Legge - 27/07/1978 - n. 392 art. 34 - Indennità per la perdita dell'avviamento.

Mauro Di Marzio

Indennità per la perdita dell'avviamento.

In caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili di cui all'articolo 27, che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il conduttore ha diritto, per le attività indicate ai numeri 1) e 2) dell'articolo 27, ad una indennità pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere l'indennità è pari a 21 mensilità.

Il conduttore ha diritto ad una ulteriore indennità pari all'importo di quelle rispettivamente sopra previste qualora l'immobile venga, da chiunque, adibito all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente.

L'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile è condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennità di cui al primo comma. L'indennità di cui al secondo comma deve essere corrisposta all'inizio del nuovo esercizio.

Nel giudizio relativo alla spettanza ed alla determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, le parti hanno l'onere di quantificare specificatamente la entità della somma reclamata o offerta e la corresponsione dell'importo indicato dal conduttore, o, in difetto, offerto dal locatore o comunque risultante dalla sentenza di primo grado, consente, salvo conguaglio all'esito del giudizio, l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile (1) (2).

(1) Comma aggiunto dall'art. 9, d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, conv. in l. 21 febbraio 1989, n. 61.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 14 dicembre 1989, n. 542,  ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede i provvedimenti della pubblica amministrazione tra le cause di cessazione del rapporto di locazione che escludono il diritto del conduttore alla indennità per la perdita dell'avviamento.

Inquadramento

L'avviamento consiste nell'attitudine dell'azienda a produrre un reddito attraverso l'organizzazione e lo sfruttamento degli elementi che la compongono. Si distingue tra avviamento oggettivo, intrinseco all'immobile e legato a situazioni specifiche, quali l'ubicazione dell'azienda in luoghi di particolare richiamo per la clientela, e avviamento soggettivo, collegato alle doti e alle qualità dell'imprenditore (Lazzaro, Preden, 712).

La legge del 1978 fa discendere dalla cessazione del rapporto locatizio l'applicazione di un congegno di tutela dell'avviamento oggettivo dell'azienda, congegno ottenuto dalla radicale ed organica rielaborazione una disciplina già sperimentata nel precedente periodo vincolistico.

Il regime previgente

Riferendosi ai contratti di locazione di immobili adibiti all'esercizio di un'attività commerciale od artigiana che comportasse rapporti diretti col pubblico degli utenti o dei consumatori, la l. n. 19/1963, aveva previsto, per le ipotesi di cessazione del rapporto di locazione diverse dalla risoluzione per inadempimento del conduttore o dal mancato rinnovo a questo imputabile, il diritto a un compenso per la perdita dell'avviamento subito dall'azienda in conseguenza dello scioglimento del vincolo; il compenso, in particolare, era commisurato all'utilità che dal rilascio potesse conseguire il locatore, entro il limite massimo di trenta mensilità del canone di locazione che l'immobile potesse rendere «secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche».

Nell'applicazione pratica, la l. n. 19/1963 aveva tuttavia fallito.

Una delle principali ragioni dell'insuccesso era costituita dalle restrizioni alle quali la giurisprudenza di legittimità aveva sottoposto il riconoscimento del diritto: si riteneva, infatti, che esso sussistesse solo in presenza di una reale perdita dell'avviamento commerciale e, inoltre, della stretta interdipendenza causale tra la detta perdita, subita dal conduttore, e l'utilità in capo al locatore, in relazione all'uso dell'immobile del quale egli avesse conseguito la disponibilità (Cass. III, n. 4243/1976; Cass. III, n. 1128/1976).

La disciplina introdotta dalla l. n. 392/1978 tende proprio al superamento di tali ostacoli che, come è stato sottolineato (Buoncristiano, 283), avevano di fatto reso priva di effettività la tutela dell'avviamento accordata al conduttore. In particolare, la difficoltà della concreta dimostrazione della perdita dell'avviamento patita dal conduttore è stata superata mediante la tipizzazione delle diverse situazioni tali da giustificare, attraverso un meccanismo automatico, il riconoscimento dell'indennità.

Il vigente combinato disposto e la sua ratio

La disciplina dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale discende dal combinato disposto degli artt. 34 e 35 della l. n. 392/1978. Secondo la disposizione in commento:

– in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo agli immobili con destinazione non abitativa, cessazione non determinata da risoluzione per inadempimento, disdetta, recesso del conduttore, o da una delle procedure previste dalla legge fallimentare, il conduttore ha diritto, per le attività indicate ai nn. 1) e 2) dell'art. 27, ad una indennità pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto; per le attività alberghiere l'indennità è pari a 21 mensilità;

– il conduttore ha diritto ad una ulteriore indennità pari all'importo di quelle rispettivamente sopra previste qualora l'immobile venga, da chiunque, adibito all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente.

Il successivo art. 35 soggiunge che le disposizioni testé menzionate non si applicano (e dunque l'indennità non è dovuta) in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili:

i) utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori;

ii) destinati all'esercizio di attività professionali;

iii) destinati ad attività di carattere transitorio;

iv) complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.

La norma in esame non richiede accertamento alcuno in ordine all'effettività della perdita dell'avviamento, ma fonda la regolamentazione del diritto all'indennità sull'id quod plerumque accidit. Viene cioè stabilita una presunzione iuris et de iure (e cioè non è ammessa la prova contraria) secondo la quale dalla cessazione della locazione di un immobile impiegato per lo svolgimento delle attività contemplate, in presenza di contatti diretti col pubblico, il conduttore risenta un danno; ed è parimenti presunto che ciò non accada nelle ipotesi particolari che la legge stessa individua (attività professionali, di carattere transitorio, o svolte in immobili complementari o interni, in cui l'avviamento è comunemente definito «parassitario»).

Non è più richiesta, inoltre, la sussistenza del nesso causale tra danno del conduttore e vantaggio del locatore: quest'ultimo vantaggio è considerato dal legislatore ai soli fini dell'attribuzione dell'indennità ulteriore di cui all'art. 34, comma 2.

Come è stato sottolineato, infatti, tale indennità ha un suo fondamento razionale nel dato dell'appropriazione della clientela quale valore di scambio e d'uso, legalmente ricollegata al fatto obiettivo dello svolgimento, all'interno dell'immobile, entro un anno dalla cessazione del rapporto, di un'attività identica o affine a quella già esercitata dal conduttore uscente (Lazzaro, Preden, 714). Il fatto che il legislatore ponga l'utilità conseguita dal locatore a base del riconoscimento dell'indennità di cui all'art. 34, comma 2, non significa, però, che tale utilità vada provata: anche qui opera quell'automatismo che subordina l'insorgenza del diritto alla sussistenza di condizioni prefissate e immutabili.

Si comprende, in tal modo, la funzione dell'indennità, che è quella di favorire un riequilibrio dei valori economici tra locatore e conduttore tutte quelle volte in cui, in base alla rigida previsione della legge, debba ritenersi che il rilascio dell'immobile privi il conduttore dell'avviamento oggettivo: di quell'avviamento che è cioè collegato all'immobile e alla specifica capacità di questo di attrarre clientela e di produrre, unitamente agli altri elementi dell'azienda, un reddito. In tal senso, la riconsegna dei locali al termine del rapporto viene per se stessa apprezzata quale fattore generatore di un danno economico, da compensarsi con l'indennità in parola; quando, poi alla riconsegna dei locali si accompagni il successivo avvio, all'interno di essi, di un'attività imprenditoriale eguale o affine a quella precedentemente svolta dal conduttore si determina, oltre al pregiudizio per il locatario, il vantaggio per il locatore: ed è per questo che nell'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 34 l'indennità è fissata in misura doppia rispetto ai casi di cui al comma 1 dello stesso articolo.

Nella giurisprudenza di merito di è detto di recente che l'indennità di avviamento non costituisce un risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, ma ha natura giuridica diversa e costituisce un indennizzo per il disagio dovuto al trasferimento della propria attività commerciale, poichè mira ad evitare, al conduttore di immobile commerciale, le difficoltà connesse all'individuazione di altri locali ove proseguire lo svolgimento della propria attività e quelle legate alla necessità di reperire nuova clientela (App. Genova 6 luglio 2021, n. 742).

L'indennità di avviamento ha dunque «contenuto riparatorio del danno subìto dalla locatario per la perdita dell'avviamento stesso, del quale potrebbe beneficiare il locatore subentrando al conduttore nella medesima attività o lucrando sulla locazione dell'immobile a terzi, che trarrebbero vantaggio dall'avviamento dovuto all'attività del precedente conduttore» (Corte cost., n. 128/1983).

Accanto a detta finalità, l'indennità assolve, poi, a un ulteriore esigenza, che è quella di tutelare l'attività imprenditoriale, attraverso la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate dalla legge (Corte cost., n. 128/1983; Corte cost.n. 300/1983; Cass. III, n. 2617/1986; da ultimo, sulla ratio dell'istituto, v. Trib. Roma 25 febbraio 2019): il diritto all'indennità in capo al conduttore costituisce in definitiva un deterrente che si contrappone alla cessazione del rapporto di locazione dell'immobile ove è ubicata l'azienda.

L'obbligazione gravante sul locatore non dipenda dalla commissione di un illecito, contrattuale o extracontrattuale. Il danno di cui il legislatore ha inteso assicurare il ristoro ha, infatti, natura economica, e non anche giuridica. Secondo quanto è stato osservato, l'indennità di avviamento ha carattere non di risarcimento del danno in senso tecnico, ma di obbligazione legale mirante a compensare la perdita che il conduttore subisce: in tal senso, non è un caso che per indicare l'oggetto del credito del conduttore venga usata la locuzione «indennità», quasi a volere sottolineare che l'obbligo di corrisponderla non è conseguenza di un illecito ma piuttosto di un atto lecito dannoso, qual è la richiesta di restituzione dell'immobile conseguente alla cessazione del rapporto (Gabrielli, Padovini, 840).

Né sarebbe appropriato qualificare l'indennità in discorso come una speciale forma di indennizzo per l'ingiustificato arricchimento: l'automaticità e la predeterminazione dell'indennità nella misura semplice in parte smentiscono il fondamento dell'istituto quale ipotesi della generale azione di arricchimento del locatore, dato che il conduttore non può dimostrare che il locatore ottiene un vantaggio maggiore di quello predeterminato per legge, né è concessa al locatore la prova circa l'esistenza di un pregiudizio del conduttore inferiore alla misura fissa indicata dalla norma (Trifone, 620).

In definitiva, sembra di poter concludere, la ricostruzione giuridica più pertinente dell'istituto in esame è quella di obbligazione pecuniaria ex lege (assimilabile all'onere reale o all'obbligazione propter rem), derivante a carico del locatore dalla consapevole, da parte del medesimo locatore, destinazione, ad opera del conduttore, dell'immobile urbano locato ad attività commerciale avente determinate caratteristiche; obbligazione esigibile dal creditore (cioè il conduttore) al momento della cessazione del rapporto che non sia dovuta a suo inadempimento, recesso, disdetta o fallimento (e figure a questo affini) (Cosentino, Vitucci, 456).

L'insussistenza dell'onere della prova del danno

La giurisprudenza della Suprema Corte è ferma nel ripetere che l'indennità dovuta al conduttore uscente prescinda da qualsiasi accertamento circa il danno che questo venga a patire in concreto.

Il diritto del conduttore di un immobile locato per uso non abitativo all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale compete cioè indipendentemente dalla prova in concreto dell'avviamento e della perdita, avendo il legislatore stabilito l'obbligo di corresponsione dell'indennità al conduttore con una valutazione fondata sull'id quod plerumque accidit, ragion per cui, una volta accertata la sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 34, comma 1, della l. n. 392/1978, il giudice del merito non è tenuto a compiere ulteriori indagini qualora il locatore si sia limitato a formulare un'eccezione meramente contestativa attinente all'asserita inidoneità dell'attività per la quale il bene era stato concesso in locazione a produrre avviamento (tra le tante, Cass. III, n. 15821/2005; Cass. III, n. 7528/2009; Cass. III, n. 11770/2017; da ultimo, nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Potenza 26 aprile 2019). Analogo convincimento è stato espresso, sul punto, dal giudice delle leggi, secondo cui risulta irrilevante la prova contraria circa il nesso eziologico tra pregressa locazione ed avviamento, viceversa collegati del tutto razionalmente dal sistema normativo (Corte cost., n. 583/1987).

Discende da ciò la regola per cui l'indennità spetta anche laddove il conduttore, dopo il rilascio, continui ad esercitare la medesima attività in un locale ubicato nello stesso edificio o, comunque, posto nelle vicinanze dell'immobile locato (Cass. III, n. 11770/2017; Cass. III, n. 12895/2014; Cass. III, n. 7992/2009; Cass. III, n. 11596/2005; Cass. III, n. 2834/2002). In senso contrario rispetto a tale indirizzo del giudice di legittimità, che va senz'altro condiviso, deve peraltro segnalarsi l'opposta opinione espressa, sul punto, da una oramai recessiva giurisprudenza di merito: opinione che si riassume nell'affermazione per cui va escluso il diritto del conduttore di un immobile ad uso diverso da quello abitativo all'indennità di avviamento commerciale nell'ipotesi in cui, dopo la cessazione del rapporto, egli abbia preso in locazione altra unità immobiliare nel medesimo stabile in cui si trovava l'immobile oggetto del precedente rapporto (Trib. Roma 18 febbraio 1998: nella specie, un'agenzia assicurativa aveva trasferito la propria sede dal primo piano al piano terra del medesimo fabbricato).

Dunque, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che, in seguito alla cessazione del rapporto, chieda il pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non ha l'onere di provare che l'immobile era utilizzato per il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, se questa circostanza derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell'immobile, gravando sul locatore, che eccepisce la diversa destinazione effettiva, l'onere di provare tale fatto impeditivo della suddetta pretesa, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c.. Qualora, invece, la destinazione contrattualmente individuata dalle parti non contempli necessariamente il contatto diretto con il pubblico, potendo implicarlo o meno, nel quadro dell'attività della parte conduttrice o anche della stessa destinazione prevista dalle parti, compete al conduttore provare che - com'era lecito nell'economia del regolamento contrattuale - l'immobile sia stato effettivamente adibito ad attività comportante il contatto in questione (Cass. III, n. 29303/2023, con riguardo alla locazione di un appartamento, le cui camere venivano pacificamente utilizzate, in aggiunta a quelle della struttura principale, per ospitare i clienti di un albergo, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto incombesse al locatore dimostrare una diversa modalità di utilizzo, onde sottrarsi all'obbligo di corrispondere al conduttore l'indennità di cui all'art. 34 della l. n. 392 del 1978).

