Codice di Procedura Civile art. 660 - Forma dell'intimazione.

Vito Amendolagine

Forma dell'intimazione.

[I]. Le intimazioni di licenza o di sfratto indicate negli articoli precedenti debbono essere notificate a norma degli articoli 137 e seguenti, esclusa la notificazione al domicilio eletto [141 1].

[II]. Il locatore può indicare nell'atto un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o eleggere un domicilio digitale speciale, altrimenti l'opposizione prevista nell'articolo 668 e qualsiasi altro atto del giudizio gli sono notificati presso il procuratore costituito1.

[III]. La citazione per la convalida, redatta a norma dell'articolo 125, in luogo dell'invito e dell'avvertimento al convenuto previsti nell'articolo 163, terzo comma, numero 7, deve contenere, con l'invito a comparire nell'udienza indicata, l'avvertimento che se non comparisce o, comparendo, non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto ai sensi dell'articolo 663 e che sussistendo i presupposti di legge la parte può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato 2.

[IV]. Tra il giorno della notificazione dell'intimazione e quello dell'udienza debbono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni. Nelle cause che richiedono pronta spedizione il giudice 3 può, su istanza dell'intimante, con decreto motivato, scritto in calce all'originale e alle copie dell'intimazione, abbreviare fino alla metà i termini di comparizione4.

[V]. Le parti si costituiscono depositando [in cancelleria] l'intimazione con la relazione di notificazione o la comparsa di risposta, oppure presentando tali atti al giudice in udienza 5.

[VI]. Ai fini dell'opposizione e del compimento delle attività previste negli articoli da 663 a 666, è sufficiente la comparizione personale dell'intimato6.

[VII]. Se l'intimazione non è stata notificata in mani proprie, l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato dell'effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all'originale dell'atto la ricevuta di spedizione [139].

 

[1] Comma sostituito dall'art. 3, comma 8,  lett. g), n. 1, d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Il testo precedente era il seguente: « Il locatore deve dichiarare nell'atto la propria residenza o eleggere domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito, altrimenti l'opposizione prevista nell'articolo 668 e qualsiasi altro atto del giudizio possono essergli notificati presso la cancelleria.» Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.  

[2] Le parole «e che sussistendo i presupposti di legge la parte può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato» sono state inserite dall'art. 3, comma 8,  lett. g), n. 2, d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.  Precedentemente il comma è stato inserito dall'art. 8 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534.

[3] Nell'art. 6604, come pure negli artt. 6881, 703, 755, 7571, 7582, 7591, 761, 7621, 7631, 7641-3, 7672, 7722, 776, 7821-2 e rubrica, 7831, la parola « giudice » è stata sostituita alla parola « pretore » dall'art. 105 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

[4] Comma inserito dall'art. 8 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534.

[5] Le parole « in cancelleria » sono state soppresse dall'art. 3, comma 8,  lett. g), n. 3, d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023Il comma era stato precedentemente inserito dall'art. 8 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534.

[6] Nell'art. 6604, come pure negli artt. 6881, 703, 755, 7571, 7582, 7591, 761, 7621, 7631, 7641-3, 7672, 7722, 776, 7821-2 e rubrica, 7831, la parola « giudice » è stata sostituita alla parola « pretore » dall'art. 105 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

Inquadramento

L'art. 660 c.p.c. nella versione attuale, modificato dal d.l. n. 432/1995 convertito con modificazioni nella l. n. 534/1995, tiene conto della specialità e sommarietà del procedimento di convalida, tra le altre cose, precisando che il termine libero di comparizione è inequivocabilmente fissato in venti giorni prima dell'udienza di convalida.

Il 15 febbraio 2024, per effetto dell'approvazione del decreto correttivo della riforma Cartabia, il comma 2 dell'art. 660 c.p.c. è stato riscritto, prevedendosi che il locatore che sta in giudizio personalmente deve dichiarare nell'atto la propria residenza od eleggere domicilio nel Comune dove ha sede il giudice adito oppure indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi od eleggere un domicilio speciale, altrimenti l'opposizione prevista nell'art. 668 c.p.c. e qualsiasi altro atto del giudizio possono essergli notificati presso la cancelleria, salvo quanto previsto dall'art. 149-bis c.p.c.

L'art. 660 c.p.c. è stato modificato anche nel comma 3, in quanto, dopo le parole “ai sensi dell'articolo 663” sono aggiunte le seguenti: “e che sussistendo i presupposti di legge la parte può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato”. Al comma 5 dell'art. 663 c.p.c. le parole “in cancelleria” sono state soppresse.

Come si evince dalla Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al d.lgs. n. 149/2022, il comma 1 dell'art. 660 c.p.c.è stato coordinato con la nuova disciplina in tema di indicazione della posta elettronica certificata ai fini della notifica, prevedendo che il locatore che sta in giudizio personalmente possa indicare un indirizzo di posta elettronica certificata, in luogo dell'elezione di domicilio, mentre quanto al comma 2 della stessa norma, il contenuto della citazione per la convalida è stato integrato con l'inserimento dell'avvertimento circa la possibilità, sussistendone i presupposti, di presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in armonia con l'analoga previsione introdotta dal legislatore delegato nel rito ordinario all'art. 163 c.p.c. per effetto del d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.

In precedenza, in dottrina erano sorti dubbi sull'effettiva determinazione del termine a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 353/1990 – che aveva ricondotto il processo dinanzi al Pretore al processo dinanzi al Tribunale – con la conseguente applicazione dei termini di cui all'art. 163 – bis c.p.c., ed a cui andava applicata la riduzione dei due terzi stabilita nel d.l. n. 238/1995 e n. 347/1995 entrambi non convertiti (De Luca, 679; Lazzaro, 696; Luiso 1995, 243).

In particolare, alla legge di riforma si deve l'esaltazione della natura processuale dell'atto introduttivo del procedimento di convalida, modellato – con i dovuti adattamenti – sull'atto di citazione in uso nel rito ordinario di cognizione, e, dal quale si differenzia, principalmente per la struttura, che contiene in aggiunta alla vocatio in jus l'intimazione non quindi il semplice invito a comparire all'udienza indicata nello stesso atto introduttivo della litispendenza, oltre che per la sostituzione dell'avviso contenuto nell'art. 163, comma 3, n. 7), c.p.c. con l'avvertimento che la mancata comparizione dell'intimato o la sua comparizione senza opposizione, comporterà la convalida dell'intimazione.

In dottrina, si è evidenziato che la citazione non è una domanda nel senso proprio della parola, ma una provocazione a proporre l'opposizione, così spiegandosi come la semplice non comparizione dell'intimato o se compare la sua mancata opposizione, bastano a convalidare l'intimazione di licenza o sfratto (Punzi, 838).

Tuttavia, ciò non toglie che l'atto di intimazione di cui alla norma in commento deve necessariamente rivestire la forma dell'atto di citazione, e deve contenere oltre l'intimazione, gli elementi necessari per la validità dell'atto di citazione, con le peculiarità proprie dell'art. 660 c.p.c.

Allo stesso modo, come già detto innanzi, viene previsto che tra il giorno della notificazione dell'intimazione e quello dell'udienza di comparizione delle parti indicata nell'atto introduttivo del procedimento, devono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni.

Il termine notevolmente “ristretto” rispetto a quello previsto dall'art. 163-bis, comma 1, c.p.c. nell'ordinario giudizio di cognizione è giustificato dalle ragioni di particolare celerità del procedimento, le quali, a mente, dell'art. 660, comma 4, c.p.c. nelle cause che richiedono pronta spedizione, consentono al giudice, su istanza dell'intimante, con decreto motivato, scritto in calce all'originale ed alle copie dell'intimazione, di abbreviare fino alla metà i termini di comparizione.

