Codice di Procedura Civile art. 418 - Notificazione della domanda riconvenzionale 1 2 .

Vito Amendolagine

Notificazione della domanda riconvenzionale 12.

[I]. Il convenuto che abbia proposta una domanda in via riconvenzionale [36] a norma del secondo comma dell'articolo 416 deve, con istanza contenuta nella stessa memoria, a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, chiedere al giudice che, a modifica del decreto di cui al secondo comma dell'articolo 415, pronunci, non oltre cinque giorni, un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza.

[II]. Tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l'udienza di discussione non devono decorrere più di cinquanta giorni.

[III]. Il decreto che fissa l'udienza deve essere notificato all'attore, a cura dell'ufficio, unitamente alla memoria difensiva, entro dieci giorni dalla data in cui è stato pronunciato.

[IV]. Tra la data di notificazione all'attore del decreto pronunciato a norma del primo comma e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.

[V]. Nel caso in cui la notificazione del decreto debba farsi all'estero il termine di cui al secondo comma è elevato a settanta giorni, e quello di cui al comma precedente è elevato a trentacinque giorni.

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533.

[2] La Corte cost., con sentenza 14 gennaio 1977, n. 13, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del presente articolo, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

Inquadramento

La ratio della disposizione contenuta nell'art. 418, comma 1, c.p.c. è di garantire l'instaurazione di un contraddittorio pieno tra le parti anche sul punto della domanda riconvenzionale.

Nel rito del lavoro ed in quelli su di esso modellati, come il rito locatizio, il legislatore ha ritenuto che la proposizione della domanda riconvenzionale, per poter dare luogo alla sua trattazione, debba avvenire con la notifica dell'atto alla parte ricorrente e la fissazione di una nuova udienza, in relazione alla quale, in ragione dell'essere scandito il processo da rigide preclusioni e tenuto conto che la riconvenzionale allarga l'oggetto del giudizio, possa utilmente svolgersi su di essa il contraddittorio, al fine di garantire al giudice un quadro completo di quell'oggetto, in funzione di una utile preparazione e trattazione dell'udienza ex art. 420 c.p.c.

Nel rito del lavoro, e, dunque, anche in quello locatizio, la domanda riconvenzionale si propone con modalità differenti rispetto a quelle previste dal rito civile ordinario, così come differenti sono i successivi adempimenti previsti a carico delle parti e dell'ufficio giudiziario adito.

Infatti, a mente dell'art. 416, comma 2, c.p.c. il convenuto ha l'onere di proporre la domanda riconvenzionale – a pena di decadenza – nella memoria difensiva depositata in cancelleria almeno dieci giorni prima della udienza di discussione fissata dal giudice, che segna il momento della sua costituzione in giudizio.

Questo è il primo termine sulla cui inosservanza non possono esservi dubbi in ordine alle irreversibili conseguenze sul piano processuale – la norma recita espressamente “a pena di decadenza” – che deve essere rispettato dal convenuto per la valida proposizione della domanda riconvenzionale nei confronti dell'attore.

Il secondo termine – anch'esso stabilito espressamente a pena di decadenza, la cui inosservanza determina analoghe conseguenze sul versante processuale – lo prevede l'art. 418, comma 1, c.p.c. e riguarda l'istanza contenuta nella stessa memoria difensiva depositata dal convenuto contenente la richiesta al giudice di modifica del decreto di fissazione dell'udienza di discussione già fissata ai sensi dell'art. 415, comma 2, c.p.c., e, quindi, un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza di discussione da emettersi non oltre cinque giorni.

In particolare, nel rito locatizio, mentre il potere di dedurre le eccezioni in senso stretto si preclude con lo scadere del termine per il deposito della memoria difensiva prevista dall'art. 416 c.p.c., l'esercizio del potere di proposizione della domanda riconvenzionale è regolato dall'art. 418, comma 1, c.p.c. con l'imposizione al convenuto di un onere ulteriore rispetto a quello dell'allegazione della domanda nella suddetta memoria, che è rappresentato dalla formulazione, sempre a pena di inammissibilità, della richiesta al giudice – contenuta nella stessa memoria difensiva depositata ex art. 416 c.p.c. – di spostare l'udienza di discussione di cui all'art. 420 c.p.c., al fine di garantire la preservazione del contraddittorio su di essa dell'attore.

Il mancato rispetto dei suddetti termini di decadenza stabiliti ex lege ai fini della domanda riconvenzionale determina l'inammissibilità della domanda riconvenzionale, come nel caso dell'omessa formulazione dell'istanza di spostamento di udienza, la quale, tuttavia, si ritiene non escluda che il fatto posto a fondamento della stessa possa essere apprezzato come semplice eccezione, cioè ai soli fini di paralizzare l'accoglimento della domanda attorea, qualora rispetto ad essa assuma il carattere di fatto estintivo, impeditivo o modificativo del diritto fatto valere dalla stessa parte attrice.

La spiegazione è da ravvisarsi nel fatto che la richiesta di differimento dell'udienza è stata prevista dal legislatore come un onere declinato con chiarezza ed univocità, a pena di decadenza, la quale è di natura squisitamente processuale e non sostanziale, e, come tale, non impeditiva della riproposizione della domanda giudiziale in altra sede.

Al riguardo, secondo il consolidato indirizzo del giudice della nomofilachia, siffatta decadenza, in quanto posta a presidio del principio del contraddittorio e della regolare instaurazione del rapporto processuale, è rilevabile anche di ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del processo, non essendo suscettibile di sanatoria per effetto della emissione da parte del giudice – in difetto della specifica istanza di spostamento dell'udienza di discussione (Cass. S.U., n. 13025/1991) – del decreto di fissazione della nuova udienza o dell'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte (Cass. III, n. 15359/2017).

Pertanto, si è stabilito che qualora in una causa di rito locatizio nella memoria difensiva tempestivamente depositata ai sensi dell'art. 416 c.p.c. venga introdotta una domanda riconvenzionale fondata su un fatto che, oltre ad assumere carattere di fatto costitutivo di essa, assuma, rispetto alla fattispecie costitutiva del diritto fatto valere con la domanda principale, carattere di eccezione, cioè di fatto impeditivo, modificativo od estintivo dell'efficacia di uno o di alcuni dei fatti costitutivi del diritto oggetto della domanda principale, la circostanza che la domanda riconvenzionale risulti inammissibile per l'inosservanza da parte del convenuto dell'onere di chiedere lo spostamento dell'udienza di discussione ai sensi dell'art. 418, comma 1, c.p.c., non esclude che il fatto integratore della domanda riconvenzionale debba essere valutato come semplice eccezione e, dunque, a soli fini della decisione sull'oggetto della domanda principale, in quanto in funzione di essa la preclusione fissata dalla legge è pienamente rispettata (Cass. III, n. 11679/2014).