Disciplina transitoria

Gli artt. 34 e 35 regolano il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento con riferimento ai contratti di locazione conclusi nella vigenza della l. n. 392/1978.

Con riguardo ai contratti stipulati in precedenza trovava applicazione l'art. 69 della l. n. 392/1978, disposizione che è stata oggetto di ripetuti interventi da parte del legislatore e su cui hanno pure inciso tre distinte pronunce di incostituzionalità. Non sembra utile entrare nel dettaglio della menzionata disciplina transitoria, dal momento che essa ha oramai un riscontro applicativo pressoché nullo; è sufficiente ricordare che, in forza di un meccanismo assai articolato, l'indennità dovuta al conduttore era commisurata al canone richiesto dal locatore o offerto dal conduttore in sede di proposta di rinnovo del contratto, ovvero al canone corrente di mercato per gli immobili che presentassero le stesse caratteristiche di quello che il locatario era tenuto a rilasciare.

In giurisprudenza, si è posto il problema se l'indennità di cui all'art. 69 (che, per quanto si è appena detto, andava calcolata sulla base di parametri completamente diversi da quello dell'ultimo canone corrisposto, di cui all'art. 34) concernesse anche quei contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della l. n. 392/1978 che venissero a cessare dopo la scadenza determinata a norma dell'art. 71 per i contratti non soggetti a proroga. E, occupandosi di un contratto novennale concluso nel 1973 (e quindi prima dell'entrata in vigore della legge del 1978) la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui, qualora la locazione di un immobile adibito ad una delle attività commerciali dei primi due commi dell'art. 27 della l. n. 392/1978, in corso alla data dell'entrata in vigore della suddetta legge e non soggetta a proroga, venga a cessare convenzionalmente in data successiva a quella calcolata ai sensi dell'art. 71, il diritto del conduttore all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale deve riconoscersi non alla stregua della disposizione transitoria dell'art. 69 ma di quella ordinaria dell'art. 34 (Cass. III, n. 2566/1989). Tale regola è stata giustificata con la considerazione che la normativa applicabile in materia di indennità è quella vigente non al momento della stipula del contratto ma a quello della cessazione del rapporto e che, per costante giurisprudenza, una volta cessato il periodo transitorio, viene meno la relativa disciplina e la locazione, che prosegue convenzionalmente, resta soggetta alla normativa ordinaria (Cass. III, n. 11405/1992).

Poteva poi accadere che il contratto concluso prima dell'entrata in vigore della l. n. 392/1978 si fosse rinnovato tacitamente al termine del periodo transitorio, restando così assoggettato alla disciplina riservata da detta legge alle locazioni concluse nella sua vigenza. In tale ipotesi è indubbio che al termine del rapporto trovasse applicazione l'art. 34, e non l'art. 69. Difatti, in tema di contratti di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo venuti a cessare alle scadenze legali fissate negli artt. 67 e 71 della l. n. 392/1978, se il rapporto, successivamente, continua anche tacitamente fra le parti, si instaura un rapporto del tutto nuovo, soggetto alla disciplina ordinaria di cui alla suddetta legge, e pertanto anche a quella di cui all'art. 34 circa i criteri di determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale (Cass. III, n. 1927/2003; Cass. III, n. 788/2001; Cass. III, n. 9195/1999).

Le attività protette

L'art. 34 della l. n. 392/1978 delimita l'àmbito di applicazione dell'istituto in esame alle locazioni di immobili di cui all'art. 27. Tuttavia, lo stesso articolo, nello stabilire la misura dell'indennità, richiama le sole attività enunciate dall'art. 27, nn. 1) e 2), e cioè le attività industriali, commerciali, artigianali e di interesse turistico, oltre che le attività alberghiere.

In dottrina, si è ritenuto che la mancata menzione dell'attività di lavoro autonomo (art. 27, comma 2) non escluda l'indennità di avviamento tutte quelle volte che l'esercizio di esso dia vita a una vera e propria attività imprenditoriale (Lazzaro, Preden, 737). Quanto all'attività agricola, sembra corretto credere che la spettanza del compenso debba essere riconosciuta nei casi di coordinamento finalistico della stessa all'esercizio del commercio, sempre che questo costituisca il momento prevalente dell'attività complessivamente svolta dall'imprenditore (Buoncristiano, 388).

Al riguardo, la Suprema Corte ha stabilito che le locazioni di immobili urbani (comprese le aree nude le quali, pur senza attrezzature artificiali o edificatorie, costituiscano corredo o supporto dell'organizzazione di una delle attività di cui all'art. 27 della l. n. 392/1978) – destinati ad esercizio di attività agricole connesse (art. 2135 c.c.), oppure funzionalmente collegate a quelle, primarie, svolte altrove dallo stesso imprenditore agricolo (quale ricovero di animali, deposito di attrezzi o di prodotti agricoli, sementi, concime, ecc.) – sono soggette alla disciplina della l. n. 392/1978 e, quindi, anche alle norme in materia di prelazione e riscatto di cui agli art. 38 e 39 della legge indicata (Cass. III, n. 161/1990): nella sostanza, però, in assenza di un contatto diretto con il pubblico (condizione, questa, imposta dall'art. 35) l'esercizio di attività collegate a quella agricola non dà diritto all'indennità di avviamento, e nemmeno alla prelazione e al riscatto.

Nel caso che l'immobile sia sfruttato economicamente in modo soltanto occasionale deve pure negarsi che il diritto alla prestazione indennitaria venga ad esistenza. Ciò è stato chiarito dalla Suprema Corte in una singolare fattispecie in cui aveva avuto luogo l'affitto, da parte del conduttore, del balcone di un immobile in occasione del Palio di Siena (Cass. III, n. 7074/1994).

Svolgimento effettivo dell'attività

La dottrina è concorde nell'affermare che la disciplina in tema di indennità richieda l'effettivo esercizio delle attività sopra richiamate.

Si è così osservato che la formula «immobili utilizzati per lo svolgimento di attività» contenuta nella disposizione dell'art. 35, rende necessario, da un lato, che l'immobile sia effettivamente destinato all'esercizio di una fra le attività che consentono al conduttore di pretendere l'indennità di avviamento, e, dall'altro, che nel momento in cui cessa il rapporto di locazione, l'attività sia ancora in corso (Gabrielli –Padovini, 843). Pertinente osservazione, sul tema, è quella incentrata sulla ratio dell'istituto dell'indennità che mira a tutelare attività imprenditoriali vitali, nell'interesse generale della produzione, e non già a favorire le mire speculative dei conduttori che detengano l'immobile, pur senza utilizzarlo, per libera e volontaria scelta, al fine di lucrare l'indennità (Lazzaro, Preden, 738).

Dello stesso avviso è la giurisprudenza, la quale ha pure ribadito che il carattere automatico del diritto del conduttore di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione, all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della l. n. 392/1978, comporta solo che il conduttore sia esonerato dalla prova della sussistenza in concreto dell'avviamento e del danno conseguente al rilascio, ma non implica che tale diritto consegua alla sola destinazione dell'immobile ad una delle attività protette, quando manchi la prova, da fornirsi dal conduttore, che ad esse l'immobile sia stato concretamente adibito (Cass. III, n. 4430/1996).

Ciò non significa che l'attività commerciale debba continuare ad essere esercitata fino alla cessazione del rapporto locatizio. La Suprema Corte suole affermare che, ai fini della spettanza dell'indennità per la perdita dell'avviamento, la cessazione dell'attività prima del rilascio dell'immobile non assume in sé rilievo (Cass. III, n. 7528/2009; Cass. III, n. 13418/2001; Cass. III, n. 12279/2000). Si osserva, infatti, che l'avviamento commerciale sussiste, in astratto, anche in tal caso (Cass. III, n. 1993/1993).

Come è stato sottolineato, su una tale estensione del diritto può convenirsi, ma a patto che ci si riferisca ai casi nei quali l'interruzione, oltre ad essere causalmente collegata all'iniziativa assunta dal locatore, si verifichi in un ambito temporale rigorosamente circoscritto, coincidente col periodo in cui, in vista del prossimo, e necessitato, rilascio dell'immobile locato, possa ritenersi normale e sensata la smobilitazione dell'azienda o il suo trasferimento in altra sede (Di Marzio, Falabella, 2363). In tal senso, sembra perciò condivisibile l'affermazione secondo cui la liquidazione finale delle merci è coerente con la cessazione dell'attività e non impedisce di esercitare il diritto all'indennità, mentre non sussiste tale diritto qualora la fase di cessazione dell'attività non sia ragionevolmente vicina allo scioglimento del rapporto di locazione, come nel caso in cui il negozio sia chiuso, per esempio, da oltre un anno (Gabrielli, Padovini, 843).

Del tutto particolare è la fattispecie, esaminata dalla giurisprudenza, della cessazione dell'attività determinata dalla sopravvenuta inagibilità dell'immobile locato. L'interruzione, da parte del conduttore, dell'attività industriale, commerciale o artigianale comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, provocata dall'inagibilità dell'immobile locato, non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennità di avviamento se il rapporto, non avendo il locatore fatto valere la risoluzione del contratto per l'impossibilità sopravvenuta della prestazione, sia successivamente cessato, per iniziativa di quest'ultimo, solo per effetto della scadenza legale o convenzionale del contratto (Cass. III, n. 11091/1992).

Attività illecite-illegittime

Lo svolgimento dell'attività di impresa all'interno dell'immobile locato deve essere non soltanto effettivo, ha anche legittimo: il diritto all'indennità di avviamento deve essere quindi escluso nei casi in cui l'attività stessa sia esercitata in mancanza delle prescritte autorizzazioni.

La tutela dell'avviamento commerciale, apprestata dagli artt. 34-40 della l. n. 392/1978, per gli immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione, utilizzati per un'attività commerciale comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, non può essere riconosciuta al conduttore che eserciti quell'attività senza le prescritte autorizzazioni, poiché il presupposto della tutela risiede nella liceità dell'esercizio dell'attività medesima, in quanto si fornirebbe altrimenti protezione a situazioni abusive (frustrando l'applicazione di norme imperative che regolano le attività economiche) e lo stesso scopo premiale della disciplina posta a fondamento della predetta legge, che, quanto all'avviamento ed alla prelazione, consiste nella conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate (Cass. III, n. 7501/2007; Cass. III, n. 635/2007; Cass. III, n. 10187/2005). La verifica circa la presenza di detta condizione ostativa all'insorgenza del diritto deve essere effettuata dal giudice anche d'ufficio (Cass. III, n. 635/2007).

Peraltro, il locatore è tenuto a pagare al conduttore l'indennità per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 34 della l. n. 392 del 1978 anche se il locatario ha svolto nei locali un'attività commerciale, implicante rapporti con terzi, senza il rispetto delle prescrizioni amministrative, fattispecie differente e non sovrapponibile a quella di attività svolta senza alcuna autorizzazione e, dunque, in diretta violazione di legge, il cui accertamento spetta al giudice, mentre è riservata all'autorità amministrativa preposta alla contestazione ed alla irrogazione della sanzione, senza possibilità di surroga del giudice civile, la valutazione dell'illiceità della condotta esercitata senza ottemperare alle prescrizioni (Cass. III, n. 20330/2023, che ha affermato che l'accesso della clientela al punto vendita tramite un vano piuttosto che per un altro, in difformità rispetto al nulla osta sanitario, non incide sul diritto all'indennità per la perdita di avviamento).

Uso promiscuo

Si è discusso, in passato, sul regime giuridico applicabile al contratto nel caso in cui l'immobile risultasse simultaneamente destinato ad attività comportanti contatti diretti con il pubblico e attività che non presentassero questa connotazione.

Secondo un primo indirizzo, l'indennità spettava comunque, anche nel caso in cui l'attività svolta a contatto col pubblico avesse in concreto carattere marginale rispetto all'altra (Cass. III, n. 2616/1986). Per un secondo orientamento, non era parimenti rilevante che, nel caso di immobile locato ad uso promiscuo, l'attività di commercio al dettaglio fosse subvalente rispetto ad altra, non implicante contatti diretti col pubblico: nondimeno, l'indennità di avviamento doveva essere determinata mediante l'individuazione dell'ambito spaziale nel quale si svolgeva il contatto diretto con il pubblico dei consumatori, cosicché una volta individuata quest'area, potesse proporzionalmente quantificarsi, in relazione ad essa, il canone di locazione e quindi la corrispondente indennità (Cass. III, n. 4664/1989). Un terzo orientamento attribuiva rilievo al criterio della prevalenza, sicché – si diceva – il diritto all'indennità andava riconosciuto allorquando l'attività di vendita al minuto avesse carattere esclusivo o prevalente rispetto ad altra attività eventualmente esercitata nello stesso immobile (Cass. III, n. 8631/1991; Cass. III, n. 10781/1993; Cass. III, n. 4487/1994; Cass. III, n. 2614/1995; Cass. III, n. 4474/1995).

Quest'ultima è stata la soluzione che alla questione hanno dato le Sezioni Unite, chiamate a comporre il contrasto di giurisprudenza appena descritto. In base a detta pronuncia, nel caso di mutamento, da parte del conduttore, dell'uso pattuito, va applicato, al momento della cessazione del rapporto, il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente, con la conseguenza che, in caso di prevalenza dell'uso commerciale con contatti diretti con il pubblico, l'indennità di cui all'art. 34 della l. n. 392/1978 va commisurata all'intero canone corrisposto per l'immobile concesso in locazione e non già ad una parte del canone proporzionata alla sola superficie adibita all'uso commerciale predetto (Cass. S.U., n. 11301/1995).

La giurisprudenza successiva è allineata sulla posizione delle Sezioni Unite. Più pronunce assegnano un ruolo decisivo al criterio della prevalenza (Cass. III, n. 1700/1997; Cass. III, n. 1232/1997), ribadendo che l'indennità per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 35 della l. n. 392/1978 non compete al conduttore cessato nei casi in cui l'attività non abbia, in termini di prevalenza, un contatto con il pubblico indifferenziato degli utenti e dei consumatori, ma con operatori professionali (Cass. III, n. 11896/1998; Cass. III, n. 29835/2017).

È stato, inoltre, precisato che, in ipotesi di prevalenza, l'indennità non possa essere commisurata alla superficie dei locali adibiti all'attività che importa contatti col pubblico. In caso di locazione di immobile urbano utilizzato in parte come deposito ed in parte per lo svolgimento di attività comportante contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, con prevalenza di quest'ultimo uso, l'indennità di cui all'art. 34 della l. n. 392/1978 va commisurata all'intero canone corrisposto per l'immobile concesso in locazione, e non già ad una parte proporzionata alla sola superficie adibita all'uso commerciale predetto (Cass. III, n. 11596/2005).