L'inosservanza dei suddetti requisiti, unitamente ai vizi della notifica nell'ipotesi in cui l'intimazione non sia stata notificata in mani proprie, contemplata dall'art. 660, comma 7, c.p.c. apre la strada all'applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 164 c.p.c. in tema di nullità dell'atto di citazione.

In particolare, laddove la nullità – nei casi sopra considerati – non dovesse essere rilevata dal giudice, è possibile proporre i normali rimedi in luogo dell'opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c. (Consolo, 1748).

Per effetto del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 264 dell'11 novembre 2024, ed entrato in vigore il 26 novembre 2024, al termine dell'ordinaria vacatio legis, il comma 1 dell'art. 658 c.p.c. è stato modificato, con applicazione del procedimento sommario di sfratto per morosità anche alle figure dell'affittuario   di   azienda, dell'affittuario coltivatore diretto, del mezzadro e del colono.

Il divieto di notifica nel domicilio eletto non esclude la notifica nel domicilio indicato nel contratto

L'art. 660, comma 1 c.p.c. prevede che le intimazioni di licenza o di sfratto indicate negli articoli precedenti debbono essere notificate a norma dell'art. 137 c.p.c., esclusa la notificazione al domicilio eletto.

La disposizione contenuta nell'art. 660, comma 1, c.p.c. laddove prevede che la notificazione debba avvenire a norma dell'art. 137 c.p.c., escludendo espressamente l'ipotesi della notificazione presso il domicilio eletto non opera se l'elezione di domicilio è fatta nel contratto di locazione, dovendo in tale ipotesi prevalere la volontà delle parti (Duni, 35).

Tuttavia, in dottrina si è rilevato che tale forma di notifica può ritenersi valida a condizione che il conduttore-intimato sia effettivamente domiciliato nell'immobile oggetto di locazione, dovendosi privilegiare la situazione reale al fine di rendere consapevolmente edotto il destinatario dell'atto dell'importanza di quest'ultimo (Di Marzio 2011, 490).

In caso di morte del conduttore si ritiene che la notifica non potrebbe essere fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell'ultimo domicilio del de cuius (Di Marzio 2011, 504).

L'ordinanza di convalida pronunciata nei confronti di un solo erede e non anche nei confronti dei suoi litisconsorti necessari non può essere opposta ai predetti litisconsorti e, pertanto, deve considerarsi inutiliter data, in quanto affetta da insanabile nullità (Cass. III, n. 10889/2002).

Il locatore può utilmente notificare l'intimazione nell'immobile oggetto di locazione nell'ipotesi in cui il conduttore abbia ivi eletto domicilio, non ascrivendo tale elezione a quella vietata dall'art. 660 c.p.c. (Trib. Roma 15 gennaio 2018, in cui si è affermato che ove il conduttore, in occasione della stipula del contratto di locazione, abbia indicato per le notifiche degli atti il proprio domicilio, la notificazione dell'atto di intimazione di licenza o di sfratto può essere legittimamente eseguita a norma dell'art. 137 c.p.c. presso tale domicilio, senza che abbia incidenza il divieto posto dall'art. 660 c.p.c., il quale si riferisce esclusivamente al domicilio eletto), ma non è certo obbligato ad effettuare negli stessi locali la notifica, ben potendo egli utilizzare uno degli ordinari e concorrenti criteri previsti dall'art. 139 c.p.c. ovvero, trattandosi di notifica diretta ad una società di capitali, la sede legale oppure la residenza od il domicilio del legale rappresentante dell'ente collettivo (Trib. Massa 15 gennaio 2018).

La notifica dell'intimazione in caso di irreperibilità o rifiuto del destinatario

L'art. 660, comma 7, c.p.c. prevede che se l'intimazione non è stata notificata in mani proprie, l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato dell'effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all'originale dell'atto la ricevuta di spedizione.

Tale forma di notificazione, sebbene non escluda espressamente quella eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c. si pone in evidente contrasto con quest'ultima, in quanto non assicura l'effettiva conoscibilità dell'atto di intimazione, risolvendosi in una fictio juris.

La regolarità delle operazioni di notifica dell'intimazione non è inficiata dall'apposizione – da parte dell'ufficiale postale sulla busta inviata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. – delle parola non esiste tale nominativo sui campanelli o dalla barratura della casella irreperibile sulla busta della notificazione ex art. 660 c.p.c., in quanto deve ritenersi che sia stata l'attrice a togliere il proprio nome dai campanelli della casa (Trib. Pisa 12 giugno 2018).

La notifica dell'atto di intimazione ai sensi dell'art. 140 c.p.c., è ammessa nel procedimento di convalida (Frasca, 171), mentre la notifica ai sensi dell'art. 143 c.p.c. si ritiene esclusa nell'ambito del procedimento per convalida di licenza e sfratto (Carrato 2005, 578; Garbagnati, 308; Giordano 2019; Masoni, 331; Porreca, 137), in quanto, oltre a risolversi in una fictio juris contrastante con quanto enunciato dagli artt. 660, 663 e 668 c.p.c. la notificazione eseguita nelle forme dell'art. 143 c.p.c. non consente il rispetto dell'art. 660, comma 3, c.p.c. non essendo possibile spedire l'avviso dell'avvenuta notificazione ad un soggetto intimato del quale si ignorino residenza, domicilio od effettiva dimora o luogo di lavoro (Anselmi Blaas, 192; Bucci, Crescenzi, 114; Di Marzio 1998, 153; Frasca 2001, 173; Preden, 440).

La notifica a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti

Nel caso di procedimento di sfratto per morosità è da escludere non solo – come espressamente previsto dall'art. 660, comma 1, c.p.c. – la notifica presso il domicilio eletto ma altresì ogni altra modalità di notifica incompatibile con la funzione dell'atto di intimazione, come quella prevista dall'art. 143 c.p.c. a persone aventi residenza, dimora o domicilio sconosciuti (Trib. Padova 26 novembre 2010; in senso conforme, Trib. Roma 5 giugno 2008, per il quale, la notifica dell'intimazione di licenza o sfratto, ex art. 143 c.p.c., è incompatibile con la struttura del procedimento per la convalida; Pret. Roma 20 marzo 1997; Trib. Roma 30 giugno 1984; contra, un'isolata pronuncia di merito Pret. Verona 19 aprile 1989, in cui si affermo che la notificazione ex art. 143 c.p.c. di un'intimazione di sfratto per finita locazione, è nulla se effettuata dal locatore intimante senza il compimento delle ricerche suggerite dalla normale diligenza circa l'effettiva residenza del conduttore ed in particolare senza previa richiesta di informazioni al comune di ultima residenza anagrafica del medesimo).

In dottrina (Di Marzio 1998, 154), sebbene si ritenga inammissibile la notifica eseguita ex art. 143 c.p.c. dell'intimazione per convalida, è stato tuttavia osservato che tale atto, ove anche notificato secondo l'anzidetta modalità, sarebbe idoneo a fare sorgere validamente il giudizio di merito previa emissione dell'ordinanza di mutamento del rito ex art. 667 c.p.c. in quanto, quest'ultimo altro non è che un giudizio a cognizione piena, nel quale il giudice adito può esaminare la domanda volta alla risoluzione del rapporto locatizio. Conseguentemente, secondo tale tesi, notificata l'intimazione ex art. 143 c.p.c. il giudice non può convalidare – salva la comparizione dell'intimato senza che quest'ultimo si opponga alla richiesta di convalida – ma può mutare il rito su istanza del locatore, e decidere la controversia con sentenza al termine del giudizio di merito (Di Marzio, 1998, 154).