 L'eccezione riconvenzionale consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia, è finalizzata, a differenza della domanda riconvenzionale, esclusivamente alla reiezione della domanda attrice, attraverso l'opposizione al diritto fatto valere dall'attore di un altro diritto idoneo a paralizzarlo. Pertanto, la domanda riconvenzionale differisce dalla eccezione riconvenzionale per il diverso bene della vita che chi la formula intende ottenere: se l'istante vuole conseguire la paralisi della richiesta di parte avversaria si è al cospetto di una eccezione riconvenzionale, per contro, se fa invece valere una statuizione a sé favorevole attributiva di un determinato bene della vita, quella proposta è da considerare una domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 4131/2024).

Domanda riconvenzionale e istanza di differimento dell'udienza

Nel rito del lavoro, la proponibilità della domanda riconvenzionale da parte del convenuto si è detto essere soggetta, a pena di decadenza, alla duplice condizione della sua formulazione nella memoria difensiva ex art. 416 c.p.c., e della istanza al giudice per la emissione di un nuovo decreto di fissazione di udienza contemplata dall'art. 418 c.p.c.

Conseguentemente, anche nelle controversie locatizie in relazione alle quali, trova applicazione il rito del lavoro, dalla mancata richiesta di differire l'udienza di trattazione, prevista a pena di decadenza dall'art. 418 c.p.c., espressamente richiamato dall'art. 447 bis c.p.c., discende l'inammissibilità della domanda riconvenzionale, per cui ove la parte convenuta non abbia richiesto nella memoria di costituzione lo spostamento dell'udienza, le circostanze dedotte dalla stessa non possono essere valutate ai fini della delibazione delle domande riconvenzionali dalle quali la stessa sia eventualmente decaduta, mentre legittimamente le stesse possono essere valutate in funzione di difesa od eccezione alle domande avversarie.

Infatti, nel rito locatizio, la domanda riconvenzionale formulata con la memoria ex art. 416 c.p.c. senza richiesta ex art. 418 c.p.c. di spostamento dell'udienza, è inammissibile, ma non preclude la valutazione, da parte del giudice, del fatto integratore della stessa che assuma valore di eccezione, quale fatto impeditivo, estintivo o modificativo del fatto costitutivo della pretesa dell'attore, ai fini della decisione sulla domanda principale, risultando rispettata la relativa preclusione fissata dall'art. 416 c.p.c. (Trib . Roma 7 giugno 2019; Trib. Milano sez. lav. 27 marzo 2019).

Ciò non toglie però che nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della propria domanda anche in via riconvenzionale una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 17955/2021).

Infatti la giurisprudenza di legittimità ritiene che la relazione tra la domanda principale e quella riconvenzionale, ai fini dell'ammissibilità di quest'ultima, non vada intesa in senso restrittivo, nel senso che entrambe debbano dipendere da un unico ed identico titolo, essendo, invece, sufficiente che fra le contrapposte pretese sia ravvisabile un collegamento obiettivo, tale da rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del simultaneus processus, a fini di economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111 comma 1 della Costituzione. In forza del suddetto principio è stata quindi ritenuta ammissibile anche la domanda riconvenzionale non connessa, purché sia ravvisabile un collegamento obiettivo tra le pretese, tale da giustificare il cumulo processuale, ed entrambe le domande appartengano alla competenza del medesimo giudice (Trib . Cassino, sez. lav., 13 maggio 2021). La connessione, invece, è richiesta per la c.d. reconventio reconventionis dell'attore, che è ammissibile nei limiti in cui la sua proposizione sia giustificata dalle difese del convenuto, non costituendo un'azione autonoma.

Sul principio secondo cui la relazione di dipendenza della domanda riconvenzionale dal titolo dedotto in giudizio dall'attore, che comporta la trattazione simultanea delle cause, si configura non già come identità della causa petendi, richiedendo l'art. 36 c.p.c. un rapporto di mera dipendenza, ma come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione, o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale, con quello posto a base di un' eccezione, sì da delinearsi una connessione oggettiva qualificata della domanda riconvenzionale con l'azione o l'eccezione proposta (v. Trib. Foggia, sez. lav., 21 aprile 2021).

In tale ultima ipotesi, è configurabile un caso di compensazione “atecnica” allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto - la cui identità non è peraltro esclusa dal fatto che uno dei crediti abbia natura risarcitoria laddove derivi da inadempimento - nel qual caso, la valutazione delle reciproche pretese comporta un accertamento che ha la funzione di individuare il reciproco dare ed avere senza che sia necessaria la proposizione di un'apposita domanda riconvenzionale o di un'apposita eccezione di compensazione (Trib . Palermo, sez. lav., 23 aprile 2021).

Nel rito del lavoro, l'inosservanza da parte del convenuto, che abbia ritualmente proposto, ai sensi dell' art. 416 c.p.c. , domanda riconvenzionale, del disposto di cui all' art. 418, comma 1, c.p.c. - il quale impone, a pena di decadenza dalla domanda riconvenzionale medesima, di chiedere al giudice, con apposita istanza contenuta nella memoria di costituzione in giudizio, di emettere ulteriore decreto per la fissazione della nuova udienza - non determina la decadenza stabilita ex lege qualora l'attore ricorrente compaia all'udienza originariamente stabilita  ex art. 415 c.p.c. , ovvero alla nuova udienza di cui all' art. 418 c.p.c. , eventualmente fissata d'ufficio dal giudice, senza eccepire l'irritualità degli atti successivi alla riconvenzionale, ed accettando il contraddittorio anche nel merito delle pretese avanzate con la stessa domanda riconvenzionale. Infatti, osta ad una declaratoria di decadenza sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell' art. 156, comma 3, c.p.c. , alla realizzazione della funzione dell'atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, in forza dell' art. 157, comma 2, c.p.c. , sarebbe legittimata a fare valere il vizio, essendo quella nel cui interesse è stabilita la decadenza stessa, dovendosi inoltre escludere che l'istanza di fissazione dell'udienza rappresenti un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale, tale, che in suo difetto, non possa neppure reputarsi proposta la domanda stessa, giacchè l'istanza di fissazione concerne la vocatio in jus ed è, perciò, esterna rispetto alla proposizione della riconvenzionale, la quale, ai sensi dell' art. 416, comma 2, c.p.c. , si realizza con l' editio actionis .