Il medesimo principio è considerato applicabile allorché si tratti di regolamentare l'uso promiscuo quando vi sia stato un mutamento di destinazione nel corso del rapporto. Nel caso di mutamento da parte del conduttore dell'uso pattuito nel corso della locazione, va applicato al momento della cessazione del rapporto il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente (art. 80, comma 2, l. n. 392/1978), con la conseguenza che in caso di prevalenza dell'uso commerciale con contatti diretti con il pubblico l'indennità di cui all'art. 34 va commisurata all'intero canone corrisposto per l'immobile concesso in locazione e non già ad una parte proporzionata alla sola superficie adibita all'uso commerciale predetto (Cass. III, n. 2768/1997). Peraltro, quando è contrattualmente stabilita una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, al conduttore che invochi il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non è sufficiente dimostrare che nonostante il tenore delle clausole contrattuali nell'immobile è stata svolta un'attività comportante detto contatto, essendo anche necessario che egli provi che sia decorso il termine di tre mesi dalla data in cui il locatore ha avuto conoscenza dell'uso pattuito, ai sensi dell'art. 80 della l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 13705/2017).

Si deve aggiungere che il problema della prevalenza si pone non soltanto nell'ipotesi in cui occorra distinguere tra attività esercitate o meno in contatto con il pubblico, ma anche quando si debba discriminare tra attività protette e no. Per stabilire se l'attività svolta nell'immobile locato abbia natura imprenditoriale o professionale, occorre avere riguardo non alla qualifica (professionale o meno) delle persone che vi lavorano, ma alla prevalenza, nell'ambito delle attività ivi esercitate, dell'elemento imprenditoriale o di quello professionale, sicchè anche l'attività del professionista può assumere natura commerciale quando l'organizzazione in forma di impresa sia assorbente rispetto a quella professionale (da ultimo, in conformità ad un orientamento costante, Cass. III, n. 13091/2017, che ha confermato la sentenza impugnata, che aveva accertato la natura imprenditoriale con riferimento ad un laboratorio di analisi cliniche, osservando che tale attività si connota solitamente come struttura organizzativa di dimensioni più o meno rilevanti, dove il professionista titolare si avvale stabilmente di una pluralità di collaboratori e di dotazioni tecniche, di guisa che l'attività professionale rappresenta una componente non predominante, per quanto indispensabile, del processo operativo).

È da segnalare, da ultimo, che il criterio indicato non trova applicazione nel caso in cui le porzioni immobiliari oggetto di distinta utilizzazione siano locate con contratti separati: in tale ipotesi l'uso che determina la disciplina giuridica di ciascuna parte del locale è quello stabilito dalla volontà dei contraenti (Cass. III, n. 2792/1999).

Fattispecie

Il diritto all'indennità di avviamento è stato anzitutto riconosciuto in capo all'istituto di credito che eserciti la sua attività nell'immobile locato, indipendentemente dal riscontro della prevalenza del servizio di sportello.

Infatti, l'attività di intermediazione nel credito, pur non essendo espressamente menzionata dall'art. 27 della l. n. 392/1978, rientra, al pari delle altre attività indicate nell'art. 2195 c.c., fra quelle commerciali ed è, di per sé, finalizzata a fornire servizi al pubblico che all'uopo deve comunque necessariamente recarsi nell'immobile (Cass. III, n. 3895/1993). Si è così precisato che l'indennità di avviamento commerciale può spettare anche nel caso di ubicazione, nei locali condotti in locazione, degli uffici direzionali di una banca essendo tali locali funzionali al soddisfacimento delle richieste dell'utenza, secondo l'articolazione organizzativa e le necessità operative del settore (Cass. III, n. 12720/1997).

Non v'è dubbio che l'indennità spetti anche all'impresa di assicurazioni.

L'indennità di avviamento spetta al conduttore che svolga all'interno dei locali oggetto del contratto attività di impresa assicuratrice con contatto diretto con il pubblico degli utenti; ciò in quanto questa attività, pur se non espressamente indicata dall'art. 27 della l. n. 392/1978, rientra, al pari delle altre attività indicate dall'art. 2195 c.c., fra quelle commerciali (Cass. III, n. 6876/2003; Cass. III, n. 8496/1990; Cass. III, n. 6339/1985).

Non rileva che l'attività assicurativa sia svolta non già direttamente da parte dell'imprenditore, conduttore dell'immobile, bensì da soggetti che agiscano per suo conto, quali gli agenti.

Ed invero, in relazione a contratto di locazione stipulato da un istituto di assicurazione, allorquando il godimento dell'immobile locato da parte dell'agente rientra nella previsione contrattuale, unico legittimato a richiedere l'indennità di avviamento è, in quanto conduttore, l'istituto di assicurazione, che tiene i contatti diretti con il pubblico tramite la sua agenzia, dovendosi ritenere che il «contatto diretto» di cui all'art. 35 della l. n. 392/1978 è quello che intercorre tra il pubblico degli utenti e dei consumatori ed il locale in cui ha sede l'impresa e non quello che intercorre tra i detti utenti e consumatori, da un lato, e l'imprenditore, dall'altro, potendo quest'ultimo agire anche a mezzo di rappresentanti o comunque di soggetti che operino per suo conto (Cass. III, n. 6876/2003; nella giurisprudenza di merito, v. Pret. Sestri Ponente 6 maggio 1985; ha ritenuto invece Pret. Matera 22 febbraio 1989 che ove l'attività di impresa nell'immobile locato sia esercitata da un soggetto diverso dal conduttore, il diritto all'indennità di avviamento non spetta né al primo di tali soggetti, perché privo della qualità di conduttore nel rapporto di locazione cessato, né al secondo, perché non esercente nell'immobile l'attività tutelata attraverso l'indennità in questione; diversamente, secondo Pret. Bari 30 giugno 1989, il titolare del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale dovrebbe individuarsi esclusivamente nel soggetto che svolga nell'immobile locato una delle attività protette e, quindi, nell'agente).

Se, invece, il contratto di locazione è concluso dall'agente, l'indennità spetta a quest'ultimo: l'agente, infatti, non può considerarsi un professionista, ma è un vero e proprio imprenditore commerciale (Cass. III, n. 10673/1991; con riguardo all'agente v. pure Trib. Milano 19 aprile 1984; Pret. Milano 15 luglio 1983, secondo cui l'agente non può considerarsi un prestatore d'opera intellettuale; contra, Pret. Penne 7 giugno 1984).

L'attività svolta all'interno di un immobile adibito ad agenzia non è, però, necessariamente remunerata, in caso di cessazione del rapporto, con l'indennità di avviamento. Così, se i contatti col pubblico degli utenti non sono generalizzati, ma episodici, in modo da non rivestire un ruolo essenziale nella economia dell'attività svolta dal conduttore nei locali, il diritto di cui trattasi non può configurarsi. Sul punto possono richiamarsi le considerazioni svolte da una pronuncia del Suprema Corte in un caso in cui la sentenza di merito oggetto dell'impugnazione aveva ritenuto che la società avesse adibito i locali ad uffici destinati all'incontro tra i produttori, senza che fosse previsto un orario di apertura al pubblico, e che solo poche famiglie, per evitare la visita degli esattori a casa, si recassero a pagare i premi negli uffici a scadenza mensile diversificata; il giudice di legittimità ha confermato la pronuncia (Cass. III, n. 10885/1993).

È stato escluso che l'indennità spetti nel caso che il locale sia destinato ad ispettorato sinistri dell'impresa assicuratrice (Pret. Bari 30 aprile 1983).

Attività imprenditoriale è anche quella del mediatore professionale.

L'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale in caso di cessazione del rapporto di locazione spetta dunque anche al conduttore che esercita l'attività di mediatore professionale, attesa la sua qualità di imprenditore commerciale (Cass. III, n. 1637/1984).

Come è stato esattamente argomentato, con riguardo alla figura del mediatore immobiliare, non è più l'elemento fiduciario (ovvero questo assume rilievo secondario) a guidare l'utente verso l'agenzia immobiliare, bensì l'organizzazione al fine di produrre un servizio (a scopo di lucro), che può assumere anche strutture notevolmente complesse (Buoncristiano, 393).

Ai fini della spettanza del diritto occorre che nell'immobile oggetto della locazione sia stata svolta un'attività comportante diretto contatto con il pubblico, condizione che si verifica quando gli interessati ai prodotti e ai servizi resi possono accedere liberamente all'interno dei locali e l'imprenditore ivi svolga un'attività che si indirizza ad una generalità indistinta di persone. Pertanto, proprio con riferimento ad immobile adibito ad attività di intermediazione nel campo immobiliare, la stessa, se rivolta non a soddisfare le esigenze di soggetti direttamente contattati o addirittura di singoli altri operatori economici, ma quelle di una indistinta generalità raggiunta attraverso la diffusione dei messaggi tipici per tale tipo di attività (inserzioni sui giornali, cartelli affissi all'esterno dei locali da affittare o vendere, manifesti, ecc.) ed incanalata attraverso tali messaggi verso la sede dell'azienda, è da considerare quale attività esercitata mediante diretto contatto con il pubblico (Cass. III, n. 1363/2009).

In giurisprudenza, si è tuttavia precisato che la perdita di clientela da cui discende il diritto all'indennità di avviamento presuppone che si tratti di soggetti che normalmente acquistino la merce o il servizio non già nell'ambito di un proprio progetto o di una organizzazione economica di produzione o di cambio di beni o servizi, bensì per soddisfare un bisogno personale e, comunque, quantitativamente limitato: conseguentemente, andrebbe esclusa la debenza dell'indennità in questione in favore di un mediatore professionale la cui attività mediatoria non risulti soddisfare un bisogno primario e largamente diffuso e creare uno stabile afflusso di domanda verso i locali ove viene esercitata detta attività (Trib. Milano 19 giugno 1986).

La pronuncia è stata giustamente sottoposta a critica: se, infatti, l'attività si rivolge verso la clientela indifferenziata degli utenti (come era nella fattispecie), la condizione prevista dalla legge è realizzata, non assumendo decisivo rilievo la natura del bisogno che gli interessati intendano soddisfare (Lazzaro, Preden, 836).

Ancora tra i giudici di merito, la soluzione restrittiva è stata sostenuta nelle ipotesi in cui l'attività commerciale avesse carattere accessorio a quella professionale o non avesse comunque comportato rapporti diretti col pubblico degli utenti e dei consumatori (Pret. Pietrasanta 10 novembre 1982, nel caso di professionista che svolgeva attività di rappresentanza e di procacciamento di materiali da costruzione per imprese).

Una speciale figura di mediatore è quella del broker di assicurazioni. Detta figura ha trovato per la prima volta disciplina nella l. n. 792/1984, la quale all'art. 1 definisce «mediatore di assicurazione e riassicurazione, denominato anche broker, chi esercita professionalmente attività rivolta a mettere in diretta relazione con imprese di assicurazione e riassicurazione, alle quali non sia vincolato da impegni di sorta, soggetti che intendano provvedere con la sua collaborazione alla copertura dei rischi, assistendoli nella determinazione del contenuto dei relativi contratti e collaborando eventualmente alla loro gestione ed esecuzione». La definizione giustappone le due qualificazioni giuridiche prevalenti: quella di prestatore di opera intellettuale, sostenuta da parte della dottrina, e quella di mediatore, recepita dalla Suprema Corte (Cass. III, n. 5860/1979; Cass. III, n. 3531/1980; Cass. III, n. 5676/1980). Nell'indagare la natura dell'attività, la Suprema Corte ha posto l'accento sul rilievo che nell'attività del broker è presente un rischio imprenditoriale da collegare all'aspetto mediatizio dell'attività. La presenza del rischio imprenditoriale riconduce l'attività economica ausiliaria di quella assicurativa, organizzata ed esercitata dal broker, nell'ambito dell'impresa commerciale con conseguente prevalente rilievo del dato economico rispetto a quello del servizio prestato. Non v'è dubbio che la complessiva attività del broker è connotata pure da profili di intellettualità, richiedendosi in chi la esercita specifiche ed approfondite conoscenze di economia, tecnica e diritto delle assicurazioni, ma l'esercizio di attività intellettuale è compatibile con quello di attività commerciale, solo che l'elemento organizzativo riveste carattere funzionale ed esterno, diversamente da quanto avviene nell'esercizio di attività intellettuali, nelle quali l'elemento organizzativo, se sussistente, ha carattere strumentale ed interno. Concludendo, il broker di assicurazioni svolge attività mediatizia in forma di impresa commerciale, che denota connotati intellettuali, e in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo all'immobile adibito all'attività ha diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento (Cass. III, n. 6874/2003).

La spettanza dell'indennità è stata riconosciuta anche per la gestione di agenzia pubblicitaria, dal momento che questa, secondo quanto ritenuto in giurisprudenza, non rientra tra le attività professionali, da intendersi nel senso ristretto di esercizio di una professione intellettuale, ma tra le attività commerciali, realizzando una intermediazione nello scambio di beni, e precisamente nella cessione di «spazi pubblicitari» (Pret. Milano 9 maggio 1985).

Ad analoghe conclusioni ha indotto l'esame della figura dello spedizioniere internazionale. Ai fini dell'applicazione della disciplina normativa relativa all'indennità di avviamento nelle locazioni ad uso diverso dall'abitativo, stabilita negli artt. 34 e 35 della l. n. 392/1978, deve essere qualificata attività non professionale ma imprenditoriale a carattere commerciale quella d'intermediazione tra cliente e vettore al fine di concludere un contratto di trasporto, svolta dallo spedizioniere internazionale, in quanto caratterizzata dallo svolgimento di attività economica organizzata destinata allo scambio di servizi, non assumendo rilievo, al fine di escludere tale caratteristica e conseguentemente il diritto all'indennità di avviamento, eventuale compimento di operazioni accessorie (Cass. III, n. 5510/2008).

Ancora, si è ritenuta attività di intermediazione nella circolazione dei beni comportante contatti diretti con il pubblico di utenti e consumatori quella svolta dall'istituto per le vendite giudiziarie, il quale, quindi, nel caso di cessazione del rapporto di locazione, ha diritto all'indennità di avviamento (Trib. Salerno 7 maggio 1992; in senso contrario Pret. Taranto 20 dicembre 1983, secondo cui l'indennità di avviamento presuppone che la dislocazione dell'impresa sia determinante ai fini della attività esercitata, nel senso che l'immobile costituisca lo strumento ordinario con cui viene realizzato il contatto diretto con i destinatari del prodotto o del servizio).

Tra le attività protette sono incluse quelle di interesse turistico; è stato però giustamente negato che l'indennità spettasse a un club nautico senza scopo di lucro e privo della possibilità di avere contatti col pubblico (Cass. III, n. 162/1990). Responso positivo ha avuto, all'opposto, il quesito circa la sussistenza del diritto in ipotesi di attività di gestione di un campeggio (Pret. Sala Consilina 28 maggio 1992).