La dottrina ha, altresì, evidenziato che quando non è ammissibile la notifica di sfratto ex art. 143 c.p.c. il rilascio dell'immobile può ugualmente essere conseguito aliunde, senza alcun vulnus alla tutela dell'intimante (Masoni, 332). In tale ottica, si è infatti osservato come ad essere precluso è il ricorso all'art. 143 c.p.c. nel procedimento speciale per intimazione di licenza o sfratto, non anche il rimedio ordinario previsto ex art. 447-bis c.p.c. che non soggiace alle cautele ed alle limitazioni notificatorie previste per il procedimento speciale (Masoni, 332).

L'anzidetta quaestio è stata successivamente portata all'attenzione della Corte costituzionale, proprio perché secondo il giudice rimettente, il ricorso al procedimento per convalida di sfratto non sarebbe consentito nel caso di intimazione notificata ai sensi dell'art. 143 c.p.c., stante l'impossibilità, a cagione dell'oggettiva irreperibilità dell'intimato, di adempiere alla necessaria formalità dell'invio a quest'ultimo dell'avviso a mezzo del servizio postale, richiesto dalla denunciata norma nell'ipotesi di notificazione non effettuata a mani proprie del conduttore.

La Consulta, nel rigettare l'eccezione di incostituzionalità, rilevava preliminarmente che nell'àmbito del procedimento per convalida di licenza o di sfratto, improntato ad un equo contemperamento delle contrapposte ragioni dei soggetti del rapporto di locazione, la decisiva importanza della mancata comparizione dell'intimato all'udienza o della sua mancata opposizione, le quali comportano la convalida della licenza o dello sfratto, ha imposto al legislatore una particolare cautela, onde assicurare il maggiore grado possibile di certezza sull'effettiva conoscenza, da parte del conduttore, del contenuto dell'intimazione, nella cui ottica, il medesimo legislatore ha previsto la necessità dell'avviso di cui all'art. 660, comma 7, c.p.c. e l'esclusione della notificazione dell'intimazione nel domicilio eletto, così come l'attribuzione al giudice del potere di ordinare la rinnovazione della citazione ove risulti od appaia probabile la sua mancata conoscenza ex art. 663, comma 1, c.p.c. ritenendo non ravvisabile l'asserita irragionevolezza della scelta legislativa di inibire il ricorso al procedimento per convalida di licenza o di sfratto, stante l'impossibilità di indirizzare l'avviso di cui all'art. 660, comma 7, c.p.c. nel caso in cui la notificazione dell'intimazione sarebbe possibile solo ai sensi dell'art. 143 c.p.c., cioè con modalità non idonee a realizzare una sufficiente probabilità di conoscenza effettiva dell'atto (Corte cost., n. 15/2000).

La dichiarazione di residenza od elezione di domicilio del locatore: casistica

L'art. 660, comma 2, c.p.c. dispone che il locatore deve dichiarare nell'atto la propria residenza o eleggere domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito, altrimenti l'opposizione prevista nell'art. 668 c.p.c. e qualsiasi altro atto del giudizio possono essergli notificati presso la cancelleria.

Ai fini di una corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario di una notifica, assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, mentre le risultanze anagrafiche rivestono valore meramente presuntivo e possono essere superate dalla prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento (Cass. III, n. 17040/2003).

La notificazione eseguita, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., nel luogo di residenza del destinatario risultante dai registri anagrafici, è nulla soltanto nell'ipotesi in cui questi si sia trasferito altrove e il notificante ne conosca, ovvero con l'ordinaria diligenza avrebbe potuto conoscerne, l'effettiva residenza, dimora o domicilio, dove è tenuto ad effettuare la notifica stessa, in osservanza dell'art. 139 c.p.c. (Cass. III, n.11369/2006; Cass. III, n. 3270/2003; Cass. I, n. 5178/1993, in cui si è puntualizzato che le risultanze anagrafiche costituiscono elementi meramente indiziari, che possono essere superati da ogni altro mezzo di prova, incluse le presunzioni semplici; Cass. III, n. 6344/1988; Cass. S.U., n. 5753/1978, sulla cui scorta si può ritenere che la notificazione effettuata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. postula che il luogo di residenza, di dimora o di domicilio del destinatario siano esattamente individuati e che la copia dell'atto da notificare non possa essere consegnata per difficoltà di ordine materiale, ossia per irreperibilità o per incapacità o per rifiuto delle persone indicate nell'art. 139 c.p.c.).

L'art. 668, comma 1, c.p.c., subordina l'ammissibilità della opposizione tardiva alla convalida di sfratto per morosità a qualsiasi irregolarità della notificazione dell'intimazione ivi compresa la nullità della notificazione per inosservanza delle disposizioni sui luoghi in cui deve essere eseguita.

La notifica degli atti deve essere effettuata exartt. 138 e 139 c.p.c.

L'art. 138 c.p.c. dispone che l'ufficiale giudiziario esegue la notificazione di regola mediante consegna della copia nelle mani proprie del destinatario, presso la casa di abitazione, e se ciò non è possibile ovunque lo trovi nell'ambito della circoscrizione dell'ufficio giudiziario al quale è addetto, precisando che se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l'ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione, e la notificazione si considera fatta in mani proprie, mentre l'art. 139 c.p.c. prevede che se non avviene nel modo di cui all'art. 138 c.p.c., la notificazione deve essere fatta nel comune di residenza del destinatario, ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l'ufficio od esercita l'industria od il commercio.

A seguito dell'obbligatorietà del processo civile telematico, estesa ormai praticamente ad ogni atto destinato ad entrare nel processo civile, nel caso in cui la notifica dello sfratto o della licenza contenente l'intimazione avvenga a mezzo pec l'attestazione della spedizione ed immissione dell'email nella casella del destinatario è fornita da un sistema automatizzato che garantisce la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica del destinatario così come il postino attesta la consegna a mani, ragione per cui, in entrambi i casi nessuno potrà garantire che il destinatario abbia aperto e letto effettivamente il contenuto della busta - cartacea o telematica - consegnata, né il postino o l'ufficiale giudiziario, né il gestore del servizio di posta elettronica certificata, sulla cui scorta, premesso che la ricevuta di avvenuta consegna (RAC), rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata a differenza delle ricevute apposte sull'avviso di ricevimento dall'agente postale nelle notifiche a mezzo posta, non ha fede privilegiata, laddove non si contesta che il messaggio informatico sia pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario, la notifica a mezzo PEC corrisponde - a tutti gli effetti - ad una notifica a mani dell'interessato. Infatti, in tema di notifiche telematiche, la ricevuta di avvenuta consegna (r.a.c.) costituisce un documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario, sicché quest'ultimo è onerato della prova contraria, che non può essere costituita da contestazioni in ordine alla non attivazione di strumenti telematici idonei a prendere contezza dell'invio di atti a mezzo posta elettronica certificata (Cass. VI, n. 30159/2021).

Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l'ufficiale giudiziario consegna copia dell'atto ad una persona di famiglia o addetta alla casa, all'ufficio o all'azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace.

In mancanza delle persone indicate nel comma precedente, la copia è consegnata al portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda, e, quando anche il portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla.

Il portiere o il vicino deve sottoscrivere una ricevuta, e l'ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto, a mezzo di lettera raccomandata.

Quando non è noto il comune di residenza, la notificazione si fa nel comune di dimora, e, se anche questa è ignota, nel comune di domicilio, osservate in quanto è possibile le disposizioni precedenti dell'art. 139 c.p.c.

