venduto (Cass. III, n. 10431/1998).

Dopo aver chiarito che nessun rilievo assume la titolarità, da parte del conduttore, della comproprietà della residua quota dell'immobile locato giacché, agli effetti della spettanza del diritto di prelazione, «la circostanza è giuridicamente irrilevante dal momento che le richiamate disposizioni di legge mirano non già ad agevolare la concentrazione nella stessa persona di quote immobiliari delle quali siano titolari più soggetti sebbene, a tutelare il conduttore come tale, per la «conservazione, anche nel pubblico interesse delle imprese considerate», la Suprema Corte ha ulteriormente osservato che il presupposto del trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato non ricorre nel caso «di vendita di quota di fabbricato comprendente anche la porzione oggetto di locazione commerciale. Univoca è in tal senso, la giurisprudenza di questa Corte e ciò in riferimento sia all'ipotesi anche alla quale i giudici del merito hanno fatto cenno della vendita in blocco di intero edificio o di parte di esso che costituisca un complesso unitario ... sia a quella, ricorrente nella specie, della vendita di quota di edificio ..., edificio comprendente, nell'uno come nell'altro caso ... il bene locato: nell'uno e nell'altro è stato infatti negato al conduttore il diritto di prelazione e riscatto proprio sulla premessa comune della insussistenza del presupposto anzidetto»

Trasferimento di una più ampia area su cui insiste solo in parte l'immobile locato

In caso di trasferimento a titolo oneroso di un'area urbana solo in parte coperta da un manufatto locato ad uso diverso da quello abitativo, il conduttore di quest'ultimo non ha alcun diritto di prelazione e di riscatto ex artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, non sussistendo identità fra oggetto della vendita ed oggetto della locazione qualora l'intera area costituisca un'entità dotata di autonomia propria, per caratteristiche funzionali oggettive e per valore economico complessivo, rispetto alla porzione locata.

«La prelazione e il riscatto, disciplinati dagli artt. 38 e 39 della normativa sull'equo canone, entrambi sovrapponentesi alla libera volontà del proprietario locatore, in quanto limitano la sua autonomia negoziale, possono essere esercitati soltanto sull'immobile locato che il proprietario ha il proposito di trasferire a titolo oneroso. La precisa formulazione dell'art. 38 non ammette altre interpretazioni e delimita in modo rigoroso l'ambito delle facoltà del conduttore all'oggetto della locazione, il quale di conseguenza deve essere distinto nettamente dall'intero immobile qualora, come nella specie, si tratti di area sulla quale insista una costruzione che occupi soltanto una porzione dell'intera superficie. Un'area infatti, ancorché su di essa insistono manufatti, ben può costituire un'entità autonomia con specifiche caratteristiche proprie, quando viene considerata nel suo insieme. E nella specie la Corte di Cagliari ... ha ritenuto innegabile che l'area fabbricabile trasferita costituisca un'entità autonoma, non tanto per le sue intrinseche caratteristiche, quanto perché lo stesso M., con la stipula della locazione, ha impresso ad essa una «autonomia destinazione economica» individualizzandola in virtù dei poteri dispositivi spettantigli, in quanto proprietario. La censura riprende una tesi sostenuta negli anni decorsi da una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, che non ha trovato consenso nell'indirizzo di questa Corte, la quale ha più volte avvertito che per determinare un'autonomia, tale da giustificare lo smembramento di una area, occorre tener conto delle caratteristiche funzionali oggettive, del valore economico complessivo, indipendentemente dalla particolare destinazione che il proprietario intende imprimere alla stessa per ragioni contingenti. Ipotesi questa, lo si ripete, nella specie da escludere, in quanto la corte di merito ha accertato che l'area venduta ha una sua propria autonomia quando viene considerata nel suo complesso, particolarmente per il diverso apprezzamento economico dell'intero immobile rispetto ad una parte, in quanto il valore di mercato del suolo edificatorio risente dell'estensione che permette diverse possibilità edificatorie ... Il ricorso non manca di richiamare la ben nota ratio ispiratrice della norma, diretta a favorire l'esercizio di imprese commerciali, industriali, artigiane ed artistiche, assicurando al conduttore la tutela del godimento del bene da parte del conduttore, ma è pur vero, come già insegnato da questa Corte, che la tutela non giunge ad arrecare eccessivo pregiudizio la sua proprietà, con conseguente minore possibilità di trovare acquirenti o di ricavare minor profitto rispetto all'alienazione del bene nel suo complesso. D'altra parte, anche in ipotesi di alienazione della porzione locata, il conduttore non resta privato dei molti vantaggi previsti dalla normativa sull'equo canone, oltre all'ordinario effetto del principio emptio non tollit locatum ... Né appare possibile far ricorso per analogia alla prelazione concessa ai conduttori di fondi rustici, non essendo possibile ricorrere ad un istituto guidato da criteri normativi che tutelano interessi specifici concentrati beni aventi caratteristiche strutturali ed economiche ben diverse da quelle proprie degli immobili urbani» (così Cass. III, n. 6528/1987).

Vendita in blocco e vendita cumulativa

La giurisprudenza della Suprema Corte è, poi, costante nell'affermare che, nel caso di vendita in blocco dell'intero edificio in cui sia situato l'immobile locato, il conduttore di questo non ha diritto di prelazione, e non ha conseguentemente neppure diritto di riscatto, né sulla singola unità immobiliare, per non essere separabile dal tutto, né sull'intero edificio, trattandosi di bene diverso da quello locato (Cass. III, n. 19502/2017; Cass. III, n. 6652/2009; Cass. III, n. 26981/2007; Cass. III, n. 25172/2007; Cass. III, n. 1443/2002; Cass. III, n. 6256/1983: è quest'ultima la pronuncia che ha inaugurato l'indirizzo menzionato).

Se il diritto di prelazione non trova applicazione nel caso di vendita in blocco, ossia di vendita concernente l'intero edificio in cui si trova ubicato l'immobile locato, può inoltre accadere che la medesima esclusione ricorra in caso di vendita cumulativa, ossia di vendita avente ad oggetto una pluralità di unità immobiliari le quali, però, non esauriscano l'intero edificio. In tal caso, occorre di volta in volta accertare se l'oggetto della compravendita, considerato nel suo complesso, costituisca o meno un compendio immobiliare che, nello stato in cui si trova, sia dotato di una propria individualità giuridica e strutturale, oggettiva ed effettiva (tra le altre, Cass. III, n. 2511/2001).

I termini della questione sono chiariti in detta pronuncia, la quale riassume i pertinenti principi di diritto di applicazione più frequente: «Secondo la risalente e consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità ... in tema di prelazione urbana, allorché la vendita non ha ad oggetto l'intero edificio (cd. vendita in blocco), ma soltanto alcune delle unità immobiliari che ne fanno parte, ciascuna dotata di una propria autonomia, per stabilire se sussiste il diritto di prelazione ed il conseguente diritto di riscatto del conduttore di una o più unità, comprese nella vendita e locate ad uso di attività di commercio, occorre accertare se l'oggetto della compravendita, considerato nel suo complesso, costituisca o meno un unicum, cioè un compendio immobiliare che, nello stato in cui si trova, sia dotato di una propria individualità giuridico-strutturale oggettiva ed effettiva. A tal fine questa Corte ha anche precisato (Cass. III, n. 1934/1987; Cass. III, n. 10340/1998; da ult. Cass. III, n. 13253/2023) che a conferire unica ed oggettiva individualità alle diverse unità immobiliari, comprese nella vendita cumulativa, non è sufficiente che la vendita stessa concerna tutte le unità immobiliari di cui il locatore sia proprietario in un più ampio complesso, giacché, in tal caso, l'unico elemento di collegamento fra i predetti beni è dato dalla volontà negoziale del proprietario venditore, per il quale deve anche considerarsi irrilevante il vantaggio che può derivargli dalla vendita contemporanea ad un unico acquirente dei singoli cespiti. Allo stesso scopo, è stato ritenuto altrettanto irrilevante il progetto del compratore di unificare le unità immobiliari oggetto della vendita cumulativa quando anche ciò dovesse determinare un aumento del valore di scambio del quale viene ad avvantaggiarsi il venditore, il quale ha autolimitato la sua libera disponibilità del bene anche in relazione alla sua utilizzazione (Cass. III, n. 10340/1998), dovendosi, peraltro, considerare evanescente il criterio della intenzione dell'acquirente di un accorpamento funzionale di tutti i locali dopo l'acquisto (Cass. III, n. 1934/1987). Inoltre, ad evitare la facile elusione dello ius praelationis spettante al conduttore, questo giudice di legittimità, pur nella ipotesi di vendita in blocco, ha ammesso il conduttore a dimostrare che la cessione con unico atto e ad un prezzo unitario della pluralità di unità immobiliari del medesimo stabile concreta piuttosto una pluralità di contratti autonomi con altrettante prestazioni; che, aggiungendo surrettiziamente altri beni all'immobile locato, sono in realtà mossi dall'intento di vanificare la tutela privilegiata, che la legge accorda allo stesso conduttore» (così Cass. III, n. 2511/2001).

Nel caso di vendita cumulativa, dunque, occorre distinguere se l'oggetto del contratto sia unico, quale complesso immobiliare dotato di una propria individualità giuridico-strutturale, o se contenga tanti atti di disposizione per quanti sono gli immobili e sia, cioè, un atto traslativo ad oggetto plurimo: mentre nel primo caso la prelazione ed il riscatto devono essere esclusi per le stesse ragioni per le quali lo sono nella vendita in blocco, in quanto oggetto del trasferimento è un bene che ha una configurazione sua propria, che lo rende diverso dall'immobile locato, nel secondo devono essere riconosciuti, poiché realizzano le finalità dell'accorpamento aziendale perseguito dalla legge (Cass. III, n. 23747/2008; Cass. III, n. 26981/2007; Cass. III, n. 20329/2006).

Anche di recente, è stato ribadito che il diritto di prelazione o di riscatto a favore del conduttore, ex artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 presuppone l'identità dell'immobile locato con quello venduto, e, pertanto, mentre rimane inalterato nel caso di vendita cumulativa, viene meno nell'ipotesi di vendita in blocco, per la cui configurazione è sufficiente che i vari beni alienati, tra loro confinanti, costituiscano un unicum e siano venduti (o promessi in vendita) non come una pluralità di immobili casualmente appartenenti ad un unico proprietario e ceduti (o cedendi) ad un soggetto diverso da colui che conduce in locazione per uso diverso uno di essi, ma come complesso unitario, costituente un quid differente dalla mera somma delle singole unità immobiliari (Cass. III, n. 655/2017, che ha escluso la ricorrenza di una vendita in blocco, dal momento che il trasferimento aveva riguardato particelle distinte ed autonome senza che emergesse dal contratto, né da altre circostanze, un collegamento oggettivo o soggettivo dei vari cespiti come complesso unitario non frazionabile).

Nella materia, il giudice di merito deve attenersi ad un penetrante obbligo motivazionale. Nell'ipotesi di vendita, con un unico atto o con più atti collegati, ad uno stesso soggetto di una pluralità di unità immobiliari, tra cui quella oggetto del contratto di locazione, l'esercizio del diritto di prelazione e di riscatto da parte del conduttore ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 è ammesso solo se si tratti di vendita cumulativa e non già di vendita in blocco, la quale ultima ricorre quando sussistano significativi e penetranti requisiti di oggettiva unità strutturale o funzionale tra gli immobili costituenti le elementari componenti di un'effettiva vendita in blocco, quale cessione di un complesso unitario diverso dalla mera somma delle singole unità immobiliari; ne deriva che, nell'effettuare la relativa indagine, il giudice di merito è tenuto a considerare, e quindi ad esplicitare in motivazione, i criteri oggettivi seguiti (Cass. III, n. 19502/2017, nella quale si evidenzia che i giudici di merito «risultano essersi sottratti all'essenziale compito di evidenziare e descrivere i termini della riconoscibile connessione obiettiva (sia essa considerabile in chiave strutturale o più specificamente funzionale) tra le diverse unità immobiliari negoziate (nulla potendo oggettivamente dedursi dal dato nudo della distribuzione di 73 unità immobiliari in una decina di fabbricati sparsi per ..., nonché al compito di articolare l'esame contabile del c.d. prezzo unitario di vendita, neppure constando se tale dato numerico valesse ad esprimere la volontà delle parti di realizzare, attraverso il prezzo negoziato, una rilevante astrazione dal valore economico delle singole unità (al fine di valorizzare il carattere significativo della vendita dell'intero compendio, sul piano della convenienza economica di una cessione unitaria) o solo l'elementare sommatoria del valore di ciascuna singola unità»).

Lo scrutinio volto a distinguere se si versi in ipotesi di vendita in blocco o vendita cumulativa, in generale ancorato a criteri oggettivi, deve altresì cimentarsi con gli eventuali profili soggettivi di volta in volta rilevanti. E cioè, in caso di vendita, con un unico atto o con più atti collegati, a uno stesso soggetto di una pluralità di unità immobiliari, tra cui quella oggetto del contratto di locazione, presupposto fondamentale perché sorga il diritto di prelazione e il correlato diritto di riscatto di cui agli art. 38 e 39 della l. n. 392/1978, è la perfetta identità tra il bene venduto e quello condotto in locazione. Tale identità viene meno quando detta vendita riguarda una pluralità di immobili. In particolare, in una tale eventualità occorre distinguere a seconda che si sia in presenza di una vendita in blocco (che esclude il sorgere in capo al conduttore dei detti diritti) o, invece, di una vendita cumulativa (che è irrilevante al fine dell'esercizio del diritto di prelazione, limitatamente al bene oggetto del contratto di locazione). Perché ricorra la vendita in blocco non è indispensabile che la vendita riguardi l'intero edificio in cui è compreso quello locato ma è sufficiente che i vari beni alienati, tra loro confinanti, costituiscano un unicum e siano venduti (o promessi in vendita) non come una pluralità di immobili casualmente appartenenti a un unico proprietario e ceduti (o cedendi) a un soggetto diverso da colui che conduce in locazione per uso diverso uno di essi, ma come complesso unitario, costituente un quid diverso dalla mera somma delle singole unità immobiliari. A tale riguardo l'indagine del giudice del merito non deve essere condotta solo sulla base della situazione oggettiva, di fatto, esistente al momento della vendita (o della denuntiatio) ma deve, altresì, tener conto del tenore del contratto di vendita (o del preliminare) e di eventuali altri contratti che, pur se intervenuti tra soggetti parzialmente diversi, possano dirsi collegati al primo, e sulla base di questo il giudice deve apprezzare se le parti hanno o meno considerato la vendita dei vari cespiti (anche, eventualmente, per motivi soggettivi) di un complesso unitario non frazionabile. Spetta al giudice del merito l'accertamento, insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato, dell'unicità strutturale e funzionale del bene venduto, al fine di escludere o ammettere la prelazione o il riscatto (Cass. III, n. 25036/2015).

Quanto alla sussistenza di un'ipotesi di vendita in blocco, oppure di una vendita cumulativa non soggetta a prelazione, il complesso immobiliare compravenduto va valutato nello stato in cui si trova al tempo della denuntiatio o, in mancanza, del trasferimento (Cass. III, n. 6641/2001). Ed inoltre, nell'effettuare tale valutazione, occorre avere riguardo al contratto definitivo, con la conseguenza che eventuali difformità tra questo ed il contratto preliminare non possono essere fatte valere dall'acquirente per contrastare il diritto di riscatto del conduttore, tanto più in ragione del fatto che lo stesso acquirente, con la stipula del contratto definitivo, ha con ciò stesso accettato, nell'esercizio della propria autonomia privata, tali difformità (Cass. III, n. 9197/1999).

In particolare, in caso di riscatto dell'immobile oggetto di vendita cumulativa, ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, il valore dell'unità immobiliare deve essere determinato in una quota proporzionale del corrispettivo globale pattuito, in misura corrispondente al rapporto proporzionale tra il valore catastale rivalutato ed il prezzo effettivamente pagato nell'intero complesso (Cass. III, n. 15110/2013, che ha rigettato il ricorso proposto, ritenendo irrilevanti le censure di parte ricorrente relative alla mancata considerazione, in sede di determinazione del prezzo, della destinazione d'uso, del piano, dell'altezza interna e dell'esposizione dell'immobile, in quanto elementi già indicati al fine dell'atto di classamento dell'immobile).

Vendita di «casa e bottega»

Qualora il contratto di locazione abbia ad oggetto un locale ad uso commerciale con annessa abitazione, entrambi inclusi in un fabbricato di maggiore consistenza, il diritto di prelazione del conduttore, rispetto a detto locale, secondo le previsioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978 deve essere riconosciuto anche quando il locatore estenda la vendita a quell'abitazione, trattandosi di ipotesi non equiparabile all'alienazione «in blocco» di intero stabile che si sottrae alla prelazione del conduttore della singola porzione (Cass. III, n. 11973/1990).

Questi gli argomenti svolti a suffragio del principio affermato: «È dato rilevare che non l'intero edificio è stato venduto, ma soltanto il negozio e l'abitazione locati al S. Consegue che il diritto di riscatto è stato a ragione esercitato da costui, in quanto, nonostante egli avesse, con la lettera del 16 aprile 1980, esplicitamente manifestato il proprio interesse e la propria inclinazione volitiva ad esercitare il diritto di prelazione, qualora i locali adibiti a bar-tabaccheria fossero stati dal locatore posti in vendita, il P. si astenne dal provvedere alla doverosa denuntiatio dell'accordo traslativo raggiunto ... con i G.-M. Detta comunicazione avrebbero dovuto contenere, ai sensi dell'art. 38 della l. n. 392/1978, quale parte del convenuto corrispettivo fosse da riferire alla vendita dei locali adibiti a bar-tabaccheria e quale alla vendita dei locali adibiti a civile abitazione: posto che, come si è detto in precedenza non si versava in ipotesi di vendita in blocco».

Trasferimento dell'immobile locato unitamente ad accessori non locati

Il diritto di prelazione spettante al conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione e quello succedaneo al riscatto, previsti dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 coinvolgono anche quelle unità immobiliare che, pur diverse dall'immobile locato, siano con questo in rapporto di pertinenzialità (cantine, autorimesse ecc.), siano ubicate nel medesimo stabile e costituiscano oggetto della vendita, progettata o promessa (Cass. III, n. 4729/1986; Cass. III, n. 10484/1990).

La Suprema Corte, in particolare, dopo aver ribadito i principi giurisprudenziali precedentemente esposti in tema di vendita «in blocco», ha osservato che: «Solo nell'ipotesi di vendita, progettata o promessa, oltre che dell'immobile locato, di altre porzioni immobiliari del medesimo stabile si profila, nel solco del principio di cui all'art. 818 c.c., la possibilità di un'anomala ma del tutto giustificata estensione del diritto di prelazione e dell'eventuale azione di riscatto a quelle altre unità immobiliari, quali le cantine, le autorimesse, ecc. che siano in rapporto di pertinenza con il bene principale (Cass. III, n. 3094/1986). Per contro, quando si prospetti la vendita dell'intero edificio, la separazione delle singole unità conglobate in esso non è giuridicamente attuabile giacché – sebbene il fabbricato si articoli in una pluralità di porzioni immobiliari autonome – l'edificio rappresenta un bene distinto dalla semplice loro sommatoria ed assurge ad individualità propria con caratteristiche strutturali, estetiche ed economiche che conferiscono al complesso un autonomo ed originale modo di essere».

Successivamente, la Suprema Corte ha riproposto nei medesimi termini il principio ora esposto, ribadendo che «il diritto di prelazione spettante al conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso di abitazione e quello succedaneo del riscatto, previsti dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, coinvolgono anche quelle unità immobiliari che, pur diverse dall'immobile locato, siano con questo in rapporto di pertinenzialità (cantine, autorimesse, ecc.), siano ubicate nel medesimo stabile e costituiscano oggetto della vendita» (Cass. III, n. 10484/1990).

Correttamente, dunque, il proprietario locatore, nell'effettuare la denuntiatio, vi ricomprende, oltre alla singola unità immobiliare, le sue pertinenze. Nel caso in cui il locatore comunichi al conduttore l'intenzione di vendere unitariamente, oltre la porzione immobiliare da questi direttamente detenuta, anche cantine ed autorimesse (o posti macchina) che siano in rapporto di pertinenza con il bene principale, devono ritenersi soddisfatte le condizioni richieste dall'art. 38 della l. n. 392/1978 ai fini del diritto di prelazione, atteso che la vendita è pienamente giustificata dal rapporto di strumentalità e complementarietà funzionale che sussiste tra bene principale e beni accessori e che legittima la considerazione unitaria del complesso immobiliare (Cass. III, n. 6198/1994).

La pronuncia così motiva: «La denuntiatio che la società proprietaria del negozio in questione ha inviato al conduttore e attuale ricorrente B. ai sensi dell'art. 38 della l. n. 392/1978, comprendeva non solo l'immobile oggetto del contratto di locazione ma anche talune cantine e tre posti macchina. A fronte della contestazione del B. che assumeva l'illegittima e surrettizia aggregazione di detti beni all'immobile principale, la società locatrice ha dedotto che le cantine e i posti macchina costituivano mere pertinenze del negozio locato, sicché la vendita unitaria delle pur distinte porzioni immobiliari doveva ritenersi perfettamente lecita. Tale tesi, accolta dai giudici di merito, appare pienamente condivisibile, anche alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il diritto di prelazione spettante al conduttore di immobile urbano adibito ad uso non abitativo e quello succedaneo di riscatto, previsti dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, hanno ad oggetto anche quelle unità immobiliari che, pur diverse dall'immobile locato, siano con questo in rapporto di pertinenzialità (cantine, autorimesse, ecc.), siano ubicate nel medesimo stabile e costituiscano oggetto della vendita (v., altresì, Cass. III, n. 10484/1990). Si debbono, invero, considerare separatamente i contratti di compravendita che abbiano ad oggetto porzioni immobiliari di un medesimo stabile, quali cantine e autorimesse, che siano in rapporto di pertinenza con il bene principale e i contratti in cui l'oggetto della vendita sia una pluralità di beni dotati di propria autonomia: solo in quest'ultimo caso si può parlare di vendita cumulativa con le ovvie conseguenze che ne derivano sotto il profilo dell'esatta applicazione del citato art. 38, posto che, trattandosi in realtà di una pluralità di negozi, il locatore, ove non comunichi l'intenzione di vendere il singolo bene locato con il corrispondente prezzo ben determinato, si rende inadempiente all'obbligo della denuntiatio. Nel primo caso, invece, la vendita unitaria è pienamente giustificata in quanto il rapporto tra cosa principale e cosa accessoria si configura come un rapporto economico e giuridico di strumentalità e complementarità funzionale che, sebbene non dia origine ad una nuova individualità (come avviene nell'incorporazione), rende possibile una considerazione unitaria del complesso immobiliare, non tanto per l'unicità del prezzo, quanto perché il complesso stesso, nello stato in cui si trova al tempo della denuntiatio, è dotato di una propria effettiva unità economico-giuridica essendo la pertinenza destinata, sia pure per implicita ma univoca volontà del proprietario desumibile dalla denuntiatio, al servizio o ad ornamento della cosa principale per rendere possibile una migliore utilizzazione o godimento o per aumentarne il decoro. Né può negarsi al proprietario locatore il diritto di scegliere, sulla base di un reale rapporto di pertinenzialità, una diversa utilizzazione e valorizzazione del suo immobile rispetto al precedente rapporto locativo: in caso contrario si finirebbe con l'incidere sulla libertà delle determinazioni volitive del proprietario nel campo negoziale e si rischierebbe di provocare una decurtazione del valore dell'immobile con possibili riflessi sul piano della legittimità costituzionale della norma in esame».