Ciò alla luce del principio di diritto secondo cui la regola di cui all'art. 157, comma 3, c.p.c., secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera allorquando si tratti di una nullità rilevabile anche d'ufficio, ma tale inoperatività, essendo correlata alla durata del potere officioso del giudice, dura fino a che esso persiste, e, dunque, fino a quando il giudice davanti al quale la nullità si è verificata non decide omettendo di rilevarla. Una volta sopravvenuta tale decisione omissiva, la regola dell'art. 157, comma 3, c.p.c. invece si riespande e, pertanto, la parte che ha dato causa alla nullità con il suo comportamento ed anche quella che non l'ha rilevata, così contribuendo al permanere della nullità non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo che riceve l'impugnazione (Cass. III, n. 21381/2018).

In particolare, si è ritenuta tempestiva la domanda riconvenzionale proposta nella memoria difensiva depositata nel rispetto dei termini di legge, e, quindi dieci giorni prima dell'udienza di discussione fissata dal giudiceex art. 415 c.p.c., sebbene, l'istanza rivolta al giudice per la fissazione della nuova udienza di discussione – adempimento previsto dall'art. 418 c.p.c. – non fosse contenuta nella stessa memoria difensiva, ma era stata depositata sempre nel rispetto del suddetto termine, successivamente, con un separato atto depositato nella cancelleria del giudice adito, in tale modo, dimostrando la stessa parte convenuta di volere promuovere su detta domanda riconvenzionale il contraddittorio ed il relativo giudizio di merito (Cass., sez. lav., n. 526/1984).

Ciò premesso, l'adempimento previsto dall'art. 418, comma 1, c.p.c., riguardante l'istanza di differimento dell'udienza di discussione, contenuta nella stessa memoria difensiva cui si riferisce l'art. 416, comma 2, c.p.c., a pena di decadenza dalla riconvenzionale medesima, posto a carico di chi propone la domanda riconvenzionale, sempre a pena di decadenza, ove inosservato, non è suscettibile di sanatoria, per effetto della sola accettazione del contraddittorio da parte della controparte.

Tale principio è stato ribadito recentemente dalla giurisprudenza di merito, essendosi affermata l'inammissibilità della domanda riconvenzionale svolta dall'intimata per la prima volta solo nella memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. senza la richiesta di differimento dell'udienza così come stabilito dall'art. 418 c.p.c. (Trib . Piacenza 17 giugno 2020).

In detta pronuncia è infatti stato ribadito il principio già emerso nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'inosservanza di detto onere comporta la decadenza dalla domanda riconvenzionale che non è sanata neppure dall'accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, attenendo alla regolarità del contraddittorio, ragione per cui è rilevabile anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.

Inoltre, secondo la giurisprudenza, tale principio trova applicazione non solo nella eventualità in cui la domanda riconvenzionale sia proposta dal convenuto nei confronti dell'attore, ma anche qualora la domanda riconvenzionale sia proposta dall'attore contro il convenuto, a seguito della riconvenzionale spiegata da questo ultimo, atteso che una corretta lettura delle norme in parola impone di ritenere che l'attore che spiega, a sua volta una domanda riconvenzionale – c.d. reconventio reconventionis – è soggetto agli stessi obblighi e alle medesime preclusioni previste per il convenuto che proponga una domanda riconvenzionale (Cass. III, n. 23815/2007).

Nel rito locatizio, la domanda riconvenzionale formulata con la memoria ex art. 416 c.p.c. senza richiesta ex art. 418 c.p.c., di spostamento dell'udienza è inammissibile, ma non preclude la valutazione, da parte del giudice, del fatto integratore della stessa che assuma valore di eccezione, quale fatto impeditivo, estintivo o modificativo del fatto costitutivo della pretesa dell'attore, ai fini della decisione sulla domanda principale, risultando rispettata la relativa preclusione fissata dall'art. 416 c.p.c. Conseguentemente, nell'ipotesi in cui il convenuto chieda, in via riconvenzionale, accertarsi l'esistenza di un rapporto contrattuale diverso da quello prospettato dall'attore, sull'assunto che da ciò ne deriverebbe la nullità o l'inefficacia, totale o parziale, o comunque un effetto estintivo, impeditivo o modificativo dei diritti fatti valere dall'attore medesimo, domandando anche l'eventuale condanna di quest'ultimo al pagamento di quanto dovuto in base a tale differente prospettazione, qualora una siffatta domanda riconvenzionale risulti inammissibile per motivi processuali, la stessa può e deve comunque essere presa in considerazione come eccezione, con il solo e più limitato possibile esito del rigetto delle richieste di parte attrice (Cass. III, n. 20309/2024).

In giurisprudenza è controverso se il giudice adito a fronte della richiesta formulata dal convenuto in via riconvenzionale, debba limitarsi a fissare la nuova udienza di discussioneex art. 418, comma 1, c.p.c. o se invece abbia già in tale fase processuale il potere di vagliarne l'ammissibilità (in senso favorevole alla seconda ipotesi, v. Cass., sez. lav., n. 3701/1984; Cass., sez. lav., n. 6090/1983, in cui si afferma che nel caso in cui il giudice del lavoro ritenga di non dovere dare corso alla domanda riconvenzionale del convenuto per un qualsiasi motivo di forma o di sostanza, dichiarandola in limine litis inammissibile, e così ometta di provvedere alla fissazione di una nuova udienza ai sensi dell'art. 418 c.p.c., il processo non può che svolgersi secondo i tempi stabiliti con l'iniziale decreto di fissazione d'udienza e con il relativo oggetto circoscritto alla sola domanda attorea).

La dottrina è divisa tra coloro che ritengono valida soltanto la prima ipotesi (Fazzalari, 3; Pezzano, 514; Montesano, Vaccarella, 150) e chi invece considera valida la seconda ipotesi (Fabbrini, 79).