Muovendo dalla natura commerciale dell'attività scolastica esercitata ai fini di lucro (Cass. III, n. 4449/1985), la corte di legittimità riconosce da tempo la spettanza dell'indennità alla scuola privata che fornisca il servizio in forma imprenditoriale (Cass. III, n. 6420/1987; Cass. III, n. 4487/1994; Cass. III, n. 10453/1994; Cass. III, n. 6019/1995; Cass. III, n. 5089/1996; Cass. III, n. 12252/1997; Cass. III, n. 2086/2002; Cass. III, n. 23557/2009).

Parlando di forma imprenditoriale dell'attività svolta, occorre sottolineare che l'insegnamento e l'istruzione offerti al pubblico in tanto possono considerarsi esercitati con tale modalità, così da costituire titolo per la percezione dell'indennità di avviamento, in quanto, oltre ad essere intesi alla realizzazione di un lucro, costituiscano il risultato di una vera e propria organizzazione aziendale, e cioè di un complesso strumentale di fattori materiali e personali che fungano da supporto indispensabile e non secondario del servizio di istruzione offerto al pubblico (Cass. III, n. 2086/2002; Cass. III, n. 12252/1997).

Ne discende la necessità di determinare caso per caso se, accanto allo scopo di lucro, sussista la struttura dell'impresa: concorrendo le due condizioni, potrà accordarsi al conduttore l'indennità per la perdita dell'avviamento.

In questi sensi è nettamente la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui, non spettando, a norma degli artt. 35 e 42 della l. n. 392/1978, per i contratti di locazione di immobili nei quali venga esercitata un'attività scolastica o un'attività professionale, in caso di cessazione del rapporto, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, il diritto a tale prestazione di norma non sussiste in relazione allo svolgimento di attività di insegnamento, che di per sé non dà luogo a un'impresa; ma tuttavia è valida l'opposta conclusione, ove sia accertato, nel caso concreto, che l'attività scolastica sia esercitata a fini di lucro e con struttura imprenditoriale (Cass. III, n. 5089/1996). Analogamente, ma in termini ancora più incisivi, è stato affermato che, affinché l'attività di insegnamento e di istruzione possa considerarsi esercitata in forma d'impresa, sì da costituire titolo per la percezione dell'indennità di avviamento, non è sufficiente che sia intesa al conseguimento di un lucro, ma è, altresì, necessario che costituisca il risultato di un'organizzazione aziendale e cioè di un complesso strumentale di fattori materiali e personali, che fungano da supporto indispensabile e non secondario del servizio di istruzione offerto al pubblico (Cass. III, n. 12252/1997).

Quella dell'autoscuola è da considerare come attività aziendale: il principio, affermatosi nella vigenza della l. 27 gennaio 1963, n. 19 (Cass. III, n. 5983/1981), è stato ribadito anche in seguito.

E cioè, l'attività didattica impartita nell'autoscuola si accompagna, con carattere di inscindibilità, alla somministrazione di taluni servizi ed all'espletamento di varie incombenze (quali la richiesta del cosiddetto foglio rosa per il discente, l'organizzazione delle visite mediche, il noleggio di veicoli specificamente attrezzati, l'organizzazione per l'espletamento degli esami, i contatti con i pubblici uffici per il rilascio dell'autorizzazione finale) che di per sé integrano un'attività aziendale. Consegue, pertanto, che l'autoscuola costituisce un'azienda commerciale agli effetti della applicabilità dell'art. 34 della l. n. 392/1978 per l'attribuzione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, nel caso di cessazione del rapporto di locazione relativo all'immobile ove essa avvenga (Cass. III, n. 3974/1994).

Rilievi del tutto analoghi a quelle sollevati con riferimento all'attività di insegnamento sono stati utilizzati per dar ragione della spettanza dell'indennità nel caso di conduzione di palestra.

Si è spiegato, infatti, che l'attività di palestra esercitata ai fini di lucro e con gestione a struttura imprenditoriale costituisca attività protetta dalla disciplina di cui agli artt. 34 e 35 della l. n. 392/1978 (Cass. III, n. 19309/2005; Cass. III, n. 4690/2003). Alle medesime conclusioni circa la spettanza dell'indennità, conduce l'esame dell'attività di palestra specializzata in ginnastica terapeutica, esercitata con fini di lucro e con prevalenza, sulla capacità professionale delle persone impegnate, dell'organizzazione aziendale (Pret. Milano 2 maggio 1996). Più in generale, l'esercizio di un impianto sportivo (nella specie, dotato di attrezzature mobili ed immobili) ove sia compiuto per fine di lucro e nell'ambito di una attività organizzata ai fini della produzione di un servizio, rientra nelle attività industriali o, in senso lato, commerciali, considerate dall'art. 27 della l. n. 392/1978 e non tra le attività ricreative di cui al successivo art. 42 (Cass. III, n. 4113/1993).

La Suprema Corte ha affermato che l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale compete anche per la cessazione delle locazioni di immobili adibiti per l'attività di un circolo culturale o ricreativo, ove risulti che questo sia gestito da una società all'uopo costituita da soggetti diversi dai soci del circolo, realizzandosi con la riscossione delle quote di associazione al circolo stesso il ricavo dell'attività di gestione, costituente scopo della società: società di cui il socio è solo un cliente con il quale essa ha diretto contatto nei locali del club (Cass. III, n. 7409/1992). La natura non commerciale, dell'attività propria del gestore della ricevitoria del lotto ha portato la giurisprudenza ad escludere che al detto soggetto spetti l'indennità di avviamento (Pret. Milano 15 ottobre 1987). Si è affermato, al riguardo, che l'attività in questione rientra tra quelle ricreative regolamentate dall'art. 42 della l. n. 392/1978 (Pret. Monza 19 dicembre 1983).

Con riguardo alle attività inerenti al settore sanitario, in fattispecie relativa al recupero di persone con disabilità, la Suprema Corte ha ritenuto che ove l'immobile locato sia destinato ad attività organizzata (nella specie, in forma societaria), la qualificazione dell'attività stessa come non meramente professionale, ma commerciale esige il riscontro di un'organizzazione d'impresa che non si esaurisca in sostrato strumentale delle prestazioni personali e, correlativamente, il riscontro di un'esorbitanza di tali prestazioni dall'opera intellettuale in senso stretto, per trasmodare il coordinamento dei fattori produttivi indirizzato all'offerta di un servizio autonomamente rilevante (Cass. III, n. 8291/1992). Nel medesimo senso, secondo cui la prevalenza del profilo imprenditoriale debba ricavarsi dal fatto che l'attività di coordinamento dei fattori di produzione sopravanzi la prestazione d'opera intellettuale, si è espressa altra pronuncia (Cass. III, n. 12623/1999, che ha escluso che avesse diritto alla prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978 il titolare di un laboratorio di diagnostica ed analisi cliniche, coadiuvato da altri professionisti). Anche nel caso di attività consistente nella gestione di una casa di cura per anziani, la corte di legittimità ha ritenuto che la sussistenza del diritto indennità postula la prevalenza di un'attività organizzativa di natura strettamente imprenditoriale commerciale. Qualora, invece, prevalga un'opera definibile come professionale per la qualità e la quantità del personale impiegato e per il tipo delle prestazioni eseguite, deve escludersi la configurabilità del diritto alla indennità in questione (Cass. III, n. 4505/2001). Con riguardo all'ipotesi di società di capitali che utilizzava l'immobile locato come poliambulatorio medico è stata in un'occasione riconosciuta l'esistenza di una vera e propria «spersonalizzazione» della prestazione sanitaria, che veniva quindi a perdere i connotati propri dell'attività professionale per assumere quella caratterizzazione imprenditoriale da cui discende il diritto all'indennità (Pret. Bologna 30 ottobre 1998).

Si è poi precisato che l'indennità di avviamento non spetta all'odontotecnico: questo, infatti, essendo abilitato solo alla costruzione di apparecchi di protesi dentarie su impronte fornite dai medici chirurghi e dai professionisti abilitati a norma di legge all'esercizio dell'odontoiatria, con indicazione del tipo di protesi richiesta, senza possibilità di eseguire, anche in presenza del medico, manovre cruente o incruente nella bocca del paziente, può avere contatto solo con i sanitari abilitati all'esercizio dell'odontoiatria, cui è riservato il controllo della rispondenza della protesi alle esigenze del paziente e l'inserimento della stessa nella bocca di quest'ultimo, e non può quindi, legalmente esercitare la sua attività a diretto contatto con i fruitori ultimi del prodotto, come invece, gli ottici, i quali possono confezionare, apprestare e vendere occhiali e lenti direttamente al pubblico, su prescrizione medica o, addirittura, senza prescrizione ove si tratti di occhiali protettivi o correttivi di difetti semplici di miopia o presbiopia; d'altro canto – è stato detto – è del tutto irrilevante che, di fatto, l'odontotecnico provveda direttamente alla riparazione di protesi, con verosimile manovra nella bocca dei pazienti, dato che una siffatta situazione di illegalità non può essere posta a base del diritto alla indennità di avviamento commerciale (Cass. III, n. 8847/1995).

Per il massaggiatore la tesi dell'esclusione del diritto all'indennità si è basata, invece, sulla natura professionale dell'attività svolta da questo operatore economico (Trib. Brescia 16 ottobre 1989). Non ha carattere professionale, e beneficia, quindi, del diritto all'indennità, l'attività svolta dall'estetista, la quale, secondo la Suprema Corte, ha piuttosto natura imprenditoriale artigiana (Cass. III, n. 2421/1997).

Altra attività artigianale cui compete l'indennità è quella del sarto. Il problema che si è posto, con riferimento a questa figura, è quello della limitata estensione della clientela; infatti, una sartoria artigiana ben può avere, e anzi normalmente ha, un afflusso di clientela minore rispetto a quella di una rivendita al minuto di capi di abbigliamento. La corte regolatrice ha tuttavia ritenuto non rilevante una tale evenienza (Cass. III, n. 8340/1995; Cass. III, n. 8585/1993). Naturalmente, clientela ristretta non equivale a clientela contattata attraverso un'attività occasionale. Così la corte di legittimità, nel ribadire, che il contatto diretto con il pubblico deve avere il carattere dell'abitualità, della stabilità e della continuità, ha escluso che costituisse attività protetta quella di chi, dopo aver esercitato per un certo periodo l'attività di sarto in modo professionale e continuativo, era stato assunto come bidello in una scuola pubblica, si era cancellato dalla camera di commercio e dal registro Iva ed aveva proseguito l'attività artigianale durante il tempo libero ed al solo scopo di integrare lo stipendio statale (Cass. III, n. 2982/1989).

La Suprema Corte ha ritenuto che al conduttore che si serva dell'immobile in locazione per l'esercizio di una attività artistico-artigianale, nella specie, vendita dei propri disegni ornamentali per tessuti, non spetti il diritto di prelazione e riscatto ove la sua clientela non sia costituita dal pubblico indifferenziato di consumatori, ma da una ristretta e particolare categoria (fabbricanti dei tessuti), la cui scelta resti orientata dalle qualità personali del conduttore e non dalla ubicazione dell'immobile nel quale questo esercita la vendita del suo prodotto (Cass. III, n. 12592/1991). La giurisprudenza di merito ha poi negato il diritto all'indennità nel caso di immobile adibito studio di pittore. Si è infatti ritenuto che l'attività dell'artista non rientri tra quelle di cui all'art. 34 della l. n. 392/1978, onde la frequentazione dei locali da parte dei potenziali acquirenti delle opere non assume alcun rilievo, stante la radicale inapplicabilità della disciplina alla fattispecie (Pret. Firenze 27 ottobre 1988). All'opposto, si è qualificata attività commerciale comportante contatti diretti col pubblico quella di gestione della galleria d'arte (Pret. Roma 13 novembre 1990).

Preponderanza dell'intuitus personae

In alcuni ambiti la valorizzazione del rapporto di fiducia esistente tra l'operatore economico e il cliente ha indotto a negare il diritto all'indennità.

Così, si è escluso dal novero delle attività protette quella propria dello studio pubblicitario: si è infatti sottolineato che detta attività, pur potendo essere esercitata in forma di impresa, ha le caratteristiche delle attività professionali, nelle quali sono prevalenti le qualità personali del soggetto. Tale conclusione è stata formulata avendo riguardo sia alla natura ideativa e intellettuale del lavoro diretto alla creazione del materiale pubblicitario, sia al carattere fiduciario del rapporto che lega il cliente alle singole persone che svolgano l'attività in questione (App. Bologna 12 luglio 1985, che ha confermato Trib. Piacenza 23 maggio 1983).

Allo stesso modo, si è ritenuto non spettare l'indennità in relazione all'esercizio di attività di progettazione ed allestimento di arredamenti, consulenza di architettura, pubblicità ed estetica industriale, dato il prevalere degli elementi libero professionali, basati sull'intuitus personale, rispetto a quelli imprenditoriali, e la conseguente irrilevanza del luogo di esplicazione dell'attività nel rapporto con la clientela (Pret. Udine, sez. dist. Palmanova, 1° luglio 1991). Stessa soluzione è stata adottata con riguardo al caso concernente l'attività di un'impresa che effettuava studi di marketing e servizi di informazione (Trib. Udine 22 novembre 1993).

Cessazione del contratto

L'indennità matura in conseguenza della cessazione del rapporto locativo, ma non in ogni ipotesi di scioglimento del vincolo contrattuale. Stabilisce infatti l'art. 34, comma 1, della l. n. 392/1978, che il diritto del conduttore si configura solo ove la cessazione del contratto «non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”),».

Peraltro la S.C. ha affermato che l'indennità spetta anche in caso di recesso anticipato del conduttore, qualora sia frutto non già di una libera autodeterminazione, ma di un inadempimento del locatore che influisca sulla volontà del locatario di scindersi dal vincolo negoziale (Cass. III, n. 17698/2013; nello stesso senso Trib. Roma 11 ottobre 2019, n. 19675).

La ratio della disposizione è ovvia: nel caso in cui sia il conduttore ad assumere l'iniziativa di rilasciare i locali, viene meno la ragione della tutela dell'avviamento, dal momento che è lo stesso interessato a volersi privare della redditività dell'azienda che è connaturata all'ubicazione dell'immobile; nell'ipotesi di risoluzione per inadempimento la mancata conservazione dell'impresa all'interno dei locali è imputabile al conduttore che, quindi, non è meritevole di tutela alcuna; nell'eventualità di fallimento (o di altra procedura concorsale), infine, si è in presenza di un operatore economico in crisi, e quindi non vi è avviamento da salvaguardare.