Trasferimento di area nuda

In coerenza ai principi che regolano la materia, la disciplina dettata dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 con riguardo al diritto di prelazione e riscatto da parte del conduttore si applica anche alle aree nude, allorché, su di esse, si svolga un'attività ricompresa tra quelle di cui all'art. 27 della legge citata (Cass. III, n. 2069/2004).

Trasferimento di immobile locato posto dal conduttore a servizio di altro immobile locato da un terzo

Il diritto di prelazione e di riscatto non sono configurabili allorché sussista un vincolo di accessorietà funzionale, stabilito dal conduttore tra due immobili appartenenti a diversi proprietari, se l'utilizzazione di uno di tali immobili esclude il contatto con il pubblico indiscriminato degli utenti e si pone come complementare rispetto all'attività esercitata nell'altro immobile (Cass. III, n. 15886/2007). Su tale premessa, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di rigetto della proposta domanda di riscatto emessa dai giudici di merito e, integrando la motivazione del provvedimento impugnato, ha affermato che l'utilizzazione di un'area cortilizia, facente parte di un compendio immobiliare locato, quale parcheggio esclusivo per la clientela di un contiguo albergo da un lato esclude il contatto con il pubblico indiscriminato degli utenti, essendo limitato ai clienti del detto albergo, e dall'altro evidenzia che tale utilizzazione è complementare all'albergo stesso, perché destinata ad un uso accessorio e, per quanto importante, secondario rispetto all'esercizio dell'attività alberghiera.

Trasferimento di terreni adibiti a destinazione diversa da quella prevista da piani regolatori

La prelazione, sia legale che convenzionale, non opera per i terreni adibiti a destinazione diversa da quella prevista da piani regolatori – anche se non approvati – o da leggi statali o regionali (Cass. III, n. 24769/2008). In tal senso, si è pronunciata la Suprema Corte con la pronuncia che segue, la quale si segnala per la sua notevole importanza nella parte in cui, ponendosi in contrasto con una giurisprudenza ferma, nega che la locazione di un immobile abusivo sia nondimeno valida: «Risulta nell'impugnata sentenza accertata la sussistenza tra la sig.ra L.P. (e quindi i successivi subentranti in suo luogo) e la odierna ricorrente incidentale società M. OHG di M.R. s.n.c. (già R. OHG s.n.c.) di un rapporto di locazione di fondi rustici posto in essere allo scopo di realizzare un'area di deposito per materiali edili (clausola n. 3), con previsione altresì di un diritto di prelazione in favore della conduttrice in caso di relativa alienazione (clausola n. 8). Diritto di prelazione asseritamente violato in occasione della vendita a terzi di gran parte degli immobili locati. Ritenuta la validità del contratto di locazione e dell'accessorio patto di prelazione, il giudice di prime cure ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla violazione del detto patto di prelazione, in quanto (come leggesi nell'impugnata sentenza) l'ammontare del danno risulterebbe dalla differenza tra il valore di mercato ed il prezzo di compravendita pattuito», laddove «il valore di mercato stimato dal consulente tecnico d'ufficio ... sarebbe notevolmente inferiore al prezzo di vendita. Ed altresì sostenendo che «l'utilizzo abusivo del fondo per scopi produttivi non sarebbe da considerare nel determinare l'ammontare del danno». Nell'accertare incidenter tantum la nullità del contratto di compravendita del 26 gennaio 1999, attesa la «incontrovertibilmente provata ... illegittima trasformazione edificatoria e il cambiamento della destinazione della p.f. 328/4 per scopi produttivi, contrastanti con la destinazione impressa dal piano urbanistico a verde agricolo e bosco»; e nel ritenere che Detti trasformazione e cambiamento urbanistico illegittimi integrano gli estremi del reato previsto e puntio dal combinato disposto della l. n. 4/1985, artt. 18 e 20 (ora il d.P.R. n. 380/2001, art. 30) concernente la cosiddetta lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio, in particolare della lottizzazione materiale; ancora, nel confermare la validità del contratto di locazione, facendo richiamo all'orientamento della giurisprudenza di legittimità per il quale l'abusività di immobili oggetto di locazione non si ripercuote sulla validità del contratto di locazione ..., il giudice dell'appello ha del pari confermato il rigetto della pretesa risarcitoria per violazione del diritto di prelazione, emesso dal giudice di prime cure, tuttavia diversamente da quest'ultimo argomentando che attesa la nullità del contratto di compravendita lo stesso non poteva ledere il diritto di prelazione pattuito nel contratto di locazione de quo. Orbene, contrariamente a quanto dalla corte di merito affermato nell'impugnata sentenza, va invero escluso che il contratto di locazione e lo stipulato patto accessorio di prelazione possano considerarsi nel caso validamente stipulati. Se da un canto i beni appartenenti al demanio e al patrimonio indisponibile dello Stato e degli enti pubblici non economici sono vincolati al soddisfacimento di finalità pubbliche, per altro verso i vincoli di destinazione (come nella specie a verde agricolo e boschivi, ma anche quelli ad esempio idrogeologici o paesaggistici) dei fondi a determinate finalità costituiscono invero un limite alla proprietà terriera privata conforme al dettato costituzionale, essendo essi volti a conseguire il razionale sfruttamento del suolo (da intendersi – come sottolineato anche in dottrina – nel senso di ottimale utilizzazione agricola o di salvaguardia del territorio) e alla promozione di equi rapporti sociali (art. 44 Cost.), in ciò sostanziandosi la relativa funzionalizzazione (art. 42 Cost.). Orbene, diversamente dall'assunto rinvenentesi nell'impugnata sentenza secondo cui l'abusività urbanistica di immobili assume rilievo solamente nei rapporti tra privato e P.A., va affermato che i vincoli posti dalle disposizioni urbanistiche (tali essendo quelle poste sia da leggi speciali che da regolamenti edilizi comunali e da piani regolatori, le cui prescrizioni come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare hanno natura normativa: ...) rilevano invero anche sul piano dei rapporti privatistici della vita comune di relazione, incidendo sul contenuto del diritto di proprietà, sugli atti di disposizione del bene e sulla responsabilità extracontrattuale. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno d'altro canto avuto modo di precisare (in particolare con riferimento alla l. n. 675/1967, art. 18) che la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per ciò stesso come imperativa ed inderogabile, non soltanto nei rapporti tra P.A. e privato ... ma anche nei rapporti tra privati ... Ponendo un vincolo pubblicistico di destinazione, la norma urbanistica non può allora subire deroga (neanche) mediante atti privati di disposizione degli spazi dalla stessa presi in considerazione ... Si è in tale ottica anche in dottrina sostenuto che le disposizioni urbanistiche riverberano al riguardo sotto plurimi profili, e in particolare sul piano della qualità e della regolarità giuridica dei beni. Se la mancanza di qualità dovuta o promessa dei beni ridonda in termini di inadempimento, legittimando il ricorso ai relativi rimedi ... l'irregolarità giuridica dei beni da viceversa luogo a nullità del contratto per violazione di norme imperative ... Nullità che prescinde invero, come anche in dottrina sostenuto, dalla buona fede dell'avente causa, operando pure laddove l'acquirente sia stato avvertito della irregolarità del bene o l'alienante abbia declinato ogni sua responsabilità ... Né può per altro verso riconoscersi pregio all'assunto – dalla Corte di merito pure posto a base dell'adottato provvedimento, con rigetto dell'eccezione di nullità formulato in sede di gravame di merito dalla l. – secondo cui l'abusività urbanistica di immobili oggetto di locazione non si ripercuote sulla validità del contratto di locazione, attesa la mancanza di una sanzione di nullità prevista dalla legge, corrispondente a quella di cui alla l. n. 47/1985, art. 18). Premesso che al riguardo gli stessi odierni ricorrenti sottolineano come la corte di merito abbia giustamente escluso la configurabilità nel caso di un'«ipotesi di nullità direttamente riferibile alla l. n. 47/1985, art. 18», sicché non è nella specie questione di interpretazione e diretta applicazione di tale norma di per sé considerata; ed osservato d'altro canto che, come anche in dottrina sostenuto, la nullità sostanziale deve invero propriamente ritenersi colpire anche il contratto preliminare, sostanziandosi esso nell'impegno alla stipulazione di un contratto illecito a fortiori laddove, secondo varie tesi dottrinarie invero non accolte da questa Corte ... il contratto preliminare venga diversamente inteso come fonte delle attribuzioni patrimoniali finali; premesso, ancora, che in ragione della stretta inerenza del godimento all'effettiva utilizzazione dell'immobile la locazione si traduce invero in un limite a carico della proprietà (edilizia e fondiaria), costituendone una normale forma di godimento, va in proposito posto in adeguato rilievo che gli interessi pubblici, oggetto di specifica tutela in materia, sono come detto indisponibili da parte dei privati. Deve allora escludersi che il godimento dei fondi contrattualmente attribuito e posto in essere possa ricevere una differente considerazione a seconda che esso corrisponda all'esercizio di un diritto di natura reale ovvero come nella specie meramente obbligatoria. Non può ritenersi infatti concesso ai privati di vanificare gli interessi pubblicistici tutelati mediante l'adozione di schemi negoziali comunque idonei ad attuare un godimento in concreto corrispondente alla destinazione vietata. Decisivo rilievo assume al riguardo la considerazione della causa concreta dei negozi posti in essere dai privati giacché, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, essa si sostanzia nello scopo pratico dalle parti perseguito con la relativa adozione. Nell'interesse che l'operazione contrattuale è cioè propriamente diretta a soddisfare ... Orbene, ove l'interesse al godimento da parte dell'utilizzatore della cosa secondo una destinazione sostanziantesi proprio in quella normativamente vietata come nella specie risulti obiettivata nell'accordo contrattuale, a tale stregua risultando inconfigurabile la figura del mero motivo, che quale mero impulso psichico alla stipulazione attiene ad interessi rimasti nella sfera volitiva interna della parte conseguentemente esulando dal contenuto del contratto, esso viene appunto a designare lo scopo pratico che il contratto è funzionalizzato a realizzare ... A tale stregua, esso assurge allora a causa del contratto, a giustificazione dell'operazione contrattuale nel suo complesso, valendo a qualificare l'accordo e a determinare la essenzialità di tutte le attività ed i servizi che assumono decisivo rilievo ai fini del relativo soddisfacimento. Elemento causale nel quale viene invero a sostanziarsi, conseguentemente assumendone la relativa rilevanza, anche il motivo unico e comune ad entrambe le parti ... laddove risulti obiettivato nell'accordo ... Orbene, si è già più sopra indicato come sia nel caso rimasto dai giudici di merito accertato che mediante la stipulata locazione le parti hanno nella specie entrambe perseguito l'intento di asservire i fondi de quibus a deposito di materiali edili, e che sin dal 1980 il relativo godimento si è in effetti estrinsecato secondo modalità attuative di tale convenuta destinazione. Destinazione contrastante tuttavia con quella urbanistica a «verde agricolo e bosco» assegnata all'area nel cui ambito gli stessi ricadono, non potendo al riguardo invero prescindersi dalla considerazione che così come quello corrispondente ad un diritto reale anche il godimento del bene trovante fonte in un diritto personale è invero idoneo ad integrare lo sfruttamento del bene secondo la destinazione del medesimo normativamente vietata. Emerge allora evidente il contrasto dello scopo pratico dalle parti nel caso perseguito (non già con il disposto della l. n. 47/1985, art. 18, la cui diretta applicazione non viene invero per i profili in argomento in considerazione, bensì) con i viceversa inderogabili (anche dai privati) vincoli posti dalle disposizioni urbanistiche locali. Contrasto che alla stregua di quanto sopra esposto ridonda in termini di nullità della locazione in argomento (e conseguentemente dell'accessorio patto di prelazione), che in quanto volta a realizzare un godimento del bene corrispondente al risultato vietato dall'ordinamento non solo persegue un interesse non meritevole di tutela ma si risolve addirittura in termini di dannosità sociale. Atteso che il risultato vietato non risulta nella specie perseguito attraverso la combinazione di atti di per sé leciti ... ma mediante la stipulazione di contratto la cui causa concreta si pone direttamente in contrasto con le disposizioni urbanistiche, e in particolare con i vincoli di destinazione posti dal locale piano regolatore, la nullità del contratto di locazione in argomento discende allora non già – come invero pure prospettato dai ricorrenti – alla stregua della frode alla legge di cui all'art. 1344 c.c., ... bensì ai sensi dell'art. 1343 c.c., in ragione della diretta violazione di norme imperative che esso vale ad integrare. L'assunto della corte di merito secondo cui «l'abusività urbanistica di immobili oggetto di locazione non si ripercuote sulla validità del contratto di locazione» (in ordine al quale vengono richiamati precedenti di questa Corte ove si è posto il principio secondo cui la validità ed operatività inter partes di un contratto di locazione di immobile nonché il suo assoggettamento alla normale disciplina privatistica non restano esclusi per il fatto che il bene risulti abusivamente realizzato dal locatore su terreno demaniale, e non possa quindi considerarsi di proprietà del locatore medesimo, trattandosi di circostanza rilevante solo al diverso fine dell'eventuale responsabilità dell'autore dell'opera verso la P.A., nonché della facoltà di questa, non pregiudicata dal suddetto contratto, di avvalersi dei propri poteri a tutela del demanio), alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto non può trovare allora (quantomeno ulteriormente) avallo e conferma. Vale infine altresì sottolineare che come questa Corte ha già avuto modo di affermare, con riferimento invero alla prelazione legale (agraria) ma in termini a fortiori riferibili all'ipotesi di prelazione come nella specie convenzionale, la prelazione in ogni caso non opera per i terreni adibiti a destinazione diversa da quella prevista da piani regolatori (anche se non approvati) o da leggi statali o regionali»

Atti che non danno luogo a prelazione

L'art. 38, comma 1, della l. n. 392/1978 riconosce il diritto di prelazione «nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato», precisando, all'ultimo comma della medesima disposizione, che: «Le norme del presente articolo non si applicano nelle ipotesi previste dall'art. 732 c.c., per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nella ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado».

Oltre ai casi in cui trova applicazione il retratto successorio ed ai trasferimenti effettuati in favore del coniuge dei parenti entro il secondo grado, la giurisprudenza ha individuato una ampia serie di trasferimenti con cui il diritto di prelazione in questione è incompatibile o è di dubbia compatibilità.

Vendita fallimentare

In caso di fallimento del locatore dell'immobile e di vendita coattiva del medesimo non spetta al conduttore il diritto di prelazione, giacché l'art. 38 della l. n. 392/1978 si riferisce ai soli trasferimenti volontari: «Sono le stesse espressioni letterali della norma regolatrice della prelazione nel caso di locazione di immobili urbani a porre in evidenza che la relativa disciplina, la quale trova la sua ragione d'essere nel trasferimento a titolo oneroso che il locatore intenda fare dell'immobile locato, instaura ... un rapporto tra due soggetti specificamente indicati, il proprietario da una parte ed il conduttore dall'altra, con una legittimazione ... rilevata dalle posizioni ad essi rispettivamente riconoscibili, in virtù del rapporto contrattuale avente per oggetto la locazione dell'immobile. La dualità dei predetti soggetti, destinatari delle norme sulla prelazione, si riduce e più non sussiste quando il fallimento del proprietario-locatore priva questo della possibilità di disporre dell'immobile, essendo intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, che ha per effetto la separazione del patrimonio dalla persona del fallito. L'esercizio dell'attività di natura privatistica che ai fini della prelazione si sarebbe svolta tra proprietario-locatore e conduttore, nel caso di vendita dell'immobile locato, non può innestarsi in quell'attività di natura pubblicistica cui gli organi fallimentari sono chiamati a presiedere, intesa alla liquidazione dei beni del fallito, ai fini di realizzare la garanzia patrimoniale spettanti ai suoi creditori. È un'attività che, nata dallo spossessamento dei beni del fallito, non può soggiacere alle limitazioni di disporre del bene inerenti al rapporto privatistico della locazione, se espressa norma ad essa non sottometta l'ufficio fallimentare, rimanendo questo esente da intralci e da remore, non propizie alle finalità che esso deve conseguire. Le particolarità intrinseche alla procedura fallimentare, nell'espletamento delle funzioni, cui la stessa deve adempiere con pienezza di poteri, ripudiano l'applicabilità dell'istituto della prelazione, cui non può giovare il principio dell'analogia, reso inoperante dalle incompatibilità strutturali che dividono i due sistemi, quello della vendita dell'immobile ad opera del proprietario locatore e quello della realizzazione dei beni del fallito ad opera degli organi ... preposti dalla legge» (così Cass. III, n. 295/1981).

L'art. 38, comma 1, della l. n. 392/1978, in altri termini, nel prevedere l'obbligo della comunicazione finalizzata all'esercizio della prelazione nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile pone in rilievo l'elemento volontaristico dell'ipotizzata alienazione e l'esigenza di una scelta preventiva del contraente-compratore e del prezzo da parte dell'alienante, alla quale possa corrispondere la scelta dell'esercizio del diritto da parte del conduttore (Cass. III, n. 3298/1984).

Per di più, l'art. 108 l. fall., in caso di vendita immobiliare, impone la forma dell'incanto, salvo deroga giustificata dal vantaggio della procedura, «mentre la sottoposizione della vendita in quella forma alla sospensione e alla condizione della notifica del prezzo di aggiudicazione con l'eventuale successiva prelazione, pur se non può essere ritenuta inattuabile in via assoluta, non appare, peraltro, compatibile con le esigenze e il buon andamento dell'incanto stesso. A prescindere dai ritardi e dalle incertezze, tale subordinazione importerebbe seri pregiudizi per un normale utile procedimento del genere in danno dei creditori, senza una valida ragione di tal favore per il conduttore. Invero, la prospettiva che l'aggiudicazione possa rimanere inefficace a causa di un fatto diverso dall'aumento del prezzo, cioè a causa dell'intervento del conduttore ... costituisce un condizionamento capace di turbare lo svolgimento degli incanti e perciò assolutamente incompatibile con il relativo sistema di vendita».

Ancora con riguardo al fallimento, merita rammentare che, qualora la compravendita di un bene immobile, ancorché anteriore alla dichiarazione di fallimento del venditore, sia stata trascritta successivamente, la compravendita medesima, ai sensi dell'art. 2914 c.c., non è opponibile alla massa, nei cui confronti, pertanto, resta inefficace anche il contratto con il quale il compratore abbia concesso il bene in locazione: ne consegue che il conduttore non può far valere nei confronti della procedura concorsuale i diritti derivanti dal contratto di locazione, e nemmeno quindi, ove il bene venga ad altri trasferito in sede di liquidazione dell'attivo, il diritto di prelazione (Cass. III, n. 4045/1986).

Analoghe considerazioni la Suprema Corte ha prospettato con riguardo al concordato preventivo con cessione dei beni creditori (Cass. III, n. 2900/1990; Cass. III, n. 339/1994). Traendo argomento dalle riflessioni svolte con riguardo al fallimento, si è posto in evidenza che: «L'istituto del concordato preventivo è stato predisposto dal legislatore per tentare di raggiungere, con conseguenze meno disastrose per il debitore in istato di insolvenza, la sistemazione del dissesto mediante l'incontro delle volontà del debitore e dei creditori (concordato) che si estrinseca in un negozio che deve essere approvato dall'autorità giudiziaria. Ciò in senso sostanziale. Da un punto di vista formale, è la procedura che, data al negozio con l'omologazione forza esecutiva, mira alla soddisfazione delle ragioni dei creditori in misura ridotta, rispettando la par condicio mediante pagamenti normalmente dilazionati ma garantiti, senza sacrificio totale dell'impresa del debitore. In definitiva perciò la procedura, fallimentare e quella di ammissione al concordato preventivo hanno in comune il presupposto dello stato di insolvenza mentre la tutela delle ragioni dei creditori si attua in maniera differente: mediante l'acquisizione dell'attivo da parte degli organi pubblici nel fallimento per la soddisfazione del passivo; mediante il negozio del concordato, nella seconda, e la sua attuazione. Con l'avvertenza ... che, ove la proposta venga dichiarata inammissibile, il Tribunale procede d'ufficio alla dichiarazione di fallimento. In particolare, deve poi rilevarsi che se il concordato consiste nella cessione dei beni, il Tribunale nella sentenza di omologazione deve nominare i liquidatori determinando le modalità della liquidazione; questa dovrà necessariamente essere realizzata affinché possa essere consentito ai creditori di soddisfarsi sulle somme ricavate. Se tutto quanto innanzi esposto risponde alle caratteristiche dell'istituto, è evidente che nella fase finale della procedura in esame quella della liquidazione, manca qualsiasi possibilità per il debitore di intervenire con atti di volontà nella alienazione dei beni ceduti ai creditori. Ritorna così l'argomento principale sul quale si fonda la tesi qui sostenuta che esclude la possibilità della prelazione nel caso di vendita coatta (fallimento o meno), quello della mancanza di un atto volontario e libero del debitore-venditore di scelta del contraente e del prezzo».

La medesima opinione, ribadita in seguito (Cass. III, n. 339/1994) sembra far ritenere definitivamente abbandonata dalla Suprema Corte la soluzione opposta precedentemente seguita (Cass. III, n. 913/1988).

Vendita forzata in sede di esecuzione per espropriazione

Sulla base di argomenti analoghi a quelli utilizzati con riguardo al fallimento e alla cessione dei beni ai creditori, è stato affermato che, in caso di vendita all'asta, in sede di esecuzione forzata, dell'immobile locato ad uso diverso dall'abitazione, al conduttore di esso non spetta il diritto di prelazione (Cass. III, n. 11225/1996). Si legge nella pronuncia: «Questa Corte ha avuto modo di chiarire che il diritto di prelazione che l'art. 38 della l. n. 392/1978, riconosce al conduttore di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione, presuppone la volontarietà e l'onerosità dell'alienazione: ciò si evince chiaramente dalla formulazione letterale della norma, che impone l'obbligo di comunicazione esclusivamente al «locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato» (in conseguenza la prelazione è stata esclusa in caso di fallimento e di vendita coattiva dell'immobile da Cass. III, n. 3298/1984, e Cass. III, n. 2900/1990, o di concordato preventivo, con cessione dei beni ai creditori da Cass. III, n. 339/1994). La medesima ratio esclude che la prelazione competa nell'ipotesi di esecuzione forzata: la norma in esame non impone, del resto, alcun obbligo di dare comunicazione del trasferimento a carico del creditore procedente o del giudice dell'esecuzione. A nulla rileva, in proposito, l'inesistenza di una norma analoga a quella dettata, in materia di prelazione agraria, dall'art. 8, comma 2, della l. 26 maggio 1965, n. 590, che esclude espressamente la prelazione in caso di esecuzione forzata, una volta che la medesima conseguenza discende dalla formulazione dell'art. 38 della l. n. 392/1978».