L'art. 418, comma 3, c.p.c. enuncia che il decreto che fissa l'udienza deve essere notificato all'attore, a cura dell'ufficio, unitamente alla memoria difensiva, entro dieci giorni dalla data in cui è stato pronunciato, con la precisazione contenuta nello stesso art. 418, comma 4, c.p.c. che tra la data di notificazione all'attore del decreto per la fissazione dell'udienza e quella dell'udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni.

Infine, l'art. 418, comma 5, c.p.c. dispone che nel caso in cui la notificazione del decreto debba farsi all'estero il termine tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l'udienza di discussione è elevato a settanta giorni, e quello tra la data di notificazione all'attore del decreto per la fissazione dell'udienza e quella dell'udienza di discussione è elevato a trentacinque giorni.

La dottrina ritiene che, in caso di violazione del termine per la difesa di cui all'art. 418, comma 4 e 5, c.p.c., occorre distinguere il comportamento processuale della parte se compare all'udienza e nulla osserva in merito alla violazione del proprio diritto di difesa, il vizio si intende sanato (proto pisani, 95), laddove invece se la stessa parte non compare o comparendo rileva il mancato rispetto del termine, il giudice deve fissare una nuova udienza di discussione nel rispetto dei termini di legge (Proto Pisani, 95; Montesano, Vaccarella, 151).

La domanda riconvenzionale dell'attore

Le disposizioni dell'art. 418 c.p.c. hanno lo scopo di assicurare la regolarità del contraddittorio e di consentire all'attore di svolgere le proprie difese rispetto alla domanda riconvenzionale, la quale amplia l'oggetto della controversia, introducendo un nuovo tema d'indagine e di decisione.

In particolare, il legislatore del 1973 ha disegnato un coerente sistema processuale che, ispirandosi ai principi di concentrazione, immediatezza ed oralità, trova il suo punto di forza, cruciale per la funzionalità dell'intero rito speciale, sul quale, è modellato anche quello locatizio, nel sistema di preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., attinenti in primo luogo alle allegazioni da una parte, ed alle contestazioni in fatto dall'altra, sistema che trova la piena legittimazione costituzionale nel suo carattere di reciprocità (Corte cost., n. 13/1977).

L'applicazione dei suddetti principi regolatori del rito speciale, porta dunque ad escludere il diritto del convenuto in riconvenzionale ad ottenere un nuovo termine per la formulazione dei mezzi di prova, oltre la nuova udienza prevista dall'art. 418 c.p.c.

Infatti la disciplina dell'attività difensiva dell'attore nei riguardi della riconvenzionale, si ricava, per via di analogia, e nei limiti, ovviamente, delle specifiche modalità che la fattispecie impone, dalla disciplina relativa all'attività processuale del convenuto rispetto alla domanda principale.

Con specifico riguardo al rito del lavoro, ciò equivale a dire che l'attore nei cui confronti sia proposta una domanda riconvenzionale ha in sostanza gli stessi poteri, e, correlativamente, incorre quanto al loro esercizio, nelle stesse preclusioni, che l'art. 416 c.p.c., prevede per il convenuto, con l'unica differenza, sul piano formale, che il termine di riferimento è, per il convenuto in riconvenzionale, non già l'udienza fissata ex art. 415 c.p.c., bensì la nuova udienza, la cui fissazione deve essere richiesta contestualmente alla proposizione della domanda riconvenzionale, in base al peculiare meccanismo apprestato dall'art. 418 c.p.c..

In tale senso depone l'orientamento della giurisprudenza formatasi su tale questione (Cass. III, n. 22289/2009).

Pertanto, l'attore che intenda prendere posizione sulla riconvenzionale del convenuto, dovrà costituirsi in cancelleria con una memoria difensiva contenente la domanda riconvenzionale proposta nei confronti del convenuto, depositata almeno dieci giorni prima della nuova udienza di discussione, le cui narrazioni, anche in ordine alle relative conclusioni, devono però riguardare soltanto la precedente domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, non potendo introdursi nuove difese od istanze istruttorie riferite all'originaria domanda principale.

L'attore, convenuto in riconvenzionale, laddove intenda invece a sua volta proporre una reconventio reconventionis nei confronti del convenuto, dovrà – ex art. 416 c.p.c. – costituirsi in cancelleria con una memoria difensiva contenente la domanda riconvenzionale proposta nei confronti del convenuto, depositata almeno dieci giorni prima della nuova udienza di discussione e chiedere contestualmente nella stessa memoria difensiva il differimento dell'udienza di discussione (Luiso 1992, 154).

Al riguardo, va opportunamente precisato che, ritenere che l'attore possa prendere a sua volta posizione nel confronti della riconvenzionale proponendo eccezioni e prove sino all'udienza significa rendere pressoché inevitabile un rinvio per consentire le controdeduzioni del convenuto, in palese contrasto con le esigenze di celerità e di concentrazione caratterizzanti il rito speciale, e, proprio per questo, è consigliabile il ricorso all'analogia che, pertanto, suggerisce l'applicazione dell'art. 418 c.p.c. anche nell'ipotesi di reconventio reconventionis.

La giurisprudenza ha chiarito che l'attore può proporre le domande che siano conseguenza della domanda riconvenzionale, negli stessi limiti nei quali l'art. 36 c.p.c. consente la proposizione della domanda riconvenzionale, e cioè che la reconventio reconventionis dipenda dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione o di consentita domanda riconvenzionale del convenuto, nonché nei limiti di reciprocità degli artt. 414 e 416 c.p.c., e, cioè, tempestivamente nel primo atto difensivo successivo alla comparsa di costituzione del convenuto (Cass., sez. lav., n. 11180/2002; Cass., sez. lav., n. 13445/2000, che in una controversia di opposizione a decreto ingiuntivo, afferma l'ammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dall'opposto, anche fuori dei casi previsti dall'art. 36 c.p.c., purché sia ravvisabile un collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale).