In tema di intimazione di licenza o sfratto l'adempimento previsto nell'ultimo comma dell'art. 660 c.p.c., secondo il quale, se l'intimazione non è stata notificata a mani proprie l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato della effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata ed allegare all'originale dell'atto di ricevuta di spedizione, mira ad assicurare nella maggiore misura possibile, che il conduttore abbia effettiva conoscenza dell'intimazione rivoltagli, in considerazione degli effetti che nel procedimento per convalida derivano dalla mancata comparizione dell'intimato. Tale adempimento, essendo escluso nel solo caso di notifica a mani proprie dell'intimato va compiuto pertanto in ogni altra ipotesi ivi compresa quella di notificazione a mezzo posta, ancorché l'agente postale, non avendo rinvenuto in loco il destinatario, abbia rilasciato a costui l'avviso previsto dall'art. 8 l. n. 890/1982, che non equivale all'ulteriore invio della raccomandata prescritta dall'ultimo comma dell'art. 660 c.p.c. la cui omissione costituisce un valido motivo di opposizione tardivo nei sensi del successivo art. 668 c.p.c. (Tra le pronunce di merito più recenti v. Trib . Trani 20 luglio 2020).

Il contenuto dell'intimazione

Ai sensi dell'art. 660, comma 3, c.p.c. la citazione per la convalida, redatta a norma dell'art. 125 c.p.c., in luogo dell'invito e dell'avvertimento al convenuto previsti nell'art. 163, comma 3, n. 7), c.p.c. deve contenere, con l'invito a comparire nell'udienza indicata, l'avvertimento che se non comparisce o, comparendo, non si oppone, il giudice convalida la licenza o lo sfratto ai sensi dell'art. 663 c.p.c.

L'art. 660, comma 3, c.p.c. non ricollega espressamente alcuna sanzione all'omissione di tale specifico avvertimento, e, tuttavia, si ritiene in dottrina che, sostituendosi lo stesso all'avvertimento di cui all'art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c. la relativa omissione comporti conseguenze analoghe, ossia la nullità dell'atto di citazione sotto il profilo della vocatio in ius (Giordano 2019).

L'intimazione prevista dell'art. 660 c.p.c. è un atto complesso, e si articola nell'intimazione vera e propria e nella citazione per la convalida.

La natura processuale della citazione è stata indubbiamente accentuata sia per il richiamo all'art. 125 c.p.c., sia per la previsione che in luogo dell'avvertimento previsto dall'art. 163, comma 3, n. 7) c.p.c., la citazione deve contenere l'avvertimento che la mancata comparizione o la comparizione senza opposizione comporta la convalida dell'intimazione.

Tale avvertimento – che nelle intenzioni del legislatore serve a rendere edotto il destinatario degli effetti perseguiti dall'atto – si presta a configurare una ipotesi di nullità della citazione, sussistendo l'identica ratio di tutela del convenuto che ha dettato l'art. 164 c.p.c. (Cass. I, n. 23010/2004).

Le conseguenze derivanti dall'inosservanza del contenuto dell'intimazione

La citazione per la convalida va ricondotta nella generale categoria degli atti di citazione, e, quindi, ad essa va applicata, nel caso di omissione dell'avvertimento, la disciplina in punto di nullità afferenti alla vocatio in ius dettata dall'art. 164, commi 1, 2 e 3, c.p.c. intendendosi sostituito, nell'art. 164, commi 1 e 2 c.p.c. il richiamo all'avvertimento previsto dall'art. 163, comma 3, n. 7, c.p.c. con quello richiesto dall'art. 660, comma 3, c.p.c.

L'omissione dell'avvertimento comporta, anche in caso di sua incompletezza, la nullità dell'atto, ai sensi dell'art. 164 c.p.c. (Di Marzio 1998, 160; Magaraggia, 376).

L'art. 164, comma 1, c.p.c. dispone che la citazione è nulla, tra l'altro, se manca l'avvertimento in questione ed il medesimo art. 164, comma 2, c.p.c. stabilisce che, se il convenuto non si costituisce, il giudice, rilevata la nullità della citazione ne dispone d'ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio, prevedendo il medesimo art. 164, comma 3, c.p.c. che la costituzione del convenuto sana la nullità della citazione, restando salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui all'art. 164, comma 2, c.p.c., precisando altresì che, se il convenuto, costituitosi, deduce l'inosservanza del termine a comparire o la mancanza dell'avvertimento, da individuare, nel caso di citazione per convalida, in quello previsto dall'art. 660, comma 3, c.p.c. in tale caso il giudice deve fissare una nuova udienza nel rispetto dei termini (Cass. III, n. 16089/2003).

Come risulta in forma palese dall'art.660, comma 3, c.p.c., la citazione per la convalida non deve contenere l'invito al convenuto a costituirsi nel termine previsto dal precedente art.163, comma 3, n. 7), c.p.c., né l'avvertimento sulla comminatoria delle decadenze previste dall'art.167 c.p.c.

Tale previsione, si collega in modo coerente con la disposizione contenuta nell'art. 660, comma 5, c.p.c., il quale consente che la costituzione del convenuto nel procedimento di convalida avvenga anche nell'udienza stessa.

Il convenuto-intimato nel giudizio di convalida, nel costituirsi a norma dell'art. 660, comma 5, c.p.c., come non deve osservare i termini previsti dall'art.166 c.p.c., così non è soggetto al rispetto delle prescrizioni e decadenze previste nel successivo art.167 c.p.c. (Cass. III, n. 13963/2005).

L'integrazione degli atti e la proposizione di domanda riconvenzionale

Nel giudizio di convalida, la difesa dell'intimante è infatti strumentale alla fase sommaria per l'emanazione dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c., mentre la difesa del convenuto-intimato rispetto al giudizio di cognizione piena conseguente al mutamento del rito previsto dall'art. 667 c.p.c. ha modo di esplicarsi completamente a seguito dell'ordinanza prevista dall'art. 426 c.p.c., con cui il giudice fissa un termine perentorio proprio per l'integrazione degli atti introduttivi.

Ciò premesso, è consentito alle parti del procedimento di convalida, nel termine concesso dall'ordinanza di trasformazione del rito da speciale a ordinario a norma dell'art. 667 e 426 c.p.c., di svolgere con le memorie, per l'intimante ai sensi dell'art. 415 c.p.c. e per l'intimato ai sensi dell'art. 416 c.p.c., le attività che, nell'esercizio dei poteri e facoltà del diritto di azione e di difesa, avrebbero potuto svolgere fin dall'atto introduttivo se il processo fosse stato a cognizione piena, non precluse, poichè l'intimazione per la convalida ex art. 660, comma 3, c.p.c. esclude espressamente l'invito o l'avvertimento al convenuto previsti nell'art. 163, comma 3, n. 7) c.p.c.

Conseguentemente, nel procedimento per convalida di sfratto, nel quale sia stata proposta opposizione, il momento di preclusione della proposizione della domanda riconvenzionale dell'intimato non si identifica con il deposito della comparsa di risposta ai sensi dell'art. 660, comma 5, c.p.c., ma con il deposito della memoria integrativa successiva all'ordinanza ex artt. 667 e 426 c.p.c. dispositiva della prosecuzione del giudizio secondo le regole della cognizione piena, potendo la riconvenzionale essere proposta dall'intimato con detta memoria (Cass. III, n. 20483/2014; Cass. III, n. 1698/2009).

Pertanto, l'intimato, che non ha l'onere di costituirsi in cancelleria, potendosi presentare all'udienza fissata per la convalida anche personalmente – ex art. 660, commi 5 e 6, c.p.c. – e con la memoria integrativa può legittimamente proporre domanda riconvenzionale unitamente alla domanda di fissazione di nuova udienza di discussione, ai sensi dell'art. 418 c.p.c. (Cass. III, n. 3696/2012; conformi, Cass. III, n. 20483/2014; Cass. III, n. 16190/2015, e Cass. VI, n. 24819/2016 laddove ha affermato il principio che la proposizione della domanda riconvenzionale nella fase sommaria non è soggetta all'osservanza del termine di dieci giorni previsto dall'art. 416 c.p.c., in quanto il rito del lavoro si applica solo dopo il passaggio alla fase di merito, a seguito del mutamento del rito disposto ex art. 667 c.p.c.).