Vendita all'asta in sede di divisione giudiziale

Parimenti, in materia di divisione giudiziale di immobile non comodamente divisibile, ai sensi dell'art. 720 c.c., contro l'attribuzione del bene al comproprietario avente diritto alla quota maggiore, il comproprietario per la quota minore, che gestisca nello stesso un esercizio commerciale, non può opporre la prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978, giacché detta disposizione, non suscettibile di interpretazione analogica od estensiva, presuppone la libera determinazione del proprietario-locatore di trasferire a titolo oneroso l'immobile (Cass. III, n. 9748/1991).

Osserva la Suprema Corte: «L'art. 38 della l. n. 392/1978 disciplina il diritto di prelazione, che la legge accorda al conduttore nel caso in cui il locatore trasferisce a titolo oneroso l'immobile locato. Si è voluto in tal modo proteggere il conduttore e, a parità di condizioni, preferirlo agli altri potenziali acquirenti. Risulta dal testo riportato che il vincolo imposto alla proprietà sorge unicamente, quando il locatore intende trasferire a titolo oneroso ... l'immobile in causa. Quello che caratterizza un tale trasferimento è la sua volontarietà. Conviene ricordare che, pure non pronunciandosi su un caso identico a quello presente, la Corte ha avuto in passato l'occasione di precisare l'ambito di applicazione della norma in esame. ... La Corte ha, in particolare sottolineato la libera determinazione del proprietario locatore di trasferire l'immobile ..., la piena libertà del proprietario nell'adottare le sue determinazioni ..., ha escluso ogni interpretazione analogica od estensiva della norma in esame, negando la sua applicazione in caso di permuta ... Lungi dal valore trasferire la sua proprietà (condizione per l'applicazione della disposizione citata), il S. intende porre fine alla comunione. La disposizione citata non è quindi applicabile ed il motivo va disatteso».

Viceversa, la giurisprudenza di merito ha talora ritenuto l'applicabilità della prelazione in caso di vendita all'asta susseguente a divisione giudiziale sulla considerazione che la vendita di immobili nel giudizio divisionale pur essendo un rimedio obbligato perché i comproprietari, ritenuta la non comoda divisibilità, possono realizzare la divisione pro quota, è e rimane pur sempre una vendita volontaria, una vendita cioè provocata dalla volontà degli stessi proprietari di addivenire alla divisione, mentre la formalità dell'incanto, prescritta dall'art. 720 c.c. solo a tutela dell'interesse dei condividenti, non vale certamente a porre costoro in una posizione pari a quella dell'esecutato nella vendita forzata (Trib. Ancona 13 febbraio 1981).

Ancora, il diritto di prelazione e quello di riscatto previsti rispettivamente dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 sono stati ritenuti compatibili con la natura pubblica dell'ente locatore (un ospedale), con gli scopi istituzionali perseguiti con la vendita dell'immobile locato e con la forma particolare dell'asta pubblica prescelta per la vendita (Pret. Varese 22 febbraio 1980).

Vendita di quote societarie

La cessione di quote della società locatrice – il principio è stato formulato dalla Suprema Corte con riguardo ad una società di persone – non è assimilabile al trasferimento a titolo oneroso dell'immobile oggetto di prelazione ai sensi dell'art. 38 della l. n. 392/1978, né alla diversa ipotesi della alienazione della quota in comproprietà dell'immobile che i comproprietari hanno concesso in locazione ad un terzo, atteso che:

i) la cessione della quota sociale non attribuisce al socio subentrato la proprietà di una porzione dei beni della società, ma gli attribuisce una quota del relativo patrimonio, comprensivo delle passività, dei crediti, dei rischi, della esposizione per le obbligazioni già contratte, nonché dei poteri di indirizzo e gestione dei programmi societari con le relative aspettative;

ii) continuando l'immobile locato ad appartenere alla società, non sono neppure ipotizzabili, in difetto di alienazione del bene, l'esercizio della prelazione e l'eventuale retratto, che non potrebbe rivolgersi né nei confronti della società, che non ha mai alienato il bene, né nei confronti del socio subentrante, che non ne è mai diventato proprietario (Cass. III, n. 4020/2001).

Le affermazioni che precedono sono state così motivate: «Se sussista il diritto di prelazione nel caso di cessione delle quote di una società di persone, nel cui patrimonio sia compreso l'immobile locato, è questione che, esaminata già da questo giudice di legittimità (Cass. III, n. 6566/1983) in materia di contratti agrari, è stata risolta in senso negativo. A riguardo si è, innanzitutto, osservato che il contenuto del contratto, con cui uno dei soci attribuisce ad altro socio la sua quota sociale, non è la trasformazione di quota di comunione in porzione di titolarità singola, ma è l'attribuzione al subentrante della titolarità della quota del socio uscente, nella quale la controprestazione della cessione di quota non è un corrispettivo pari al valore di una porzione dei beni comuni, ma costituisce il versamento di una somma corrispondente al valore della quota di patrimonio sociale, nella cui valutazione necessariamente vengono ad incidere, oltre le passività eventuali per operazioni pregresse e la esposizione per le obbligazioni già contratte, il subingresso in una posizione di rischio nonché l'acquisto dei crediti, del potere di indirizzo e di gestione dei programmi societari, di ogni altra aspettativa ad essi connessa. È stato, poi, rilevato che la prelazione ed il riscatto presuppongono un sinallagma contrattuale, in cui almeno una delle prestazioni sia di genere e fungibile; mentre nelle vicende modificatrici dell'assetto personale di una società – nelle quali, peraltro, il carattere non meramente patrimoniale degli accordi è improntato all'intuitus personae nella scelta dei contraenti – l'acquisto e la perdita dello status di socio, in connessione con il trasferimento delle quote, non possono essere considerati come oggetto di prestazioni di natura disindividualizzata e perciò fungibili. A ciò occorre aggiungere che nel caso di cessione di quote di società manca, comunque, un trasferimento, sia pure parziale, dell'immobile locato, il quale continua ad appartenere alla società, per cui non è neppure ipotizzabile l'esercizio della prelazione in difetto dell'alienazione del bene e diventa del tutto impossibile l'eventuale retratto, che non può rivolgersi nei confronti del socio cessionario delle quote, cui non si è trasferita la proprietà dell'immobile, né può essere diretto nei confronti della società, che non ha mai alienato la proprietà del bene. Le considerazioni innanzi richiamate in tema di prelazione agraria sono altrettanto valide in tema di prelazione urbana, data la indubbia identità di ratio cui sono improntate».

Per altro verso – ha osservato la Suprema Corte – la prelazione sussiste nel caso che il patrimonio sociale, venutosi a concentrare nelle mani di un unico soggetto attraverso la cessione della totalità delle quote, sia costituito unicamente dall'immobile locato: «La questione circa la sussistenza della prelazione nel caso di cessione ed acquisto della totalità delle quote di una società proprietaria dell'immobile locato, che questa Corte ha affrontato ed ha variamente risolto ..., può riguardare la sola ipotesi in cui il patrimonio sociale è costituito dall'unico immobile locato e nella quale sono possibili fenomeni di simulazione negoziale diretti ad escludere il diritto del conduttore. Nel caso di specie ... l'immobile locato non esauriva il patrimonio sociale della società ... per cui, costituendo esso solo una entità non autonoma di un più vasto complesso di beni, anche non omogenei, strutturalmente e funzionalmente coordinati all'esercizio della più complessa attività turistica, e ricreativa nella universalità dell'azienda commerciale, il diritto di prelazione resta escluso nella prevalente considerazione che non sussiste identità tra l'immobile locato ed il bene oggetto dell'acquisto, consistente in un più vasto complesso unitario».

Già in precedenza si era sostenuto, da parte dei giudici di legittimità, che non sussiste il diritto di prelazione e di riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 qualora vengano trasferite quote ideali dell'edificio in cui è ubicato l'immobile locato, attraverso la cessione del pacchetto azionario o di frazione del capitale della società cui appartiene lo stabile, oppure attraverso l'assegnazione ai soci di quote del patrimonio della società in liquidazione, o attraverso la liquidazione della quota in favore del socio recedente (Cass. III, n. 6256/1983), mentre, nella giurisprudenza di merito, si era affermato che il diritto di prelazione non sussiste nel caso di cessione, anche nella loro totalità, delle quote della società di persone nel cui patrimonio è ricompreso l'immobile (Trib. Genova 17 gennaio 1984); che, dovendo il diritto di prelazione essere esercitato sul bene immobile condotto in locazione, esso non compete nel caso di vendita di quote societarie, concernenti quote aritmetiche di beni indivisi, giacché queste costituiscono un «oggetto» diverso rispetto a quello considerato dal legislatore (Trib. Milano 28 dicembre 1981); che, in considerazione della ratio posta a fondamento dell'istituto della prelazione, nel concetto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, ricade anche l'ipotesi di cessione dell'intero pacchetto delle quote od azioni della società proprietaria dell'immobile (Pret. Roma 5 dicembre 1981); che, in caso di trasferimento di tutte le quote o azioni di una società proprietaria di immobile, non si ha trasferimento di proprietà dell'immobile stesso poiché, seppure in senso economico mutano le persone fisiche che attraverso la proprietà delle quote o delle azioni sono proprietarie dell'immobile stesso, quest'ultimo rimane formalmente di proprietà dell'ente societario, con conseguente inapplicabilità dell'istituto della prelazione (Trib. Roma 30 aprile 1981).

La cessione integrale del pacchetto azionario, inoltre, è stata ritenuta non equiparabile al trasferimento della proprietà dell'immobile neppure nel caso di società inoperante da lungo tempo «Il fenomeno della cessazione di fatto dell'impresa collettiva, quando rimanga tuttavia in vita la struttura societaria (c.d. società di comodo) rimane privo, nell'attuale sistema normativo ... Va, pertanto, in ogni caso negata ai terzi interessati l'azione diretta all'accertamento dell'effettiva cessazione dell'impresa collettiva come pretesa causa di scioglimento della società, quando nulla esclude che l'attività conforme all'oggetto sociale possa riprendere pur dopo un periodo, benché assai protratto, di quiescenza» (così Cass. III, n. 7209/1998). Ciò è stato affermato in un caso in cui l'intero pacchetto azionario di una società, rappresentativo del patrimonio sociale costituito esclusivamente da due immobili locati, era stato interamente ceduto: la Suprema Corte, sulla base dell'enunciato principio, ha respinto la tesi del conduttore di quegli immobili, il quale sosteneva che la cessione doveva essere considerata alla stregua di una vendita di immobili, sicché a lui competeva la prelazione urbana.

Fusione per incorporazione

La fusione per incorporazione di una società proprietaria di un determinato immobile in altra società, secondo un giudice di merito, non comporta trasferimento a titolo oneroso dell'immobile suddetto, sicché non dà luogo all'esercizio del diritto di prelazione da parte del conduttore (Trib. Milano 28 dicembre 1981).

Assegnazione dei beni al socio per recesso o liquidazione. Cessione agevolata

Il caso dell'assegnazione dell'immobile locato da parte della società al socio, in caso di recesso o di liquidazione, è stato oggetto di esame da parte di una decisione della Suprema Corte, la quale ha escluso la sussistenza del diritto: «Il diritto di prelazione è, nel caso in esame, escluso anche perché i quattro atti suindicati non sono trasferimenti a titolo oneroso. Invero, le assegnazioni fatte agli azionisti, in sede di liquidazione delle società per azioni, di quote del patrimonio sociale ovvero – nel caso di concentrazione in un solo soggetto dell'intero pacchetto azionario – di tutto il patrimonio residuo non possono qualificarsi trasferimenti a titolo oneroso, sia che il procedimento previsto dalla legge abbia natura di operazioni divisionale (che, peraltro, e riconoscibile solo dello scioglimento di società di persone), sia che si ravvisi la successione dei singoli azionisti al ente nella titolarità dei beni a ciascuno assegnati, sia che si tratti di «devoluzione» di parti uno di tutto il suo patrimonio ai soci (artt. 31 c.c.) in forza di un diritto di credito di questi verso la società in liquidazione, fondato sul disposto dello statuto speciale. E lo stesso è a dirsi dei trasferimenti di beni effettuate a titolo di liquidazione della quota in favore del socio deceduto da una società a responsabilità limitata» (così Cass. III, n. 6256/1983).

È stato di recente affermato che, in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, l'istituto della prelazione e quello del riscatto, contemplati dall'art. 38 della l. n. 392/1978, non si applicano al caso in cui una società di persone abbia ceduto in via agevolata, ai sensi dell'art. 1, commi 115-120 della l. n. 208/2015, ai propri soci l'immobile concesso in locazione, avendo il legislatore plasmato l'atto di trasferimento oneroso per renderlo idoneo ad una vera e propria causa tributaria (parziale sgravio fiscale) che viene affiancata, quale specialità del negozio, all'ordinaria causa di compravendita (Cass. III, n. 24223/2019). La pronuncia osserva quanto segue: «Anzitutto ... è opportuno chiarire che non è affatto risolutiva, e neppure pertinente, la giurisprudenza di questa Suprema Corte relativa alla interpretazione del concetto di atto di trasferimento a titolo oneroso cui si rapportano la l. n. 392/1978, artt. 38 e 39. Il giudice di prime cure invoca, per affermare l'applicabilità del dispositivo prelazione/riscatto solo alla compravendita dell'immobile locato, Cass. III, n. 6867/2003, per cui l'istituto della prelazione e quello del riscatto, contemplati dalla l. n. 392/1978, art. 38 per il caso di “trasferimento a titolo oneroso del bene locato”, costituendo limitazioni delle facoltà del proprietario, non sono estensibili in via analogica, e pertanto trovano applicazione nella sola ipotesi di vendita dell'immobile locato, e non anche nell'ipotesi della permuta, all'interno della quale manca anche la possibilità, per il conduttore, di offrire condizioni esattamente uguali a quelle comunicategli". A sua volta, il secondo giudice, oltre a tale arresto, ne invoca altri (Cass. III, n. 14455/2006; Cass. III, n. 12230/2012; Cass. III, n. 710/2014) per sostenere che il trasferimento a titolo oneroso deve intendersi “ordinaria compravendita”. La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha invero rimarcato che il trasferimento a titolo oneroso non può consistere in negozi, appunto, non qualificabili compravendita (v., tra le altre, Cass. III, n. 8567/2012, per cui la l. n. 392/1978, art. 38 non attribuisce al conduttore “il diritto di prelazione nel caso di trasferimenti effettuati con negozi diversi dalla compravendita”; e v. pure Cass. III, n. 15813/2055), escludendo pertanto il diritto di prelazione del conduttore, per esempio, nelle ipotesi di permuta (oltre alla già citata Cass. III, n. 6867/2003, v. Cass. III, n. 5519/1991, Cass. III, n. 14455/2006 e Cass. III, n. 16853/2007, quest'ultima significativamente evidenziando che la permuta impedisce al retraente “la possibilità di offrire condizioni uguali a quelle comunicategli dal locatore”) e in quelle di conferimenti nel capitale di società (v. le già citate Cass. III, n. 12230/2012 e Cass. III, n. 710/2014). Tutto questo, peraltro, qui non rileva, giacché la “cessione” di un immobile della quale si tratta, anche se è effettuata, come si vedrà infra, da parte di soggetti predeterminati e a soggetti predeterminati, rientra senza dubbio nel trasferimento a titolo oneroso, poiché il suo paradigma include l'ineludibile presenza di un corrispettivo a fronte del bene trasferito. E tuttavia, come si verrà a constatare, tale indiscutibile qualifica del negozio come trasferimento a titolo oneroso non risolve la questione in esame. La l. n. 392/1978, art. 38 configura il diritto di prelazione, in generale, “nel caso in cui il locatore intenda trasferire al titolo oneroso l'immobile locato”: peraltro, la generalità è relativizzata nell'ultimo comma (“Le norme del presente articolo non si applicano nelle ipotesi previste dall'art. 732 c.c., per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nell'ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado”). L'art. 39 regola, poi, gli effetti del mancato rispetto dell'articolo precedente. Quindi, in contrasto con quanto si è visto asserire nel primo motivo di ricorso, già nell'art. 38 il dispositivo prelazione/riscatto trova confine in un “riferimento alla figura soggettiva del compratore”. La l. n. 208/2015, art. 1 disciplina l'istituto della cessione agevolata – come già si è detto – nei commi 115-120. Il comma 115, allora, indica quali soggetti si possono avvalere dell'istituto, circoscrivendoli alle “società in nome collettivo, in accomandita semplice, a responsabilità limitata, per azioni e in accomandita per azioni”; e stabilisce che tali società, se entro il 30 settembre 2016 “assegnano o cedono ai soci beni immobili” non qualificabili in quelli indicati dal d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 43, comma 2, primo periodo, (ovvero immobili che ai fini delle imposte dei redditi si considerano strumentali), “o beni mobili iscritti in pubblici registri non utilizzati come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa”, possono applicare i “commi dal presente al comma 120” purché tutti i soci siano iscritti nel libro dei soci, ove prescritto, il 30 settembre 2015 o siano iscritti entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge per titolo di trasferimento con data certa anteriore al 1 ottobre 2015. Tutto questo si applica pure “alle società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione dei predetti beni e che entro il 30 settembre 2016 si trasformano in società semplici”. Il comma 116 regola un'agevolazione consistente in “un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive”. Il comma 117 stabilisce che su richiesta della società il valore normale degli immobili può essere determinato in una misura agevolante, come illustra nella prima parte; e nella seconda prevede un'ulteriore agevolazione in caso di cessione sul valore del bene ai fini della determinazione dell'imposta sostitutiva. Il comma 118 ancora avvantaggia sul piano tributario sia in riferimento al costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute dai soci delle società trasformate sia in riferimento ai soci assegnatari. Il comma 119 dimezza per le assegnazioni e le cessioni soci le aliquote dell'imposta proporzionale di registro eventualmente applicabili e stabilisce l'applicazione in misura fissa delle imposte ipotecarie e catastali. Il comma 120, infine, regola le modalità di versamento dell'imposta sostitutiva per “le società che si avvalgono delle disposizioni di cui ai commi da 115 a 118”. È evidente come l'istituto della cessione agevolata sia stato configurato quale uno strumento di parziale sgravio fiscale, riconducibile, seppur lato sensu, al paradigma del condono, vista la breve predeterminata durata di fruibilità (nove mesi) di tale dispositivo: la ratio normativa è facilmente identificabile, in effetti, nella eliminazione delle cosiddette società di comodo – le società, cioè, cui formalmente i soci intestano il loro patrimonio di immobili o di beni mobili registrati, per giovarsene elusivamente sul piano fiscale – e comunque nella depurazione dei patrimoni sociali comprendenti davvero beni strumentali dalla compresenza, nelle società effettivamente attive, anche di beni estranei all'attività da esse svolta. Il legislatore ha incentivato questa ricollocazione conforme alla natura e all'utilizzo dei beni formalmente inseriti nel patrimonio delle società con un favor in termini di agevolazione fiscale, chiaramente esternato dalla normativa di cui si è appena riassunto il contenuto. Se, allora, è vero che il contratto di cessione dei beni dalle società ai soci è un trasferimento a titolo oneroso, ed è altrettanto vero che non rientrano nel regolamento negoziale determinato dalle parti le peculiarità fiscali che ad esso vengono applicate se sono correttamente rispettati i presupposti della l. n. 208/2015, art. 1, commi 115-120, che, non a caso, è la legge di stabilità del 2016, non può però sostenersi che l'agevolazione fiscale sottesa a questo specifico dispositivo sia davvero esterna/estranea alla formazione della volontà negoziale delle parti. Al contrario, le parti fruiscono del dispositivo – non a caso, si ripete, utilizzabile soltanto per nove mesi – per ottenere quel che è insito nel peculiare paradigma tributario che il legislatore per esso ha configurato: e si comprende, allora, la ragione per cui il legislatore ha scelto espressamente le parti di questo speciale negozio; e non solo le parti, ma altresì l'oggetto del negozio. Il legislatore, invero, ha “prefabbricato” il negozio della cessione agevolata nei suoi elementi strutturali soggettivi ed oggettivi, determinando tanto quale genere di soggetto poteva essere il cedente, quanto quale genere di soggetto poteva essere il cessionario, quanto infine quale genere di beni poteva essere oggetto della cessione. Come inserire, allora, in una specifica struttura prefabbricata un dispositivo generale la cui applicazione viene ineludibilmente a “smontare” una porzione della struttura imposta dal legislatore? Ciò costituirebbe una interpretazione della normativa del 2015 che giungerebbe a svuotarne la ratio, fuoriuscendo appunto dall'interesse del legislatore per ritornare alla situazione normativa antecedente al suo intervento: inversione, questa, di quel fondamentale principio conservativo che sempre deve governare l'ermeneutica, id est inversione che, ineludibilmente, porta a schiacciare la specificità dei singoli istituti. La questione, dunque, non si dirime in base alla mera definizione del negozio come trasferimento a titolo oneroso, quale effettivamente è; la soluzione, invero, si rinviene più profondamente nella peculiare struttura del negozio oneroso, ed appalesa come è il legislatore che plasma l'atto di trasferimento oneroso per renderlo idoneo ad una vera e propria causa tributaria che viene affiancata, quale specialità del negozio, alla ordinaria causa della compravendita. Idoneo a consentire la realizzazione di tale funzione economico-giuridica non può essere, allora, l'inserimento di un cessionario qualunque, ma esclusivamente il genere di cessionario che si è visto essere indicato direttamente dal legislatore del 2015. Il diritto di prelazione da parte del conduttore dell'immobile non è allora compatibile con la cessione agevolata, per quanto sopra osservato; e deve quindi concludersi nel senso che tale diritto non sussiste nella fattispecie in esame, né – conseguentemente – sussiste il correlato diritto di riscatto. Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, la peculiarità della questione giuridica – che non a caso ha generato difformi pronunce da parte dei giudici di merito – giustificando la compensazione delle spese processuali».

Conferimento dell'immobile in società

Qualora un locatore effettui il conferimento in proprietà ad una società dell'immobile urbano locato non sussistono i diritti di prelazione e di riscatto previsti dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 in favore del conduttore dell'immobile medesimo, non essendo in tal caso configurabile un «trasferimento a titolo oneroso» ai sensi dell'art. 38, comma 1, citato: «Militano in favore della tesi dell'inapplicabilità degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 all'ipotesi di conferimento del bene in proprietà ad una società da parte del locatore, sia la lettera che la ratio di tali norme. Quanto alla lettera basta rilevare che, anche se il primo comma dell'art. 38 parla genericamente di trasferimento «a titolo oneroso», nei commi successivi si parla di compravendita e di «prezzo di acquisto». Quanto alla ratio si osserva: A) che il legislatore ha ritenuto di dover sacrificare nella fattispecie il diritto del locatore-alienante di poter scegliere il compratore di suo piacimento; ma non anche il suo diritto di scelta in ordine al tipo di contratto ed all'oggetto del medesimo (ed in particolare in ordine alla natura ed all'entità della controprestazione richiesta); B) che la natura e la disciplina dei due istituti giuridici in questione (prelazione e riscatto nell'ambito delle locazioni di immobili urbani) chiaramente presuppongono: a) che il locatore-venditore abbia la possibilità di offrire il bene al titolare del diritto di prelazione prima che al terzo chiedendo e ottenendo in ogni caso la medesima controprestazione e le medesime condizioni (è significativo che nel comma 2 dell'art. 38 si parli, oltre che del corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro anche delle altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e si affermi che il conduttore deve offrire condizioni uguali); presuppongono cioè che tale titolare del diritto di prelazione possa offrire al locatore-venditore la medesima controprestazione e le medesime condizioni; il che appare impossibile nel caso di conferimento in proprietà, che è un trasferimento senza una controprestazione in denaro (e relativamente al quale non è configurabile una controprestazione fungibile) e correlato alla qualità di socio; b) che il conduttore, allorquando decide di esercitare il diritto di riscatto, possa concretamente subentrare nella stessa ... posizione giuridica del terzo (cosa non ipotizzabile se il terzo è una società che ha ricevuto un conferimento)» (così Cass. III, n. 9592/2000).

