Codice di Procedura Civile art. 441 - Consulente tecnico in appello 1 .

Vito Amendolagine

Consulente tecnico in appello1.

[I]. Il collegio, nell'udienza di cui al primo comma dell'articolo 437, può nominare un consulente tecnico [61; 145, 146 att.] rinviando ad altra udienza da fissarsi non oltre trenta giorni. In tal caso con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all'articolo 423.

[II]. Il consulente deve depositare il proprio parere almeno dieci giorni prima della nuova udienza.

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533.

Inquadramento

A seguito dell'entrata in vigore della l. n. 533/1973, la nomina del consulente tecnico in appello è divenuta facoltativa sia nei procedimenti relativi alle controversie individuali di lavoro che in quelli attinenti a controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie (Cass., sez. lav., n. 4152/1983).

La consulenza d'ufficio è un ausilio per il giudice nella soluzione di questioni prettamente tecniche, e si traduce in un esame dei dati specialistici in atti, in modo da servire a lumeggiare la questione dibattuta, affinché il giudice possa trarne elementi chiarificatori ai fini della sua decisione, e, pertanto, non può essere disposta per l'acquisizione di fatti e circostanze, la cui dimostrazione possa o debba essere fornita dalla stessa parte che ha l'onere di allegarli secondo i principi che regolano la prova.

In dottrina, si ritiene che la disciplina di cui all'art. 441 c.p.c. debba essere integrata con l'art. 145 disp. att. c.p.c. e con le ulteriori norme – nei limiti della compatibilità – dettate per il processo speciale ed ordinario dinanzi al giudice di prime cure (Levoni, 447; Tarzia, Dittrich, 356).

La consulenza tecnica d'ufficio ha quindi un limite intrinseco, consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni “di fatto” presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico, sicchè così come i consulenti tecnici non possono essere incaricati di compiere accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, analogamente se, per ipotesi, il consulente effettua, di propria iniziativa, simili valutazioni non se ne deve tenere conto, a meno che esse vengano vagliate criticamente e sottoposte al dibattito processuale delle parti.

In tale ottica, la parte che lamenti l'acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio non può limitarsi a fare valere genericamente lacune di accertamento od errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l'operato, avendo l'onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione, e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l'apprezzamento dell'incidenza causale del difetto di motivazione (Cass., sez. lav., n. 5583/2024).

L'ammissione della consulenza tecnica non può dunque essere disposta per la ricerca delle prove che le parti hanno l'onere di fornire o per ovviare alle carenze probatorie imputabili alle parti stesse (Cass., sez. lav., n. 7186/1986).

Tuttavia, il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che nelle controversie in materia dì previdenza ed assistenza obbligatoria, la consulenza tecnica in appello, normalmente facoltativa, diviene obbligatoria se è stata omessa dal giudice di primo grado (Cass., sez. lav., n. 19434/2006; Cass., sez. lav., n. 4927/2004; Cass., sez. lav., n. 5794/1999; Cass., sez. lav., n. 12354/1998; Cass., sez. lav., n. 2187/1986).

Il mancato espletamento della consulenza, nel caso che neppure in primo grado sia stata espletata, costituisce infatti una grave carenza nell'accertamento dei fatti, risolvendosi, inoltre, in un vizio di motivazione della sentenza, ferma restando, la facoltà del giudice di secondo grado di discostarsi motivatamente dal parere del consulente nominato.

Non è un mezzo di prova, e, pertanto, sfugge alle preclusioni previste per quest'ultimi, ex art. 437 c.p.c. sulla possibilità di disporre mezzi di prova solo quando siano indispensabili.

Il procedimento per la nomina del c.t.u. e le attività connesse

L'art. 441, comma 1, c.p.c. dispone che il collegio, nell'udienza di cui all'art. 437, comma 1, c.p.c., con ordinanza può nominare un consulente tecnico rinviando ad altra udienza da fissarsi non oltre trenta giorni.