I termini a comparire: la vocatio in jus

L'art. 660, comma 4, c.p.c. enuncia che tra il giorno della notificazione dell'intimazione e quello dell'udienza debbono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni.

Il termine minimo di comparizione è libero: ciò significa che per il suo rispetto non si computa né il dies a quo né il dies ad quem.

In caso di notifica ex art. 140 c.p.c., il termine di 20 giorni liberi prima dell'udienza di convalida deve essere computato avendo riguardo al momento del perfezionamento della notifica ex art. 140 c.p.c. nei confronti del destinatario, e, quindi, avere come dies a quo l'effettiva ricezione da parte del destinatario, ovvero dieci giorni dopo la spedizione (Giordano 2019).

L'avvenuta assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello minimo integra un'ipotesi di nullità della citazione, la quale, in presenza della deduzione dell'intimato, richiede che il giudice disponga la fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini legali ex art. 660, comma 4, c.p.c. in relazione all'art. 164, comma 3, c.p.c. (Cass. III, n. 17151/2002).

Ciò in quanto, ai fini della convalida è necessaria non solo la verifica dell'esistenza dei presupposti particolari del procedimento di convalida, ma anche dei presupposti generali dell'azione.

In caso di nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, che si è svolto in contumacia della parte convenuta, determinata dalla inosservanza del termine dilatorio di comparizione, il giudice di appello non può limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza e giudizio di primo grado, ma, non ricorrendo né la nullità della notificazione dell'atto introduttivo, né alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 343 e 354 c.p.c., deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse (Cass. III, n. 12156/2016; Cass. I, n. 22914/2010; Cass. II, n. 2251/1997).

La sospensione dei termini

Il giudizio di convalida – cui tende funzionalmente la disposizione dell'art. 660 c.p.c. – rientra tra quelli che l'art. 92 ord. giud., esclude dalla sospensione feriale dei termini.

La dottrina ritiene che possa svolgersi durante il periodo feriale solo la fase sommaria del procedimento ritenuta per definizione urgente, mentre la fase – eventuale – ordinaria od a cognizione piena, successiva alla chiusura della fase sommaria, è soggetta a sospensione feriale dei termini processuali, salva l'espressa dichiarazione d'urgenza (Bucci, Crescenzi, 109; Di Marzio, 1998, 149; Preden, 439; Trifone, 190; contra, Lazzaro, Preden, Varrone, 77).

Nei procedimenti per convalida di licenza e di sfratto la sospensione dei termini nel periodo feriale non opera per la fase di tipo sommario, mentre trova applicazione per la successiva fase a rito ordinario (Cass.S.U., n. 3077/1983).

La sospensione feriale dei termini processuali, se non si applica alle controversie in materia di convalida di sfratto, è sicuramente applicabile alle cause ordinarie, quali il rilascio di immobile per occupazione senza titolo (Cass. III, n. 23786/2024).

L'abbreviazione dei termini

Nelle cause che richiedono pronta spedizione il giudice può, su istanza dell'intimante, con decreto motivato, scritto in calce all'originale e alle copie dell'intimazione, abbreviare fino alla metà i termini di comparizione.

in dottrina si è evidenziata la necessità di ponderare accuratamente la concedibilità della dimidiazione dei termini, stante la delicatezza della materia oggetto del procedimento per convalida cui tende la notifica dell'intimazione (Magaraggia, 377; Masoni, 321), nonostante l'opinione contraria di chi invece ritiene che tali procedure debbano essere di “pronta spedizione” (D'Ascola, 1866; De uca, 681).

Infatti, occorre procedere ad un saggio equilibrio nella tutela delle contrapposte istanze, ascrivibili antiteticamente al locatore ed al conduttore, attesa la brevità dei termini a comparire – di fatto, assimilabili a quelli propri di un procedimento cautelare od altrimenti esperibile in via d'urgenza – a sua volta suscettibile di essere ulteriormente ridotta per effetto dell'applicazione della disposizione sulla dimidiazione dei termini.

L'inosservanza del termine minimo a comparire: conseguenze

L'avvenuta assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello minimo, integrando un'ipotesi di nullità della citazione, richiede che il giudice ne disponga la rinnovazione in relazione all'art. 164, comma 2, c.p.c.. (Cass. III, n. 12156/2016; Cass. I, n. 22914/2010) per cui in caso di nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, laddove svoltosi in contumacia della parte convenuta, determinata dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione, il giudice adito in sede di gravame non può limitarsi a dichiarare la nullità della sentenza e del giudizio di primo grado, ma, non ricorrendo né la nullità della notificazione dell'atto introduttivo, né alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse.

Infatti, ai fini della pronuncia dell'ordinanza di convalida è necessaria non solo la sussistenza dei presupposti specificamente indicati nell'art. 663 c.p.c. ma anche la ricorrenza di quelle che sono definite condizioni generali dell'azione, tra le quali rientra la corretta evocazione in giudizio della parte intimata, la quale, ove comparendo eccepisca, non importa se fondatamente o meno, il mancato rispetto del termine di comparizione, pur senza opporre eccezioni di merito, deduce la mancanza di uno dei presupposti la cui ricorrenza è necessaria perché possa essere emessa l'ordinanza di convalida.

Nei casi in cui l'ordinanza di convalida sia emessa senza il rispetto dei presupposti legali tipici, il controllo del provvedimento non può essere compiuto solo nei suoi aspetti formali, ma deve prevalere il contenuto sostanziale che il provvedimento assume quanto agli effetti risolutori del rapporto di locazione. Conseguentemente, per questa ragione la giurisprudenza di legittimità, da tempo, ha ritenuto che l'ordinanza di convalida pronunciata in difetto dei suoi elementi formali tipici – quale la mancanza del termine minimo a comparire – può essere impugnata con il mezzo ordinario dell'appello (Cass. III, n. 17151/2002).

Ciò in forza del consolidato principio secondo cui il provvedimento di convalida di licenza o di sfratto emesso nella forma dell'ordinanza fuori dei limiti oggettivi segnati dagli artt. 657 e 658 c.p.c., in assenza delle condizioni previste dall'art. 663 c.p.c. ovvero in mancanza di un presupposto generale di ammissibilità del procedimento speciale, assume valore di sentenza ed è, perciò, in virtù del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, suscettibile di impugnazione con i mezzi ordinari previsti per le sentenze, in particolare con l'appello, trattandosi di provvedimento di primo grado (Cass. III, n. 11298/2004).

La mancata fissazione della nuova udienza nel rispetto dei termini, sollecitata dal convenuto, impedisce alla costituzione di sanare la nullità, a nulla rilevando, peraltro, che il convenuto si sia anche difeso nel merito, dovendosi presumere che l'inosservanza del termine a comparire gli abbia impedita una più adeguata difesa (Cass. II, n. 12129/2004).

Qualora invece il termine a comparire non venga rispettato, il vizio sarà comunque sanato laddove l'intimato compaia all'udienza senza opporsi alla convalida e senza dedurre il vizio costituito dalla violazione del termine (Cass. III, n. 5308/1995).

La costituzione delle parti

L'art. 660, comma 5, c.p.c. dispone che le parti si costituiscono depositando in cancelleria l'intimazione con la relazione di notificazione o la comparsa di risposta, oppure presentando tali atti al giudice in udienza.

L'art. 660, comma 5 c.p.c. che consente alle parti, nello speciale procedimento di convalida, di costituirsi anche in udienza, non viola il diritto di difendersi in giudizio, giacché il contenuto della domanda ed i termini in cui essa è proposta dal locatore sono già conosciuti dalla parte intimata con la citazione che gli è stata notificata ex art. 660, commi 1 e 3, c.p.c. ed ex art. 663, comma 1 c.p.c., ed in considerazione del termine di comparizione il quale consente l'esercizio della difesa (Corte cost. n. 448/1998).