Il principio, del resto, appare in armonia con l'affermazione, resa in materia agraria, che il conferimento di un fondo rustico in una società di capitali non implica prelazione e riscatto in favore dell'affittuario, in quanto, configurando un trasferimento privo di controprestazione in denaro e correlato all'acquisto della qualità di socio sulla base di negozio intuitu personae, non è assimilabile ai contratti di scambio di cui all'art. 8 della l. 26 maggio 1965, n. 590 (Cass. III, n. 7039/1992; Cass. III, n. 8458/1991). Tant'è che la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso avanzato dal conduttore di un immobile che lamentava la violazione del diritto di prelazione in relazione alla mancata comunicazione del trasferimento immobiliare effettuato tramite conferimento in proprietà ad una società, ha ribadito che, in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, il diritto di prelazione e quello di riscatto, previsti dagli art. 38 e 39 della l. n. 392/78, sussistono soltanto nel caso in cui il trasferimento a titolo oneroso del bene locato sia realizzato mediante una compravendita. Deve, pertanto, escludersi un'applicazione estensiva o analogica di tali istituti, che, costituendo limitazioni della facoltà del proprietario, non sono applicabili ad ipotesi non previste dalle disposizioni normative (Cass. III, n. 23856/2008).

Ed il medesimo principio, con riguardo all'art. 38 della l. n. 392/1978, risulta condiviso dalla giurisprudenza di merito (Trib. Treviso 22 aprile 1982; Trib. Napoli 3 novembre 1981).

Permuta

In un primo tempo, la Suprema Corte ha affermato che il diritto di prelazione in favore del conduttore di immobili urbani destinati ad uso non abitativo non sussiste nel caso di permuta: «L'art. 38 della l. n. 392/1978, dopo aver premesso al comma 1 che il diritto di prelazione può essere esercitato nell'ipotesi di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, al secondo comma, nel prescrivere le formalità necessarie per il valido esercizio del diritto, si riferisce esclusivamente alla compravendita, termine questo che trova riscontro nel comma 4, allorché vengono disciplinate le modalità per il versamento del prezzo di acquisto. Trattasi di termini di chiaro significato, i quali indicano l'intento di restringere l'ambito della prelazione, e quindi del correlativo riscatto, alle ipotesi di vendita dell'immobile locato. Va aggiunto che gli istituti della prelazione e del riscatto costituiscono limitazioni delle facoltà del proprietario, normalmente nel pieno diritto di disporre liberamente dei propri beni; di conseguenza non sono ipotizzabili interpretazioni analogiche od estensive del testo di legge. Così delimitato l'ambito di applicazione delle norme sulla prelazione e sul riscatto, ogni altra questione dedotta nel ricorso va ritenuta assorbita, non senza rilevare, come giustamente osserva l'impugnata sentenza, che in ogni caso, nell'ipotesi di permuta, il conduttore non potrebbe mai offrire condizioni «eguali» a quelle offerte dal terzo permutante, non essendo in grado di offrire il bene da costui dato in cambio, per la semplice ragione che di quel bene egli non è proprietario: e l'art. 38 invece prescrive che il conduttore deve offrire condizioni eguali a quelle comunicategli» (così Cass. III, n. 205/1988).

Successivamente, la Suprema Corte ha in parte modificato il proprio indirizzo, precisando che il diritto di prelazione del conduttore di immobile non abitativo, previsto dall'art. 38 della l. n. 392/1978, per il caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, non è estensibile, in difetto di una espressa previsione normativa, al caso della permuta, ove la controprestazione abbia ad oggetto beni non fungibili: «Se si ha riguardo alla formulazione letterale delle disposizioni contenute nell'art. 38, il trasferimento dipendente da permuta non potrebbe essere escluso dall'ambito di applicazione della legge e ciò sia perché, nel primo comma, si parla di trasferimento a titolo oneroso e tale quello attuato attraverso il contratto di permuta, sia perché, nel comma 2, da un lato è disposto che nella comunicazione va indicato un corrispettivo da quantificare in ogni caso in danaro, dall'altro, appunto perché il corrispettivo che andrà prima offerto (comma 3) e poi pagato come prezzo dal conduttore (comma 4) dovrà essere espresso anch'esso in danaro, è fatta menzione delle condizioni alle quali la compravendita andrebbe conclusa e... tali condizioni sono da riferire non al trasferimento progettato dal locatore, ma alla compravendita che il conduttore dovrà concludere con il locatore ove scelga di avvalersi del diritto di prelazione. Per questa parte, dunque, l'itinerario argomentativo seguito da precedente sentenza della Corte ... non appare poter essere ancora seguito. Va tuttavia osservato che, quante volte il locatore progetti un trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato attraverso un negozio di permuta, l'intento pratico che egli intende conseguire è rappresentato dall'acquisto di un altro determinato bene (ed il caso di specie è emblematico, giacché il progettato trasferimento era volto ad acquisire altra quota d'un bene in parte già posseduto). Considerare operante in questo caso il diritto di prelazione non significa soltanto scontare la normale irrilevanza, in rapporto all'interesse dell'alienante, delle qualità soggettive dell'obbligato a corrispondere la prestazione fungibile costituita da un prezzo, ma da un lato sostituire all'equilibrio tra le prestazioni affidato alla valutazione delle parti un equilibrio basato su una determinazione giudiziale dell'equivalente economico del bene ceduto, dall'altro sostituire una causa ad un'altra, così costringendo il proprietario del bene a realizzare un intento diverso da quello, in funzione del quale egli si è determinato a progettare il trasferimento del proprio bene. La Corte è dell'avviso che una siffatta più radicale compromissione dell'autonomia privata avrebbe richiesto un'esplicita formulazione da parte della legge. D'altro canto, come è stato osservato in dottrina, è possibile attribuire alla disposizione contenuta nel comma secondo dell'art. 38 (nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo da quantificare in ogni caso in denaro) la portata di norma intesa a circoscrivere l'estraneità della permuta al meccanismo della prelazione, in modo da ricomprendervi i casi di controprestazione avente ad oggetto beni fungibili».

Prelazione del coerede

Per effetto della disposizione contenuta nell'art. 38, ultimo comma, della l. n. 392/1978 il diritto di prelazione spettante al conduttore non trova applicazione nelle ipotesi previste dall'art. 732 c.c. e quindi anche nel caso in cui il coerede alieni a persona estranea alla comunione ereditaria la sua quota o parte di essa, prevalendo il diritto di prelazione attribuito, dalla citata disposizione del codice civile, ai coeredi (Cass. III, n. 3629/1990; Cass. III, n. 5387/1999, e, nella giurisprudenza di merito, App. Napoli 10 aprile 1996).

Osserva la Suprema Corte: «L'art. 38 della l. n. 392/1978, dopo aver stabilito che al conduttore di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione spetta il diritto di prelazione nei confronti del locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, e dopo aver precisato inoltre le modalità della denuntiatio a carico del locatore, e dell'esercizio del diritto da parte del conduttore, dispone testualmente all'ultimo comma: “Le norme del presente articolo non si applicano nelle ipotesi previste dall'art. 732 c.c. per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nella ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado”. Orbene, poiché l'art. 732 c.c. – che interessa nella fattispecie – contempla il caso del coerede che intenda alienare ad un estraneo la sua quota o parte di essa, attribuendo il diritto di prelazione agli altri coeredi, risulta chiaro che l'esclusione della prelazione prevista dall'ultimo comma dell'art. 38 della l. n. 392/1978, in relazione all'art. 732 c.c., non riguarda ... l'ipotesi di cessione tra coeredi, ma proprio l'alienazione della quota ereditaria ad un terzo; e che il legislatore dell'equo canone ha risolto il conflitto fra due categorie di soggetti preferiti (coeredi e conduttori) facendo prevalere i coeredi al fine di assicurare ancora una volta la finalità perseguita dall'art. 732 c.c., che è quella di impedire l'ingresso di persone estranee nella comunione ereditaria» (così Cass. III, n. 3629/1990).

Il diritto di prelazione non riprende vigore neppure nel caso di mancato esercizio o di estinzione del diritto di prelazione del coerede in quanto – secondo la Suprema Corte – l'alienazione di una quota ereditaria, o di una sua frazione, comunque ne sia indicato l'oggetto, importa il trasferimento della situazione giuridica dell'alienante della comunione ma non determina il trasferimento all'acquirente dell'immobile locato caduto in successione: «Sostiene il ricorrente che ... il legislatore ha inteso coordinare in un ... rapporto di gerarchia i pari diritti di prelazione dalle diverse disposizioni attribuiti a coeredi e a conduttori in locazione, garantendo ai primi la prioritaria soddisfacibilità del loro diritto e subordinando al mancato relativo esercizio o alla relativa estinzione quello del conduttore. Simile tesi appare destituita di fondamento. Per un verso, invero, la relativa indiscriminata unitaria previsione sembra presupporre ... l'assoggettamento dei diversi casi considerati a comune disciplina, tal che il carattere definitivo e incondizionato, di evidente certezza, del sacrificio della posizione del conduttore rispetto ai trasferimenti disposti dal locatore nell'ambito familiare, deve ritenersi ricorre anche nella ulteriore ipotesi della prelazione dei coeredi: e tanto più ciò sembra doversi ritenere a ragione della patente incompatibilità ... del consentito esercizio del riscatto da parte del conduttore o dei coeredi, legittimato da violazione del rispettivo diritto di prelazione. Per altro verso, poi, ... al conduttore ... è attribuito il diritto di prelazione ... per il caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato; mentre ai coeredi quel diritto compete in caso di alienazione da altro coerede disposta a favore di estranei alla comunione ereditaria, della sua quota, o di parte della sua quota, di partecipazione a tale comunione. Ora, l'alienazione di una quota di eredità, o di una sua frazione, quand'anche disposta con formale riferimento a una specificata pluralità di beni ovvero a un singolo bene che la comunione ereditaria ha ad oggetto, assunti a entità rappresentativa della quota o di una sua parte per cui è data prelazione ai coeredi, non integra, e non comporta, il trasferimento all'acquirente dei beni o del bene considerati negozialmente, che è presupposto della prelazione del conduttore, tale che al riguardo possa configurarsi conflitto tra diversi oggetti aventi pari diritto al medesimo acquisto preferenziale: ma è invece un trasferimento il cui oggetto può, icasticamente, identificarsi nella (totale o parziale) situazione giuridica spettante all'alienante nella comunione, nei confronti dei coeredi e dei terzi, per cui l'acquirente viene a partecipare alla comunione ereditaria in proporzione alla entità della quota o frazione di quota acquistata, con ogni connesso diritto ed obbligo, in particolare con pari diritto su tutti e ciascuno dei beni che costituiscono l'asse, specificabile in via definitiva soltanto per effetto di divisione. Il trasferimento oneroso di quota, o parte di quota, di una eredità, o comunione ereditaria, pertanto, comunque ne sia tra i contraenti enunciato l'oggetto, non è trasferimento dello immobile locato ricadente nella successione e nella comunione: sì che la sua attuazione non vale a integrare il presupposto che per legge condiziona l'insorgenza del diritto di prelazione del conduttore» (Cass. III, n. 3466/1988).

Trasferimento in favore del coniuge o dei parenti

La disposizione dell'ultimo comma dell'art. 38 della l. n. 392/1978, secondo cui la prelazione non si applica «nella ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado», non trova applicazione ove lo stesso conduttore sia anch'egli parente entro il secondo grado, ripristinandosi in tal caso il favor del conduttore che ispira l'istituto della prelazione urbana.

«La ratio dell'istituto della prelazione va ravvisata nella tutela dell'interesse dei conduttori di immobili non abitativi a consolidare, nello stesso soggetto, la proprietà dell'immobile e la titolarità dell'impresa, anche al fine della conservazione delle aziende. Tale intesse va escluso solo in presa di altra causa di prelazione legale (il retratto successorio ex art. 732 c.c.) o con riguardo al principio di solidarietà familiare fra congiunti stretti (coniuge e parenti entro il secondo grado); con particolare riferimento a quest'ultima ipotesi, ove il bene venga trasferito ad un prossimo congiunto, l'interesse dell'acquirente viene privilegiato rispetto a quello del conduttore estraneo al nucleo familiare. Ma se questo è il senso della disposizione ... allora l'esclusione della prelazione di cui al citato ultimo comma dell'art. 38 viene meno ove anche il conduttore sia parente entro il secondo grado, appunto perché nei suoi confronti non c'è più motivo per privilegiare la solidarietà, affettiva ed economica, del nucleo familiare ... In tema di trasferimento degli immobili locati ad uso non abitativo, la ratio legis va identificata nel favor conductoris che, venuto meno allorché l'acquisto viene effettuato a vantaggio di uno stretto congiunto, riprende pieno vigore allorché il conduttore sia anch'egli congiunto di pari grado. Insomma, a parità di parentela, il conduttore in quanto tale mantiene il pieno diritto di prelazione, non sussistendo più la ragione impeditiva di cui all'ultimo comma dell'art. 38» (così Cass. III, n. 4259/1991).

Se, però, un immobile, adibito ad uso diverso dall'abitazione, condotto in locazione da una società di persone è venduto da un fratello ad un altro, non solo non sussiste, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 38 della l. n. 392/1978 il diritto di prelazione a favore del conduttore, ma neppure il favor verso di questo si ripristina se la titolarità della società è di un altro fratello del venditore, perché comunque le società, pur se di persone, sono soggetti giuridici distinti dai soci che le compongono o rappresentano, e perciò con propria denominazione, riconosciuta dall'ordinamento, e capaci di divenire titolari di proprie situazioni giuridiche: «La ricorrente deduce che la corte d'appello ha erroneamente negato la sussistenza del diritto di prelazione e riscatto a favore della società, i cui soci erano, al pari dell'acquirente, fratelli dell'alienante. Invoca, al riguardo, una pronuncia di questa Suprema Corte, secondo la quale la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 38 della l. n. 392/1978 – che nega il diritto di prelazione nell'ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado – non trova applicazione ove lo stesso conduttore sia anch'egli parente entro il secondo grado, ripristinandosi in tal caso il favor verso il conduttore che ispira l'istituto della prelazione (Cass. III, n. 4259/1991). Il motivo non è fondato. Il principio affermato dalla suindicata decisione concerne l'ipotesi in cui il conduttore pretermesso sia anch'egli parente dell'alienante. Nella specie, per converso, la qualità di conduttore spetta alla S.n.c. O.B.C., che è soggetto di diritto distinto dalle persone dei soci, sicché non rileva che questi ultimi siano parenti dell'alienante. Ed infatti, anche alle società di persone, nonostante la loro non perfetta autonomia patrimoniale in relazione alle previsioni degli artt. 2267, 2268 e 2304 c.c. in materia di responsabilità personale dei soci per le obbligazioni sociali, va riconosciuta la soggettività giuridica e quindi la titolarità di situazioni giuridiche distinte da quelle facenti capo alle persone fisiche dei soci singolarmente o cumulativamente considerati, a norma dell'art. 2266, comma 1 c.c. secondo cui la società acquista i diritti ed assume le obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio in persona dei medesimi, e delle disposizioni che riconoscono a tali società un proprio nome, utilizzabile anche in sede di trascrizione degli acquisti immobiliari, ai sensi dell'art. 2659 c.c. nel testo novellato» (così Cass. III, n. 3626/1997).

Altre ipotesi

Non risulta essersi mai posto, con riguardo alla prelazione urbana, il problema della sua sussistenza in caso di donazione, risolto in senso negativo con riguardo alla diversa ipotesi di prelazione legale prevista dall'art. 732 c.c. da Cass. III, n. 486/1953. La questione ha senz'altro da essere risolta anche in questo caso in senso negativo, sol che si consideri che l'art. 38 della l. n. 392/1978 si riferisce al trasferimento dell'immobile locato a «a titolo oneroso».

Suscita dubbi, invece, il caso del negotium mixtum cum donatione «non apparendo sufficiente affermarne la natura prevalentemente onerosa, ma dovendosi aver riguardo ... al criterio della prevalenza causale» (Cosentino, Vitucci, 477).

Secondo altri, tale soluzione manca di qualsiasi supporto normativo, mentre l'esclusione della prelazione in caso di negotium mixtum cum donatione deriva comunque dalla rilevanza – quale che sia la configurazione che voglia darsi a un negozio – dell'intuitus personae (Triola, 200).

Con riguardo alla vendita con patto di riscatto, la Suprema Corte ha implicitamente ammesso la sua compatibilità con il sorgere del diritto di prelazione osservando che: «Nella prelazione urbana disciplinata dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, ove, in presenza di una comunicazione da parte del locatore di tutte le condizioni di vendita dell'immobile locato, il conduttore non eserciti il diritto di prelazione, lo stesso non può essere ammesso ad esercitare il diritto di riscatto, una volta, che, seguita la vendita al terzo alle condizioni comunicate, tra cui quella del patto di riscatto a favore del venditore, questi, in prosieguo, rinunci al suo esercizio, non comportando tale evento, che incide soltanto sul successivo rapporto derivante dal contratto di vendita, ma non su questo, né sul suo effetto reale, il risorgere del diritto di prelazione, definitivamente precluso per effetto del suo mancato esercizio» (Cass. III, n. 3434/1989).

Da altri, si ritiene, però, che la vendita con patto di riscatto sia incompatibile con la prelazione legale in quanto tale negozio si presta a scoraggiare e a vanificare l'eventuale acquisto da parte del soggetto preferito, non essendo sufficiente affermare, in senso contrario, che la fattispecie programmata dalle parti ha idoneità a determinare l'effetto traslativo in vista del quale la legge riconosce il diritto di prelazione, in quanto nel caso di mancato esercizio del riscatto convenzionale il bene venduto resta definitivamente acquisito a favore dell'acquirente (Triola, 188).

Neppure risulta che la Suprema Corte si sia mai pronunciata sulla questione se dia luogo a prelazione la datio in solutum, questione da risolversi in senso negativo sulla considerazione che essa ha per scopo il solvere, l'estinzione, cioè, di una precedente obbligazione, risultato che non si otterrebbe qualora, riconoscendo il diritto di prelazione, il trasferimento dovesse avvenire in favore di un soggetto diverso dal creditore (Triola, 189).

Sembra infine da escludere il sorgere della prelazione in caso che il trasferimento dell'immobile locato avvenga nel quadro di un accordo transattivo (v., con riguardo alla prelazione del coerede, Cass. III, n. 348/1957; con riguardo alla prelazione agraria, Cass. III, n. 3283/1984).

Il funzionamento della prelazione

Si è già visto che l'art. 38 della l. n. 392/1978, nei primi due commi, stabilisce che il locatore deve comunicare al conduttore l'intenzione di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato mediante atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario e che tale atto deve contenere l'indicazione del corrispettivo, da quantificarsi in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita deve essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.

La disposizione ha suscitato numerose questioni da esaminare una per volta.

Natura della denuntiatio

La natura della denuntiatio, ossia della comunicazione che il locatore deve rivolgere al conduttore in vista dell'esercizio del diritto di prelazione, ai sensi dell'art. 38, comma 1, della l. n. 392/1978, è stata oggetto di discussione che ha visto confrontarsi, semplificando e sintetizzando, tre diverse opinioni:

a) l'opinione secondo cui la denuntiatio ha natura di proposta contrattuale, mentre la dichiarazione di esercizio della prelazione costituisce accettazione della proposta;

b) l'opinione secondo cui la denuntiatio ha funzione di mera notizia, mentre la dichiarazione di esercizio della prestazione costituisce proposta contrattuale;

c) l'opinione secondo cui la denuntiatio costituisce ottemperanza ad un obbligo legale strumentale all'esercizio del diritto potestativo del conduttore di determinare unilateralmente l'acquisto, in proprio favore, della proprietà dell'immobile locato.

Secondo il primo indirizzo, l'accettazione, da parte del titolare del diritto di prelazione, determina l'automatica conclusione del contratto secondo il meccanismo di cui all'art. 1326 c.c. (Cass. III, n. 6256/1983). Seguendo questa impostazione, la comunicazione al conduttore delle condizioni di vendita, effettuata ai sensi dell'art. 38 della l. n. 392/1978 dal proprietario-locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile adibito ad attività imprenditoriale, ha natura negoziale e dà luogo, ove il conduttore eserciti la prelazione accettando le condizioni comunicategli, ad un contratto preliminare di vendita tra proprietario e conduttore: «Devesi ... ritenere, secondo una corretta interpretazione della ratio legis, che l'intenzione del proprietario di vendere, comunicata al conduttore ai sensi e con le forme dell'art. 38 citato, ha carattere negoziale nei confronti del conduttore, che, accettando le condizioni della compravendita da concludere, esercita in quel momento il diritto di prelazione, con obbligo di versamento del prezzo; e ciò indipendentemente da qualsiasi precedente trattativa del proprietario con i terzi, trattativa che il detto art. 38 non prevede che debba essere comunicata al conduttore. Quanto sopra esposto trova conferma nel terzo comma dell'art. 38, citato, nel quale è espressamente previsto che il diritto di prelazione «si esercita» con l'offerta del conduttore di condizioni uguali a quelle comunicategli dal proprietario; deve dirsi, dunque, che la comunicazione delle condizioni di vendita del proprietario non è priva di effetti giuridici nei confronti del conduttore, dal momento che consente a quest'ultimo di «esercitare» il diritto di prelazione con l'accettazione di dette condizioni. Né, a questo punto, esercitata la prelazione dal conduttore, può ritenersi che la vendita proposta possa non effettuarsi, come se esistesse uno ius poenitendi del proprietario, perché la norma, con il successivo comma quarto, prevede, con perfetto automatismo, sanzionato da precisi termini di decadenza, una serie di operazioni che le parti devono porre in atto per l'attuazione del contenuto del diritto di prelazione: versamento del prezzo della vendita da parte del conduttore e contestuale stipulazione del contratto di vendita o di un preliminare. Stabilito il valore negoziale della comunicazione del proprietario e dell'accettazione del conduttore delle condizioni di vendita, deve escludersi, peraltro, che tale scambio dei consensi dia luogo ad un contratto perfetto di vendita, traslativo della proprietà dell'immobile, perché a ciò si oppone ... la previsione, nel comma 4, dell'art. 38, della successiva stipulazione di un preliminare, sia pure in alternativa alla ipotesi di un contratto definitivo. Devesi, pertanto, concludere che lo scambio dei consensi, come previsti dai primi tre commi dell'art. 38 citato, dà luogo ad un contratto preliminare di vendita, che non contrasta con la previsione legislativa della successiva stipulazione di un preliminare, contestualmente al versamento del prezzo della vendita, perché si tratta di un obbligo delle parti di semplice documentazione del preliminare, già perfezionatosi in precedenza tra le parti, e ciò al fine di riportare in un unico atto i consensi, che le parti si sono scambiati con le forme di cui ai primi tre commi dell'art. 38, in modo da facilitare la registrazione dell'atto stesso e la ulteriore stipulazione del definitivo contratto di vendita» (così Cass. III, n. 4103/1988).