Il termine non ha natura perentoria così come quello di cui all'art. 441, comma 2, c.p.c. concernente il deposito del parere da parte dello stesso c.t.u., ed inizia a decorrere dall'accettazione dell'incarico, previa prestazione del giuramento di rito (Masoni, 198; Tarzia, Dittrich, 357).

In dottrina si è osservato che dovrebbe applicarsi la concessione del termine a favore delle parti ex art. 145 disp. att. c.p.c. – ai sensi del quale, per le controversie di lavoro e per quelle in materia di previdenza e di assistenza il termine previsto dall'art. 201 c.p.c. non deve superare i giorni sei – per la nomina dei consulenti di parte, con la fissazione di altra udienza alla quale il consulente nominato dal giudice deve comparire per prestare giuramento ed assistere alla formulazione dei quesiti (Tarzia, Dittrich, 357).

In tale caso, con la stessa ordinanza può adottare i provvedimenti di cui all'art. 423 c.p.c.

In base al tenore letterale dell'art. 441, comma 2, c.p.c. in dottrina si è avanzata la tesi che il c.t.u. dovendo depositare il parere, non possa essere autorizzato a riferire verbalmente, contrariamente a quanto invece prescrive espressamente nel primo grado di giudizio l'art. 424, comma 2, c.p.c. (Montesano, Vaccarella, 336; Tarzia, Dittrich, 357).

Il termine per il deposito del parere

L'art. 441, comma 2, c.p.c. dispone che il consulente deve depositare il proprio parere almeno dieci giorni prima della nuova udienza.

L'inosservanza, da parte del consulente tecnico nominato in appello ai sensi dell'art. 441 c.p.c., del termine giudizialmente assegnatogli per il deposito della consulenza non comporta alcuna nullità, potendo essere prorogato, sempreché detto deposito avvenga almeno dieci giorni prima della nuova udienza di discussione, in conformità al disposto dell'art. 441, comma 3, c.p.c., e, senza quindi pregiudizio per l'esercizio del diritto di difesa (Cass., sez. lav., n. 10157/2004; Cass., sez. lav., n. 2963/1985).

Infatti, se il consulente deposita la relazione peritale oltre dieci giorni prima dell'udienza di discussione la circostanza comporta un vizio di nullità relativa, che risulta sanato, se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al suo verificarsi (Cass. VI, n. 22708/2010; Cass., sez. lav., n. 3747/1995; Cass., sez. lav., n. 5853/1985).

Il termine previsto dall'art. 441 c.p.c. assolve – come del resto quello previsto dall'art. 424 c.p.c. per la presentazione della relazione scritta da parte del consulente tecnico di primo grado – ad una funzione meramente acceleratoria, in conformità ai principi generali che ispirano il processo del lavoro, pur senza assumere natura perentoria, in mancanza di un'espressa definizione legislativa in tale senso, e di una specifica previsione di decadenza (Cass., sez. lav., n. 2963/1985).

La valutazione della c.t.u. tra primo e secondo grado

Non è precluso alla parte che in primo grado abbia omesso di contestare le risultanze della consulenza tecnica ivi esperita, di criticare tali risultanze in sede di appello avverso la sentenza che ad esse si sia uniformata, e, sussiste altresì il potere del giudice di secondo grado di disattendere le conclusioni di detta consulenza senza necessità di disporre ulteriori accertamenti o di richiedere chiarimenti all'ausiliario che l'ha eseguita, salvo l'obbligo, per detto giudice, di esporre adeguatamente le ragioni del suo dissenso (Cass., sez. lav., n. 3905/1984).

Il giudice di secondo grado, il quale, in considerazione delle critiche mosse alla consulenza tecnica d'ufficio espletata in primo grado, abbia disposto un'altra consulenza tecnica, non è tenuto a motivare sulle suddette critiche, laddove quest'ultime siano state esaminate dal consulente successivamente nominato ed il giudice d'appello abbia prestato adesione alle relative conclusioni (Cass., sez. lav., n. 70/1984).