Grava sul conduttore, il quale richieda l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, la prova che il rapporto di locazione è cessato per disdetta o recesso del locatore o per altre cause diverse da quelle menzionate dall'art. 34, venendo particolarmente in considerazione un fatto costitutivo del diritto (Cass. III, n. 9757/1994).

Disdetta del locatore

Se, dunque, il rapporto viene a cessare per disdetta (o diniego di rinnovo) del locatore, il conduttore ha diritto alla corresponsione dell'indennità.

Non rileva la circostanza che il conduttore abbia provveduto a rilasciare spontaneamente l'immobile (Cass. III, n. 6548/1995; Cass. III, n. 11974/1991; Cass. III, n. 4664/1989).

Ai fini della spettanza della indennità è difatti ininfluente che l'iniziativa del locatore non sia stata contrastata dal conduttore, ovvero che quest'ultimo abbia rilasciato l'immobile aderendo alla richiesta della controparte senza provocare in merito alcun accertamento giudiziale, in quanto in tali comportamenti passivi non possono essere ravvisati, per via presuntiva, gli estremi di un concorso volitivo allo scioglimento del rapporto per mutuo dissenso, e tanto meno le manifestazioni di una autonoma volontà del conduttore di dismettere la utilizzazione a fini lavorativi dell'immobile, indipendentemente dalla richiesta del suo rilascio proveniente dal locatore ed in esercizio di una propria facoltà di recesso (Cass. III, n. 11974/1991). Si precisa che il conduttore non perde il diritto all'indennità neppure qualora il rilascio spontaneo si attui prima della scadenza (Cass. III, n. 2485/1998). Ciò non significa che il conduttore, ricevuta la disdetta, possa decidere unilateralmente di far cessare il rapporto prima della scadenza, sottraendosi alle proprie obbligazioni: anzi, tale condotta integra inadempimento e, in tal caso, il conduttore non può vantare, in dipendenza della disciplina dettata dall'art. 34 della l. n. 392/1978, alcun diritto all'indennità di avviamento, essendosi il contratto risolto, in dipendenza di una condotta a lui addebitabile, prima di quella data (Cass. III, n. 19478/2005).

Il rilascio dell'immobile da parte del conduttore non impedisce il sorgere del diritto nemmeno nel caso di nullità-inefficacia del diniego di rinnovazione, come accade nel caso di mancata enunciazione dei motivi di cui all'art. 29 della l. n. 392/1978 e nell'ipotesi di intempestiva comunicazione (Cass. III, n. 454/2009; Cass. III, n. 15590/2007; Cass. III, n. 15091/2001). Parimenti ininfluente è la revoca unilaterale della disdetta da parte del locatore. La fattispecie è stata presa in esame da una pronuncia di merito, la quale ha ritenuto inefficace la revoca, anche se intervenuta più di un anno prima della scadenza del primo sessennio di locazione non abitativa, della disdetta motivata ex art. 29 della l. n. 392/1978, riconoscendo, per conseguenza, la conservazione, in capo al conduttore, del diritto alla corresponsione dell'indennità di avviamento (Pret. Verona 2 luglio 1990). Nello stesso senso, la Suprema Corte si era pronunciata con riguardo agli effetti sul diritto all'indennità di un'eventuale revoca del preavviso di recesso (così Cass. III, n. 773/1989; Cass. III, n. 2281/1993 e Cass. III, n. 2067/1986, hanno negato che il locatore potesse privare di effetti il preavviso già comunicato, ammettendo che un tale risultato sarebbe stato tuttavia possibile con l'adesione, da parte del conduttore, alla volontà di revoca).

Disdetta e recesso del conduttore

Se il rapporto cessa per disdetta del conduttore, come si è visto, il diritto all'indennità non viene ad esistenza. La dottrina si è interrogata circa le conseguenze del concorso, per la medesima scadenza, di due distinte disdette, l'una proveniente dal conduttore e l'altra posta in essere dal locatore.

La soluzione suggerita è stata nel senso di dare prevalenza a quella delle due disdette che sia stata comunicata per prima: e ciò in quanto la disdetta recapitata in un momento successivo non potrebbe produrre l'effetto risolutorio, già irreversibilmente prodottosi in forza della disdetta inviata prima (Buoncristiano, 397). Si è tuttavia precisato che, alla prima scadenza dovrebbe comunque attribuirsi prevalenza alla disdetta del conduttore, dal momento che in vista dello spirare del primo sessennio il locatore ha il potere di denegare il rinnovo, e perciò la disdetta del conduttore, anche se posteriore alla comunicazione di quel diniego, aggiunge, in realtà, non foss'altro che sotto il profilo della rinuncia al rinnovo medesimo, un quid pluris alla fattispecie (Cosentino, Vitucci, 462).

Si è obbiettato che l'attitudine del diniego di rinnovo a determinare l'estinzione del rapporto alla prima scadenza passa attraverso la mancata contestazione della serietà dell'intenzione o, in caso di contestazione, attraverso la verifica giudiziale della detta serietà. Per cui, salvo che non si voglia attribuire alle due manifestazioni di volontà convergenti il significato proprio di un mutuo consenso alla risoluzione del vincolo, il diniego di rinnovo comunicato prima della disdetta, e fondato su di un proposito serio (e da ritenersi tale vuoi perché pacifico, vuoi perché accertato dal giudice), dà diritto al compenso (Di Marzio, Falabella, 2434).

La legge espressamente esclude la disdetta del conduttore dal novero delle fattispecie estintive da cui discende il diritto (sulla non spettanza dell'indennità in caso di recesso v. Cass. III, n. 2284/1993). Merita nondimeno qui precisare che la Suprema Corte attribuisce al termine «recesso» un significato più ampio di quello che gli è proprio. Si afferma, difatti, che per «recesso» non deve intendersi soltanto quello regolato dall'art. 27, comma 7, della l. n. 392/1978, in quanto nella norma in questione il termine è usato in una accezione ampia, comprensiva di ogni risoluzione anticipata del contratto che, anche se formalmente consensuale per adesione del locatore, possa farsi risalire ad una manifestazione di volontà del conduttore che non abbia più interesse alla continuazione della locazione (Cass. III, n. 2231/1995).

Anche alla disdetta e al recesso del conduttore va applicata infine la regola, fatta propria dalla giurisprudenza in tema di disdetta del locatore, per cui quel che rileva è l'iniziativa assunta dalla parte per provocare la cessazione del rapporto: ragion per cui non rileverà se il recesso o la disdetta siano tardivi o se i gravi motivi posti a fondamento del recesso siano insussistenti o non enunciati nel preavviso (Buoncristiano, 397; Cosentino, Vitucci, 462).

Mutuo consenso

L'art. 34 della l. n. 392/1978 non contempla espressamente, tra le ipotesi di esclusione del diritto all'indennità di avviamento, la cessazione del contratto per mutuo consenso.

Sollevata in proposito questione di costituzionalità, la Corte Costituzionale l'ha ritenuta manifestamente infondata con una sentenza interpretativa di rigetto, rilevando che l'ipotesi all'esame del giudice a quo rientra nella previsione dell'art. 34 della l. n. 392/1978 in quanto assimilabile al recesso ad nutum ovvero alla disdetta del conduttore. Con riguardo a quest'ultimo soggetto, quindi, ciò che rileva ai fini dell'esclusione del diritto all'indennità è l'intento di non proseguire il rapporto alla scadenza ovvero di interromperlo, intento sussistente anche nel caso dello scioglimento del rapporto per mutuo consenso (Corte cost., n. 565/1989).

Transazione e novazione

Con riguardo agli accordi transattivi intercorsi tra le parti con riferimento al rilascio dell'immobile, la Suprema Corte ha affermato che l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale dev'essere riconosciuta al conduttore, nel concorso dei presupposti di legge, in presenza di un accordo transattivo vertente anche sulla data di rilascio dell'immobile locato, dovendo ricondursi il rilascio alla esclusiva iniziativa del locatore, anche se il conduttore si sia limitato ad aderire alla richiesta stragiudiziale del locatore, essendo rilevante non l'oggetto iniziale della controversia transatta, ma il conseguimento in sede conciliativa da parte del locatore di un rilascio a lui favorevole (Cass. III, n. 6133/1995; Cass. III, n. 26/1987).

Conclusioni diverse si prospettano nel caso in cui la transazione preveda la prosecuzione del rapporto, perché in tal caso deve attribuirsi rilievo decisivo alla mancata cessazione di questo. La dottrina ha inoltre esaminato il caso della convenzione novativa che contempli il rilascio dell'immobile locato e la concessione in locazione di altro immobile. Si è ritenuto, in proposito, che l'indennità non spetti, osservandosi che in tal caso continua ad essere assicurata al conduttore la stabilità della locazione, sia pure in altro immobile (Trifone, 622), e che, nell'evenienza specifica in cui la nuova locazione abbia ad oggetto un locale contiguo, è radicalmente escluso che il conduttore abbia dalla novazione alcuna perdita dell'avviamento in ipotesi già conseguito nell'originario immobile (Buoncristiano, 399).

Risoluzione per inadempimento

La risoluzione per inadempimento del conduttore è espressamente considerata dal legislatore quale causa di esclusione dell'obbligo del locatore di corrispondere l'indennità.

Si è evidenziato, in dottrina, che la risoluzione, pur dovendo tradursi in una pronuncia giudiziale, potrebbe essere oggetto di un accertamento incidenter tantum: ipotesi, questa, che si verificherebbe allorché essa venga opposta in via di eccezione per paralizzare la pretesa del conduttore al pagamento dell'indennità (Cosentino, Vitucci, 462).

Proprio perché correlato al dato della mancata spettanza dell'indennità, l'interesse del locatore a una statuizione in punto di risoluzione per inadempimento del conduttore non viene poi meno nel caso di intervenuta riconsegna dell'immobile locato per scadenza del termine. Nell'ipotesi in cui, nel corso del procedimento instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la restituzione dell'immobile per finita locazione, non viene meno l'interesse (e il diritto) del locatore ad ottenere l'accertamento dell'operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento derivare effetti a lui favorevoli come, in caso di immobile non abitativo, la non debenza dell'indennità di avviamento (Cass. III, n. 8435/2002).

Risoluzione per impossibilità sopravvenuta

La risoluzione per impossibilità sopravvenuta del contratto di locazione non rientra tra le ipotesi espressamente escluse dall'art. 34 della l. n. 392/1978. La Corte costituzionale ha tuttavia negato che l'indennità spetti nella particolare ipotesi di distruzione dell'immobile locato (Corte cost., n. 576/1987).

Inoltre, con riferimento all'ipotesi di sopravvenuta inagibilità dei locali, è stato stabilito che la cessazione dell'attività all'interno dell'immobile non determina la perdita del diritto del conduttore alla indennità di avviamento se, non avendo il locatore fatto valere la risoluzione del contratto per l'impossibilità sopravvenuta della prestazione, il rapporto sia venuto a cessare, per iniziativa del locatore stesso, solo in ragione della scadenza del contratto (Cass. III, n. 11091/1992).

Divieto amministrativo di uso dell'immobile

Il giudice delle leggi ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 34 in commento nella parte in cui non considera i provvedimenti della Pubblica Amministrazione tra le cause di cessazione del rapporto di locazione che escludono il diritto del conduttore alla indennità per la perdita dell'avviamento. È stato in particolare evidenziato che il provvedimento amministrativo, che vieti sine die l'utilizzazione dell'immobile locato da parte non solo del conduttore, ma anche del locatore determina la cessazione del rapporto locatizio e non può non produrre effetti anche sull'obbligazione avente ad oggetto la corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, analogamente a quanto è espressamente contemplato in caso di cessazione del rapporto di locazione per risoluzione da inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o per una delle procedure previste dalla legge fallimentare (Corte cost., n. 542/1989).

Sulla scia della decisione della Corte costituzionale, si colloca la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale, in tema di locazioni ad uso diverso da quello abitativo, la funzione dell'indennità dovuta dal locatore al conduttore per la perdita dell'avviamento commerciale è quella di riequilibrare la posizione delle parti, onde evitare che il locatore possa realizzare un arricchimento senza causa per effetto dell'incremento di valore dell'immobile dovuto all'attività del conduttore. Ne consegue che tale funzione riequilibratrice viene meno quando il rapporto di locazione cessi per effetto di un provvedimento autoritativo della P.A. che determini l'inutilizzabilità sine die del bene locato (nella specie, ordinanza di sgombero a causa del pericolo di crollo), con la conseguenza che, in tale ultima ipotesi, non è dovuta la suddetta indennità, a meno che il conduttore non deduca e dimostri che l'immobile, venuta meno la causa di inutilizzabilità, sia tornato ad essere suscettibile di sfruttamento commerciale (Cass. III, n. 22810/2009; Cass. III, n. 13194/2012).

Morte del conduttore

Si discute se gli eredi del conduttore possano pretendere la corresponsione dell'indennità nel caso in cui il rapporto si sia estinto per morte di quel soggetto: ciò, ovviamente, nel caso in cui non si attui la successione nel contratto di cui all'art. 37 della l. n. 392/1978.

Alcuni autori hanno risposto al quesito in senso affermativo: si è detto, in proposito, che il decesso del locatario determinerebbe comunque la risoluzione del contratto (Buoncristiano, 402). Il che è senz'altro vero, ma non sembra sufficiente ad esaurire l'argomento. È stato rilevato, infatti, che in caso di morte del conduttore, non vi è alcun interesse da tutelare circa la stabilità e la continuità del rapporto essendo venuto meno per morte il titolare di detto interesse e non essendovi altri soggetti in grado di continuarne l'attività (Trifone, 622).

Merita peraltro aggiungere che, con riguardo alla materia dell'affitto agrario, è stato stabilito che l'indennità prevista dall'art. 43 della l. n. 203/1982 in favore degli affittuari coltivatori diretti, degli affittuari coltivatori non diretti, dei mezzadri, dei coloni, dei compartecipanti e dei soccidari in ogni caso di risoluzione incolpevole del contratto ha la funzione di compensare il pregiudizio economico derivante dalla cessazione del rapporto di lavoro e l'avviamento produttivo realizzato nel fondo dallo affittuario e del quale il locatore si avvantaggia all'atto della risoluzione anticipata del rapporto; pertanto, detta indennità spetta anche nel caso di risoluzione per morte del coltivatore, come risulta confermato dal fatto che tale evento non è considerato tra le cause di esclusione dell'indennizzo espressamente previste dalla citata legge n. 203 (Cass. III, n. 1835/1993).

Conservazione del godimento dell'immobile per un diverso titolo

In diverse ipotesi può accadere che, cessato il rapporto di locazione, l'ex conduttore mantenga il godimento del bene per un diverso titolo: si immagini il caso in cui egli acquisti la proprietà dell'immobile locato.