Le conseguenze derivanti dalla violazione delle modalità di introduzione della domanda riconvenzionale

La violazione delle disposizioni dettate dall'art. 418 c.p.c., quanto alla modalità di introduzione, nel rito del lavoro di una domanda riconvenzionale, comportano la nullità conseguente alla violazione del principio del contraddittorio ed alla invalida costituzione del rapporto processuale, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Esiste però anche un orientamento minoritario nella giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. lav., n. 16955/2007; e nello stesso senso, in precedenza, Cass. III, n. 9021/1987; Cass. III, n. 4091/1982), secondo cui quando risulti effettivamente conseguito lo scopo di garanzia dell'esercizio del diritto di difesa dell'attore riconvenuto, per essere questi comparso all'udienza originariamente fissata dal giudice ai sensi dell'art. 415 c.p.c., ovvero alla nuova udienza di cui all'art. 418 c.p.c., eventualmente fissata ex officio, senza proporvi alcuna eccezione in ordine alla ritualità degli atti successivi alla riconvenzione e svolgendovi le attività processuali previste come proprie della medesima, anche in relazione alle pretese ex adverso avanzate con la domanda riconvenzionale, non sussisterebbe alcuna nullità dichiarabile dal giudice, ostandovi sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., alla realizzazione della funzione dell'atto, sia il difetto di eccezione della sola parte che, ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c., sarebbe legittimata a fare valere il vizio, essendo quella nel cui interesse è stabilito il requisito carente.

In base a tale orientamento, la non operatività della decadenza si riconnetterebbe dunque ad una situazione processuale analoga a quella dell'assegnazione al convenuto di un termine di comparizione inferiore a quello minimo previsto ex lege, nella quale, la nullità dell'atto introduttivo, o comunque della vocatio in jus è sanata dalla costituzione del convenuto, atteso che sotto questo profilo, a tale ipotesi è ritenuta assimilabile quella di omessa notifica all'attore riconvenuto del decreto di spostamento dell'originaria udienza di discussione, emesso ai sensi dell'art. 418 c.p.c. nella quale si esclude la rilevabilità d'ufficio della nullità se l'attore, comparendo alla nuova udienza, accetta il contraddittorio.

In base al suddetto assunto, la decadenza in esame, non si potrebbe quindi verificare per il solo fatto della mancanza dell'istanza di differimento dell'udienza ex art. 418, comma 1 c.p.c., né potrebbe conseguire alla configurazione dell'istanza come elemento costitutivo dell'azione avanzata in via riconvenzionale, nel senso che questa non possa intendersi neanche proposta in difetto dell'anzidetta istanza, perché la riconvenzionale è un atto che si perfeziona in conseguenza della sua proposizione ai sensi dell'art. 416, comma 2 c.p.c., rispetto alla quale, la formulazione dell'istanza – contenuta nella stessa memoria costitutiva – attiene alla garanzia della difesa dell'attore riconvenuto, analogamente alla previsione “parallela” dell'art. 415, comma 4 c.p.c., che attiene invece alla garanzia della difesa del convenuto.

In questo senso, potrebbe quindi affermarsi che la prescrizione relativa all'istanza di fissazione riguarda la vocatio in jus ed è, perciò, “esterna” rispetto alla proposizione della domanda riconvenzionale, che, infatti, a mente dell'art. 416, comma 2 c.p.c., avviene con la formulazione della domanda nella memoria costitutiva e si realizza con l'editio actionis, sicchè appare del tutto coerente, nel sistema così delineato, che l'inosservanza del disposto dell'art. 418 c.p.c. – riguardo alla fissazione di una nuova udienza per la discussione anche della domanda riconvenzionale, come anche riguardo alla mancata notificazione all'attore del relativo provvedimento – resti irrilevante se l'attore stesso, all'udienza già fissata per la trattazione del suo ricorso, ovvero alla nuova udienza fissata dal giudice, accetti il contraddittorio, deducendo nel merito e chiedendo il rigetto delle pretese avversarie.

Sul tema specifico, l'orientamento maggioritario (Cass. III, n. 15359/2017; Cass. III, n. 10335/2005; Cass. III, n. 2777/2003; Cass. III, n. 12214/2003, riguardante una fattispecie in cui è stata ritenuta inammissibile in quanto tardiva in un giudizio di locazione, la domanda riconvenzionale proposta con memoria aggiunta dal locatore, formulata solo in corso di causa avente ad oggetto il ristoro dei danni da lui riscontrati nell'immobile dopo il rilascio, avendo inizialmente proposto domanda riconvenzionale relativa al solo versamento dei canoni pattuiti e non versati; Cass., sez. lav., n. 9965/2001; Cass., sez. lav., n. 8652/1993, in cui si precisa che la decadenza dalla riconvenzionale, e la inammissibilità di questa, sono conseguenze automatiche ed inevitabili per effetto della inottemperanza del convenuto, il quale, nel rito del lavoro, formuli domanda riconvenzionale, ma ometta di chiedere, peraltro contestualmente, nella stessa memoria difensiva, la fissazione di una nuova udienza, secondo le previsioni dell'art. 418, comma 1, c.p.c.; Cass. III, n. 12857/1992, in cui si precisa che le condizioni di ammissibilità della domanda riconvenzionale sono previste a pena di decadenza, e la loro mancanza è rilevabile d'ufficio, a nulla rilevando che vi sia stata una controdifesa nel merito da parte dell'attore; Cass. III, n. 2027/1985; Cass. III, n. 3499/1983) esclude la possibilità di sanatoria della decadenza, quale conseguenza derivante dall'inosservanza dell'onere imposto dall'art. 418, comma 1, c.p.c., ribadendo che siffatto vizio processuale è sempre rilevabile d'ufficio e negando che possa utilmente spiegare efficacia sanante l'eventuale accettazione del contraddittorio della controparte, trattandosi di previsione di decadenza processuale sottratta alla disponibilità delle parti.

Conforme all'orientamento maggioritario di legittimità la posizione assunta dalla prevalente giurisprudenza di merito (Trib. Bari 21 febbraio 2017; Trib. Brindisi 26 ottobre 2005; Trib. Torre Annunziata 15 novembre 2012; Trib. Trani 24 febbraio 2004; Trib. Monza 15 gennaio 2003; contra, Trib. Torino 27 aprile 1996, in cui si afferma che ove la domanda riconvenzionale è stata tempestivamente proposta dal convenuto a norma dell'art. 416 c.p.c., l'eventuale inosservanza dell'art. 418 c.p.c., circa la fissazione di una nuova udienza per la discussione anche di tale domanda riconvenzionale e la notificazione all'attore del relativo provvedimento, resta irrilevante se l'attore stesso, all'udienza già fissata per la trattazione del suo ricorso, accetti il contraddittorio chiedendo il rigetto delle pretese avversarie).