Ciò considerando anche la particolare disciplina del procedimento per convalida di sfratto, che attribuisce all'intimato la facoltà di comparire personalmente in udienza per opporsi alla convalida ex art. 660, comma 6 c.p.c., e, che in tale procedimento non sono previste preclusioni o decadenze, le quali si verificano solo nell'eventuale giudizio di cognizione che segue in caso di opposizione ai sensi dell'art. 667 c.p.c. (Corte cost. n. 448/1998).

Al riguardo, si è infatti sostenuto che la prima fase del procedimento per convalida, quella caratterizzata dalla specialità del rito, non è contrassegnata dalle preclusioni previste negli artt. 167, 183 e 184 c.p.c. le cui inerenti decadenze scatteranno soltanto nella successiva – ed eventuale – fase a cognizione piena in caso di opposizione dell'intimato (Trisorio Liuzzi 1996, 495).

Il testo della norma in commento nulla osserva sul deposito della nota d'iscrizione a ruolo del procedimento speciale, dovendosi applicare la norma generale di cui all'art. 71 disp. att. c.p.c. (Masoni, 339).

L'intimante deve stare in giudizio necessariamente con il patrocinio di un difensore in applicazione della regola generale di cui all'art. 82 c.p.c., e può costituirsi anche il giorno indicato nell'atto di citazione, iscrivendo a ruolo il procedimento ex art. 71 disp. att. c.p.c.

L'iscrizione a ruolo del procedimento – dietro presentazione al cancelliere ex art. 168 c.p.c. della nota corredata del contributo unificato ridotto alla metà, trattandosi di procedimento speciale di cui al libro IV, titolo I, del codice di procedura civile, e della velina – può essere eseguita dalla parte più diligente, e, dunque, non soltanto dall'intimante, ma anche dall'intimato, qualora sia quest'ultimo ad avere interesse a coltivare il relativo procedimento.

L'art. 660, comma 5 c.p.c. richiama espressamente per il conduttore-intimato la comparsa di risposta come forma costitutiva, sicché l'intimato che si serva di un difensore deve costituirsi mediante comparsa di risposta, e non già con il mero deposito della citazione notificata con la procura in calce, dando seguito con lo svolgimento a verbale delle difese dell'intimato ad opera dell'avvocato, perchè manca invero in tale caso l'atto formale, necessariamente scritto, con cui deve avvenire la costituzione (Trib. Salerno 3 marzo 2006).

In ogni caso, sempre secondo tale pronuncia di merito, ammessa pure nella fase sommaria la ritualità di siffatta opposizione svolta senza comparsa di risposta dal difensore munito di procura, essa non varrebbe a scongiurare la contumacia del convenuto nella fase a cognizione piena che segue al mutamento di rito ex art. 667 c.p.c. (Trib. Salerno 3 marzo 2006).

Al riguardo, l'art. 660, comma 5, c.p.c. testualmente dispone che le parti si costituiscono depositando in cancelleria l'intimazione con la relazione di notificazione o la comparsa di risposta, risultando così palese la previsione di un'alternatività delle modalità di costituzione, la cui scelta, il legislatore ha inteso rimettere alla discrezionalità della stessa parte intimata, la quale, ha la possibilità di optare preliminarmente tra la costituzione prima dell'udienza o direttamente in udienza, presentando tali atti al giudice, ovvero, nella prima ipotesi considerata – costituzione in cancelleria del giudice adito – depositando l'intimazione con la relazione di notificazione oppure la comparsa di risposta.

Il dato testuale dell'art. 660, comma 5, c.p.c. è dunque talmente chiaro da non potere dare adito a dubbi di sorta su tale punto specificamente considerato.

A ciò aggiungasi che privilegiare una lettura squisitamente formalistica dell'atto di costituzione, comporterebbe un radicale svilimento della stessa disposizione normativa contenuta nell'art. 660, comma 5, c.p.c. laddove consente la difesa personale dell'intimato, che in tale fase processuale, notoriamente caratterizzata dalla sommarietà del rito, ben potrebbe rinunciare ad avvalersi della difesa tecnica, così come potrebbe limitarsi a comparire in giudizio, depositando l'intimazione con la relazione di notificazione per chiedere soltanto la concessione del termine di grazia per sanare la morosità, ovvero, dichiarando alla stessa udienza di comparizione, di opporsi al fine di impedire la convalida, e, previo mutamento del rito ex art. 667 c.p.c., scegliere di avvalersi successivamente in sede di deposito delle memorie ex art. 426 c.p.c. della possibilità di costituirsi a mezzo di un proprio difensore, attraverso il quale potrebbe anche proporre domanda riconvenzionale.

La dottrina è divisa tra coloro (Frasca 1995, 2937; Magaraggia, 380) che ritengono applicabile il disposto dell'art. 168-bis, comma 5, c.p.c. nei procedimenti speciali per convalida, che consente il differimento della prima udienza fino ad un massimo di 45 giorni e chi invece ritiene non applicabile la suddetta disposizione (Masoni, 341; Piombo 2007, 18; Trisorio Liuzzi 1996, 498).

La difesa personale dell'intimato nella fase sommaria

L'art. 660, comma 6 c.p.c. stabilisce che ai fini dell'opposizione e del compimento delle attività previste negli articoli da 663 a 666 c.p.c., è sufficiente la comparizione personale dell'intimato.

Infatti, la ratio dell'art. 660 c.p.c. consiste nel concedere all'intimato la facoltà di comparire personalmente nella fase sommaria, mentre ha bisogno della difesa tecnica nella fase a cognizione ordinaria.

Ciò significa che l'intimato se sceglie di difendersi da sé, è considerato costituito nella sola fase sommaria, mentre, nell'eventuale fase di merito a seguito del mutamento del rito per effetto della sua opposizione alla convalida, determina l'onere di costituirsi con un avvocato, il quale per evitare la dichiarazione di contumacia della parte rappresentata deve depositare la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. (Frasca 1996, 2580; Luiso 1996, 560).

L'intimato nel giudizio di convalida di sfratto per morosità ha la facoltà, invece di comparire personalmente, di nominare un procuratore speciale, il quale, tuttavia, può semplicemente manifestare la di lui volontà di opporsi o no alla convalida senza svolgere altre attività riservate alla difesa tecnica ed ha, anche, la facoltà di dare incarico ad un terzo di presentarsi all'udienza senza conferirgli poteri rappresentativi, ovvero, è sufficiente che ci sia qualcuno presente all'udienza che sia capace di far ritenere comparso l'intimato, perché l'intimazione di sfratto non sia convalidata (Cass. III, n. 9416/2011; Cass. III, n. 16116/2006).

L'art. 660, comma 5, c.p.c. prevede che l'intimante, obbligato ad avvalersi della difesa tecnica ex art. 82 c.p.c., può costituirsi in giudizio sino al giorno dell'udienza indicata nell'atto di intimazione, iscrivendo a ruolo la causa ex art. 165 c.p.c., mentre l'art. 660, comma 6, c.p.c. enuncia che l'intimato, invece, può partecipare alla fase di convalida anche senza avvalersi del patrocinio di un difensore potendo in ogni caso, costituirsi in udienza come l'intimante, depositando in cancelleria l'intimazione con la relazione di notificazione o la comparsa di risposta, oppure presentando tali atti al giudice in udienza.

L'intimato comparso personalmente nella fase sommaria può scegliere di opporsi, ovvero di chiedere un termine di grazia ex art. 55 della l. n. 392/1978 – al cui commento si rinvia – per sanare la morosità, ovvero di pagare in udienza sub banco judicis sanando la morosità riferita ai canoni per i quali è stata proposta l'intimazione dal locatore.