La dottrina si è in particolare soffermata sul caso dell'esercizio della prelazione o del riscatto e ha concluso che la confusione, nella stessa persona dell'acquirente, delle due qualità di locatore e conduttore escluderebbe che il problema possa porsi (Trifone, 622).

Merita in proposito rammentare che la Corte costituzionale ha avuto modo di soffermarsi sul tema della possibile cumulatività dei rimedi dell'indennità di avviamento e della prelazione, rilevando che i due benefici non si sommano, in quanto, in caso di vendita dell'immobile, opera la prelazione ma non l'indennità di avviamento, dovuta, per l'art. 34 in caso di cessazione del rapporto locativo per cause diverse dalla vendita dell'immobile (Corte cost., n. 128/1983).

Per parte sua, la Suprema Corte ha escluso la spettanza dell'indennità nel caso di esercizio di prelazione, osservando che, se alla cessazione del rapporto locatizio non si accompagna il rilascio del locale, e quindi l'attività economica ivi svolta continua ad esservi esercitata, non vi può essere perdita di avviamento e quindi pregiudizio economico da compensare (Cass. III, n. 339/2001). Nella stessa prospettiva, è stato esaminato il caso della costituzione, in favore del conduttore, di un diritto reale limitato di godimento (nella fattispecie, diritto d'uso) sull'immobile locato: anche se l'indennità copre presuntivamente la perdita del bene-avviamento, tale perdita ricorre soltanto quando il conduttore è costretto a cessare lo svolgimento della propria attività nell'immobile locato, e non invece quando – continuando la stessa ubicazione dell'attività, sia pure ad altro titolo, dopo la cessazione del rapporto locativo – non si può presumere nessuna dispersione o perdita del bene-avviamento (Cass. III, n. 10155/1995).

Può dunque affermarsi, in generale, che l'indennità di avviamento non può essere mai riconosciuta al conduttore in mancanza del rilascio dell'immobile dopo la cessazione de iure del rapporto locatizio. Così, in fattispecie in cui il conduttore era rimasto nella detenzione dei locali dopo la scadenza del contratto, e solo a distanza di mesi aveva ceduto la propria azienda ad un terzo, dal quale aveva ricevuto un prezzo dichiarato dalle parti comprensivo anche dell'avviamento commerciale, la Suprema Corte ha ulteriormente ribadito che, perché sorga il diritto all'indennità occorre che vi sia il rilascio dell'immobile locato, il quale è il fatto causativo della perdita dell'avviamento; ne consegue che se alla cessazione del rapporto locatizio non si accompagna il rilascio del locale e quindi l'attività economica ivi svolta continua ad esservi esercitata, non vi può essere perdita di avviamento e quindi pregiudizio economico da compensare, sia pure con quel particolare meccanismo automatico introdotto dalla suddetta norma (Cass. III, n. 23558/2009).

Esercizio della prelazione su immobile di interesse storico o artistico

In caso di esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato, avente ad oggetto immobile di interesse artistico o storico, l'esercizio del potere ablatorio da parte della P.A. determina l'acquisizione dell'immobile al regime del demanio pubblico e l'automatica cessazione del rapporto di locazione concluso dal precedente proprietario, onde l'amministrazione non acquista la qualità di locatore (Cass. III, n. 7020/1995): di qui l'insussistenza del diritto all'indennità.

Nullità, annullamento e rescissione del contratto

È senz'altro indubbio che l'indennità non competa in caso di nullità del contratto. Si è invece sostenuto che la contraria conclusione varrebbe nel caso in cui il contratto sia annullato o rescisso.

È stato affermato, al riguardo, che nel caso di annullamento, il contratto viene in effetti ad esistenza ed è soltanto rimosso ex post: l'ipotesi sarebbe perciò riconducibile alla nozione di cessazione del rapporto di locazione; del resto, si è aggiunto, l'assimilazione delle due ipotesi troverebbe fondamento nel rilievo per cui, essendo la locazione un contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, la pronuncia di annullamento non consentirebbe di ripetere quanto dalle parti prestato nel periodo intercorrente tra la stipula del negozio e il suo annullamento (Buoncristiano, 400).

La soluzione, è stato detto, non può essere condivisa, dal momento che un contratto annullato (o rescisso) è un negozio giuridico radicalmente privo di effetti: e lo è anche se ad essere invalido sia un contratto di durata, dal momento che per quest'ultima fattispecie la limitazione dell'effetto retroattivo della pronuncia opera nella sola ipotesi di risoluzione (Di Marzio, Falabella, 2443).

Quanto all'argomento fondato sull'irripetibilità delle prestazioni eseguite, esso prova poi troppo, visto che è spendibile anche in caso di nullità (Cass. III, n. 4849/1991).

Fallimento

La norma in commento è stata oggetto, da parte di alcuni, di una lettura restrittiva.

Secondo parte della dottrina, infatti, l'esclusione dell'indennità opererebbe nella sola ipotesi in cui la cessazione del contratto discenda dall'esercizio della facoltà del recesso da parte del curatore, a norma dell'art. 80 l. fall.: nel caso di cessazione del contratto per altra causa, il diritto all'indennità non sarebbe escluso, ancorché il fatto estintivo del rapporto sia intervenuto dopo l'apertura della procedura concorsuale. Si è detto, infatti, che l'azienda può essere venduta dal fallimento a terzi e che la locazione può essere parimenti ceduta insieme a quell'elemento patrimoniale costituito dal diritto all'indennità: ciò starebbe a dimostrare che l'impresa fallita che continui la sua attività in pendenza del procedimento concorsuale è una entità economica evidentemente munita di un avviamento commerciale (Bucci, Malpica, Redivo, 483).

Secondo altro indirizzo, dovrebbe escludersi in radice l'esistenza di un avviamento commerciale con riguardo all'impresa fallita, sicché l'indennità dovrebbe essere negata anche ove il rapporto si protragga nel corso della procedura e cessi per una ragione diversa dal recesso del curatore (Cosentino, Vitucci, 463).

In tal senso, la Suprema Corte ha affermato che l'indennità non è dovuta in tutti i casi in cui il conduttore abbia cessato l'esercizio della sua impresa non in conseguenza della fine del rapporto locativo, bensì per effetto del fallimento, a nulla rilevando che il curatore, per realizzare le ragioni del fallimento, abbia continuato, nell'immobile locato, e fino alla naturale scadenza del contratto, l'attività di vendita precedentemente svolta dal conduttore fallito (Cass. III, n. 6650/2002).

Nella stessa prospettiva, si colloca la giurisprudenza di merito (Trib. Foggia 19 dicembre 1983, secondo cui, pronunciata sentenza di rilascio per necessità abitativa del locatore nei confronti del conduttore di immobile ad uso commerciale, qualora, nel corso del giudizio di liquidazione dell'indennità per perdita dell'avviamento sopravvenga il fallimento del conduttore, non si configura un'interruzione del nesso di causalità tra recesso e danno per la perdita dell'avviamento, non versandosi, nella specie, in ipotesi di perdita del relativo diritto; Trib. Messina 4 novembre 1989, secondo cui la semplice pendenza della procedura fallimentare, al momento della cessazione del rapporto locatizio per finita locazione, esonera il locatore dall'obbligo di corrispondere l'indennità per l'avviamento commerciale in quanto il fallimento del conduttore, quale mera situazione concomitante con la cessazione della locazione, costituisce un evento che sacrifica le aspettative di indennizzo di una parte attiva e perciò non meritevole di tutela, non potendo più sussistere l'esigenza della conservazione dell'impresa frustrata dall'intervenuto dissesto né la compressione dell'iniziativa commerciale del conduttore, quali presupposti del diritto all'indennità).

Nell'ipotesi di revoca del fallimento, si è esclusa la spettanza dell'indennità, ormai non dovuta per effetto del recesso esercitato dal curatore del fallimento del conduttore (Pret. Napoli 25 novembre 1985).

Questioni sulla titolarità del diritto

L'indennità di avviamento compete per legge al conduttore. In ipotesi di sublocazione e di cessione del contratto l'art. 36, comma 2, della l. n. 392/1978 stabilisce espressamente che le indennità in discorso sono liquidate a favore di colui che risulta conduttore al momento della cessazione effettiva della locazione.

È perciò da escludersi che il subconduttore possa pretendere dal locatore il compenso per la perdita dell'avviamento; lo stesso subconduttore, nondimeno, potrà richiedere l'indennità al sublocatore (Papanti Pellettier, 426; Trifone, 626; Cosentino, Vitucci, 467; contra , Bucci, Malpica, Redivo, 492).

La ragione della soluzione sta in ciò, che la sublocazione è, in tutto e per tutto, una locazione, sicché ad essa risulta sicuramente applicabile la previsione di cui all'art. 34; né varrebbe obiettare che quest'ultima disposizione non contenga un espresso richiamo al contratto di sublocazione; quel che conta è l'essenza di tale negozio, integralmente sovrapponibile a quello di locazione, rispetto al quale presenta un unico elemento di caratterizzazione, concernente la peculiare veste del locatore, che è a propria volta conduttore, irrilevante per i fini della disciplina dell'indennità.

La Suprema Corte ha affermato, in passato, che in ipotesi di sublocazione, il conduttore sublocatore non potesse pretendere al termine della locazione, a titolo personale e diretto, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale (Cass. III, n. 2617/1986): nell'occasione il giudice di legittimità ha ritenuto che le finalità perseguite con il riconoscimento del compenso – finalità consistenti nel ristoro del pregiudizio derivante dalla cessazione del rapporto e nella tutela indiretta delle imprese – consentissero di ipotizzare che il soggetto salvaguardato dalla disciplina di cui all'art. 34 fosse colui che concretamente svolge l'attività imprenditoriale all'interno dell'immobile.

La soluzione è rimasta isolata, essendo stato in seguito affermato il principio secondo cui, in ipotesi di sublocazione di immobile, alla cessazione della locazione e, quindi, della sublocazione, l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale compete al conduttore sublocatore nei confronti del locatore ed al subconduttore nei confronti del sublocatore medesimo (Cass. III, n. 5579/1988; Cass. III, n. 6935/1993; Cass. III, n. 9677/1997; Cass. III, n. 19310/2005; sulla distinzione tra la disciplina dell'indennità di avviamento è quella della prelazione-riscatto v. Cass. III, n. 692/1994).

Qualora l'immobile venga pignorato prima che si sia consumata la possibilità di esercizio della facoltà di disdetta immotivata alla seconda scadenza contrattuale e non abbia luogo la provocazione della rinnovazione della locazione tramite la necessaria autorizzazione del giudice dell'esecuzione, prevista dall'art. 560 c.p.c., così verificandosi alla scadenza l'automatica cessazione della locazione, si deve ritenere che al conduttore, se ne ricorrano i presupposti, spetti l'indennità di cui all'art. 34 legge equo canone. Ne consegue che l'acquirente dell'immobile in forza di decreto di trasferimento intervenuto prima della cessazione della locazione è tenuto a corrispondere l'indennità e la debenza della stessa quale condizione per il rilascio esclude che il conduttore sia tenuto alla corresponsione del maggior danno fino al rilascio, essendo invece tenuto solo a corrispondere l'ammontare di quanto dovuto a titolo di canone (Cass. III, n. 22166/2023).

Il comma 2 dell'art. 36 non lascia dubbi circa la titolarità del diritto all'indennità in caso di cessione del contratto: il cessionario – sempre che la cessione sia stata comunicata al locatore ceduto, e salva l'ipotesi dell'opposizione di questo – determina il subentro del detto soggetto nel contratto di locazione, a cui, quindi, dovrà essere corrisposta l'indennità.

Occorre ovviamente che la cessione sia intervenuta prima della cessazione del contratto di locazione. Per converso, al conduttore di fatto, resosi cessionario, ai sensi dell'art. 36 della l. n. 392/1978, del contratto di locazione quando questo non era più in corso de iure, essendo ormai scaduto, non spetta il diritto all'indennità di avviamento commerciale (Cass. III, n. 667/1998).

L'indennità spetta pure al conduttore dell'immobile che eserciti l'attività di impresa non in proprio.

È stato difatti stabilito che il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, al pari del diritto di prelazione e di riscatto, spetta al conduttore di immobile urbano con destinazione non abitativa, sempre gli egli vi eserciti un'attività produttiva o commerciale a contatto diretto con il pubblico, sia pure come contitolare o consocio di una società di persone della relativa impresa con soggetti estranei alla titolarità del rapporto locativo (Cass. III, n. 11363/1996).

In applicazione del principio, è stato affermato che l'indennità vada riconosciuta al conduttore che, nel corso del rapporto, abbia cessato di svolgere la sua attività in forma individuale ed abbia incominciato ad esercitarla come socio accomandatario di una società in accomandita semplice (Cass. III, n. 13291/2001).

A diverse conclusioni si perviene nel caso in cui il conduttore stipuli un contratto di associazione in partecipazione col titolare dell'attività. Il diritto alla indennità di avviamento non spetta infatti al conduttore il quale stipuli contratto di associazione in partecipazione con il titolare dell'attività svolta nell'immobile locato, in quanto costui non diventa contitolare della stessa, neppure qualora gli venga affidata la gestione interna dell'impresa, a meno che, superati i limiti di siffatti poteri gestori, sia configurabile, in presenza degli altri requisiti a tali effetti richiesti, una società di fatto (Cass. III, n. 4911/1999).

Similmente, si è escluso che divenga titolare del diritto all'indennità il conduttore che costituisca una società di capitali la cui attività imprenditoriale sia svolta all'interno dell'immobile locato; e si è pure negato che in tale ipotesi il compenso spetti alla società stessa, che è soggetto estraneo al rapporto locatizio (Pret. Milano 11 novembre 1987).

Il compenso compete al conduttore anche qualora a svolgere nell'immobile locato un'attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori non sia lui direttamente, ma terzi a lui collegati, che occupino l'immobile in conformità delle previsioni pattizie e che peraltro, mancando una cessione del contratto, siano privi di un titolo proprio di godimento da far valere nei confronti del locatore (Cass. III, n. 6248/1992, in ipotesi di immobile adibito ad agenzia di assicurazione, gestita da un agente della società conduttrice in forza di clausola contrattuale che consentiva a quest'ultima di far godere l'immobile anche a società collegate; con riferimento alla stessa concreta fattispecie, v. Cass. III, n. 6876/2003).

L'obbligato

Il pagamento dell'indennità di avviamento grava sul locatore.

Non rileva, in proposito, che, dopo la cessazione del rapporto di locazione, l'immobile sia stato acquistato da un terzo: tale soggetto non subentra, infatti, nell'obbligazione avente ad oggetto l'indennizzo (Cass. III, n. 10607/2001).