In dottrina, con riferimento alla modalità di proposizione della domanda riconvenzionale si è evidenziato che certamente conduce alle conseguenze indicate nell'art. 418, comma 1, c.p.c, l'inosservanza da parte del convenuto del duplice adempimento rappresentato dalla formulazione della suddetta domanda riconvenzionale nella memoria difensiva di costituzione od integrativa tempestivamente depositata, e, dall'indicazione nello stesso corpo dell'atto della richiesta formale rivolta al giudice di fissazione della nuova udienza di discussione (Carrato, 453).

L'orientamento minoritario, secondo cui la decadenza stabilita ex lege in caso d'inosservanza da parte del convenuto che abbia ritualmente proposto ai sensi dell'art. 416 c.p.c., la domanda riconvenzionale, del disposto di cui dell'art. 418, comma 1, c.p.c., non si verifica qualora l'attore compaia all'udienza originariamente stabilita ex art. 415 c.p.c., ovvero alla nuova udienza di cui all'art. 418 c.p.c., eventualmente fissata d'ufficio dal giudice, senza eccepire l'irritualità degli atti successivi alla proposta domanda riconvenzionale ed accettando il contraddittorio anche nel merito delle pretese avanzate dal convenuto con la stessa domanda riconvenzionale, è stato ribadito di recente dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 2334/2019).

Aggiungasi che sebbene ogni volta che venga proposta in giudizio una domanda giudiziale nei confronti di un soggetto deve essere garantito il contraddittorio, a tale fine è tuttavia sufficiente che il soggetto evocato in giudizio venga posto in condizione di parteciparvi, conoscere la domanda avanzata nei suoi confronti ed apprestare una idonea difesa, non essendo necessario che la parte che propone la domanda debba sempre ottemperare all'onere di richiedere l'emissione di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza di discussione, peraltro previsto come infungibile ed a pena di decadenza, tant'è che nel rito ordinario, a differenza di quello del lavoro, un tale incombente non è previsto, senza che, per ciò solo, possa dubitarsi della corretta instaurazione del contraddittorio nelle ipotesi di proposizione di una domanda riconvenzionale.

Ciò induce a ritenere che la previsione dell'art. 418, comma 1, c.p.c., sia una norma a carattere eccezionale, come tale non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica, e, quindi, non suscettibile di applicazione oltre i casi in essa espressamente contemplati, peraltro anche in considerazione del fatto che la suddetta norma, in definitiva, finisce col rendere più gravoso l'esercizio del diritto di azione, e, prevedendo una decadenza, finisce altresì per l'ampliare l'ambito dell'ipotesi di absolutio ab istantia a scapito della decisione sul diritto controverso, che è pur sempre la finalità principale di qualunque processo, ed a maggiore ragione di uno disciplinato dallo speciale rito lavoristico, la cui principale caratteristica è la concentrazione e semplificazione delle forme, funzionali a privilegiare l'esigenza di celerità della procedura.

Concludendo su tale questione, tale incombente dovrebbe dunque considerarsi richiesto solo nell'ipotesi di proposizione della domanda riconvenzionale, ossia di una domanda proposta dal convenuto nei confronti dell'attore, e, non anche, nei confronti di un altro soggetto convenuto (Cass., sez. lav., n. 12300/2003).

La mancata istanza di fissazione di una nuova udienza, non pregiudica la sua riproposizione in un altro giudizio

La particolare forma di decadenza per la mancata proposizione dell'istanza per la fissazione di nuova udienza, prevista dall'art. 418 c.p.c., ha natura processuale e non già sostanziale.

Ciò per l'evidente ragione che la norma tutela il diritto di difesa del convenuto in riconvenzionale all'interno del processo – sulla quaestio juris riguardante l'accettazione del contraddittorio da parte di quest'ultimo, se abbia o meno efficacia sanante (cfr. in senso affermativo Cass., sez. lav., n. 16955/2007; contra, Cass. III, n. 23815/2007) e non comporta la consumazione del diritto sostanziale dell'attore in riconvenzionale (Cass., sez. lav., n. 20176/2008).

La stessa natura autonoma della domanda riconvenzionale, diretta non già a richiedere il rigetto della domanda avversaria, ma alla proposizione nello stesso giudizio di una domanda diversa, al fine di ottenere una pronuncia giurisdizionale ulteriore ed a sè favorevole, sembrerebbe escludere che il diritto sostanziale oggetto di domanda riconvenzionale possa considerarsi definitivamente consumato, e, dunque, non più azionabile in un nuovo processo per essere stata dichiarata in altro processo inammissibile la relativa domanda ex art. 418 c.p.c.

Ciò in quanto, sulla scorta di un orientamento giurisprudenziale, l'istanza di fissazione dell'udienza non rappresenta un elemento costitutivo della domanda riconvenzionale, giacchè l'istanza di fissazione concerne la vocatio in ius ed è, perciò, “esterna” rispetto alla proposizione della riconvenzionale, la quale, ai sensi dell'art. 416, comma 2, c.p.c., si realizza con l'editio actionis (Cass., sez. lav., n. 16955/2007), e, pertanto, conseguendo, anche alla luce dell'art. 24 Cost., che la domanda riconvenzionale che sia stata ritenuta inammissibile per difetto di istanza di fissazione di una nuova udienza, ex art. 418 c.p.c., ben possa essere proposta in altro giudizio (Cass., sez. lav., n. 18125/2016).

La dottrina si esprime in senso favorevole all'ipotesi che la domanda riconvenzionale dichiarata inammissibile dal giudice, possa essere fatta valere in altro giudizio (Luiso, 1992, 152), ovvero che il giudice della stessa controversia possa valutarla come semplice eccezione (Proto Pisani, 95; Montesano, Vaccarella, 150).

Domanda riconvenzionale: mutamento del rito

Infine nelle controversie soggette al rito del lavoro od alle quali tale rito si estenda, qualora la controversia principale sia stata erroneamente introdotta con il rito ordinario e venga disposto il mutamento del rito ed il passaggio al rito speciale, il mantenimento della domanda riconvenzionale, già proposta anteriormente al cambiamento del rito, non esige da parte del convenuto l'istanza di fissazione della nuova udienza ai sensi dell'art. 418, comma 1, c.p.c.