La notificazione non eseguita a “mani proprie” del destinatario

L'art. 660, comma 7, c.p.c. afferma che se l'intimazione non è stata notificata in mani proprie, l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato dell'effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all'originale dell'atto la ricevuta di spedizione.

La norma anzidetta, indica genericamente il termine “raccomandata”, ma, al riguardo, occorre tenere conto della disciplina di notificazione degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale e delle comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla l. n. 890/1982.

In particolare, l'art. 16 della l. n. 890/1982 prevede espressamente che sono abrogati il r.d. n. 2393/1923, le norme concernenti la notificazione di atti giudiziari e di altri atti contenute nel regolamento di esecuzione del codice postale e delle telecomunicazioni, nonché ogni disposizione comunque incompatibile con quelle della presente legge.

Conseguentemente, per tutte le comunicazioni eseguite a mezzo raccomandata connesse con la notifica di atti giudiziari, trovano applicazione l'art. 2 e 3 della l. n. 890/1982 i quali prevedono l'uso della raccomandata con avviso di ricevimento utilizzando appositi modelli per quanto concerne buste e cartoline (Frasca 2001, 168).

Si ritiene che ove manchi la prova dell'avviso di ricevimento della raccomandata, ad esempio, per eventuali disguidi postali, l'udienza debba essere rinviata per consentire il completamento dell'iter notificatorio o le opportune ricerche per poterla depositare in atti del procedimento (Masoni, 326).

L'art. 7, comma 3, della l. n. 890/1982, modificato dall'art. 1, comma 813, lett. c), della l. n. 145/2018, stabilisce che l'avviso di ricevimento e di documenti attestanti la consegna debbono essere sottoscritti dalla persona alla quale è consegnato il piego, e, quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario, la firma deve essere seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione della qualità rivestita dal consegnatario, con l'aggiunta, se trattasi di familiare, dell'indicazione di convivente anche se temporaneo. Se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell'atto, l'operatore postale dà notizia al destinatario medesimo dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata. Il costo della raccomandata è a carico del mittente.

L'art. 7, comma 4, della l. n. 890/1982, modificato dall'art. 36, comma 2-quater, del d.l. n. 248/2007, convertito con modificazioni dalla l. n. 31/2008, e successivamente sostituito dall'art. 1, comma 97-bis, lett. f), della l. n. 190/2014, come modificato dall'art. 1, comma 461, della l. n. 205/2017, prevede che se il destinatario o le persone alle quali può farsi la consegna rifiutano di firmare l'avviso di ricevimento pur ricevendo il piego, ovvero se il destinatario rifiuta il piego stesso o di firmare documenti attestanti la consegna, il che equivale a rifiuto del piego, l'operatore postale ne fa menzione sull'avviso di ricevimento indicando, se si tratti di persona diversa dal destinatario, il nome ed il cognome della persona che rifiuta di firmare nonchè la sua qualità, appone la data e la propria firma sull'avviso di ricevimento che è subito restituito al mittente in raccomandazione, unitamente al piego nel caso di rifiuto del destinatario di riceverlo. Analogamente, la prova della consegna è fornita dall'addetto alla notifica nel caso di impossibilità od impedimento determinati da analfabetismo o da incapacità fisica alla sottoscrizione.

Nell'avviso ex art. 660, comma 7, c.p.c. si ritiene debba essere indicata l'autorità giudiziaria di fronte alla quale comparire ed il giorno dell'udienza stabilita per la convalida (Bucci, Crescenzi, 115).

L'art. 660 c.p.c., stabilisce che se l'intimazione non è stata notificata in mani proprie, l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato dell'effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all'originale dell'atto la ricevuta di spedizione, ragione per cui tale adempimento è indefettibile, e va adempiuto anche quando la notificazione sia stata eseguita a mezzo del servizio postale (Cass. VI, n. 26539/2017; Cass. III, n. 11289/2004; Cass. III, n. 3171/1997).

Ai fini del perfezionamento della notifica ex art. 140 c.p.c. dell'intimazione di sfratto è necessaria la sottoscrizione dell'avviso di ricevimento da parte del destinatario dell'atto (Cass. III, n. 7809/2010).

La notifica a mezzo pec è assimilabile alla consegna a mano

È irrituale la notifica a mezzo di posta elettronica certificata dell'atto di intimazione di sfratto per morosità senza effettuare l'avviso ai sensi dell'art. 660, comma 7, c.p.c., sul presupposto che l'invio telematico dell'atto all'account risultante dal registro pubblico Ini-Pec non possa essere assimilabile alla consegna a mano?

La suddetta problematica attiene alla possibilità, di notificare a mezzo di posta elettronica certificata l'intimazione di licenza o sfratto e si pone per effetto dell'introduzione nell'ordinamento processualcivilistico italiano dell'art. 149-bis c.p.c. secondo il quale, se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo.

Sul punto all'interno della giurisprudenza di merito si registrano due orientamenti, mentre al momento non risultano decisioni della Suprema Corte.

Secondo una prima tesi, la notifica dell'atto di intimazione di sfratto a mezzo posta elettronica certificata non è paragonabile alla notifica in “mani proprie” e quindi, una volta eseguita, qualora l'intimato non dovesse comparire all'udienza si renderebbe necessaria la rinnovazione della notifica tradizionale dell'intimazione (Trib. Modena 23 luglio 2014; Trib. Catanzaro, 22 luglio 2014) e ciò anche nel caso in cui non fosse eseguito l'avviso ai sensi dell'art. 660 c.p.c.

In base ad altro orientamento, la notificazione di un atto giudiziario a mezzo di posta elettronica certificata è invece assimilabile alla notificazione a mani proprie, producendo effetti ad essa equipollenti quanto alla validità ed efficacia dell'intimazione di licenza o di sfratto senza necessità dell'invio della lettera raccomandata prevista dall‘art. 660 c.p.c. producendo gli stessi effetti della notifica “a mani proprie” (Trib. Roma 13 marzo 2018; Trib. Frosinone 22 marzo 2016; Trib. Mantova 17 giugno 2014).

Al riguardo, va precisato che lo scopo dell'adempimento previsto dall'art. 660 c.p.c. secondo il quale, se l'intimazione non è stata notificata a mani proprie, l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso all'intimato della effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata ed allegare all'originale dell'atto la ricevuta di spedizione, è quello di assicurare, nella maggiore misura possibile, che il conduttore abbia effettiva conoscenza dell'intimazione rivoltagli, in considerazione degli effetti che nel procedimento per convalida derivano dalla mancata comparizione dell'intimato.

Ciò premesso, tale adempimento è escluso dalla legge solo nel caso di notifica a mani proprie dell'intimato o di notifica eseguita presso la sede di una persona giuridica con consegna ai soggetti indicati dall'art. 145 c.p.c., perché le società sono obbligate a dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata da comunicare al registro delle imprese, avendo l'onere di curare con regolarità la consultazione della casella di posta elettronica messa a disposizione dal gestore del servizio, trattandosi di uno strumento previsto dalla legge per consentire di inviare e ricevere comunicazioni con effetti legali, comprese quelle che hanno ad oggetto atti giudiziari in materia civile.

Questa è la ragione che ha indotto parte della giurisprudenza di merito a ritenere che la notificazione a mezzo pec, cui si accede mediante l'uso di credenziali nella esclusiva disponibilità del titolare, deve equipararsi alla notificazione a mani proprie, con la conseguenza che l'avviso dell'art. 660 c.p.c. non è necessario.

A ciò aggiungasi che la posta elettronica certificata, in quanto pervenuta nella casella del destinatario, quand'anche non letta – art. 6, comma 5, del d.P.R. n. 68/2005 – deve infatti ritenersi conosciuta.