Seguendo il secondo indirizzo, la denuntiatio costituisce una sorta di interpello dovuto dal locatore che si colloca nell'ambito della fase delle trattative, interpello da avanzare ogni qualvolta egli abbia in progetto il trasferimento e rispetto al quale, in caso di esercizio del diritto di prelazione, rimane vincolato (Cass. III, n. 2897/1985; Cass. III, n. 5283/1985).

Secondo il terzo indirizzo la denuntiatio del locatore non costituisce una proposta di vendita rivolta al conduttore (suscettibile, come tale, di produrre l'automatica conclusione di un contratto di vendita in esito all'accettazione del conduttore), ma è espressione di osservanza di un obbligo legale di informativa diretto a mettere il conduttore in grado di esercitare, a condizione che ne ricorrano i presupposti, il diritto potestativo di prelazione e di acquisire, mediante tale esercizio unilaterale nelle forme e nei tempi dovuti, la proprietà dell'immobile (Cass. III, n. 2726/1986; Cass. III, n. 4941/1988; Cass. III, n. 2427/1988).

In sede di composizione del contrasto, il supremo organo di nomofilachia ha affermato che la denuntiatio prevista dall'art. 38, comma 1, della l. n. 392/1978 a carico del locatore che intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato ad uso diverso dall'abitazione, non costituisce una proposta contrattuale di vendita rivolta al conduttore, e neppure mera informativa di generici intenti destinata ad avviare trattative tra le parti, ma è un atto dovuto di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto, diretto a mettere il conduttore in condizione di esercitare il diritto di prelazione, sempre che di tale diritto sussistano i presupposti (Cass. S.U., n. 5359/1989).

La pronuncia muove dallo scrutinio delle diverse opinioni formulate: «Secondo un primo indirizzo ... la denuntiatio in parola ha valore di proposta contrattuale con la conseguenza che l'accettazione notificata dal conduttore, titolare dello ius praelationis, determina l'automatica conclusione del contratto di vendita ai sensi dell'art. 1326 c.c. Un diverso indirizzo è stato espresso da Cass. III, n. 2897/1985 che, affrontando ex professo la questione, ha ritenuto che in tema di prelazione nelle locazioni di immobili ad uso diverso da quello di abitazione, l'art. 38 della l. n. 392/1978, prevedendo l'obbligo della denuntiatio al momento del sorgere nel proprietario dell'intenzione di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, configura un obbligo di interpello che – sia per i meccanismi che la denuntiatio aziona, sia per l'indeterminatezza che la situazione presenta – non è qualificabile come proposta contrattuale per cui l'adesione del conduttore non determina il formarsi del vincolo contrattuale. Siffatta ricostruzione è stata confermata da Cass. III, n. 5283/1986 con la precisazione che la denuntiatio di cui si discute costituisce una sorta di dovuto interpello nell'ambito della fase delle trattative, da formulare allorché il locatore abbia soltanto un progetto di trasferimento dell'immobile che deve partecipare al conduttore, di guisa che, ove venga esercitato il diritto di prelazione e l'iniziale intento del locatore si concreti in una precisa volontà di vendere, resta vincolato alle comunicate condizioni. Decisamente fuori dello schema contrattualistico si colloca un ulteriore indirizzo secondo cui l'adempimento dell'obbligo legale della denuntiatio è finalizzato all'esercizio del diritto di prelazione qualificabile come diritto potestativo del conduttore; sicché, qualora sia esclusa la spettanza di tale diritto, l'adesione del conduttore alla suddetta denuntiatio resta priva di effetti, mentre nell'ipotesi in cui ne ricorrano i presupposti, l'adesione del conduttore comporta il perfezionamento in suo favore della vicenda acquisitiva di tipo legale, con la conseguenza che il successivo contratto con contestuale versamento del prezzo, previsto dal comma 4 dello stesso art. 38, assume il limitato valore di una consacrazione documentale ... Un diverso inquadramento si riscontra in Cass. III, n. 356/1988 secondo la quale la denuntiatio è un atto dovuto di informazione e propriamente una comunicazione di intento avente ad oggetto una dichiarazione negoziale di volontà, partecipante una propensione a vendere verso destinatario ancora indefinito ed anche diverso dal conduttore e spiegante in ogni caso, nei confronti di quest'ultimo, la duplice funzione di una provocazione a proporre (offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli) e di attivare la decorrenza del termine legale. L'esercizio del diritto di prelazione avviene pertanto con una proposta del conduttore la quale genera l'obbligo del locatore di stipulare con il medesimo conduttore il contratto corrispondente alla comunicazione; ne deriva che l'effetto traslativo della proprietà si verifica soltanto con la conclusione di una compravendita o di un contratto analogo nell'efficacia. Infine, Cass. III, n. 4103/1988, riprendendo in parte il primo indirizzo innanzi ricordato, ha affermato che la comunicazione al conduttore delle condizioni alle quali il locatore intende trasferire a titolo oneroso l'immobile, ha valore negoziale e dà luogo, ove il conduttore eserciti la prelazione accettando le condizioni comunicategli, ad un contratto preliminare di compravendita indipendentemente dall'esistenza o meno di trattative tra proprietari e terzi che, se effettivamente intercorse, il proprietario non è comunque tenuto a comunicare. Non meno complesso è il panorama offerto dalla dottrina che si è occupata del problema».

Dopodiché, il massimo consesso decidente si sofferma sull'individuazione dei tratti caratteristici della prelazione urbana introdotta dalla legge dell'equo canone: «operazione questa che va condotta sulla base del dato normativo specifico senza la pretesa di un rigoroso inquadramento in categorie e nozioni preesistenti. Ciò soprattutto ove si consideri che la legge citata appresta una disciplina autonoma ed esaustiva della materia e che il riferimento ad istituti analoghi anche di epoca recente (quale la prelazione agraria) può valere ad evidenziare la ricorrenza di una sostanziale identità di scopo e di un corrispondente schema generale, ma non può annullare la peculiarità scaturente dalle disposizioni specifiche. Attesa quindi la pluralità delle prelazioni legali e la diversità delle fonti relative, l'indagine della Corte deve necessariamente incentrarsi sulla particolare disciplina dettata dall'art. 38 della l. n. 392/1978».

La decisione, dopo aver riassunto il dato testuale oggetto di indagine, sottolinea quindi che l'art. 38, sul presupposto della volontà del proprietario di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, «impone allo stesso di comunicare al conduttore le relative condizioni con l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione, senza peraltro richiedere che sia trasmesso al conduttore l'eventuale preliminare concluso con terzi e neppure il nominativo degli stessi, a differenza di quanto previsto, in tema di prelazione agraria, dall'art. 8 della l. n. 590/1965, modificato dall'art. 8 della l. n. 817/1971. Sul presupposto poi del concreto esercizio del diritto di prelazione (da effettuarsi con determinate modalità), impone al conduttore di versare il prezzo contestualmente alla stipula – entro un certo termine – del contratto definitivo o preliminare. L'intera vicenda della prelazione urbana viene così regolata con un particolare meccanismo legale caratterizzato da passaggi graduali che danno vita a due fasi fondamentali: la prima che può genericamente definirsi di scambio di comunicazioni (quella del proprietario di voler esercitare la prelazione); la seconda relativa alla stipula del contratto ed al pagamento del prezzo. In tale congegno, finalizzato alla tutela non del conduttore in quanto tale, ma dell'attività da lui svolta, la prelazione opera chiaramente come limitazione alla libertà negoziale del proprietario dell'immobile locato perché questi, mentre è libero di trasferire o meno a titolo oneroso l'immobile, non è invece libero nella scelta dell'altro contraente, dovendo preferire il conduttore e restando assoggettato alla determinazione di quest'ultimo cui la legge assegna un termine per decidere se avvalersi o meno del diritto in parola».

La denuntiatio – ha dunque modo di osservare il Supremo Collegio – risulta pertanto un atto dovuto volto a mettere il conduttore in condizione di esercitare il diritto di prelazione sempre che ne sussistano i presupposti: «Non può qualificarsi come atto negoziale, ed in particolare come proposta contrattuale, perché non deriva da una libera determinazione di volontà e non mira a sollecitare il conduttore alla conclusione della compravendita mediante ordinaria accettazione, anche se presenta oggettivamente il contenuto di una proposta attraverso, l'indicazione delle condizioni del trasferimento. Del resto – ed il rilievo è di per sé determinante – la legge non parla in alcun modo di proposta contrattuale ma soltanto di «comunicazione» e di «invito», a differenza di quanto stabilisce per la prelazione agraria l'art. 8 della l. n. 590/1965, che fa obbligo al proprietario di notificare al coltivatore la proposta di alienazione. Differenza particolarmente rilevante perché denota una precisa scelta del legislatore che, nonostante il recente precedente della prelazione agraria, per molti versi affine, ha ritenuto di dettare sul punto una normativa diversa. Non va poi trascurato che l'adesione del conduttore non è considerata, da detto articolo, come accettazione ma come esercizio del diritto di prelazione richiedente l'offerta di condizioni uguali a quelle comunicate dal proprietario. Quest'ultimo requisito esclude ogni libera trattativa tra le parti e rende palese come la volontà del conduttore sia determinate unicamente ai fini della decisione di acquisto senza possibilità di incidere sul contenuto del contratto già predeterminato dal proprietario».

Ciò consente alla Suprema Corte di precisare: a) che la denuntiatio non si risolve in una comunicazione di generico intento volta a sondare il pensiero del conduttore, dovendo contenere la specifica indicazione di tutte le condizioni della progettata compravendita; b) che la necessità per il conduttore di «offrire» condizioni uguali a quelle indicate dal proprietario non sta a significare che il conduttore assume la veste di proponente sul piano contrattualistico ordinario, ma che egli, quale soggetto preferito, può acquistare a condizioni obbligate che non sono il frutto né della sua iniziativa né di apposite trattative. Il limite in parola si spiega «ove si consideri che il diritto di prelazione accordato al conduttore altro non è che il diritto di acquistare l'immobile locato a preferenza di altri, ma a parità di condizioni. Lo schema negoziale proposta-accettazione è contraddetto inoltre dal rilievo che nel meccanismo descritto dalla norma la denuntiatio e l'esercizio della prelazione costituiscono soltanto le premesse della compravendita per la quale è richiesta la successiva stipula del contratto ed il contestuale pagamento del prezzo. Sotto questo profilo, non appare convincente neppure quell'orientamento giurisprudenziale che, pur ripudiando lo schema contrattualistico, qualifica il diritto di prelazione come diritto potestativo ed attribuisce in particolare alla unilaterale dichiarazione di esercizio di tale diritto l'effetto di perfezionare a favore del conduttore la vicenda acquisitiva di tipo legale, per cui il successivo contratto avrebbe soltanto il valore di una consacrazione documentale. Può solo rilevarsi che al proprietario tenuto alla denuntiatio non è consentito sottrarsi alla determinazione del conduttore; peraltro, il positivo esercizio del diritto di prelazione comporta per il proprietario la specifica obbligazione di stipula del contratto rendendo necessaria la sua cooperazione. Determinante al riguardo è il rilievo che nessun elemento della disposizione in esame è indicativo del carattere di mera documentazione della predetta stipula, e che tale ipotesi è in particolare contraddetta dalla previsione di un contratto preliminare, che esige evidentemente per il trasferimento di proprietà anche la conclusione del contratto definitivo. L'effetto traslativo immediato lascerebbe inoltre privo di plausibile giustificazione il differimento del pagamento del prezzo all'atto della sottoscrizione del contratto definitivo o preliminare, tanto più che, a differenza di quanto previsto in tema di prelazione agraria dall'art. 8 della l. n. 590/1965, il pagamento differito non è nemmeno considerato come condicio iuris per il trasferimento di proprietà. Non senza dire che nell'intervallo tra la dichiarazione di prelazione e la redazione del contratto (per la quale ultima è fissato un certo termine) il conduttore, non più tale per effetto dello immediato acquisto, verrebbe a godere l'immobile senza alcun corrispettivo».

L'art. 38, comma 4, della l. n. 392/1978, interpretato secondo il fondamentale criterio letterale dettato dall'art. 12 disp. prel. c.c. e coordinato con i commi precedenti, induce a ritenere che con l'atto unilaterale di esercizio della prelazione «il conduttore non acquista immediatamente la proprietà dello immobile, ma solo il diritto ex lege alla successiva conclusione del contratto. Tale risultato non è incompatibile con altre indicazioni della stessa norma o con la relativa ratio, e non rende pertanto necessaria una diversa ricostruzione logico-sistematica. Assicura invece la realizzazione del diritto riconosciuto al conduttore attraverso un sistema di organica gradualità ed in modo sostanzialmente aderente alla essenza stessa della prelazione che, come diritto di preferenza nell'acquisto, costituisce il mezzo per far sì che il proprietario concluda il contratto con il favorito anziché con gli altri possibili acquirenti. È da aggiungere che il riferimento (contenuto nel comma 2 dell'art. 38) alla «compravendita che dovrebbe essere conclusa» e la prevista contemporaneità tra pagamento del prezzo e stipula del contratto (comma 4) sono indicativi del momento e dell'atto cui la legge collega la produzione degli effetti traslativi».

La Suprema Corte è, a questo punto, indotta a precisare che la dichiarazione di esercizio della prelazione vincola alla successiva stipula anche il conduttore che deve versare contestualmente il prezzo: «Si è già detto innanzi dell'articolata struttura della norma che delinea uno schema legale destinato a sovrapporsi alla volontà delle parti, la quale ha limitati margini di operatività. In detto ambito, una volta che il conduttore abbia esercitato la sua facoltà di scelta e reso così necessaria la stipula del contratto, risulta poco comprensibile l'esistenza di un obbligo unilaterale a contrarre unicamente a carico del proprietario, nonostante la volontà manifestata dal conduttore di rendersi acquirente dell'immobile e i vincoli già imposti alla controparte. Nello schema normativo la fase della stipula, con termini prefissati, costituisce un passaggio obbligato anche per il conduttore. Può quindi affermarsi che, mentre la libertà del proprietario si esaurisce nel momento in cui, avendo deciso di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, procede alla denuntiatio, la libertà del conduttore viene meno nel momento in cui notifica la sua volontà di avvalersi della prelazione. Più specificamente la conclusione indicata permette di soddisfare l'esigenza di equo contemperamento dei contrapposti interessi delle parti, atteso che l'eventuale libertà del conduttore, anche dopo l'esercizio della prelazione, avrebbe l'effetto di sacrificare oltre misura e senza apprezzabili ragioni la posizione del proprietario locatore il quale potrebbe veder sfumare la possibilità di vendere a terzi, in conseguenza della dichiarazione di prelazione notificata dal conduttore, e trovarsi poi di fronte una controparte non obbligata alla stipula. Il contratto da concludere può essere, secondo il dettato normativo, definitivo o preliminare. La previsione di un preliminare può apparire una anomalia aggravata dal fatto del pagamento del prezzo all'atto della relativa sottoscrizione. Ma la disposizione si giustifica in relazione al possibile iniziale proposito del proprietario, da precisare nella denuntiatio, di realizzare un graduale perfezionamento della vicenda traslativa attraverso la stipula del preliminare prima e del definitivo poi. In rapporto a tale ipotesi risulta anche limitata, se non proprio annullata, la singolarità del versamento del prezzo all'atto del preliminare perché, a parte la finalità di rendere più saldo il vincolo, l'art. 38, nel fissare il termine di detto pagamento, fa salva ogni diversa condizione indicata nella comunicazione del proprietario; e l'alienante che intenda concludere anzitutto un preliminare normalmente non chiede l'immediato versamento dell'intero prezzo, stante l'evidente gravosità e la conseguente inaccettabilità di simile clausola».

La medesima soluzione è stata poi ribadita più volte dai giudici di Piazza Cavour (Cass. III, n. 20671/2009; Cass. III, n. 11551/1998).

Reiterazione della denuntiatio in caso di modificazione sostanziale delle condizioni di vendita

Può accadere che tra la denuntiatio ed il trasferimento dell'immobile locato ad un terzo intercorre un considerevole lasso di tempo, il quale determini – ad esempio per l'inflazione verificatasi medio tempore – una modificazione sostanziale delle condizioni di vendita, pur rimaste formalmente inalterate.

In tal caso, la Suprema Corte ha ritenuto che la denuntiatio debba essere reiterata: «Secondo la ricorrente, poiché la legge non ... contempla un termine per trasferire ... l'immobile locato ... male avrebbe fatto la corte ... a ritenere che l'efficacia della «comunicazione» si esaurisca e si «consumi» entro «un lasso di tempo ragionevole», spirato il quale incomberebbe al locatore l'obbligo di una nuova denuntiatio anche se il corrispettivo convenuto con il terzo rispettasse il requisito di legge ... L'innanzi riassunta censura non può, essere condivisa ... L'errore che si annida nel suo argomentare consiste nel trascurare i connotati peculiari della fattispecie legale della prelazione che ... contempla il diritto del conduttore di acquistare l'immobile a preferenza di altri, ma a parità di condizioni. Dal che discende l'ineludibile corollario che a sostanziale diversità di condizioni deve corrispondere l'onere di una diversa e separata denuntiatio, in mancanza di che il locatore può incorrere nella sanzione del riscatto ... Appare indiscutibile ... che anche il mero decorso del tempo può determinare, sia pure solo per ragioni obiettive (come, ad esempio, la variazione dei valori monetari) indipendenti dalla volontà del locatore, una sensibile, reale alterazione dei termini del negozio di cui all'offerta prelatizia, pur nel caso ch'essi restino formalmente immutati rispetto alla comunicazione inviata ex art. 38 della legge. Ed è ... ad un'alterazione del genere che ... la Corte ... ha voluto indubbiamente riferirsi allorché, posta di fronte alla vendita a terzi stipulata a distanza di quasi tre anni dalla originaria comunicazione, ha ragionato sulla necessità di ancorare il giudizio sull'esistenza di una valida denuntiatio alla situazione esistente al momento di quest'ultima, naturalmente raffrontandosi tale situazione a quella del momento della stipulazione dell'atto di trasferimento al terzo: un raffronto del genere non potendo non involgere, nella specie, l'esclusione ... di un'obiettiva parità fra le condizioni del negozio concluso con costui rispetto a quelle della proposta a suo tempo comunicata al conduttore. Ed il variare delle condizioni obiettive constatabili al momento del trasferimento, avrebbe richiesto una preventiva, nuova e diversa denuntiatio, essendo mancata la quale il conduttore era legittimato ad esercitare il riscatto» (così Cass. III, n. 5713/1991).

È in definitiva da ritenere che locatore il quale intenda alienare a terzi l'immobile è tenuto, per consentire al conduttore l'esercizio del diritto di prelazione, ad effettuare una nuova denuntiatio, quando tra la prima comunicazione delle condizioni di vendita e la vendita al terzo sia intercorso un intervallo di tempo incidente sulla parità delle condizioni di vendita, in ragione delle variazioni dei valori monetari (Cass. III, n. 11716/1995).

Reiterazione della denuntiatio in caso di cessione del contratto di locazione contestualmente all'azienda

Il cessionario del contratto di locazione e insieme dell'azienda sita in detto immobile, il quale sia subentrato all'originario conduttore dopo la inutile scadenza del termine concesso a quest'ultimo per l'esercizio del diritto di prelazione, non ha diritto ad una nuova comunicazione e ad un nuovo termine per l'esercizio dello stesso diritto, in quanto per effetto della cessione del contratto si attua una vera e propria successione a titolo particolare per atto tra vivi nel contratto stesso con la conseguenza della sostituzione del cessionario nella identica posizione di diritti ed obblighi del cedente e della opponibilità, da parte del contraente ceduto, al cessionario di tutte le eccezioni derivanti dal contratto, ivi compresa la decadenza già verificatasi nei confronti del cedente (Cass. III, n. 9095/1990).

Diverso è il caso che la cessione intervenga in pendenza del termine per l'esercizio della prelazione. In tale ipotesi è configurabile una successione del cessionario dell'azienda e del contratto di locazione nella stessa posizione giuridica in cui si trovava il conduttore-cedente, anche con riferimento al possibile esercizio della prelazione o del riscatto. Pertanto, la denuntiatio effettuata all'originario conduttore è efficace anche nei confronti del subentrante, senza che occorra procedere ad una nuova comunicazione a quest'ultimo: «Sulla base di tale premessa, le possibili ulteriori obiezioni alla configurabilità del diritto al riscatto in capo alla attrice si ricollegano, da una parte, alla tesi dei convenuti secondo cui il mancato esercizio della prelazione da parte del precedente conduttore, dopo il ricevimento da parte sua della comunicazione di legge, renderebbero prive di ogni giustificazione le pretese dalla B. e, dall'altra, alla recente enunciazione in sede giurisprudenziale ... del principio secondo cui, ove, nel periodo intermedio tra la denuntiatio e la trascrizione della compravendita stipulata dal locatore con il terzo a condizioni diverse da quelle comunicate al conduttore, quest'ultimo abbia ceduto il contratto di locazione con la contestuale cessione dell'azienda, il diritto di riscatto spetta al precedente conduttore quale avente diritto alla prelazione e non al conduttore subentrato che tale diritto non aveva. Ad avviso del Tribunale, tale unica decisione del Supremo Collegio sulla tematica de qua non è espressione di un indirizzo che possa essere condiviso. Infatti, come la giurisprudenza ha più volte sottolineato ... vi è un parallelismo tra il diritto di prelazione, attribuito al conduttore, e il diritto di avviamento, attribuito sempre allo stesso al momento della cessazione del rapporto; in proposito l'art. 36, ultimo comma, della legge in esame prevede espressamente che l'indennità è attribuita a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione. Ed invero, entrambi gli istituti sono improntati alla ratio della tutela della conservazione dell'azienda ...: la prelazione facendo coincidere nello stesso soggetto la proprietà dell'immobile e la titolarità dell'azienda; l'indennità di avviamento consentendo a colui che nel momento della cessazione del rapporto locatizio esercitava l'attività protetta di potere trasferirla altrove, continuandola. Consegue, allora, che per il riconoscimento del diritto di prelazione debbano coesistere sia la qualità di conduttore che quella di esercente l'attività economica ... e, quindi, certamente non è legittimato ad esercitarla colui che, avendo ceduto l'azienda, manca di uno dei requisiti fondamentali che giustificano la prelazione. Viceversa, in situazioni del genere di quella in esame è configurabile una successione del cessionario dell'azienda e del contratto di locazione nella stessa posizione giuridica in cui si trovava il conduttore-cedente anche con riferimento al possibile esercizio della prelazione o del riscatto. In particolare, la denuntiatio effettuata all'originario conduttore-imprenditore è efficace anche nei confronti del subentrante: una volta, cioè, che il meccanismo sia stato correttamente avviato, non occorre procedere ad una nuova comunicazione al cessionario che subentra nella posizione del suo dante causa, caratterizzata dalla presenza della denuntiatio. Se i termini per esercitare la prelazione sono scaduti, il subentrante sarà succeduto in una posizione di diritto non esercitato ...; se non sono scaduti, potrà esercitarla egli stesso ...; infine, se la vendita avverrà a condizioni diverse da quelle comunicate, potrà agire in retratto» (così Trib. Roma 2 febbraio 1990).