Tale istanza è invece necessaria allorquando la proposizione della domanda riconvenzionale avvenga dopo il cambiamento del rito disposto dal giudice adito con il rito ordinario, in quanto soltanto in questo caso ricorre l'esigenza cui è funzionale la previsione dell'obbligo di formulare l'istanza, cioè quella di garantire l'utile svolgimento del contraddittorio sulla domanda riconvenzionale in ragione del regime delle preclusioni proprio del rito speciale, contraddittorio che nell'altra ipotesi disciplinata dal rito ordinario invece ha già avuto corso (Cass. III, n. 10335/2005).

Alla stessa conclusione si perviene nell'ipotesi in cui la decadenza prevista dall'art. 418, comma 1, c.p.c. per omessa richiesta di fissazione di una nuova udienza di discussione sulla domanda riconvenzionale se questa è stata proposta prima della trasformazione del rito da ordinario a speciale – come ad esempio nel giudizio instaurato con atto di citazione per convalida di licenza per finita locazione, e, con l'opposizione ad essa, il conduttore avanza ritualmente e tempestivamente domanda riconvenzionale – perché con questo provvedimento è fissata l'udienza a norma dell'art. 426 c.p.c., che consente di realizzare le esigenze sottese a detta istanza, volta ad assicurare la regolarità del contraddittorio ed a consentire all'attore di svolgere le proprie difese (Cass. III, n. 2777/2003).

Nel procedimento per convalida di fratto ex art. 657 c.p.c l'intimato che dichiara in udienza di opporsi allo sfratto può anche depositare sue eccezioni proprie e domande riconvenzionali costituendosi in giudizio già a quel momento, sebbene in tale momento manchi anche fisicamente la possibilità di chiedere che sia spostata l'udienza cui si riferisce l'art. 418 c.p.c. quando invece l'opposizione allo sfratto è proposta dall'intimato all'udienza senza formulare alcuna domanda riconvenzionale, il medesimo potrà usufruire delle memorie integrative concesse dal giudice col mutamento del rito, ma in questa ipotesi dovrà chiedere lo spostamento dell'udienza già fissata dal giudice ex artt. 420, 426 e 667 c.p.c. (Trib. Prato 18 marzo 2015; Trib. Bari 17 febbraio 2011, laddove rileva che ove per ipotesi, l'allargamento dell'oggetto del giudizio scaturente dalla riconvenzionale si manifestasse solo dopo il cambiamento del rito, dovrebbe essere chiesto lo spostamento dell'udienza per consentire correttamente l'istaurazione su di essa del contraddittorio).

Le disposizioni dell'art. 418 c.p.c. si applicano anche al terzo che propone una domanda riconvenzionale

La giurisprudenza ha chiarito che quanto previsto dall'art. 418, comma 1, c.p.c. a carico del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, si applica anche nei confronti del terzo chiamato in causa o interventore, che, con la memoria di costituzione, abbia proposto una autonoma domanda riconvenzionale nei confronti di una delle parti in giudizio.

Inoltre, nel rito del lavoro, sempre nell'ipotesi di chiamata in causa del terzo, e, dunque, di proposizione di una domanda diversa da quella dell'originario attore nei confronti dell'originario convenuto, ma anche diversa da quella dell'originaria convenuto nei confronti dell'originario attore, unica configurabile come riconvenzionale in senso tecnico, l'art. 420 c.p.c. prevede che il giudice fissi una nuova udienza per la notifica al terzo degli atti introduttivi e del medesimo provvedimento di fissazione, ma non prevede affatto che l'emissione di tale provvedimento debba essere richiesta, a pena di decadenza, dalla parte che ha chiamato in causa il terzo, dovendo peraltro sottolinearsi che la fissazione di una nuova udienza, ancorché non necessariamente richiesta a pena di decadenza dal chiamante, e la notifica del provvedimento e degli atti introduttivi del giudizio sono in questo caso assolutamente imprescindibili.

L'art. 418, comma 1, c.p.c., laddove prevede a pena di decadenza l'onere di chiedere al giudice l'emissione di un nuovo decreto di fissazione dell'udienza di discussione, trova applicazione anche nei confronti del “terzo” che costituendosi, non si limita a svolgere le proprie difese ma formula un autonomo capo condannatorio nei confronti della parte convenuta, trattandosi di domanda non contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio, nei cui confronti, la parte convenuta viene a trovarsi in una posizione del tutto analoga a quella del ricorrente nei cui confronti il medesimo convenuto abbia proposto una domanda riconvenzionale, ragione per cui, anche il terzo ha l'onere di richiedere nel rispetto dei termini di cui all'art. 418, comma 1, c.p.c. al giudice un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza di discussione (Cass., sez. lav., n. 20176/2008).

Nel caso in cui il giudice ritenga di non dovere dare corso alla domanda riconvenzionale del convenuto per un qualsiasi motivo di forma o di sostanza, dichiarandola in limine litis inammissibile, e così ometta di provvedere alla fissazione di una nuova udienza ai sensi dell'art. 418 c.p.c., il processo non può che svolgersi secondo i tempi dell'iniziale decreto di fissazione d'udienza e con oggetto circoscritto alla domanda attorea (Cass., sez. lav., n. 6090/1983; Trib. Torino 5 luglio 2006).

La natura dei termini previsti dall'art. 418, comma 1 e 2 c.p.c.

L'art. 418 c.p.c., assimilando alla posizione del convenuto nei confronti dell'attore quella dell'attore nei confronti del convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, prevede una articolazione di termini per la fissazione dell'udienza di discussione parallela a quella stabilita dall'art. 415 c.p.c.

In particolare, entro cinque giorni dal deposito del ricorso è fissata con decreto ex art. 415, comma 2, c.p.c. l'udienza di discussione, mentre il nuovo decreto di fissazione dell'udienza reso necessario dalla domanda riconvenzionale è pronunciato ai sensi dell'art. 418, comma 1, c.p.c. entro cinque giorni dal deposito della memoria di costituzione nella quale ex art. 416, comma 2, c.p.c. è proposta la domanda riconvenzionale.