La Suprema Corte, con riferimento ai vizi della notifica a mezzo posta elettronica certificata ha chiarito che gli stessi non determinano mai nullità della notifica quando l'atto ha raggiunto lo scopo ed è comunque giunto a conoscenza del destinatario, con la consegna nel luogo virtuale rappresentato dall‘indirizzo di posta elettronica certificata (Cass. S.U., n. 7665/2016).

La pronuncia della Consulta sulla notifica dell'intimazione in caso di irreperibilità o rifiuto

la notifica dell'intimazione di sfratto – ove effettuata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. – deve pervenire al destinatario, sì che debba pertanto risultare la sua sottoscrizione sull'avviso di ricevimento, ma può perfezionarsi anche mediante la compiuta giacenza per il periodo previsto dalla legge (Corte cost., n. 220/2016; Corte cost., n. 3/2010).

A seguito della sentenza della Consulta (Corte cost., n. 3/2010), dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 140 c.p.c., nella parte in cui prevedeva che la notifica si perfezionasse, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa, o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione, è necessario che il notificante, affinché tale tipo di notificazione possa ritenersi legittimamente effettuata, comprovi la suddetta ulteriore circostanza, diversamente configurandosi l'invalidità della notificazione.

In altri termini, in tema di notificazione ex art. 140 c.p.c., deve tenersi distinto il momento del perfezionamento della notificazione nei riguardi del notificante da quello nei confronti del destinatario dell'atto, dovendo identificarsi, il primo, con quello in cui viene completata l'attività che incombe su chi richiede l'adempimento, ed il secondo, con quello in cui si realizza l'effetto della conoscibilità dell'atto, onde la notifica a mezzo del servizio postale dell'avviso informativo al destinatario, si intende perfezionato non con il semplice invio a cura dell'agente postale della raccomandata che dà avviso dell'infruttuoso accesso e degli eseguiti adempimenti, ma decorsi dieci giorni dall'inoltro della raccomandata o nel minor termine costituito dall'effettivo ritiro del plico in giacenza (Cass. II, n. 25948/2013).

L'ipotesi in cui il giudice investito di una convalida di sfratto o licenza notificata con il procedimento ai sensi dell'art. 140 c.p.c., nella mancata comparizione dell'intimato, pronunci l'ordinanza di convalida in difetto di prova dell'avvenuta ricezione, da parte dell'intimato, del successivo avviso di ricevimento della raccomandata ex art. 140 c.p.c., non è assolutamente un'ipotesi che di per sé possa considerarsi come un caso di ammissibilità dell'opposizione tardiva di cui all'art. 668 c.p.c., occorrendo, a tale fine, o la prova che il procedimento notificatorio si sia svolto senza il rispetto di alcuna delle regole fissate nell'art. 140 c.p.c. e, dunque, in modo nullo o che il procedimento si sia perfezionato con il ricevimento dell'avviso di cui all'art. 140 c.p.c., oppure con il decorso dei dieci giorni dalla spedizione, in un momento tale da non consentire il rispetto del termine libero di cui dell'art. 668, comma 4, c.p.c. (Cass. III, n. 122/2016).

La notifica dell'intimazione eseguita nei confronti della persona giuridica

La disposizione dell'art. 46 c.c. secondo cui, qualora la sede legale della persona giuridica sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest'ultima, vale anche in tema di notificazione ai sensi dell'art. 145 c.p.c., con la conseguente validità della notifica eseguita presso la sede effettiva invece che presso quella legale. Tale principio, tuttavia, presuppone che sia accertata l'esistenza di detta sede effettiva, in caso di contestazione gravando sul notificante il relativo onere probatorio (Cass., sez. lav., n. 10854/2019).

In tema di notificazioni a società munita di personalità giuridica che abbia la propria sede presso uno studio professionale, la persona addetta allo studio è idonea a ricevere l'atto a norma dell'art. 145, comma 1, c.p.c., indipendentemente dalla circostanza della sua dipendenza o meno dalla società destinataria (Cass. trib., n. 33568/2018; Cass. VI, n.27420/2017).

Nel caso dell'intimazione contenuta in uno sfratto o licenza notificata via pec ad una società di capitali, l'omissione della spedizione dell'avviso di cui all'art. 660 ultimo comma c.p.c. non può configurare un'irregolarità legittimante il ricorso all'opposizione tardiva tutte le volte in cui emerge l’evidenza, ricavabile anche da presunzioni, che l'accesso alla casella elettronica del destinatario è una prerogativa esclusiva del rappresentante legale o di una persona appositamente deputata (Trib. Palermo 28 maggio 2018). Conseguentemente, il mancato accesso da parte della società alla propria casella di posta elettronica certificata, in seguito all'asserito smarrimento delle credenziali di accesso, non incide in alcun modo sulla validità del procedimento di notificazione, se ritualmente perfezionatosi mediante la consegna del messaggio al destinatario. Quest'ultimo, è infatti responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l'onere di assicurarne il corretto funzionamento al fine di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli al suddetto indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal Registro delle Imprese (App. Lecce 18 febbraio 2021).

La notifica dell'intimazione agli eredi del conduttore

In caso di decesso del conduttore, ove ricorrano le condizioni stabilite ex lege per il subentro nel contratto di locazione degli eredi, la notifica dell'atto di intimazione di licenza o sfratto non può essere fatta a quest'ultimi collettivamente ed impersonalmente nell'ultimo domicilio del de cuius.

La ragione è la stessa per cui si rende inapplicabile l'art. 143 c.p.c., ovvero, l'incompatibilità con il principio della effettiva conoscenza dell'atto di intimazione nel procedimento speciale di convalida (Bucci, Crescenzi, 116; D'Ascola, 1868; Lazzaro, Preden, Varrone, 88).

Quid juris allora per riottenere la disponibilità giuridica dell'immobile precedentemente locato al de cuius?

Come rilevato in dottrina, occorre notificare l'atto di intimazione per convalida di licenza o sfratto ad ogni singolo erede, previa sua individuazione, trattandosi di un'ipotesi rientrante nel c.d. litisconsorzio necessario (Bucci, Crescenzi, 116).

Ciò comporterà anche il preventivo accertamento della qualità di erede, opportunamente distinguendola da quella del semplice chiamato all'eredità.

La stessa dottrina ritiene che nel diverso caso di occupazione sine titulo dell'immobile precedentemente locato al de cuius, da persone che non rivestono la qualità di eredi di quest'ultimo, sarà possibile conseguirne la restituzione con l'ordinario procedimento di cognizione (Lazzaro, Preden, Varrone, 89).

L'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata, e poichè il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto, analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione, egli è un detentore precario della res locata al de cuius, sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale (Cass. VI, n. 26670/2017).

Il suddetto principio trova sostanziale applicazione anche per le locazioni ad uso non abitativo, essendosi stabilito che in caso di morte del conduttore di immobile destinato per uno degli usi previsti dall'art. 27 della l. n. 392/1978, subentrano nel rapporto, ai sensi dell'art. 37 della medesima legge, coloro che per successione o per precedente rapporto, risultante da data certa anteriore all'apertura della successione, hanno diritto di continuare l'attività, senza necessità che questa sia anche direttamente esercitata dall'avente diritto ovvero da colui che anche in base a legittima aspettativa ne abbia titolo, perché questo ulteriore requisito, espressamente richiesto dalle precedenti analoghe disposizioni dell'art. 1, comma 4, della l. n. 253/1950 ed art. 2-bis della l. n. 351/1974, relativa alle locazioni soggette al regime di proroga, non è stato più indicato dal legislatore nell'art. 37 sopra citato (Cass. III, n. 24278/2017; conformi, Cass. III, n. 1359/1994; Cass. III, n. 1093/1998).

Bibliografia

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