Conservazione, convalida e rettifica della denuntiatio

La denuntiatio, ancorché non possa qualificarsi come vera e propria proposta contrattuale, resta soggetta, nei limiti previsti dall'art. 1324 c.c. ai principi valevoli per i contratti, fra i quali quello della conservazione, della convalida e della rettifica del negozio: ne consegue che va considerata legittimamente esercitata la prelazione da parte del conduttore che sia destinatario di un invito rivoltogli dal locatore a stipulare un preliminare di vendita dopo la sua adesione alla relativa denuntiatio, ancorché questa sia stata indirizzata, per errore, al precedente conduttore dell'immobile, ove le circostanze ed i tempi del successivo invito del locatore lascino presumere che con esso si sia da quest'ultimo espresso l'intento di mantenere valida quella sua pregressa manifestazione di volontà con la rettificazione di quell'errore, in corrispondenza della conforme offerta del suo destinatario (Cass. III, n. 6936/1992).

Si legge nella pronuncia: «La Corte territoriale, come lamenta il ricorrente, ha in effetti ritenuto che la di lui adesione ... non poteva considerarsi come legittimo esercizio della prelazione, e quindi non vincolava l'IACP, perché l'originaria denuntiatio, cui il G. aderiva, era stata rivolta al precedente locatario U., mentre con la successiva lettera ... dell'IACP ... G. «veniva semplicemente invitato ... puramente e semplicemente» alla stipulazione di un contratto preliminare, poi non concluso. Sembra tuttavia evidente che siffatto ragionamento erroneamente prescinde dalla possibilità di considerare ... l'invito rivolto al nuovo locatario come rettifica e sanatoria dell'errore contenuto nella precedente denuntiatio la quale, non tenendo conto del mutamento di conduttore, era stata indirizzata al precedente. E se è vero che ... nella normativa della prelazione di cui trattasi la denuntiatio non può qualificarsi come vera e propria proposta di contratto né possono ad essa e all'adesione del conduttore applicarsi integralmente le norme riguardanti l'incontro dei consensi proprio dello schema contrattuale, è vero peraltro che alla denuntiatio medesima, quale atto unilaterale (per di più, recettizio), in forza dell'art. 1324 c.c. debbano pur sempre applicarsi, in quanto compatibili, i principi (e fra gli altri, ove conciliabili con la fattispecie, quelli della conservazione, della sanatoria, della convalida, della rettifica e del mantenimento del negozio rettificato, della buona fede) valevoli per i contratti, tenuto conto in particolare che, ancorché non classificabile fra gli atti propriamente negoziali, l'atto in questione presenta oggettivamente il contenuto di una proposta contrattuale ... Conviene dunque che, in tali sensi accogliendosi le proposte censure, la fattispecie venga riesaminata da un giudice di merito, il quale di essa valuti i pertinenti dati fattuali alla luce dei predetti principi ... traendone le conseguenze in ordine alla eventuale possibilità di considerare legittimamente esercitata la prelazione da parte del conduttore destinatario di un invito del locatore a stipulare un preliminare di vendita dopo una sua adesione alla denuntiatio rivolta, per errore, al precedente conduttore; e cioè ove dati, tempi e circostanze di quell'invito lascino fondatamente presumere che con esso il locatore abbia espresso l'intento di mantenere valida la sua manifestazione di volontà, rettificato l'errore, il destinatario di essa avendo offerto di portarla a conseguenze in modo conforme a contenuto e modalità della medesima (arg. ex art. 1432 c.c.)».

Revoca della denuntiatio

La Suprema Corte, nella pronuncia che precede, ha affrontato il quesito concernente la possibilità di revoca della denuntiatio. In replica alla soluzione secondo cui la proposta comunicata dal locatore al conduttore di voler vendere l'immobile locato, ai sensi dell'art. 38 della l. n. 392/1978 può essere revocata durante il periodo di sessanta giorni assegnato dalla legge per l'accettazione, senza che il conduttore abbia alcun diritto al riguardo (Cass. III, n. 2427/1988), essa ha ritenuto determinante, in senso contrario, il rilievo che, se inizialmente il proprietario non ha nessun obbligo di vendere, una volta decisosi a trasferire l'immobile a titolo oneroso, è tenuto a darne comunicazione al conduttore indicando tutte le condizioni del trasferimento per consentire l'esercizio del diritto di prelazione. Orbene, se per l'esercizio di tale diritto la legge concede al conduttore un certo termine, è logico ritenere che in pendenza dello stesso il proprietario resti vincolato in attesa della determinazione del titolare del diritto, determinazione che ha normalmente implicazioni di notevole rilevanza economica e proprio perciò esige un congruo termine. Peraltro, la revoca è manifestazione di autonomia privata e quindi di esercizio di una facoltà; come tale mal si concilia con la denuntiatio quale atto unilaterale di adempimento di un obbligo legale destinato a rendere attuale l'altrui diritto soggettivo. A maggior ragione nessuna revoca è ammissibile in data successiva alla dichiarazione di prelazione, essendo il proprietario definitivamente vincolato alla stipula del contratto (Cass. S.U., n. 5359/1988).

Irrilevanza della denuntiatio eseguita in carenza dei presupposti di legge

La denuntiatio è atto dovuto non negoziale, volto a consentire l'esercizio del diritto di prelazione purché però sussistano già i presupposti per la sua esistenza: perciò in carenza di questi è inefficace l'adesione del conduttore alla suddetta denuntiatio (Cass. III, n. 9881/1996; Cass. III, n. 4284/1995).

In tal senso, si trova affermato che: «Il contrasto giurisprudenziale è stato recentemente composto da Cass. III, n. 5359/1989. Con tale pronuncia la Corte, dopo aver approfondito l'esame dell'istituto della prelazione legale urbana così come disciplinato dalla l. n. 392/1978, ha affermato: a) che la denuntiatio non è proposta contrattuale e neppure mera informativa di generici intenti destinata ad avviare trattative tra le parti; b) che la stessa costituisce atto dovuto di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto, finalizzato all'esercizio del diritto di prelazione spettante al conduttore; c) che la dichiarazione di prelazione da parte dell'avente diritto non costituisce accettazione negoziale e non comporta comunque l'immediato acquisto della proprietà dell'immobile, ma soltanto vincolo legale per entrambe le parti di addivenire – entro un preciso termine – alla stipula del previsto contratto, con contestuale pagamento del prezzo da parte del conduttore. Questo Collegio non ha motivi per discostarsi da tale insegnamento che condivide, né la società ricorrente adduce argomenti di segno contrario. Sicché ritiene di dover confermare la decisione impugnata che, in sostanza, è espressione di esso avendo affermato che la denuntiatio non ha natura di proposta contrattuale, costituendo soltanto un atto dovuto nei confronti di chi sia – secondo la previsione legislativa – titolare del diritto di prelazione. Da ciò deriva che, mancando il soggetto legittimato (è pacifico in causa che la società ricorrente non è titolare del diritto di prelazione), la comunicazione resta priva di ogni rilevanza giuridica. Né è possibile opinare, come vorrebbe la ricorrente, che, ove la denuntiatio venga effettuata ad un soggetto che non è titolare del diritto di prelazione, non costituirebbe adempimento di un obbligo legale e quindi sarebbe atto di natura negoziale in quanto ricollegabile ad una determinazione volitiva della parte. Non è possibile infatti ritenere ciò in quanto, anche se in conseguenza di un errore della parte o per altro motivo, essa è pur sempre ricollegabile alla volontà della parte stessa di adempiere all'obbligo di legge e non di fare una proposta. Convince maggiormente della natura non contrattuale della denuntiatio nella prelazione urbana il confronto con la prelazione agraria: mentre in questa, secondo la legge, l'obbligo del proprietario consiste nel notificare all'avente diritto la «proposta di alienazione» (art. 8, comma 4, l. n. 590/1965), nella prelazione urbana la legge parla di «comunicazione» e di «invito». Per quanto riguarda infine la censura secondo la quale alla denuntiatio dovrebbe comunque darsi un valore in virtù delle norme di interpretazione dei contratti e per il principio di conservazione dei negozi, si deve osservare che, nella fattispecie, non sussiste alcun dubbio interpretativo sicché le norme relative sono richiamate a sproposito. Infatti, e non si discute in merito, nella specie la denuntiatio era stata effettuata ai sensi dell'art. 38 della l. n. 392/1978 nel presupposto (erroneo) della sussistenza del diritto di prelazione in testa al conduttore (per altro dopo che il bene era stato già alienato ad un terzo). Né – è evidente – può avere alcuna rilevanza giuridica l'unilaterale manifestazione di volontà della conduttrice secondo la quale la stessa doveva valere comunque come accettazione di proposta» (così Cass. III, n. 1909/1991).

Perciò l'esercizio della prelazione da parte di un soggetto che, pur non essendo titolare di tale diritto (nella specie, una pubblica amministrazione titolare di un contratto disciplinato dall'art. 42 della l. n. 392/1978), abbia ricevuto dal locatore la notifica della proposta di alienazione, non determina l'annullamento del contratto per errore, bensì comporta il mancato perfezionamento stesso (Cass. III, n. 1661/1990).

Legittimazione alla denuntiatio

La Suprema Corte ha individuato nel proprietario dell'immobile – ancorché l'art. 38 della l. n. 392/1978 si riferisca al «locatore» – il soggetto dal quale deve necessariamente provenire la denuntiatio (Cass. S.U., n. 5357/1989; Cass. III, n. 702/1995).

Così la pronuncia delle Sezioni Unite: «La tesi ... volta ad affermare la validità di detta comunicazione anche se proveniente da soggetto non proprietario (nella specie società incorporante prima del perfezionamento della procedura di fusione), non merita consenso. Per la verità il comma 1 dell'art. 38 più volte citato individua tale soggetto nel locatore, ma trattasi di improprietà evidente com'è dimostrato dal fatto che nei commi successivi si parla espressamente di proprietario e che l'art. 39, nel prevedere il diritto di riscatto, dice altrettanto espressamente che qualora il proprietario non provveda alla notificazione di cui all'articolo precedente (e cioè alla denuntiatio), l'avente diritto alla prelazione può riscattare l'immobile. Del resto, tenuto conto che la denuntiatio deve contenere tutte le condizioni della compravendita ed è destinata a rendere possibile l'esercizio della prelazione e quindi il trasferimento dell'immobile locato alle predette condizioni, può esplicare i suoi effetti solo se proviene del proprietario dello stesso immobile».

Il principio secondo cui la comunicazione al conduttore ex art. 38 citato, per produrre gli effetti contemplati da tale norma, deve necessariamente provenire dal proprietario dell'immobile è stato successivamente ribadito nei medesimi termini (Cass. III, n. 702/1995).

Spetterà, tuttavia, all'usufruttuario la legittimazione alla denuntiatio nella fattispecie particolare in cui la prelazione opera nei suoi confronti, in caso di trasferimento disposto di comune accordo con il nudo proprietario (v. Cass. III, n. 2080/1992).

In caso di immobile in comproprietà, la denuntiatio, concretandosi in un invito rivolto al conduttore ad esercitare la prelazione, sì da determinare una vicenda acquisitiva dell'immobile locato non può che provenire da tutti i comproprietari: «Se ... la denuntiatio viene posta in essere da un proprietario in rappresentanza di altri comproprietari, anche la procura sarà richiesta in forma scritta a pena di nullità, in virtù dell'art. 1392 c.c. In mancanza, essa non produce alcun effetto, quindi non pone il conduttore in condizioni di esercitare il diritto di prelazione, e naturalmente non decorrerà alcun termine di decadenza» (Cass. III, n. 3549/1990).

Nel caso che la denuntiatio provenga da uno solo dei comproprietari, la ratifica proveniente dagli altri, non ha effetto retroattivo, ma comporta il decorrere del termine per la dichiarazione del conduttore solo dalla sua comunicazione: «La successiva ratifica (applicandosi l'art. 1399 c.c.) non poteva aver quell'effetto retroattivo preteso dal ricorrente, non valendo essa a sanare una manifestazione di volontà posta in essere senza i poteri di rappresentanza, per la quale la forma scritta è richiesta ad substantiam. È inoltre inconcepibile che un termine di decadenza, per di più assai breve, inizi retroattivamente la sua decorrenza, con l'effetto di ridurre o addirittura rendere impossibile la decorrenza di un termine già scaduto» (Cass. III, n. 3549/1990).

Naturalmente, nulla esclude che il proprietario conferisca ad un rappresentante l'incarico di effettuare la denuntiatio (Cass. III, n. 12689/1991).

La legittimazione alla denuntiatio spetta infine al proprietario, ancorché si versi in caso di cessione dei beni ai creditori, ivi compreso l'immobile locato, a norma dell'art. 1977 c.c., poiché detta cessione non comporta il trasferimento della proprietà dei beni del debitore, ma ha il limitato effetto di conferire ai creditori cessionari un mandato alla liquidazione ed al riparto dei beni (Cass. III, n. 5464/1991).

Contenuto della denuntiatio

L'art. 38 della l. n. 392/1978 stabilisce che nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione.

La denuntiatio non si esaurisce dunque nella comunicazione di un generico intento, volta a sondare il pensiero del conduttore in ordine alla mera eventualità di un trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, ma deve contenere la specifica indicazione di tutte le condizioni della vendita progettata (Cass. III, n. 5713/1991).

Osserva la Suprema Corte: «La tesi della ricorrente, secondo cui la denuntiatio potrebbe anche essere relegata al rango di manifestazione di mera progettualità ed esprimere pur solo un'ipotesi futura ed incerta, mentre unici presupposti del diritto di riscatto sarebbero quelli (mancata comunicazione o prezzo effettivo inferiore a quello in essa indicato) esplicitamente contemplati dall'art. 39 della legge, pecca di eccessivo semplicismo sotto il secondo profilo, ed è stata respinta dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, quanto al primo. Riguardo a tale profilo, può farsi richiamo ... alla recente pronunzia con cui questa Corte (Cass. III, n. 5359/1989), riesaminando il problema anche attraverso una valutazione critica di precedenti pronunzie a sezione semplice, ha concluso non esser lecito ritenere che la denuntiatio in questione possa esaurirsi in una comunicazione di generico intento volta a sondare il pensiero del conduttore in ordine alla mera eventualità di un trasferimento oneroso (precisandosene il corrispettivo) dell'immobile; ma potersi considerare invece che, secondo l'esplicita volontà della legge (art. 38) detta comunicazione debba puntualmente contenere la specifica indicazione di tutte le condizioni della proposta vendita».

Qualora la denuntiatio sia priva delle indicazioni necessarie per l'individuazione dell'immobile locato – e, è da credere, di ogni altra indicazione necessaria – è inefficace e, perciò, non idonea a far decorrere il termine assegnato al conduttore dall'art. 38 della l. n. 392/1978 per l'esercizio del diritto di prelazione, anche quando risulti che di fatto il conduttore era a conoscenza dell'intenzione di alienazione del locatore (Cass. III, n. 11696/1992).

Si legge nella sentenza: «L'art. 38 della l. n. 392/1978 dispone che nel caso il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario indicando il corrispettivo e le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione. Nella motivazione della sentenza impugnata la Corte ha, ora, rilevato ... che la comunicazione ... si riferiva all'immobile sito alla via Due Giugno 7 ..., mentre era ed è pacifico che il C. era locatario dell'immobile ubicato ai numeri 375 della stessa via, onde afferma, ancora la Corte, riferendosi la comunicazione ad immobile diverso da quello condotto in locazione ... non poteva la stessa certamente valere quale denuntiatio ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione ... La statuizione sul punto è corretta, e ciò perché una comunicazione che non contenga quanto necessario ad individuare l'immobile locato o che comunque possa ingenerare incertezze sulla individuazione dello stesso, va ritenuta inefficace ed invalida e come tale non idonea a fare decorrere i termini previsti dall'art. 38 della citata legge».

Il proprietario dell'immobile offerto in vendita non è però tenuto ad integrare la denuntiatio con la comunicazione del preliminare stipulato con il terzo: «La denuntiatio contestata contiene l'indicazione del prezzo e l'invito ad esercitare la prelazione, elementi entrambi sufficienti a determinare la sua validità, non essendo affatto necessaria, come sostiene il ricorso, la comunicazione del preliminare. L'art. 38 della legge sull'equo canone infatti, a differenza di quanto previsto per la prelazione agraria, fa menzione del preliminare soltanto nel comma 4, specificando che ove il diritto di prelazione venga esercitato, si dovrà procedere al versamento del prezzo e alla stipulazione del contratto di compravendita o del preliminare, dizione questa che chiaramente assegna alla denuntiatio una funzione preliminare anteriore, completamente differenziata dal successivo perfezionamento della vicenda traslativa ... Non quindi valore sperimentale della denuntiatio, ma atto valido sotto ogni aspetto, produttivo degli effetti voluti dalla legge» (Cass. III, n. 5464/1991).

In un'occasione, la Suprema Corte ha ritenuto che l'invito ad esercitare la prelazione possa essere espresso anche in modo implicito, ritenendo conforme al paradigma legale una comunicazione mancante dell'invito esplicito e nella quale si chiedeva al conduttore di procedere alla immediata stipula della compravendita, ritenuta valida dai giudici del merito, sul rilievo che il preciso riferimento agli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978 rendeva ogni altra precisazione (Cass. III, n. 4334/1995).

Non è richiesta dall'art. 38 della l. n. 392/1978 l'espressa indicazione del recapito del locatore, ove far pervenire l'atto di esercizio della prelazione, con la conseguenza che l'omissione di tale facoltativa indicazione non determina l'irritualità della comunicazione, giacché essendo richiesta per quest'ultima dall'art. 38 citato la notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, assume rilievo quale luogo di adempimento dell'obbligazione al conduttore quello di esecuzione della notificazione desunto dagli artt. 137 ss. c.p.c. (Cass. III, n. 9559/1994).

La circostanza che la denuntiatio debba necessariamente contenere talune indicazioni, sì da consentire l'esercizio della prelazione, non esclude che essa possa recare contenuti ulteriori. Perciò la comunicazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 ben può contenere l'informazione della pendenza di una controversia fra locatore e terzo circa la proprietà del bene. Ciò, però, non legittima il conduttore a subordinare l'esercizio della prelazione all'esito della controversia, nel qual caso ne discende l'inefficacia dell'atto con cui la prelazione è esercitata (Cass. III, n. 11362/1996).

Denuntiatio contenente condizioni difformi da quelle previste dalla legge

La giurisprudenza non appare univoca sulla questione se la denuntiatio contenente condizioni difformi da quelle previste dalla legge sia inefficace e, dunque, non comporti il decorso del termine per l'esercizio della prelazione, ovvero se comporti il decorso di detto termine, mercé la sostituzione delle condizioni previste dalla legge a quelle comunicate.

In quest'ultimo senso, in materia di prelazione agraria, si trova ad esempio affermato che colui che esercita il diritto di prelazione agraria, mentre ha facoltà di fruire delle clausole più vantaggiose pattuite fra proprietario e terzo, non è tenuto ad osservare le clausole del contratto preliminare, fra quelli stipulato, che stabiliscono condizioni di pagamento più onerose di quelle previste nei suoi confronti dalla legge, salvo che non rinunci a quest'ultime, accettando tutte le modalità ed i termini di pagamento stabiliti nel preliminare trasmessogli, in maniera inequivocabile, restando altrimenti applicabile il regime previsto dal richiamato art. 8 e senza necessità di fare ad esso riferimento nell'atto di accettazione della proposta di compravendita (Cass. III, n. 3325/1983; Cass. III, n. 6907/1986; Cass. III, n. 4017/1980).

Nello stesso senso, sembra da intendere, in materia di prelazione urbana, la decisione secondo cui, poiché la ratio dell'art. 38 della l. n. 392/1978, secondo cui nella comunicazione al conduttore ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione «devono essere indicati il corrispettivo» e «le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa», consiste nel garantire, a parità di condizioni, la preferenza nell'acquisto al conduttore, e dovendo perciò essere ricomprese, nel novero di tali condizioni, quelle che individuano la sostanza giuridico-economica del negozio, fra esse non può esser fatta rientrare la facoltà del venditore di scegliere il notaio, perché si tratta di elemento non determinante e comunque estraneo al contenuto contrattuale della compravendita; ne consegue che una simile clausola, ancorché inclusa nella comunicazione del venditore al conduttore, non viene ad integrare il successivo contratto preliminare in quanto non può ritenersi vincolante per l'altra parte, né capace di incidere derogativamente sull'uso che assegna la scelta del notaio al compratore (Cass. III, n. 11208/1992).

Alla medesima impostazione sembra da ascrivere alla pronuncia secondo cui il conduttore di immobile non abitativo che, ricevuta dal locatore la denuntiatio, abbia esercitato la prelazione, è tenuto a rispettare le condizioni di vendita fissate e comunicate dal proprietario, a meno che esse contrastino con la disciplina specifica dettata dallo stesso art. 38, derivandone – in caso di inadempimento – la perdita del diritto di prelazione e del conseguente diritto di riscatto (Cass. III, n. 2507/1991).

Su tali premesse, la Suprema Corte, ritenendo compatibile con l'art. 38 della l. n. 392/1978 la condizione del versamento di una caparra ed acconto del prezzo in attesa della stipulazione del contratto di vendita, fissata a data posteriore alla scadenza del termine di novanta giorni di cui all'art. 38, comma 4, ha confermato la sentenza del giudice del merito che, rilevata la mancata esecuzione del versamento della caparra ed acconto entro il detto termine, aveva considerato il conduttore decaduto dal diritto di prelazione.

In altre pronunce, viceversa, è stato affermato – in materia di prelazione agraria – che l'affittuario è posto nell'alternativa tra il sostituirsi nel contratto al promissario acquirente, facendo proprie tutte le obbligazioni previste a carico di questi nel preliminare (e, quindi, non solo quella di pagamento del prezzo) oppure di rifiutare la proposta, senza alcuna facoltà di discriminare nell'ambito delle clausole contrattuali stipulate dal promittente venditore e dal promissario acquirente quelle a lui favorevoli e quelle sfavorevoli, ovvero fra clausole intuitu personae (o personali o particolari) e clausole obiettive o, comunque, conformi alla causa astratta del contratto di compravendita, per inferirne l'opponibilità nei suoi confronti solo di queste ultime (Cass. III, n. 10586/1994).