Quantificazione dell'indennità

L'indennità di avviamento è quantificata dalla legge in un numero predeterminato di mensilità (diciotto, o ventiquattro in caso di locazione alberghiera): è perciò escluso che la sua entità possa essere determinata in via equitativa del giudice (Cass. III, n. 6225/1991; Cass. III, n. 4945/1988).

La liquidazione dell'indennità si effettua sulla base dell'ultimo canone dovuto, in relazione, cioè, al momento in cui il rapporto di locazione giunge a termine, non a quello del rilascio (Cass. III, n. 11766/1990).

L'indennità per la perdita dell'avviamento non è soggetta ad Iva: come è stato infatti chiarito, il compenso che il locatore è tenuto a versare costituisce un indennizzo per la cessazione del rapporto di locazione e non può identificarsi né con la «cessione di un bene» né tantomeno con la «prestazione di un servizio» (Cass. III, n. 13345/2006).

Per quanto attiene agli interessi, occorre considerare che il credito per l'indennità di avviamento commerciale diviene esigibile nel momento in cui ha luogo il rilascio dell'immobile, nel senso che l'obbligazione incombente sul conduttore di rilasciare l'immobile alla scadenza e l'obbligazione gravante sul locatore di corrispondergli l'indennità di avviamento commerciale sono legate da un rapporto di reciproca dipendenza, tanto che ciascuna delle prestazioni non è esigibile in mancanza dell'adempimento, o dell'offerta di adempimento, dell'altra (tra le tante Cass. III, n. 19083/2009). In conseguenza, gli interessi sulla somma dovuta decorrono solo dalla data del rilascio dell'immobile o dal giorno in cui è posta in essere l'offerta dello stesso (Cass. III, n. 1930/2003; Cass. III, n. 10820/1995, per la quale alla consegna dell'immobile va equiparata l'offerta formale dello stesso, a norma dell'art. 1216 c.c.; v. pure Cass. III, n. 4272/1997, e Cass. III, n. 8713/1994, secondo cui rileva la costituzione in mora del locatore quanto alla presa in consegna del bene locato).

Non è dovuta rivalutazione, trattandosi di credito di valuta (Cass. III, n. 12090/1998; Cass. III, n. 4272/1997; Cass. III, n. 8713/1994; Cass. III, n. 10836/1993; Cass. III, n. 5265/1993; Cass. III, n. 6674/1992; Cass. III, n. 5579/1988; Cass. III, n. 703/1995, evidenzia che il conduttore ha diritto al «maggior danno» ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c., solo previa costituzione in mora del locatore e allegazione degli elementi di valutazione di tale maggior danno). La relativa domanda soggiace al regime di preclusioni assertorie proprie del rito delle locazioni (Trib. Torino 5 giugno 2006).

L'indennità aggiuntiva

Si è già detto che il conduttore ha diritto ad una ulteriore indennità pari a quella dovuta in funzione della cessazione del rapporto qualora l'immobile venga, da chiunque, adibito all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente ed ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del precedente.

Con tale disposizione il legislatore ha inteso compensare il conduttore dello sfruttamento che altri faccia dell'avviamento dallo stesso conseguito, attribuendogli il diritto ad un'ulteriore indennità, di importo pari a quella prevista dal comma 1, qualora l'immobile sia destinato, da chiunque (e cioè sia dal locatore sia da un terzo), all'esercizio di un'attività similare a quella dianzi espletata dal conduttore, entro un anno dalla cessazione del rapporto di locazione (Buoncristiano, 402).

Come evidenziato dalla Corte costituzionale, l'indennità supplementare di cui all'art. 34, comma 2, mira a riequilibrare il rapporto in considerazione dell'effettivo arricchimento del locatore per la destinazione dell'immobile alla stessa attività o ad attività analoga a quella dismessa dal conduttore (Corte cost., n. 2/2002).

Tenuto poi conto che, trascorso l'anno, l'obbligo di corrispondere la maggiorazione viene comunque meno, anche se nel periodo successivo sia stata intrapresa attività identica o affine, può sostenersi che tale ratio si specifichi nella tutela della concorrenza, secondo modalità non molto diverse da quelle previste da altre norme (ad esempio: art. 2557 c.c.), intese ad evitare il c.d. sviamento di clientela (Cosentino, Vitucci, 464).

Così configurata, l'indennità in discorso presenta connotazioni assai differenti rispetto a quella contemplata dal comma 1 dell'art. 34. Ne discende che la domanda giudiziale rivolta all'attribuzione di quest'ultima non si estende alla prima (Cass. III, n. 16690/2002).

Non mancano, però, aspetti di coincidenza, quale anzitutto il congegno di quantificazione fissa dell'importo dovuto. Così come non rileva, per l'indennità prevista dal comma 1, la prova dell'esistenza o inesistenza del pregiudizio patito dal conduttore col rilascio dell'immobile, neppure rileva, nella fattispecie del comma 2, la prova dell'arricchimento in capo al locatore. Il compenso, cioè, è riconosciuto incondizionatamente dalla legge, nel senso che non occorre che il pregresso conduttore provi la condizione di fatto consistente nell'ulteriore vantaggio patrimoniale che il nuovo detentore ricava dall'utilizzare l'immobile per la stessa attività, essendo esso ritenuto immanente dalla legge nella medesima circostanza oggettiva dell'adibizione all'identica o similare attività pregressa (Pret. Salerno 30 gennaio 1996). Né il locatore potrebbe sottrarsi al pagamento dell'indennità aggiuntiva dimostrando che la nuova attività imprenditoriale non gli ha apportato alcun vantaggio.

Nella vigenza della l. n. 426/1971, sulla disciplina del commercio, la Suprema Corte richiedeva, in aderenza al tenore letterale della norma, che la nuova attività fosse inclusa nella medesima tabella merceologica della precedente e, inoltre, che fosse affine a questa (Cass. III, n. 4225/1989). A seguito dell'abolizione delle tabelle merceologiche per effetto del d.lg. n. 114/1998, si è ritenuto che l'unico criterio al quale il giudice possa ancorare la sua decisione sia quello dell'affinità, criterio da esaminare non sul piano della descrizione oggettiva dell'attività, ma alla luce della ratio normativa che tende a riequilibrare il rapporto economico tra le parti, alterato da un arricchimento del locatore – ovvero del nuovo esercente – derivante dal vantaggio di subentrare in un'attività già avviata con la conseguente acquisizione della clientela che affluisce nel locale (App. Catania 8 marzo 2007). La nuova attività intrapresa nell'immobile va considerata affine a quella esercitatavi dal conduttore uscente ogni qualvolta essa si avvantaggi comunque dell'avviamento prodotto da quest'ultimo, ancorché soltanto in parte (Pret. Ravenna 18 giugno 1982).

Il diritto all'indennità «ulteriore» nasce nel momento in cui l'attività è iniziata. Nel caso di nuova locazione assume quindi rilevanza il tipo di attività oggetto della previsione contrattuale, mentre non può tenersi conto di eventuali mutamenti successivi (Cass. III, n. 11378/2006). Si è così ritenuto che, in ipotesi di cessazione della locazione di immobile destinato a vendita al minuto, l'esercizio di un'attività di commercio all'ingrosso precluda la nascita del diritto all'indennità aggiuntiva e che, in ipotesi di nuova locazione, non valga a contrastare l'espressa previsione contrattuale concernente la destinazione del locale all'attività di grossista il preteso esercizio di fatto del commercio al dettaglio, concretando tale evenienza un mutamento d'uso successivo all'inizio dell'attività, quindi irrilevante. In ogni caso il mutamento di destinazione potrebbe verificarsi, ex art. 80 della l. n. 392/1978, soltanto se l'attività di vendita al minuto sia prevalente rispetto all'altra, prevista contrattualmente (Cass. III, n. 11378/2006).

Il termine di un anno, entro cui deve essere iniziata (o proseguita), all'interno dell'immobile, l'attività identica o affine, non va computato dalla data di cessazione del contratto di locazione. Il doppio riferimento al termine «esercizio», per determinare l'arco di tempo entro cui deve cessare l'attività precedente ed iniziare quella nuova, avente caratteristiche affini a quella precedente, esprime l'idea di una situazione di fatto a cui rapportare il dato normativo ai fini del riconoscimento della doppia indennità per la perdita dell'esercizio commerciale. In effetti, imponendo uno iatus temporale tra le due attività, il legislatore ha inteso impedire che il nuovo conduttore si avvantaggi dell'avviamento prodotto dal precedente e, quindi, riconnette tale indennità non alla cessazione del contratto, ma alla identità delle due attività, quella svolta dal precedente e quella del nuovo conduttore, purché tra l'una e l'altra corra un periodo temporale non superiore ad un anno (Cass. III, n. 4701/2003).

La domanda di attribuzione dell'indennità ulteriore, fondata sull'assunto che l'immobile sia stato adibito ad attività identica o affine a quella esercitata dal conduttore uscente, presuppone l'accertamento della data di inizio della nuova attività commerciale: il relativo onere probatorio non può ritenersi soddisfatto attraverso la mera produzione in giudizio di una fotografia dello stabile che riproduca l'insegna della nuova azienda ivi ubicata, non essendo da ciò desumibile la prova della data di inizio dell'attività stessa (Cass. III, n. 4611/1997).

Per il riconoscimento dell'indennità ulteriore occorre l'effettivo esercizio di attività identica o affine, non essendo sufficiente la semplice manifestazione di volontà in tal senso (Cass. III, n. 16690/2002). Non rileva dunque l'intenzione manifestata dal locatore in occasione del diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza (Cass. III, n. 4326/1995).

Nell'ipotesi in cui l'immobile locato sia stato locato ad uso promiscuo, l'identità o affinità rilevante ai fini della spettanza dell'indennità aggiuntiva sarà quella individuata tra la nuova attività esercitata nell'immobile e quella precedentemente esercitata dal conduttore con carattere di prevalenza, essendo l'uso prevalente quello che determina la disciplina applicabile al rapporto con riferimento tanto all'indennità di cui al comma 1, quanto all'indennità ulteriore prevista dal comma 2 dell'art. 34 (Trib. Milano 30 giugno 1997).

L'esercizio della medesima attività può discendere non dall'avvio di una nuova attività imprenditoriale, ma dalla prosecuzione della precedente. La Suprema Corte ha perciò accordato al conduttore il diritto all'indennità in un caso in cui il conduttore uscente aveva ceduto l'azienda dopo la cessazione del contratto di locazione e il cessionario aveva poi trasferito l'azienda stessa al locatore, il quale, a sua volta, aveva affittato il medesimo compendio a un terzo che, anche in forza di un nuovo contratto di locazione, aveva continuato ad esercitare nell'immobile la precedente attività (Cass. III, n. 6879/2003). Nello stesso senso, è stato stabilito che l'indennità ulteriore spetta anche nel caso in cui nell'immobile venga esteso l'esercizio di una attività commerciale già in corso in altri locali ed avente le indicate caratteristiche di identità o di affinità (Cass. III, n. 3779/1989).

È sorta questione in ordine alla spettanza, riconosciuta, dell'indennità nel caso in cui solo una parte dell'immobile sia stata destinata, dopo la riconsegna, alla stessa attività svolta dal conduttore uscente (Trib. Udine 15 dicembre 2003).

La rinuncia all'indennità

La rinuncia preventiva all'indennità è senz'altro nulla ex art. 79 della l. n. 392/1978 (da ultimo, v. Cass. III, n. 15373/2018).

Si osserva in dottrina che, mentre è vietata la rinuncia preventiva all'indennità, non vi è ostacolo alla rinuncia intervenuta dopo che il diritto sia sorto (Buoncristiano, 401; Trifone, 622; Cosentino, Vitucci, 463).

Nello stesso senso, la Suprema Corte afferma che l'art. 79 della l. n. 392/1978, il quale sancisce la nullità di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, non impedisce alle parti, al momento della cessazione del rapporto, di addivenire ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare non impedisce al conduttore di rinunciare all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale (Cass. III, n. 24458/2007; Cass. III, n. 12320/2005; Cass. III, n. 675/2005).

Resta fermo che la nullità, ai sensi dell'art. 79 della l. n. 392/1978, della clausola di rinuncia preventiva, da parte del conduttore, all'indennità di avviamento non importa la nullità dell'intero contratto, atteso che tale pattuizione è sostituita di diritto dalla norma imperativa, di cui all'art. 34 della stessa legge, attributiva del credito indennitario, né assume rilevanza il fatto che le parti abbiano convenuto il venir meno dell'intero contratto in caso di declaratoria di invalidità della pattuizione di rinunzia, rimanendo esclusa l'essenzialità di tale clausola dalla presenza di una disciplina inderogabile del diritto rinunziato, la quale impone, senza la necessità di una disposizione espressa, la sostituzione ai sensi dell'art. 1419, comma 2, c.c. (Cass. III, n. 20974/2018).

In tale prospettiva, si è ritenuto che, venuta meno la locazione, il locatario possa rinunciare anche ad avvalersi della facoltà di impedire che l'esecuzione si compia senza la corresponsione (o l'offerta nella misura dovuta) dell'indennità (Cass. III, n. 675/2005).

La rinuncia al diritto richiede non il rilascio dell'immobile, ma la sola cessazione del rapporto (Cass. III, n. 24458/2007).

La compensazione

Tra gli accordi che le parti possono validamente porre in essere dopo la cessazione del rapporto rientra anche quello che preveda la compensazione del credito del conduttore all'indennità con un debito dello stesso soggetto (Cass. III, n. 12320/2005).

Poiché il diritto alla corresponsione dell'indennità diviene esigibile solo una volta che si sia attuato il rilascio dell'immobile è invece escluso che, prima di quel momento, possa operare la compensazione legale o giudiziale (Cass. III, n. 580/2001; Cass. III, n. 776/1993; Cass. III, n. 9161/1997).

La prescrizione

La prescrizione del diritto alla corresponsione dell'indennità di avviamento è quella ordinaria decennale, prevista dall'art. 2946 c.c.

Deve da un lato escludersi che all'indennità in discorso sia applicabile la previsione dell'art. 2948, n. 3) c.c. L'indennità di avviamento prevista dall'art. 34 della l. n. 392/1978, difatti, non costituisce, diversamente dai canoni di locazione, una prestazione da corrispondersi periodicamente, ma un credito legato alla presenza di determinati presupposti e da estinguersi in unica soluzione (Cass. III, n. 24037/2009).

D'altro canto, deve ritenersi tacitamente abrogata la disciplina di cui all'art. 8 della l. n. 19/1963, recante la previsione del più ristretto termine triennale per la prescrizione dei diritti dalla medesima legge riconosciuti (Cass. III, n. 7168/1997).