Il giudice del gravame, il quale ritenga convincenti le conclusioni del consulente tecnico nominato dal giudice di prime cure, non è tenuto a disporre una nuova consulenza, rientrando tale facoltà consentitagli dall'art. 441, comma 1, c.p.c., nell'ambito dei poteri discrezionali a lui spettanti e non sindacabili in sede di legittimità se non attraverso la motivazione, con la quale il giudice di merito ha giustificato il suo convincimento in risposta alle doglianze mosse dalla parte interessata (Cass., sez. lav., n. 3371/2001).

Non va, poi, dimenticato che il giudice d'appello può anche richiamare per rendere chiarimenti il consulente già nominato in primo grado, non esistendo al riguardo uno specifico divieto, quando ritenga che l'elaborato tecnico di quest'ultimo non contenga deficienze od errori tali da indurlo a rinnovare la consulenza in appello (Cass., sez. lav., n. 7430/1983; Cass., sez. lav., n. 4714/1983).

La scelta dell'ausiliare è sempre rimessa all'esercizio del potere discrezionale del giudice, senza che esista il divieto di nominare nel giudizio d'appello lo stesso consulente tecnico che ha prestato la propria opera professionale nel processo svoltosi dinanzi al giudice di prime cure, la cui nomina, da parte del giudice di secondo grado, resta, pertanto, esposta solo alla eventuale ricusazione proposta dalle stesse parti (Cass., sez. lav., n. 886/1985).

In tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice del merito non è tenuto, anche a fronte di un'esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza tecnica, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali dello stesso giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronuncia sul punto (Cass., sez. lav., n. 20227/2010; Cass., sez. lav., n. 2151/2004; Cass., sez. lav., n. 5777/1998).

Il mancato esame delle risultanze della ctu integra un vizio della sentenza, risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale vizio ricorre anche nel caso in cui nel corso del giudizio di merito tra primo e secondo grado siano state espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, ed il giudice d'appello si sia uniformato alla seconda consulenza disposta dinanzi a sé senza valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, limitandosi ad un'acritica adesione ad essa, ovvero si sia discostato da entrambe le soluzioni senza dare adeguata giustificazione del suo convincimento mediante l'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti (Cass. III, n. 14599/2021).

Il giudice di merito, ove intenda aderire alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del proprio convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. I., n. 23016/2024).

Nomina di pluralità di consulenti in appello

Nell'art. 441 c.p.c. l'uso al singolare del termine “consulente”, rispetto all'espressione “uno o più consulenti”, che compare negli artt. 61, 424 e 445 c.p.c., deve intendersi volto ad esprimere il riferimento all'organo ausiliario del giudice, e, pertanto, non impedisce che quest'ultimo, in appello, possa nominare più di un singolo consulente.

La dottrina sembra invece aver assunto una posizione contraria alla nomina di più consulenti tecnici in appello (Montesano, Vaccarella, 336).

La possibilità di nominare in appello una pluralità di consulenti può essere posta in dubbio sulla base della formulazione letterale dell'art. 441 c.p.c., in cui l'uso al singolare del termine “consulente” va però inteso come riferito all'organo ausiliario del giudice – che nulla vieta potere essere collegiale – anziché alla persona fisica (Cass., sez. lav., n. 1055/1984; Cass., sez. lav., n. 627/1984, in cui si è affermato lo stesso principio, ovvero che nelle controversie soggette al rito del lavoro, è consentito al giudice di appello la nomina di più consulenti tecnici, in quanto il riferimento contenuto nell'art. 441 c.p.c., che prevede la nomina di “un consulente tecnico” in appello, ha riguardo all'organo tecnico che affianca il giudice e non alle persone fisiche che lo compongono. In senso conf. Cass., sez. lav., n. 435/1984, in cui si è precisato che l'art. 441 c.p.c. sebbene contiene una locuzione diversa da quella usata dall'art. 424 c.p.c., richiamata dall'art. 445 c.p.c. per le controversie previdenziali, secondo la quale il giudice di primo grado “nomina uno o più consulenti tecnici” non può essere intesa in senso restrittivo, nel senso che in fase di gravame, l'incarico peritale debba essere affidato ad una sola persona fisica; (Cass., sez. lav., n. 4498/1983).

Bibliografia

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