Natura ricettizia della denuntiatio e della dichiarazione di prelazione

La denuntiatio e la dichiarazione di prelazione da parte del conduttore hanno natura ricettizia, con la consueta applicabilità delle regole stabilite dall'art. 1335 c.c.

Tali atti devono essere portati a conoscenza dei rispettivi destinatari con il mezzo prescritto della notificazione eseguita da ufficiale giudiziario sicché la presunzione di conoscenza prevista dalla menzionata disposizione opera soltanto quando il procedimento di notificazione si sia completato (Cass. III, n. 3605/1984).

Si legge nella sentenza: «L'art. 38 della l. n. 392/1978, nel disciplinare il diritto di prelazione nel caso in cui il proprietario intenda trasferire il bene a titolo oneroso, prescrive che, sia la comunicazione del proprietario al conduttore, sia la dichiarazione di esercizio della prelazione vengano notificate rispettivi destinatari a mezzo di ufficiale giudiziario. La scelta della forma della notificazione è stata dettata dall'esigenza di garantire il massimo livello di certezza per quanto riguarda la formazione e la manifestazione del consenso delle parti. Sia la comunicazione del proprietario, sia la dichiarazione di prelazione hanno natura di atti ricettizi di valore sostanziale e, come tali, devono essere portati a conoscenza dei destinatari, al cui indirizzo devono pervenire, in base al disposto dell'art. 1335 c.c., ma la legge, in entrambi i casi, con l'art. 38 innanzi indicato, ha previsto altresì uno specifico mezzo della notificazione eseguita da ufficiale giudiziario. Non può contestarsi, quindi, che la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c. in tanto sorge in quanto la comunicazione dell'intenzione di vendere e la dichiarazione di prelazione giungano all'indirizzo rispettivamente del conduttore e del proprietario, a seguito di quella particolare forma di trasmissione dell'atto, che si esaurisce con la consegna, debitamente verbalizzata, di una copia conforme all'originale. Ne consegue che in tutte le ipotesi in cui dalla relata dell'ufficiale giudiziario risulta che la notificazione, per una qualsiasi causa, non è avvenuta, non può parlarsi di presunzione di conoscenza, la quale presuppone necessariamente dell'atto sia pervenuto e sia rimasto nella sfera di disponibilità del suo destinatario. Anche se è vero che l'effettiva presa di conoscenza, da parte del soggetto cui l'atto è diretto, è estranea alla struttura della notificazione, è pur sempre indispensabile che il procedimento notificativo sia completo in tutti i suoi momenti affinché il destinatario, secondo l'id quod plerumque accidit, abbia la concreta possibilità della conoscenza dell'atto ... Ai fini del sorgere della presunzione di conoscenza, ai sensi di cui all'art. 1335 c.c., in relazione all'art. 38, comma 3, della l. n. 392/1978, deve aversi riguardo unitamente al fatto obiettivo dell'esecuzione della notifica».

Successivamente, nel ribadire alla lettera il principio, la Suprema Corte ha ulteriormente precisato che resta onere dei rispettivi autori della denuntiatio e della dichiarazione di prelazione la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio o dell'eventuale mezzo equivalente attuato (Cass. III, n. 4608/1989).

La denuntiatio effettuata con mezzi equipollenti

L'obbligo della denuntiatio può essere assolto anche con modalità diverse da quella della notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, a condizione però che la comunicazione al conduttore sia eseguita con modalità realmente equipollenti a quella anzidetta per struttura e per effetto, e cioè caratterizzate dalla consegna ufficiale (dotata dell'attributo della pubblica fede) al conduttore di un atto scritto del locatore contenente con certezza le indicazioni e l'invito (ad esercitare la prelazione) prescritti dalla legge (Cass. III, n. 2721/1987).

Osserva la Suprema Corte: «La sentenza denunciata dichiara che «è rimasto provato che la M., prima di sottoscrivere i due atti di rinuncia alla prelazione e riscatto, lesse il compromesso di vendita intercorso tra i venditori ... e i compratori ... prendendo così conoscenza sia del prezzo che delle altre clausole contrattuali». Aggiunge che un testimone ha asseverato che, quand'egli aveva lasciato di curare le trattative, aveva già parlato con la M. del prezzo d'acquisto della tintoria, e lei era perplessa. Queste notizie, secondo la corte di appello, consentirono alla conduttrice una «decisione ponderata e presa in precedenza» sulla rinuncia alla prelazione, cosicché si realizzò, nella specie, lo scopo prefisso dalla modalità tipica della denuntiatio, atteso che «la notificazione a mezzo di ufficiale giudizio prescritta nell'art. 38, comma 1, non sembra essere l'unica modalità consentita», come lascerebbe intendere anche la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, che ammette equipollenti alla comunicazione prevista in tema di prelazione agraria». Ciò detto, gli ermellini hanno chiarito nella medesima pronuncia che il convincimento della corte di appello implicava una imprecisa nozione del rispetto della modalità vincolata di comunicazione stabilita nell'art. 38, comma 1, della l. n. 392/1978, con conseguente applicazione di erronei parametri di equipollenza giuridica, quanto a requisiti formali ed a effetti conseguibili mediante comunicazioni atipiche: «Com'è noto, l'art. 38, commi 1 e 2, della l. n. 392/1978 stabilisce: “Nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario. Nella comunicazione devono essere indicati il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione”. Le riportate disposizioni differiscono, circa le modalità della comunicazione, dai precedenti normativi in tema di prelazione agraria, nei quali si richiedeva genericamente la notificazione (formulazione originaria dell'art. 8, comma 4, della l. n. 590/1966) e si richiede la notificazione con lettera raccomandata e la trasmissione del preliminare (formulazione attuale del citato comma, come sostituito dall'art. 8 della l. n. 817/1971). Pertanto, non è trasponibile alla questione in disamina la giurisprudenza di questa Corte circa gli atti equipollenti alla comunicazione in materia di prelazione agraria, pur avvertendo che in quella giurisprudenza talvolta è stato escluso il ricorso all'equipollenza (Cass. III, n. 5778/1982) e comunque costantemente si è segnalata l'irrilevanza di una comunicazione verbale (Cass. III, n. 3022/1981; Cass. III, n. 1900/1981; Cass. III, n. 283/1979). Quanto all'art. 38 citato, mette conto sottolineare l'attribuzione espressa del compito di notifica all'ufficiale giudiziario, la quale comporta tre concorrenti esigenze: quella dell'officialità dell'atto di notifica, quella della corrispondenza dell'atto stesso alla struttura «nominata» della notificazione e quella della tipicità dell'effetto». Tali esigenze costituiscono, poi, congiunti parametri per l'identificazione, nel concreto, di eventuali modalità equipollenti della comunicazione in discorso: «La fattispecie tipica della denuntiatio ex art. 38 citato deriva dalla combinazione delle disposizioni surriportate dell'articolo stesso con quelle disciplinanti la notificazione nel processo civile – segnatamente con l'art. 137 c.p.c. – le quali hanno una valenza generalizzata, «quando non è disposto altrimenti», per la notificazione degli atti in materia civile (tant'è vero che per le notifiche a mezzo posta si devono seguire le norme stabilite per quelle degli atti giudiziari: art. 107, ultimo comma, d.P.R. n. 1229/1959, e art. 1 l. n. 890/1982). Tale fattispecie consta dunque della consegna al conduttore (o altra persona legittimata per lui, ai sensi del c.p.c.), eseguita dall'ufficiale giudiziario, su richiesta del locatore (o di suo rappresentante), di copia conforme dell'atto (ovviamente scritto) di comunicazione e di invito proveniente dal locatore (o da suo rappresentante) e contenente le indicazioni prescritte. Il vincolo delle modalità della comunicazione de qua posto dal legislatore con il prescrivere un «atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario» comporta così, per la denuntiatio, una sorta di formalizzazione dell'ordinario regime di produzione degli effetti degli atti sostanziali unilaterali recettizi (artt. 1334 e 1335 c.c.), con l'ulteriore conseguenza che lo scopo della conoscenza da parte del conduttore, destinatario dell'atto, resta relegato a situazione psicologica irrilevante per il diritto, qualora non si evinca dall'avvenuto compimento del procedimento della tipica notificazione o dall'esperimento di una modalità equipollente a tale procedimento per struttura e per effetto. Vale a quest'ultimo riguardo sottolineare che la struttura e l'effetto della notificazione sono caratterizzati dalla ufficiale messa a disposizione del destinatario di un atto scritto (originale o copia ai sensi dell'art. 111 d.P.R. n. 1229/1952, citato), ossia dalla consegna dell'atto medesimo dotata dell'attributo della pubblica fede quanto ai soggetti e quanto all'oggetto». Soltanto la concorrenza di tali requisiti impedisce che – attraverso un confuso concetto di equipollenza che faccia perno sul mero fenomeno percettivo, trascendendo gli elementi propriamente giuridici della fattispecie – si finisca con il disattendere il precetto legislativo, nella sua impostazione rigorosa e garantista: «Nell'art. 38 della l. n. 392/1978, il vincolo formale della modalità della denuntiatio e dell'esercizio della prelazione è preordinato alla certezza obiettiva delle posizioni giuridiche sostanziali inerenti alla vicenda contemplata e degli effetti conseguitine, cautela primaria dell'eliminazione di una delle più ricorrenti cause di litigiosità. Nel profilo propriamente della denuntiatio, poi, la modalità prescritta e il collegato, ampio tempus deliberandi («sessanta giorni dalla ricezione della notificazione», cioè dall'acquisizione della disponibilità dell'atto notificato: art. 38, comma 3, citato) proteggono l'interesse del conduttore a un'autodeterminazione bene informata e ponderata. Nella specie, come risulta dai passaggi riportati della sentenza di appello, omessa la notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, mancano altresì elementi essenziali di una comunicazione veramente equipollente, compendiabili nella consegna ufficiale, alla conduttrice, di un atto scritto dei locatori contenente con certezza le indicazioni e l'invito prescritti dalla legge. Ciò dimostra che, per l'assenza dei suoi presupposti genetici legali, un diritto di prelazione della conduttrice non era ancora sorto quando ella vi rinunziò. La rinunzia riguardò un diritto semplicemente deferito dall'ipotesi normativa astratta ma non ancora soggettivizzato ... a causa dell'inesistenza dell'atto costitutivo consistente nella denuntiatio dei locatori secondo la modalità stabilita dalla legge ovvero altra equipollente nella struttura e nell'effetto. L'assenza del diritto di prelazione nel patrimonio della conduttrice comportò dunque la nullità della rinunzia per mancanza dell'oggetto. Tale invalidità è stata già molte altre volte evidenziata da questa Corte nei casi analoghi di rinunzia al diritto di prelazione agraria, quando la previa denuntiatio non era legalmente avvenuta».

La denuntiatio può dunque essere effettuata anche con modalità equipollenti, per struttura ed effetto, alla notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, come la consegna di lettera raccomandata da parte del messo postale, secondo le regole della normativa postale (Cass. III, n. 12689/1991).

La sentenza così motiva: «La giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto che, ai fini della comunicazione della denuntiatio, sono utilizzabili, oltre alla notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, altre modalità equipollenti ... In particolare, in Cass. III, n. 2721/1987 è stato affermato che le disposizioni contenute nello art. 38, commi 1 e 2, della l. n. 392/1978, circa le modalità della comunicazione da parte del locatore al conduttore di un immobile urbano locato ad uso non abitativo al fine di consentirgli l'esercizio della prelazione in caso di vendita della res locata, comportano che la denuntiatio debba essere effettuata mediante il procedimento tipico della notificazione a mezzo dell'ufficiale giudiziario ovvero mediante l'esperimento di una modalità equipollente a tale procedimento per struttura ed effetto, compendiabile nella consegna ufficiale al conduttore di un atto scritto del locatore contenente con certezza le indicazioni e l'invito prescritti dalla legge. Orbene, alla stregua di tale principio, non sembra seriamente contestabile che la consegna della raccomandata, da parte del messo postale all'uopo incaricato a secondo le regole della normativa postale, soddisfi quella esigenza di ufficialità che rende siffatto mezzo equipollente, per struttura ed effetti, alla notificazione eseguita dallo ufficiale giudiziario; conseguentemente, l'invio della suddetta raccomandata deve ritenersi validamente utilizzabile ai fini della denuntiatio prevista dall'art. 38, come del resto ha già riconosciuto la prevalente giurisprudenza di merito».

Logica conseguenza di siffatta impostazione, la quale richiede di necessità che la denuntiatio possegga il requisito minimo della forma scritta a pena di nullità (Cass. III, n. 3549/1990) è l'irrilevanza della conoscenza aliunde acquisita dell'intento del locatore (Cass. III, n. 11696/1992), la quale è inidonea a far sorgere il diritto di prelazione, che, pertanto, neppure può essere oggetto di valida rinunzia (Cass. III, n. 11552/1998).

Osserva quest'ultima decisione: «Nella specie ... omessa la notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario, mancano altresì elementi essenziali di una comunicazione veramente equipollente, compendiabili nella consegna ufficiale alla conduttrice di un atto scritto del locatore contenente con certezza le indicazioni e l'invito prescritto dalla legge. Ciò dimostra che per l'assenza dei suoi presupposti genetici legali, un diritto di prelazione della conduttrice non era ancora sorto quando ella vi rinunziò. La rinunzia riguardò solo un diritto semplicemente deferito nell'ipotesi normativa astratta, ma non ancora soggettivizzato nella conduttrice a causa dell'inesistenza dell'atto costitutivo consistente nella denuntiatio del locatore secondo le modalità prescritte dalla legge ovvero altra equipollente nella struttura e nell'effetto. L'assenza del diritto di prelazione nel patrimonio della conduttrice comportò dunque la nullità della rinunzia per mancanza dell'oggetto. Tale invalidità è stata molte altre volte evidenziata da questa Corte nei casi analoghi di rinunzia al diritto di prelazione agraria, quando la previa denuntiatio non era regolarmente avvenuta».

Ammissibilità della tutela ex art. 2932 c.c. successivamente alla dichiarazione di prelazione

Il ricorso alla tutela apprestata dall'art. 2932 c.c. è da ammettere ove si rifletta che tale norma consente l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto e non soltanto dell'obbligazione scaturente da un preliminare in quanto tale, e prescinde quindi dalla fonte legale o convenzionale dell'obbligo (Cass. S.U., n. 5359/1989).

Nel contratto preliminare di compravendita, obbligazione principale del venditore non è soltanto quella di prestare il consenso per la vendita, ma soprattutto quella di mettersi in condizione di adempiere, cioè di eseguire validamente la prestazione promessa e cioè il trasferimento del bene, per cui nel caso di contratto preliminare avente ad oggetto la vendita di un immobile urbano locato ad uso non abitativo, la cui stipulazione sia fissata dopo la scadenza del termine per l'esercizio della prelazione a norma della legge dell'«equo canone», è inadempiente il promittente venditore che non provveda alla denuntiatio nei confronti del conduttore, titolare del diritto di prelazione, in modo da esporre il promissario acquirente al riscatto (Cass. III, n. 11239/1990).

Omissione della denuntiatio

In generale, l'omissione della denuntiatio dà luogo al sorgere del diritto di riscatto, secondo quanto stabilisce nel suo esordio l'art. 39 della l. n. 392/1978, al cui commento si rinvia.

Qui occorre evidenziare che, in tema di prelazione legale, nell'ipotesi di omessa comunicazione dell'intenzione del locatore di alienare l'immobile locato, cd. denuntiatio, prescritta dall'art. 38 della l. n. 392/1978, non può riconoscersi al conduttore il diritto al trasferimento del bene, trattandosi di diritto che potrà essere fatto valere soltanto mediante l'esercizio del succedaneo diritto di riscatto una volta che sia avvenuto il trasferimento a terzi in violazione della prelazione (Cass. III, n. 25415/2017).

Si osserva nella decisione che è chiara la sequenza prevista dal legislatore nella l. n. 392/1978, artt. 38 e 39, che si articola nelle seguenti fasi:

– comunicazione al conduttore dell'intenzione di vendere, con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, contenente l'indicazione del corrispettivo e delle altre condizioni di vendita e l'invito a esercitare o meno la prelazione (art. 38, commi 1 e 2);

– manifestazione dell'eventuale volontà di esercitare la prelazione, da effettuare con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione e con offerta di condizioni uguali a quelle comunicate (art. 38, comma 3);

– versamento del prezzo da effettuarsi, salva diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla scadenza dell'originario termine di sessanta giorni e contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del preliminare (art. 38, comma 4);

– facoltà di esercitare il riscatto, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto di vendita, nell'ipotesi che il proprietario non abbia proceduto alla denuntiatio o il corrispettivo in essa indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento (art. 39, comma 1);

-) versamento del prezzo entro il termine di tre mesi computato secondo le decorrenze alternative indicate dall'art. 39, commi 2 e 3.

All'interno di questa sequenza non v'è spazio per un esercizio della prelazione che prescinda dalla denuntiatio del proprietario; né v'è possibilità di ipotizzare l'esistenza di un patto di prelazione che consenta di ritenere concluso un preliminare di vendita per effetto della persistenza della decisione di vendere e della manifestazione della volontà di acquistare da parte del prelazionario, sì da poter dare ingresso ad un'azione ex art. 2932 c.c. L'accertamento negativo sull'effettuazione della denuntiatio (o sull'adozione di modalità ad essa equipollenti) comporta che il conduttore non possa essere considerato decaduto dall'esercizio della prelazione e conservi, in caso di vendita a terzi, la possibilità di riscattare l'immobile: non esiste, invece, un rimedio attuativo dell'obbligo di preferire che, in difetto dell'osservanza delle prescrizioni della l. n. 392/1978, art. 38, consenta al conduttore un trasferimento diretto, senza dover attendere il momento sanzionatorio dell'esercizio del riscatto). Al contrario, ove sia risultato comunque attivato il meccanismo per l'esercizio della prelazione, dovrà valutarsi se il prelazionario abbia manifestato tempestivamente la propria volontà e, in caso affermativo, se abbia anche provveduto al versamento del prezzo nel termine prescritto: è certo, infatti, che il pagamento non possa essere effettuato oltre il termine di trenta giorni successivo alla scadenza del termine assegnato per la manifestazione della volontà di esercitare la prelazione.

Rinuncia alla prelazione

L'art. 79 della l. n. 392/1978, che commina la nullità delle convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore, non esclude la possibilità per il conduttore medesimo di disporre dei diritti una volta che questi siano sorti e possano essere fatti valere: pertanto, non è ammessa la rinunzia del conduttore al diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 prima che gli sia pervenuta la denuntiatio da parte del locatore, posto che solo da tale momento il diritto di prelazione diviene attuale, mentre se la denuntiatio è omessa, diviene operativo il succedaneo diritto di riscatto previsto dall'art. 39 della l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 8444/1996).

La sentenza così motiva: «La riconosciuta validità della rinuncia preventiva alla prelazione non merita adesione. L'art. 79 della l. n. 392/1978 sanziona con la nullità le pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto, o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello legalmente dovuto, ovvero ad attribuire al locatore a «altro vantaggio» in contrasto con le disposizioni della legge c.d. dell'equo canone. Per costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, peraltro, la richiamata disposizione è diretta a sanzionare le sole convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del conduttore, ma non esclude la possibilità, per il conduttore, di disporre dei suoi diritti, eventualmente rinunciando ad essi, una volta che questi siano sorti e possano essere fatti valere ... Ai fini in esame non rileva quindi ... la mera circostanza che il rapporto sia in corso di svolgimento, ma occorre accertare, caso per caso, che il diritto oggetto della rinuncia sia già sorto. Non è cioè sufficiente la previsione in astratto del diritto (alla prelazione, all'indennità per la perdita dell'avviamento, alla rinnovazione del contratto...) in quanto potenzialmente inerente al tipo legale del rapporto in atto, ma occorre che il diritto sia concretamente sorto e possa essere fatto valere. In particolare, il diritto alla prelazione e quello, succedaneo, di riscatto, astrattamente pertinenti ad un rapporto di locazione di immobile adibito ad uso che benefici di tale forma di tutela, si concretizzano, divenendo attuali, solo nel momento in cui si verificano i presupposti previsti dagli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, e debbono essere esercitati nelle forme e nei termini ivi prescritti. Emerge invero dall'art. 38 che il diritto di prelazione è riconosciuto al conduttore mediante la previsione dell'obbligo, per il locatore che intenda alienare l'immobile a titolo oneroso, di darne comunicazione al conduttore, indicando il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, e le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa. E la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha avuto modo di precisare che tale comunicazione, quale atto unilaterale di adempimento di un obbligo legale, è destinata a rendere attuale il diritto soggettivo del conduttore ... Il diritto di prelazione diviene quindi attuale nel momento in cui perviene al conduttore la denuntiatio ..., mentre non ha modo di attualizzarsi se la denuntiatio è omessa, operando peraltro, in tal caso, il succedaneo diritto di riscatto previsto dall'art. 39. Consegue che è affetta da nullità una rinuncia preventiva a ricevere la denuntiatio, ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione, in riferimento ad una ipotesi di vendita non attuale e della quale non siano determinate le condizioni economiche. Nullità che consegue alla previsione di cui all'art. 79 della l. n. 392/1978, atteso che la rinuncia in questione produce un effetto sfavorevole per il conduttore, che si priva del diritto di prelazione, ed un vantaggio per il locatore, che viene esonerato dall'osservanza di un obbligo legale».

Esercizio della prelazione

Nel sancire il diritto di prelazione in favore del conduttore di un immobile adibito ad uso non abitativo, l'art. 38 della l. n. 392/1978 dispone che tale diritto in tanto può essere validamente ed efficacemente esercitato in quanto il conduttore accetti non solo il prezzo della vendita, ma tutto l'assetto del contratto quale dovrebbe essere concluso secondo la volontà del locatore che è libero di disporre del suo diritto di proprietà (Cass. III, n. 2505/1988).

Viene osservato: «Il ricorrente ... deduce che l'uguaglianza di condizioni richiesta dalla legge del 1978 per il valido esercizio della prelazione va riferita alle sole condizioni economiche della compravendita, poiché altrimenti il locatore potrebbe frustrare la ratio della norma ponendo ... condizioni non economiche, tali da vanificare sostanzialmente il diritto del conduttore ... La censura è infondata ... Nel sancire il diritto di prelazione in favore del conduttore di un immobile urbano, adibito ad uso diverso da quello di abitazione, l'art. 38, infatti, prevede che il locatore, nel comunicare al conduttore la sua volontà di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, deve indicare a «il corrispettivo da quantificare in ogni caso in denaro» e «le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa» (comma 2), e che il conduttore deve esercitare il predetto diritto a «offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli». E, sulla scorta della lettera della indicata norma, non è dubbio che il diritto di prelazione intanto può essere validamente ed efficacemente esercitato, in quanto il conduttore accetti non solo il prezzo della vendita, ma tutto l'assetto del contratto, quale dovrebbe essere concluso, secondo la volontà del locatore libero di disporre del suo diritto di proprietà sull'immobile».