Il termine iniziale della prescrizione del credito del conduttore all'indennità non decorre dal momento della cessazione de iure del rapporto locativo (poiché in tale momento il diritto, pur già sorto, non è esercitabile in ragione della sua inesigibilità), ma coincide con il momento in cui l'immobile viene rilasciato senza il contestuale pagamento dell'indennità, poiché solo allora il credito in questione diviene esigibile (Cass. III, n. 7168/1997).

Pagamento dell'indennità ed esecuzione del rilascio

Secondo l'art. 34, comma 3, della l. n. 392/1978 l'azione esecutiva volta al rilascio dell'immobile è subordinata alla previa corresponsione dell'indennità di cui al comma 1. L'indennità di cui al comma 2 deve essere corrisposta all'inizio del nuovo esercizio.

Intuitive le ragioni della differente disciplina dettata per l'indennità supplementare: sarebbe difatti irragionevole che il pagamento di quel compenso potesse paralizzare il rilascio, dal momento che il correlativo diritto viene ad esistenza se ed in quanto il locatore o altro soggetto, dopo la riconsegna, abbia intrapreso, all'interno dell'immobile, un'attività identica o affine a quella del conduttore uscente. L'insorgenza del credito avente ad oggetto l'importo aggiuntivo, al momento della restituzione del bene locato, è dunque soltanto ipotetica.

Quanto all'indennità di cui all'art. 34, comma 1, deve anzitutto evidenziarsi come la giurisprudenza di legittimità sia ferma nel ritenere che la corresponsione della stessa integri una vera e propria condizione di procedibilità dell'azione esecutiva (Cass. III, n. 18899/2009; Cass. III, n. 5116/2006; Cass. III, n. 13948/2005). Il locatore, dunque, ben può conseguire il provvedimento giudiziale di rilascio dell'immobile locato, ma non può porlo in esecuzione prima di aver pagato l'indennità (Cass. III, n. 13636/2001; Cass. III, n. 1933/2003; da ultimo, nella giurisprudenza di merito, Trib. Livorno 1 febbraio 2019).

Nei casi in cui sia stato fissato a seguito di conciliazione giudiziale, il rilascio non è condizionato alla previa corresponsione dell'indennità: per provvedimento di rilascio deve infatti intendersi solo l'atto autoritativo (sentenza o ordinanza) emesso dal giudice, al quale non può ricondursi la conciliazione giudiziale, che è atto negoziale con il quale le parti, nella piena disponibilità dei propri diritti ed interessi patrimoniali, definiscono una lite dinnanzi al magistrato (Cass. III, n. 11621/1992; Cass. III, n. 5687/1990). Tale disciplina, applicabile al caso in cui sia data esecuzione al verbale di conciliazione, si sottrae, del resto, a censure di incostituzionalità, dal momento che la differenza di trattamento trova valida giustificazione nella diversità di situazioni determinate dalla dissimile natura del titolo posto a base della esecuzione forzata (Cass. III, n. 5687/1990).

Al pagamento dell'indennità, quale condizione di procedibilità, o come evenienza condizionante l'esigibilità del diritto al rilascio, è parificata l'offerta reale (Cass. III, n. 13948/2005; Cass. III, n. 14814/2004; Cass. III, n. 11761/2002). Di recente, è stato chiarito che è contrario a buona fede ed ingiustificato il rifiuto del conduttore dell'offerta di pagamento del locatore che sia seria e precisa anche se non formale: in base ai principi di buona fede e di cooperazione del creditore all'adempimento da parte del debitore, non è cioè legittimo il comportamento del conduttore che rifiuti senza alcuna giustificazione o sulla base di generiche considerazioni la restituzione di un immobile a fronte di una seria e precisa offerta, ancorché non formale, da parte del locatore, di adempiere la sua obbligazione di corrispondere l'indennità di avviamento commerciale (Cass. III, n. 26950/2017, che ha ritenuto contrario a buona fede e ingiustificato il rifiuto, da parte del conduttore, di ricevere il pagamento dell'indennità tramite assegno circolare).

L'esecuzione del titolo di rilascio non è impedito dalla circostanza del ritiro della somma offerta, da parte del locatore, ove rifiutata dal conduttore e oggetto di deposito (Cass. III, n. 18899/2009).

La determinazione provvisoria dell'indennità

L'ultimo comma dell'art. 34, introdotto dall'art. 9, del d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, stabilisce che nel giudizio relativo alla spettanza ed alla determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, le parti hanno l'onere di quantificare specificatamente la entità della somma reclamata o offerta e la corresponsione dell'importo indicato dal conduttore, o, in difetto, offerto dal locatore o comunque risultante dalla sentenza di primo grado, consente, salvo conguaglio all'esito del giudizio, l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile.

Come osservato dalla dottrina, la disposizione trova il proprio fondamento nell'esigenza di reprimere l'uso strumentale del processo al fine di procrastinare l'esecuzione per rilascio dell'immobile: essendo infatti questa condizionata al pagamento dell'indennità, le lungaggini del giudizio sull'accertamento del compenso precluderebbero al locatore di porre sollecitamente in esecuzione il titolo già conseguito, imponendogli di attendere che sull'an e il quantum della propria pretesa scenda il giudicato (Lazzaro, Preden, 1048).

La norma pone dunque a carico delle parti del processo vertente sulla liquidazione dell'indennità l'onere di indicare l'ammontare della somma pretesa (nel caso del conduttore) o offerta (nel caso del locatore), con enunciazione seria e motivata (Cass. III, n. 3267/2003).

L'onere di quantificazione deve essere poi assolto in sede processuale e, in particolare, nel giudizio di cognizione preordinato all'accertamento circa la spettanza e la determinazione dell'indennità. Non rileva, quindi, l'offerta che il locatore formuli in via stragiudiziale (Cass. III, n. 11163/1996).

In caso di discordanza tra gli importi indicati dal conduttore e dal locatore, l'offerta dell'indennità, da parte di quest'ultimo, nella misura che egli stesso ha indicato, non ha valenza liberatoria e, di conseguenza, non è idonea ad impedire la protrazione della detenzione dell'immobile da parte del conduttore (Cass. III, n. 5471/1994).

L'esecuzione del rilascio è sempre consentita a seguito della corresponsione della somma liquidata nella sentenza di primo grado. Secondo una pronuncia di merito, nell'individuazione della somma che il locatore deve offrire al conduttore, a titolo di indennità, per procedere all'esecuzione del provvedimento di rilascio, l'importo richiesto dal conduttore prevarrebbe sia su quello indicato in giudizio dallo stesso locatore che su quello determinato in sentenza di primo grado non ancora definitiva (Pret. Salerno 13 ottobre 1990).

Si è obiettato che la locuzione «somma comunque risultante dalla sentenza di primo grado» debba riferirsi a ogni possibile atteggiarsi delle parti rispetto all'onere di quantificazione giudiziale e che il criterio alternativo della quantificazione giudiziale sarebbe destinato ad operare sia nel caso di omessa indicazione della somma da parte del conduttore, sia nell'opposta ipotesi in cui la detta enunciazione abbia avuto luogo, ma il locatore non abbia ritenuto di corrispondere quanto preteso, preferendo attendere la pronuncia del giudice (Lazzaro, Preden, 1058). In ragione della prevalenza della statuizione giudiziale, poi, è da ritenere che, ove la sentenza di primo grado abbia escluso il diritto all'indennità, l'esecuzione possa aver luogo senza corresponsione della somma pretesa dal conduttore (Lazzaro, Preden, 1059).

Il meccanismo di determinazione provvisoria dell'indennità resta insensibile all'eventuale estinzione del procedimento relativo all'accertamento della stessa (Cass. III, n. 5116/2006).

Diritto di ritenzione e diritto di godimento

Poiché il conduttore avente titolo all'indennità può, a norma dell'art. 34, comma 3, della l. n. 392/1978, rifiutare il rilascio dell'immobile, la giurisprudenza ha dovuto prendere posizione sulla natura del rapporto che il conduttore conserva col bene nel periodo intercorrente tra la cessazione de iure del rapporto e il pagamento (o l'offerta formale) dell'indennità.

In un primo tempo, la Suprema Corte ha ritenuto che il conduttore, non avendo ricevuto l'indennità, potesse avvalersi di un diritto di ritenzione dell'immobile, senza che ciò comportasse una prorogatio del rapporto contrattuale locativo né la mora nella restituzione, con il conseguente obbligo di continuare la corresponsione dei canoni fino alla riconsegna a norma dell'art. 1591 c.c.: ciò perché la ritenzione non abilita il conduttore alla prosecuzione del godimento del bene quale utilità corrispettiva del pagamento del canone, configurandosi come mero onere di custodia anche nell'interesse proprio (Cass. III, n. 5579/1988).

Questa tesi, uniformemente seguita fino alla metà degli anni novanta (p. es. Cass. III, n. 5016/1993; Cass. III, n. 6548/1995), è stata rimessa in discussione allorquando la Suprema Corte ha postulato l'esistenza, tra l'obbligazione di rilascio e quella di corresponsione dell'indennità, di una relazione di reciproca interdipendenza tale da giustificare il rifiuto di eseguire l'una prestazione in assenza dell'altra, sicché, in mancanza dell'offerta dell'indennità, il conduttore sarebbe stato abilitato a protrarre l'uso dell'immobile (Cass. III, n. 10820/1995, e già Cass. III, n. 6132/1995).

Atteso il contrasto in atto, si è reso necessario l'intervento delle Sezioni Unite, che, aderendo all'orientamento tendente alla valorizzazione del diritto di godimento del conduttore nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, hanno affermato che il rifiuto di restituire l'immobile in attesa di ricevere l'indennità obbliga il locatario stesso a pagare il corrispettivo convenuto, e non altro (Cass. S.U., n. 1177/2000). È stato quindi escluso che la protratta utilizzazione del bene determini l'obbligo di corrispondere alcunché di ulteriore rispetto all'indennità di occupazione ex art. 1591 c.c.

Negli anni successivi, la Suprema Corte ha confermato l'indirizzo (Cass. III, n. 19083/2009; Cass. III, n. 10962/2010; Cass. N. 4443/2014; da ultimo, Cass. VI/III, n. 26526/2018). In definitiva, quindi, può dirsi oramai stabilmente acquisito il principio per cui il conduttore, al quale non sia stata corrisposta (o offerta ex art. 1209 c.c.) l'indennità di avviamento, non abbia un mero diritto di ritenzione dell'immobile, ma possa legittimamente continuare a goderne, svolgendovi l'attività prevista contrattualmente, dietro pagamento dell'indennità di occupazione commisurata, ex art. 1591 c.c., al canone locatizio.

Per converso, il conduttore che intenda sottrarsi al pagamento della predetta indennità di occupazione dovrà rilasciare l'immobile o, comunque, farne offerta formale (Cass. III, n. 6090/2002; Cass. III, n. 5098/1999). Peraltro, in caso di semplice intimazione a ricevere il bene inviata al locatore a mezzo di lettera raccomandata si configura offerta non formale ai sensi dell'art. 1220 c.c.: offerta che, se illegittimamente rifiutata dal locatore, escludere la mora del conduttore nell'adempimento dell'obbligo di restituzione e l'obbligo correlativo, in capo al locatario stesso, di pagare al locatore il corrispettivo convenuto previsto dall'art. 1591 c.c. (Cass. III, n. 6090/2002).

In definitiva, il meccanismo di reciproco condizionamento tra le due obbligazioni (quella di pagamento dell'indennità e quella di rilascio dell'immobile) fa sì che il locatore possa opporre al mancato versamento del compenso l'omesso rilascio dei locali e che il conduttore possa contrastare la domandata riconsegna dei medesimi eccependo che la controparte non abbia provveduto a versargli l'indennità. In altri termini, le obbligazioni di pagamento della indennità per la perdita dell'avviamento commerciale e quella di rilascio dell'immobile sono fra loro in rapporto di reciproca dipendenza in quanto ciascuna prestazione è inesigibile in difetto di contemporaneo adempimento dell'altra, con la conseguenza che la legge, subordinando il rilascio dell'immobile al pagamento dell'indennità, specularmente condiziona il pagamento dell'indennità al rilascio ed instaura così tra le due obbligazioni una interdipendenza che costituisce fondamento per un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. o per un'eccezione alla stessa assimilabile (Cass. III, n. 7528/2009). Nondimeno, secondo una ribadita pronuncia, il giudice dovrebbe verificare anche d'ufficio se il locatore abbia corrisposto o offerto l'indennità di avviamento, non occorrendo a tal fine una formale eccezione da parte del locatario stesso (n. 9353/2009; Cass. III, n. 3348/2014).

Questioni processuali

Il conduttore interessato a conseguire la condanna del locatore alla corresponsione dell'indennità di avviamento deve farne espressa domanda al giudice, non disponendo quest'ultimo, in materia, di poteri di ufficio (Cass. III, n. 23450/2004; Cass. III, n. 2770/1988).

In tale prospettiva, il giudice, richiesto del mero accertamento del diritto all'indennità, non può pronunciare la condanna al relativo pagamento (Cass. III, n. 12125/2005). È stato inoltre ritenuto viziato da ultrapetizione il capo di sentenza che, senza istanza del locatore o del conduttore, condizioni l'esecuzione del provvedimento di rilascio di immobile urbano destinato ad uso non abitativo al pagamento dell'indennità per l'avviamento commerciale, trattandosi di pronuncia che non può essere effettuata d'ufficio (Cass. III, n. 23450/2004; Cass. III, n. 4895/1988).

È legittimato ad agire per l'accertamento (negativo) del diritto anche al locatore: l'interesse ad agire del detto soggetto poggia, del resto, sull'utilità di una pronuncia che, escludendo il credito all'indennità, determini il venir meno della condizione di procedibilità di cui all'art. 34, comma 2, della l. n. 392/1978, con conseguente possibilità, da parte del locatore stesso, di porre in esecuzione il titolo di rilascio (Cass. III, n. 1933/2003; Cass. III, n. 8457/1994; Cass. III, n. 8488/1990).

Considerato che l'esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennità di avviamento, è ben possibile che, intrapreso dal locatore il procedimento di rilascio, il conduttore proponga opposizione all'esecuzione, lamentando il mancato pagamento dell'indennità (Cass. III, n. 974/1990; Cass. III, n. 2735/1985). Il conduttore può peraltro contrastare l'inizio dell'esecuzione forzata, non anche la mera intimazione del precetto (Cass. III, n. 9293/1999; Cass. III, n. 11470/1992).

Ove il conduttore proponga opposizione all'esecuzione, lamentando che l'esecuzione stessa è stata intrapresa senza il preventivo pagamento dell'indennità, il locatore, potrà nello stesso processo domandare, in via riconvenzionale, la determinazione della indennità stessa (Cass. III, n. 2735/1985).

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