Ciò posto, tra il deposito del ricorso e l'udienza di discussione non devono decorrere più di 60 giorni, mentre tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l'udienza di discussione fissata con il decreto modificativo non devono decorrere più di 50 giorni, e, tale differenza è collegata, come quella degli intervalli tra la notifica del decreto e l'udienza previsti rispettivamente dagli artt. 415, comma 5, c.p.c. ed art. 418, comma 4, c.p.c. alla connessione tra la domanda riconvenzionale e la domanda originaria.

I termini stabiliti dall'art. 418, comma 1 e 2, c.p.c. hanno quindi la stessa natura di quelli, ordinatori, previsti dall'art. 415, commi 2 e 3 c.p.c. (Cass., sez. lav., n. 1344/1980; Cass., sez. lav., n. 3121/1979) trattandosi in entrambi i casi di termini ispirati esclusivamente dall'esigenza di assicurare la celerità del processo, la cui violazione non incide sulla validità del decreto di fissazione dell'udienza di discussione (Cass., sez. lav., n. 1956/1992).

L'art. 418 c.p.c. sulla proposizione della domanda riconvenzionale non si applica in appello

L'art. 418 c.p.c. sulla richiesta in caso di proposizione di domanda riconvenzionale di emissione di un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza trova la sua specifica ragione nella necessità di provocare la modificazione di un provvedimento già in precedenza emesso, e di conseguenza non può trovare applicazione, neppure in via analogica, per l'atto di appello, in quanto, la proposizione dell'appello si perfeziona, nel rito del lavoro, con il deposito in cancelleria del relativo atto il quale deve contenere le indicazioni previste dall'art. 434 c.p.c. in relazione anche all'art. 414 c.p.c., laddove invece, la fissazione dell'udienza dinanzi al giudice di prime cure è compito esclusivo del presidente del Tribunale a norma dell'art. 415 c.p.c.

Conseguentemente, non avrebbe alcun significato un'applicazione analogica della disposizione dell'art. 418 c.p.c., sulla richiesta di proposizione di domanda riconvenzionale di emissione di un nuovo decreto per la fissazione dell'udienza, che trova la sua specifica ragione soltanto nella necessità di provocare la modificazione di un provvedimento già in precedenza emesso (Cass., sez. lav., n. 382/1986).

Omessa comunicazione al convenuto che agisce in riconvenzionale della data di fissazione della nuova udienza

L'omessa comunicazione della cancelleria alla parte convenuta che agisce in riconvenzionale del decreto di fissazione dell'udienza di discussione ex art. 418 c.p.c. non determina alcuna nullità, in quanto adempimento informativo non previsto come obbligo ex lege, e, che in ogni caso, non eccede l'ordinaria diligenza per il medesimo convenuto, informarsi dell'esistenza del suddetto decreto in esecuzione di un adempimento richiesto con apposita istanza contenuta nella memoria difensiva di costituzione, considerando che per l'assolvimento del relativo onere esiste anche uno specifico termine.

Su tale questione la posizione assunta dalla giurisprudenza appare piuttosto chiara laddove afferma che nel caso in cui il giudice del lavoro dichiari inammissibile la domanda riconvenzionale del convenuto ed ometta di provvedere alla fissazione di una nuova udienza ai sensi dell'art. 418 c.p.c., il convenuto non può dolersi della mancata conoscenza del suddetto provvedimento, in forza dell'onere su di esso gravante, di rendersi parte diligente per conoscere la data effettiva dell'udienza di discussione (Cass., sez. lav., n. 6090/1983).

Nel rito comune la domanda riconvenzionale, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è assoggettata al simultaneus processus con quella principale a condizione della sua proposizione con la comparsa di risposta e senza alcuna necessità di notificazione all'attore, mentre, nel rito del lavoro, la notificazione, pur prevista dall'art. 418 c.p.c. è espressamente ascritta, ex art. 418, comma 3, c.p.c. ad onere dell'ufficio giudiziario adito, trattandosi di un adempimento inteso non già come completamento di una postulazione di giudizio gravante sulla parte o come requisito necessario della litis contestatio, ma come mero strumento predisposto nell'interesse dell'attore, per consentirgli l'osservanza del regime di preclusioni che governa il rito speciale, con particolare riguardo alle peculiarità della fase introduttiva del medesimo, atteso che analogo onere dell'ufficio non è affatto previsto rispetto alla domanda principale, ancorché la notificazione di questa sia successiva al primo contatto fra la parte ed il giudice, presupponendo il detto adempimento che quest'ultimo abbia pronunciato il decreto di cui all'art. 415 c.p.c.

Pertanto, quando risulti effettivamente conseguito il suddetto scopo di garanzia dell'esercizio del diritto di difesa dell'attore riconvenuto, per essere questi comparso alla nuova udienza di cui all'art. 418 c.p.c., senza proporvi alcuna eccezione in ordine alla ritualità degli atti successivi alla domanda riconvenzionale e svolgendovi le attività processuali previste come proprie della medesima, anche in relazione alle pretese ex adverso avanzate con la stessa domanda riconvenzionale, non sussiste alcuna nullità dichiarabile dal giudice, ostandovi sia la rilevanza da riconoscere, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c. alla suddetta realizzazione funzionale, sia il difetto di eccezione della sola parte che, ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c. sarebbe legittimata fare valere il vizio, essendo quella nel cui interesse è stabilito il requisito, in ipotesi, carente.

In tali precisi termini, depone l'orientamento giurisprudenziale formatosi nella materia qui considerata, laddove afferma che il rapporto processuale deve ritenersi correttamente costituito e svolto, se all'udienza di discussione, fissata ex art. 418 c.p.c., in differimento di quella originaria, ed in conseguenza della proposizione della domanda riconvenzionale, l'attore riconvenuto è regolarmente comparso, sì dà fare presumere che il provvedimento di fissazione di tale udienza gli sia stato effettivamente notificato, trattandosi di circostanza inidonea a determinare una qualsiasi nullità, risolvendosi nell'omissione di un adempimento non imposto dalla legge, che rimette alla sola diligenza dell'attore l'acquisizione della conoscenza della data della nuova udienza (Cass., sez. lav., n. 4347/1995; Cass. III, n. 1835/1988; Cass. III, n. 9021/1987; Cass. III, n. 4091/1982).

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