Se è pertanto invalidamente esercitata la prelazione laddove il conduttore abbia accettato soltanto le condizioni economiche del trasferimento, neppure esercita validamente il predetto diritto il conduttore che nella dichiarazione indichi una diversa regolamentazione del pagamento del prezzo (Cass. III, n. 7008/1993; Cass. III, n. 16070/2007).

Allo stesso modo, riguardo all'esercizio della prelazione a condizioni difformi dalla denuntiatio, è stato osservato che, una volta che essa sia stata inoltrata, ogni possibilità di libera trattativa tra le parti, deve essere incondizionatamente esclusa, essendo interdetta al conduttore ogni facoltà di incidere sul contenuto del contratto già predeterminato dal proprietario, pena la declaratoria di invalidità della prelazione (Cass. III, n. 11551/1998; Cass. III, n. 20671/2009; Cass. III, n. 16070/2007). Tale principio ha affermato la Suprema Corte, nella più remota delle pronunce ricordate, in relazione ad una vicenda processuale nella quale la denuntiatio del locatore conteneva l'indicazione del prezzo di alienazione nella misura di 39 milioni di lire, mentre la dichiarazione di esercizio della prelazione da parte del conduttore conteneva una proposta di pagamento pari a lire 19 milioni, risultando poi offerto in compensazione, quanto alla restante somma di venti milioni, il controvalore monetario dei miglioramenti apportati alla cosa locata.

Prelazione esercitata in vista della rivendita a terzi della cosa locata

Non è nullo per contrasto con norme imperative l'acquisto effettuato dal conduttore di immobile locato ad uso non abitativo a seguito dell'esercizio del diritto di prelazione di cui è titolare, ove tale acquisto sia stato determinato dallo scopo di rivendere il bene a terzi, in quanto il divieto di rivendita non è stato espressamente previsto dalla legge dell'«equo canone», né può ricavarsi dai principi generali di diritto (Cass. III, n. 11325/1990).

Queste le ragioni addotte a fondamento del principio: «Con il primo motivo il ricorrente ... sostiene che la corte di merito, nel ritenere l'insussistenza di analogia tra la prelazione urbana e quella agraria, non ha considerato che la l. n. 392/1978 ha carattere generale siccome relativa all'intera materia delle locazioni e va, quindi, applicata ogni qualvolta si debba tutelare il conduttore per l'attività che egli svolge nell'immobile. Da qui il divieto di rivendita del bene in relazione al quale sia stata esercitata la prelazione. La censura non ha pregio, poiché la corte del merito ha correttamente escluso che possa ravvisarsi analogia tra le due specie di prelazione, e, quindi, possa applicarsi a quella urbana il divieto temporaneo di rivendita stabilito per i fondi rustici. Così facendo essa si è adeguata ai principi affermati da Cass. III, n. 6256/1983, con la quale si è osservato ... che i beni a regime controllato sono sottoposti a sistemi di norme rispettivamente propri di ciascuna categoria, con disposizioni particolari alla natura ed agli interessi specifici di cui il legislatore si è proposta la tutela, onde non è possibile trarre argomento da un sistema per l'indagine ermeneutica dell'altro, né è consentita la trasposizione di norme dell'uno all'altro ordinamento speciale, utilizzando gli ordinari mezzi della interpretazione estensiva ed analogica. Infatti, i terreni agricoli hanno oggettivamente caratteristiche strutturali, morfologiche, produttive ed economiche del tutto diversa da quelle che presentano gli immobili urbani, donde la diversità della finalità perseguita dal legislatore attraverso gli istituti della prelazione e del riscatto che per i fondi rustici è quella di conservare e promuovere l'efficienza economica produttiva dell'impresa agricola, mentre per i fondi urbani adibiti ad uso non abitativo è quella di favorire l'immedesimazione della proprietà nell'impresa, sicché una volta raggiunto tale scopo non si spiegherebbe l'aggiunta dell'ulteriore grave limitazione quale è quella del divieto di rivendita decennale di cui sopra. Non va sottaciuto che per le disposizioni di diritto singolare, è vietata soltanto l'interpretazione analogica, mentre è consentita quella estensiva; ma neppure a quest'ultima può farsi ricorso se la ratio legis non persuada che il legislatore ebbe in mente di estendere il suo precetto a casi apparentemente non contemplati nel ... Con il secondo motivo ... il C. sostiene che, avendo la prelazione urbana lo scopo di assicurare al conduttore la continuità dell'impresa commerciale a mezzo del conseguimento della proprietà dell'immobile, non vi è dubbio che, se il conduttore esercita tale diritto solo per rivendere ad un terzo non avente diritto alla prelazione, ossia per fini diversi da quelli per i quali il diritto alla prelazione è stato istituito, il contratto sarebbe nullo ... Nemmeno tale censura merita adesione. Correttamente, infatti, la corte napoletana ha escluso nella specie l'esistenza della violazione di norme imperative che possano comportare la nullità del contratto ... L'imperatività non sussiste perché il divieto di rivendita del bene locato ad uso non abitativo non è stato espressamente sancito dalla legge né esso può ricavarsi dai principi generali di diritto».

Proroga del termine per l'esercizio della prelazione

Ove sia scaduto il termine legale di sessanta giorni stabilito a favore del conduttore dall'art. 38 della l. n. 392/1978 per esercitare il diritto di prelazione in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato ad uso non abitativo, l'eventuale proroga del termine concessa dal proprietario costituisce una sua discrezionale concessione, che lo vincola solo per il periodo per il quale ha ritenuto di impegnarsi e che non è quindi soggetta ad una durata minima legale o ad una valutazione di congruità: così la Suprema Corte ha confermato la pronuncia di merito che aveva respinto la tesi del conduttore che la proroga concessa dal locatore dovesse essere di altri sessanta giorni o, almeno, di quindici giorni come per la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. (Cass. III, n. 8027/1987).

Versamento del prezzo

Tra le varie questioni sulle quali si è soffermata la giurisprudenza, con riguardo al versamento del prezzo, occorre in primo luogo rammentare che, in caso di mancata indicazione del termine per il pagamento del prezzo di acquisto nella denuntiatio, qualora il locatore stesso, sebbene tempestivamente sollecitato dal conduttore, si sia rifiutato, contravvenendo ai doveri di collaborazione e di correttezza ex art. 1175 c. c., di fornirlo, nessun ritardo nel pagamento può essere imputato al conduttore che abbia invitato il locatore davanti al notaio per la stipula del contratto ed il contestuale versamento del prezzo, fissando una data compresa nel termine di novanta giorni dalla denuntiatio ed il locatore si sia ingiustificatamente sottratto all'obbligo della stipula.

Qualora, invece, nonostante il comportamento renitente o reticente del locatore, il prelazionante abbia fissato per la comparizione davanti al notaio una data successiva alla scadenza dei novanta giorni, il locatore non comparso che deduca la verificatasi decadenza del conduttore dall'esercizio del diritto di prelazione, ha l'onere, una volta provata l'operatività nella specie del termine legale di cui all'art. 38, comma 4, della l. n. 392/1978, ove nel compromesso concluso con il terzo manchi l'indicazione del termine o ne sia indicato uno più breve, di dimostrare il suo interesse all'esatta e tempestiva prestazione di pagamento, da valutarsi con un giudizio comparativo del comportamento delle parti, anche in relazione ai loro pregressi rapporti, agli scopi concretamente perseguiti, al dovere di collaborazione che incombe al creditore ex art. 1206 c.c. ed all'oggettiva entità del ritardo (Cass. III, n. 8247/1987).

Il conduttore che, ricevuta dal locatore la denuntiatio, abbia esercitato la prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978, è tenuto a rispettare le condizioni di vendita fissate e comunicate dal proprietario, a meno che esse contrastino con la disciplina specifica dettata dallo stesso art. 38, derivandone, in caso di inadempimento, la perdita del diritto di prelazione e del conseguente diritto di riscatto: su tale premessa, la Suprema Corte, ritenendo compatibile con la norma citata la condizione del versamento di una somma a titolo di caparra ed acconto sul prezzo in attesa della stipulazione del contratto di vendita, fissata a data posteriore alla scadenza del termine di novanta giorni di cui all'art. 38, comma 4, ha confermato la sentenza del giudice del merito che, rilevata la mancata esecuzione del versamento della caparra e acconto entro il detto termine di novanta giorni, aveva considerato il conduttore decaduto dal diritto di prelazione, negando rilievo al fatto che successivamente, in occasione della stipulazione del contratto di vendita con il terzo promittente acquirente, insieme a quest'ultimo anche il conduttore fosse stato convocato avanti al notaio (Cass. III, n. 2507/1991).

È importante ricordare, infine, che l'art. 8, comma 7, della l. n. 590/1965, che con riferimento alla prelazione agraria prevede la sospensione del termine per il versamento del prezzo nel caso in cui il coltivatore che abbia esercitato il relativo diritto dimostri di avere presentato domanda ammessa all'istruttoria per la concessione del mutuo non è applicabile analogicamente alla prelazione urbana (Cass. III, n. 8659/1994).

La sentenza così motiva: «La sentenza impugnata ha negato l'applicabilità ... della normativa dettata in materia di prelazione agraria dall'art. 8, comma 7, della l. n. 590/1965 il quale prevede la sospensione del termine fissato per il versamento del prezzo nel caso in cui il coltivatore che esercita il diritto di prelazione dimostri di avere presentato domanda ammessa all'istruttoria per la concessione del mutuo ... L'art. 38 della l. n. 392/1978 contiene una particolare, dettagliata e completa disciplina dell'istituto della prelazione urbana senza lacune, richiami e possibilità di rinvio ad altra normativa. Pertanto, la controversia va decisa in base alla disposizione, contenuta in tale articolo, per cui il prezzo di acquisto deve essere versato, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell'avvenuta notificazione della comunicazione da parte del proprietario, contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare ... A questo punto il ricorrente eccepisce, per l'ipotesi di inapplicabilità della normativa dettata dall'art. 8 della l. n. 590/1965, l'incostituzionalità dell'art. 38 della l. n. 392/1978 ... La questione di costituzionalità è manifestamente infondata. I due istituti della prelazione agraria e della prelazione urbana regolano situazioni diverse che giustificano una diversità di disciplina, per cui non è violato il principio di cui all'art. 3 Cost. Invero, la prelazione agraria ha la finalità di unificare nella stessa persona la titolarità dell'impresa agraria e la proprietà del fondo in cui si svolge l'attività agricola. Invece, il diritto di prelazione attribuito al conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione dall'art. 38 citato è posto a tutela dell'avviamento commerciale e a soddisfare l'esigenza sociale della conservazione delle aziende. Dunque, la denunciata diversità di disciplina dipende da scelte discrezionali e non irragionevoli del legislatore (basta qui considerare la più modesta condizione economica dei coltivatori di fondi rustici che li rende particolarmente bisognosi di procurarsi il danaro occorrente per l'acquisto dei terreni mediante ricorso al mutuo)».

In generale, cioè, si deve osservare che, poiché la prelazione urbana e la prelazione agraria rispondono a finalità diverse, essendo la prima posta a tutela dell'avviamento commerciale mentre la seconda persegue la finalità di unificare nella stessa persona la titolarità dell'impresa agraria e la proprietà del fondo destinato all'attività imprenditoriale, e poiché la prelazione urbana trova una propria disciplina nell'art. 38 della l. n. 392/1978, la quale individua nella stretta coincidenza tra bene locato e bene venduto un presupposto essenziale per l'esercizio del relativo diritto da parte del conduttore, deve escludersi la possibilità di applicare, in via analogica, alla prelazione urbana la disciplina propria della prelazione agraria, posto che il ricorso all'analogia legis presuppone che la fattispecie sottoposta all'esame del giudice non sia prevista e disciplinata da alcuna norma (Cass. III, n. 7185/2003).

Preliminare di vendita condizionato al mancato esercizio della prelazione

La Suprema Corte ha posto in evidenza che il preliminare di vendita di un immobile urbano ad uso non abitativo, il quale preveda come condizione sospensiva il mancato esercizio del diritto di prelazione, da parte del conduttore, in conformità delle disposizioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978, resta caducato dalla dichiarazione di detto conduttore di avvalersi della prelazione, senza che tale dichiarazione debba essere accompagnata dal versamento della caparra, prevista nel preliminare e già corrisposta dal promissario acquirente, che non può nemmeno far valere la carenza degli ulteriori adempimenti occorrenti al perfezionarsi del trasferimento in favore del titolare della prelazione (Cass. III, n. 8046/1991).

La pronuncia che esaminato la questione si è soffermato sulla rilevanza «della circostanza che il conduttore «offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli» ... non presenti altresì contemporaneamente al locatore la somma a quello versata dal promissario compratore. Il dilemma non ha seria consistenza perché il paradigma normativo dell'acquisto in prelazione, di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 si articola in due distinti momenti, ciascuno retto da propria disciplina, quello dell'esercizio del diritto mediante la sola dichiarazione recettizia del conduttore, fatta nei termini e nei modi stabiliti (comma 3), e quello della stipulazione, preliminare o definitiva e del contestuale pagamento del prezzo (comma 4). Non è corretto, in diritto, allocare nel primo di quei momenti un onere che può attenere solo al secondo. Perciò, qualora ... la intenzione del locatore di trasferire a titolo oneroso l'immobile locato abbia preso corpo in un contratto preliminare con clausola di caparra confirmatoria e la relativa somma sia stata effettivamente versata dal promissario, la dichiarazione di esercizio di prelazione, strettamente correlata al trasferimento ma possibile preludio anche di un contratto preliminare, è di completa autosufficienza ed efficacia e non deve essere integrata con l'offerta, in senso tecnico, della somma suddetta. Quest'ultima dovrà essere corrisposta al momento della stipulazione, soltanto ove questa assuma forma preliminare, essendo altrimenti assorbita nel versamento contestuale del prezzo». La stessa pronuncia, dopo aver ricordato la configurazione del diritto di prelazione fatta propria dalle Sezioni Unite, ha ulteriormente osservato: «L'acclarata configurazione normativa dell'esercizio del diritto di prelazione del conduttore, a norma dell'art. 38, comma 3, della l. n. 392/1978 illumina l'irreprensibilità dei corollari trattine nella sentenza impugnata, con riferimento alla posizione residuale del ... promissario compratore sotto la condizione sospensiva della mancanza di quell'avvalersi da parte del B. Quell'esercizio ... pose in una situazione di assoluta e definitiva inefficacia il rapporto negoziale del quale l'odierno ricorrente era parte. Ora, poiché questi soltanto da quel rapporto avrebbe potuto trarre legittimamente ad agire e ad eccepire in merito al contratto definitivo di compravendita ed a chi ne avesse diritto, è esatto che la sopravvenuta, totale e irreversibile sterilità del «suo» titolo gli abbia impedito e gli impedisca di interloquire sulle vicende dell'acquisto del B. successive a quell'esercizio di diritto di prelazione che, dequalificando indirettamente la sua primiera posizione, lo ha relegato nella sfera d'indifferenza propria di un terzo qualsiasi».

In altra occasione, si è ulteriormente chiarito che, nel caso in cui un immobile sia oggetto di un contratto preliminare di vendita subordinato alla condizione sospensiva del mancato esercizio del diritto di prelazione spettante al conduttore, il promittente compratore è legittimato ad opporre il mancato o irrituale esercizio della prelazione nelle forme e nei termini prescritti dall'art. 38 della l. n. 392/1978, ma non può far valere l'inadempimento delle ulteriori attività dovute dal conduttore dopo l'esercizio del diritto di prelazione, perché l'avveramento della condizione sospensiva, rendendo inefficace il suo titolo, lo priva di ogni interesse ad interloquire sulle predette successive vicende (Cass. III, n. 2103/1993).

La pronuncia così motiva: «La Corte di Cassazione (Cass. III, n. 8046/1991) ha riaffermato che la vicenda della prelazione urbana si sviluppa in due momenti nettamente distinti, che danno luogo a proprie situazioni di diritto: a) momento dell'esercizio della prelazione (comma 3 dell'art. 38) che genera il rapporto diritto-obbligo a contrarre; b) il momento della formazione del contratto (comma 4 dell'art. 38) che ha epilogo nel trasferimento dell'immobile già locato. Ciò posto, detta ricostruzione va riguardata anche in relazione al terzo ... promissario acquirente del medesimo bene, oggetto della prelazione ... Con riferimento alla prima fase, che prevede l'esercizio del diritto di prelazione, va considerato in particolare il «rigore formale» che caratterizza detta fase: denuntiatio del locatore, che va notificata a mezzo dell'ufficiale giudiziario; esercizio del diritto di prelazione con atto che parimenti va notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, nel termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione del locatore. Detto rigore formale non avrebbe adeguata giustificazione se esaurisse la sua rilevanza nel rapporto locatore-conduttore. Ove una prelazione «formale e tempestiva» fosse prevista nell'esclusivo interesse del locatore e del conduttore, ammetterebbe, nell'ambito dell'autonomia contrattuale delle parti medesime, tutta una serie di temperamenti, con negative conseguenze in ordine alla certezza dei rapporti giuridici, anche di terzi. È innegabile l'interesse del promissario acquirente, del medesimo bene, a che l'esercizio della prelazione avvenga al «nei termini e modi di legge», tanto più quando il titolo del promissario prevede, come nella specie, quale clausola risolutiva, l'esercizio del diritto di prelazione. La previsione normativa comporta un accertamento documentale – del fatto della ricezione della denuntiatio e della ricezione in un dato termine dell'atto di esercizio della prelazione – che deve ritenersi nell'interesse non solo del destinatario della dichiarazione ma anche di terzi. Pertanto, il promissario acquirente del medesimo bene è legittimato ad opporre il mancato ovvero irrituale esercizio del diritto di prelazione. Quando invece il diritto di prelazione sia stato esercitato nei termini e modi di leggi – essendosi già verificata la condizione risolutiva del contratto stipulato dal promissario acquirente – questi rimane estraneo alla vicenda della prelazione e non può più riguardarlo la seconda fase della vicenda medesima. Ed in tal caso la «sopravvenuta totale sterilità del suo titolo impedisce, al promissario acquirente relegato nella sfera d'indifferenza, propria di un terzo qualsiasi, di interloquire sulle vicende dell'acquisto successive all'esercizio del diritto di prelazione».

Patto di prelazione e prelazione legale

Il patto di prelazione stipulato dal proprietario con un terzo non prevale sulla prelazione legale in discorso, ma è destinato ad avere effetti obbligatori tra gli stipulanti a condizione che non sussista o che non venga esercitata la prelazione legale stessa, in una situazione di compatibilità necessariamente subordinata e residuale (Cass. III, n. 14645/2002).

La pronuncia soggiunge che la stipulazione del patto di prelazione non impone al locatore di determinare, alla prima scadenza utile, la cessazione della locazione, sì da provocare il venir meno del diritto di prelazione in capo al conduttore: «Il ricorrente principale assume che il giudice di merito avrebbe dovuto considerare che, avendo i proprietari locatori accordato a suo favore la prelazione convenzionale in caso di alienazione dell'immobile locato, gli stessi, al fine di consentire ad esso istante di realizzare l'acquisto del bene, avevano l'obbligo di impedire, anche corrispondendo l'eventuale indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, la rinnovazione del rapporto di locazione con la conduttrice, in modo che dalla cessazione del contratto potesse derivare la conseguente perdita del diritto alla prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978. Anche detta censura non è fondata. La prelazione convenzionale ... era stata espressamente subordinata ... al mancato esercizio della prelazione legale del conduttore e nessuna obbligazione specifica, del tipo di quella che il ricorrente pretende sia affermata a carico degli alienanti, costoro avevano mai assunto nel senso di doversi essi attivare perché in seguito venisse meno il prevalente diritto dello stesso conduttore. È il caso, altresì di aggiungere ... che, ove anche le parti non avessero condizionato la prelazione convenzionale al mancato esercizio di quella legale del conduttore, comunque il suddetto effetto costituiva la conseguenza ex lege del principio della compatibilità necessariamente subordinata e residuale del patto dia preferenza con la preferenza legale del conduttore».

Nella stessa prospettiva, si è più di recente osservato che l'obbligo di vendita dell'immobile assunto dal locatore in forza di patto fiduciario stipulato con un terzo non prevale sul diritto di prelazione del conduttore. In tema di locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo, cioè, l'obbligo di vendita dell'immobile, assunto dal locatore in forza di un patto fiduciario stipulato con un terzo anche anteriormente alla conclusione del contratto di locazione, non è idoneo a sopprimere il diritto di prelazione del conduttore, che trova fondamento nella salvaguardia del suo interesse – dotato di riflessi pubblicistici – alla prosecuzione dell'attività svolta per tutta la durata del rapporto, così che il diritto di prelazione del conduttore prevale sull'interesse delle parti del negozio fiduciario (Cass. III, n. 27180/2016).

Si osserva in quest'ultima pronuncia – che richiama il precedente orientamento della Suprema Corte – come la Corte territoriale, nel ritenere opponibile al conduttore il trasferimento dell'immobile concesso in locazione, da parte del locatore, in favore di un terzo, siccome promesso in vendita prima della stipulazione della locazione, si fosse erroneamente discostata dal principio di diritto già sancito dalla Corte di legittimità, ai sensi del quale la promessa di vendita stipulata prima della locazione con un soggetto a questa estraneo non è idonea a sopprimere il diritto di prelazione derivante, in favore del conduttore, dal rapporto locativo successivamente venuto ad esistenza (viene richiamata Cass. III, n. 8288/2008). Difatti, la ratio legis della prelazione del conduttore consiste nella salvaguardia dell'interesse (che ha riflessi di indubbia natura pubblicistica) a garantire la prosecuzione dell'attività svolta nell'immobile locato per tutto il tempo del rapporto locativo. Ne deriva che, riguardo al trasferimento in proprietà del bene durante il rapporto di locazione, l'interesse del conduttore a divenirne proprietario prevale sull'interesse del terzo, promissario acquirente. Del resto, il promittente venditore di un bene non locato ben può evitare l'insorgenza del diritto di prelazione ex art. 38, astenendosi dal concedere il bene in locazione; ma, una volta che sia sorto tale rapporto, a nulla rileva l'avvenuta stipula del preliminare, dovendosi aver riguardo all'effettivo trasferimento dell'immobile nel corso della locazione. Viene aggiunto nella pronuncia come la circostanza secondo cui la fattispecie oggetto della controversia avesse riguardo ad un obbligo di vendita derivante dalla precedente stipulazione di un patto fiduciario (anziché dalla conclusione di un formale contratto preliminare di compravendita) non vale a modificare i termini sostanziali del principio di diritto in precedenza richiamato, tenuto conto che la limitata incidenza del fenomeno circolatorio del bene locato sul piano della sola rilevanza formale dell'intestazione (come avviene nel caso del trasferimento fiduciario) appare comunque tale da condizionare in modo decisivo il governo degli effetti giuridici prodotti dall'esercizio dell'autonomia negoziale; e ciò, tanto rispetto alla tutela degli affidamenti legittimamente suscitati nei terzi (e segnatamente del conduttore), quanto in relazione all'esigenza di scongiurare l'eventuale agevole frustrazione del già menzionato interesse del conduttore (dotato di obiettivi riflessi d'indole pubblicistica) a garantire la prosecuzione dell'attività svolta nell'immobile locato per tutto il tempo del rapporto locativo.

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